17 Gennaio, 2017

1. Premessa

La Corte di Cassazione si sofferma, ancora una volta, sul meccanismo operativo dell’accertamento sintetico per rilevarne alcune peculiarità, nel caso all’attenzione dei Supremi Giudici, in merito all’operatività – in base alla formulazione ante riforma del 2010 della disposizione di riferimento – delle presunzioni riguardanti la spesa per investimenti.
Se, infatti, le prove fornite dal contribuente in relazione al medesimo presupposto sostanziale interessante diverse annualità – rispetto al quale, tuttavia, sono stati emessi diversi atti accertativi – portano a una diversa valutazione, in ordine alla loro efficacia, da parte del medesimo organo giudicante, ma in differente composizione (1), relativamente ad ognuno dei diversi avvisi, bisogna tenere conto degli esiti derivanti da eventuale giudicato.
Emergono, dunque, due profili.
Uno, eminentemente sostanziale, relativo alla facoltà, da parte del contribuente, di “smontare” l’assetto motivazionale e probatorio dell’Ufficio finanziario, basato, appunto, su alcune presunzioni. Oggi, a dire il vero, facoltà esercitabile già in fase di contraddittorio endoprocedimentale.
E, poi, il risvolto squisitamente processuale riguardante la valenza ultrattiva del giudicato.
Ad avviso di chi scrive, la pronuncia della Corte, al di là dei due diversi aspetti che ci proponiamo più avanti di esaminare, ancora una volta conferma la linea ermeneutica manifestata della giurisprudenza di legittimità in questi ultimi tempi, volta a riequilibrare, dalla parte del contribuente, il “piatto della bilancia” dell’onere probatorio, soprattutto in casi di evidente complessità nei quali si rischia, peraltro, di entrare in contrasto con principi costituzionali come quelli di eguaglianza, capacità contributiva, ragionevolezza e giusto processo.

2. La fattispecie all’attenzione della Suprema Corte

Un contribuente impugnava l’avviso di accertamento IRPEF relativo all’anno 1998 riguardante un maggiore reddito non dichiarato, sulla base di investimenti effettuati negli anni 2001 e 2003.
La Commissione tributaria provinciale di Roma accoglieva il ricorso, mentre la Commissione tributaria regionale del Lazio riformava la sentenza di primo grado, affermando la legittimità dell’accertamento in quanto riteneva che gli investimenti immobiliari registrati nel triennio successivo all’anno per cui è causa, calcolati secondo il disposto dell’art. 38, quinto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, comportavano una rideterminazione del reddito del contribuente da lire 6.349.000 a lire 127.058.000.
Il giudice di secondo grado statuiva, inoltre, che le dichiarazioni del padre del contribuente, di aver versato gli importi utilizzati per gli investimenti sul conto corrente del figlio, non avevano la forza di prova testimoniale, in quanto supportate da generici tabulati bancari e, nel merito, non provavano che tali importi erano stati destinati in modo esclusivo a favore del figlio medesimo.
La Commissione concludeva, dunque, che gli elementi probatori prodotti dal contribuente non fossero idonei a giustificare il finanziamento delle operazioni immobiliari effettuate.
Il contribuente, pertanto, ricorreva in Cassazione denunziando, con unico motivo di ricorso, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360, n. 5), c.p.c., (nella sua formulazione precedente all’intervento del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2012, n. 143, a seguito del quale il vizio denunciabile è l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti). La sentenza della Commissione regionale aveva, infatti, omesso di esaminare la complessiva posizione dell’intero nucleo familiare e, in particolare, di valutare adeguatamente l’intervento finanziario del padre del contribuente. A tale conclusione il contribuente giungeva in quanto gli identici elementi di fatto e la documentazione prodotta erano stati valutati in modo del tutto difforme, senza alcuna giustificazione al riguardo, rispetto ad un’altra sentenza, emessa in data anteriore nei propri confronti, da un’altra Sezione della medesima Commissione, in relazione a una diversa annualità (1999).
La Suprema Corte rileva, in via preliminare, che il ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, citata dal contribuente, che aveva annullato l’avviso di accertamento a carico del medesimo in relazione ad un’altra annualità d’imposta, era stato respinto – con la sentenza n. 7707 del 2013 (2) – dalla Corte stessa, onde la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio è divenuta definitiva.
La sua produzione è da ritenersi pertanto rituale, attesa la deducibilità e comunque la rilevabilità d’ufficio del “giudicato esterno” nell’ipotesi in cui esso, come nel caso in esame, si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata (3). Si tratta, infatti, di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto. Da ciò consegue che il suo accertamento, in quanto diretto ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, attraverso la stabilità della decisione.
Tale garanzia di stabilità, collegata all’attuazione dei principi costituzionali del “giusto processo” e della “ragionevole durata”, non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 c.p.c., che, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato.
Alla luce della sentenza n. 7707 del 2013, avendo i due giudizi tra le medesime parti riferimento al medesimo rapporto giuridico ed essendo stato uno di essi definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento cosi compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (4). Con riferimento alla materia tributaria, in particolare, tale efficacia espansiva del “giudicato esterno”, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo d’imposta rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta, assumono carattere tendenzialmente permanente (5).
Relativamente a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario quale norma agendi.
La sentenza n. 7707 del 2013, pertanto, nel respingere i motivi di ricorso proposti dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione regionale del Lazio che aveva annullato l’avviso di accertamento a carico del contribuente per una diversa annualità, ne ha affermato la adeguata motivazione sul piano giuridico e logico, in quanto fondata su due diversi clementi probatori tra loro congruenti. Tale valutazione concerne il medesimo presupposto sostanziale dell’avviso di accertamento oggetto del diverso giudizio deciso dall’annotata pronuncia, atteso che la rideterminazione del reddito del contribuente per la differente annualità risulta fondato, ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, sullo stesso elemento, vale a dire il rilevante investimento patrimoniale, distribuito su più periodi d’imposta.
La statuizione che la prova contraria dedotta dal contribuente era idonea a superare l’efficacia presuntiva dell’identico elemento posto dall’Ufficio finanziario a fondamento della rideterminazione del reddito del contribuente (il rilevante investimento patrimoniale, appunto) ha, dunque, efficacia di “giudicato esterno” in relazione all’altra annualità, oggetto del giudizio successivo, precludendo ogni ulteriore accertamento al riguardo.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, in considerazione dell’efficacia “preclusiva” del rilevato giudicato esterno, la sentenza di secondo grado è stata cassata e la causa è stata decisa nel merito, con l’accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente.

3. Inquadramento e sviluppo del thema decidendum

La Corte di Cassazione è chiamata ad occuparsi di una vicenda che, partendo dall’applicazione dell’accertamento sintetico, travalica il piano sostanziale per sfociare nell’ambito della tematica processuale del giudicato.
Appare, pertanto, opportuno soffermarsi, in modo specifico, sui due temi all’attenzione dei Supremi Giudici.
È ben noto che l’art. 38, quarto comma, del D.P.R. n. 600/1973, prevede che l’Ufficio impositore, indipendentemente dalle disposizioni relative all’accertamento analitico, può sempre determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d’imposta, salva la prova che il relativo finanziamento sia avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile (6). Prima della riforma del 2010, il quinto comma del citato art. 38 prevedeva che se l’Ufficio finanziario determinava sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si dovesse presumere sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui era stata effettuata e nei quattro precedenti (7). In atto l’art. 22 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), ha eliminato dall’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 la previsione riguardante gli incrementi patrimoniali – in quanto si dispone che le spese di qualsiasi genere sostenute nel periodo d’imposta partecipano per l’intero alla determinazione del reddito presunto dell’anno dell’effettuazione dell’esborso – e anche la presunzione relativa alla distribuzione degli incrementi patrimoniali “a ritroso”.
Nondimeno il caso all’attenzione della Suprema Corte soggiace alla vecchia disciplina. Il contribuente aveva impugnato gli avvisi relativi alle due annualità contestate mediante due autonomi ricorsi procedendo a contrastare il riferimento a sé della capacità reddituale.
È, infatti, consentito al contribuente dimostrare l’inesistenza del reddito accertato, evidenziando il contributo finanziario proveniente, in questo caso, da componenti del nucleo familiare. Si trattava, specificamente, di denaro del padre che era stato versato sul conto corrente del figlio, tant’è che venivano prodotti in giudizio i relativi tabulati bancari.
Tale riscontro probatorio, accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Roma, veniva invece considerato insufficiente da una Sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio, che riformava la sentenza di primo grado.
Nondimeno, avendo il contribuente adito la Commissione tributaria provinciale di Roma anche per un’altra annualità e avendo quest’ultima respinto il ricorso, l’impugnazione innanzi a diversa Sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio otteneva esito positivo e, poiché il successivo ricorso dell’Agenzia delle entrate in Corte di Cassazione veniva respinto, tale sentenza favorevole al contribuente diventava definitiva.
Relativamente a tale aspetto, ci limitiamo a sottolineare che è vero che le spese qualificate come rilevanti per giustificare l’esistenza di una disponibilità di natura reddituale idonea a garantirne la copertura sono effettive e quantificabili in modo preciso, oltreché riconducibili al contribuente, almeno da un punto di vista immediato. Nondimeno, a quest’ultimo è consentito dare la prova del contrario.
L’Ufficio finanziario, dunque, alla luce dell’art. 38, quarto, quinto e sesto comma, del D.P.R. n. 600/1973, nella sua formulazione operante dal 4 ottobre 2005 al 30 maggio 2010, poteva determinare sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, presumendo che la stessa fosse stata sostenuta con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti. Il contribuente, da parte sua – ora anche in fase di contraddittorio endoprocedimentale, prima dunque di pervenire all’emissione di qualsivoglia avviso – poteva e può dimostrare che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, oltreché da redditi provenienti da terzi. L’entità di tali redditi e la durata del loro possesso deve risultare da idonea documentazione.
Nel caso specifico, la questione sostanziale che, poi, ha avuto ricadute processuali, sta nel fatto che la documentazione prodotta dal contribuente innanzi a due diverse Sezioni della medesima Commissione territoriale è stata considerata idonea per una e non idonea per l’altra a contrastare la presunzione connessa all’accertamento sintetico.
I Supremi Giudici, infatti, con la citata sentenza n. 7707 del 2013, hanno rigettato il ricorso dell’Amministrazione finanziaria avverso la sentenza di secondo grado con la quale era stata ritenuta idonea la documentazione prodotta dal contribuente, in quanto la concreta attuazione dei principi del giusto processo, come riformulati nel nuovo testo dell’art. 111 Cost., al fine di garantire il principio della parità delle armi processuali nonché l’effettività del diritto di difesa, impone di accogliere come idoneo mezzo di prova quello in cui converge una dichiarazione da parte di un terzo che afferma di aver fornito la provvista al contribuente, valutabile come elemento indiziario a favore di costui, integrato, tuttavia, dalla prova documentale, costituita dai tabulati bancari che confermano quanto affermato (8).
Osserva, pertanto, la Corte di Cassazione che il presupposto sostanziale in contestazione nella vicenda relativamente alla quale si è formato il giudicato è il medesimo dell’avviso di accertamento sottoposto all’esame dei Supremi Giudici, cioè il rilevante investimento patrimoniale distribuito su più annualità.
La sentenza n. 7707 del 2013 con la quale si è ritenuto che la presunzione utilizzata dall’Amministrazione finanziaria è vinta dalla prova data dal contribuente, avendo acquisito l’autorità di cosa giudicata fa sì che, superato l’aspetto sostanziale, entrino in gioco i profili processuali.
Quelli riguardanti, appunto, la rilevanza del giudicato esterno, tema abbastanza dibattuto negli ultimi anni, e che ha costituito oggetto di numerosi interventi della Sezione tributaria della Corte di Cassazione di contenuto eterogeneo, al punto da sollecitare anche una pronuncia a Sezioni Unite.
Appare essenziale soffermarsi brevemente sull’evoluzione del dibattito dottrinario e giurisprudenziale.
L’eventualità di riconoscere una ultrattività del giudicato relativamente alla medesima imposta periodica, ma per annualità diverse, è problematica abbastanza risalente. La dottrina, in un primo tempo, si è mostrata piuttosto scettica rispetto a questa tesi in quanto contrastante con la mutevolezza del reddito da un anno all’altro (9). Dal punto di vista sostanziale, inoltre, si negava che si potesse riconoscere alle obbligazioni nascenti nei singoli periodi d’imposta la qualificazione giuridica di singoli effetti di un unico rapporto, avendo riguardo al principio dell’autonomia dei periodi d’imposta (10).
Vi era poi chi, rifacendosi alla tradizionale tesi che individua l’oggetto del giudicato tributario nel diritto potestativo all’annullamento di un determinato atto, sosteneva che la decisione non poteva avere effetto rispetto ad altri atti (11).
Nondimeno, i fautori dell’efficacia extra litem del giudicato ritenevano, invece, che nel caso di imposte periodiche si fosse in presenza di un unico e continuativo rapporto (12).
La giurisprudenza, di contro, per un lungo periodo aveva espresso una posizione unitaria, enunciata in una sentenza della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, del 1962 (13), che aveva posto come invalicabile il limite dell’autonomia dei periodi d’imposta; di conseguenza, l’efficacia oggettiva del giudicato non avrebbe mai potuto estendersi da una annualità all’altra, da un atto impositivo all’altro.
A partire dal 2000, invece, l’orientamento diventava estremamente altalenante, soprattutto da parte della Sezione Tributaria. Alcune sentenze, infatti, erano favorevoli all’estensione del giudicato, in forza di principi acquisiti dalla giurisprudenza civile la quale ammette che, se si fa riferimento ad un medesimo rapporto giuridico, definito con sentenza passata in giudicato, o se ci si trova innanzi alla risoluzione di una questione di fatto o di diritto, incidente su un punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituente indispensabile premessa logica alla statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato, l’estensione è d’obbligo (14). Di contro, altre sentenze erano assolutamente contrarie all’estensione extra litem degli effetti del giudicato, in quanto il principio di autonomia dell’obbligazione tributaria non troverebbe deroga in caso di situazione giuridica di durata e non consentirebbe che una pronuncia possa esplicare effetti in un diverso processo riguardante annualità differenti della medesima imposta (15).
A dirimere il dibattito interviene la già più volte citata sentenza n. 13916 del 2006 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che afferma che nel caso in cui la questione è unica, ovvero viene accertato un singolo fatto che produce effetti irreversibili o effetti ultrannuali, si crea un vincolo, vale a dire un obbligo di estensione extra litem alle controversie riguardanti la tassazione di altri periodi d’imposta. Le fattispecie alle quali si riconosce questa idoneità sono costituite da elementi preliminari all’imposizione come, ad esempio, la categoria catastale o la spettanza di una agevolazione (questione oggetto della sentenza in esame). Queste condizioni possono restare costanti e, se non sopravvengono altri fatti, sono suscettibili di essere accertate una tantum. Ovviamente, ciò è da escludere in caso di fatti continuativi che vanno accertati di anno in anno.
I Supremi Giudici fondano il proprio ragionamento su due diversi profili.
Il primo, di matrice processualcivilistica, è stato ritenuto quello maggiormente condivisibile (16) in quanto la Suprema Corte valuta positivamente la possibilità di produrre, nel giudizio di legittimità, la documentazione che comprova l’esistenza di un giudicato esterno. La disposizione alla quale si deve fare riferimento è l’art. 372 c.p.c., in base al quale non è ammesso il deposito di atti o documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo.
Tale norma, tuttavia, prevede delle eccezioni tra le quali la produzione di fonti normative ritenute rilevanti per il giudizio di cassazione. I Supremi Giudici ritengono che il giudicato esterno rientri in questa deroga al principio generale: la sussistenza del giudicato, infatti, è considerata elemento riconducibile alla normativa applicabile che fa stato nei confronti delle parti (contribuente ed Amministrazione finanziaria), ma anche nei confronti del giudice adito. Questa documentazione, quindi, può essere prodotta al momento del deposito se il giudicato si è formato nelle more dell’impugnazione innanzi alla Corte di Cassazione; altrimenti, se si è formato successivamente, il termine ultimo è l’udienza di discussione. Nella sentenza, peraltro, si afferma la rilevabilità d’ufficio del giudicato esterno come accade per quello interno (17).
Il secondo snodo del ragionamento dei Supremi Giudici si fonda sulle istanze interpretative relative all’art. 111 Cost., riconducibili a principi fondamentali quali la ragionevole durata del processo, la garanzia di certezza e di stabilità ed il rispetto del principio del ne bis in idem. Quest’ultimo non solo come impossibilità di giudicare una lite già definita, ma come necessità di assumere a presupposto per la propria decisione, connessa o logicamente dipendente da altra già passata in giudicato, i fatti oggetto del predetto giudicato.
In dottrina, chi ha apprezzato la pronuncia ha rilevato (18) che il problema è stato correttamente esaminato da una prospettiva nuova, non più basata sulla tradizionale contrapposizione tra ultrattività ed autonomia dell’obbligazione. Il principio dell’autonomia dell’obbligazione trova numerose deroghe già all’interno della normativa tributaria, per esempio, in materia di imposte sui redditi, nella disciplina dell’ammortamento dei beni e/o della variazione delle rimanenze. In ogni modo, questo principio non consente di escludere che vi siano alcuni fatti o qualificazioni giuridiche che si ripresentino, in termini identici, nei vari periodi d’imposta, in assenza di fatti sopravvenuti. Non c’è, pertanto, una regola generale e, per certi accertamenti, da individuare caso per caso, è possibile estendere l’efficacia a periodi successivi.
Nondimeno, chi non l’ha condivisa (19) ritiene inaccettabile questa impostazione nel processo tributario in quanto oggetto della lite tributaria sarebbe lo specifico atto impugnato e che, di conseguenza, non si può accogliere la vis espansiva del giudicato oltre i confini del giudizio in cui si è formato. L’indirizzo ermeneutico, pertanto, è ritenuto scorretto. Ed ancora, si è affermato (20) che l’esigenza di tutelare principi come quelli posti dalla Corte a fondamento della pronuncia non può far sì che si crei, al giudice, un vincolo al quale deve sottostare, in quanto tale condizionamento è inaccettabile in un giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio. Questo aspetto, infatti, passerebbe in secondo piano, al fine di privilegiare il conformarsi delle parti e del giudice al giudicato, con risultati considerati “potenzialmente eversivi”.
Va poi segnalata la posizione di chi (21) ha apprezzato la pronuncia ma l’ha considerata, per così dire, limitante in quanto non ha legato l’estensione del giudicato ultra litem alla rilevanza della medesima questione di fatto ma alla ipotesi di medesimi rapporti giuridici, lasciando fuori casistiche come quelle derivanti dagli accertamenti sulla medesima realtà fattuale involgenti imposte differenti come l’IVA e le imposte dirette.
La Corte di Cassazione, nella pronuncia in esame, richiama la propria recente sentenza n. 13498 del 2015, nella quale, peraltro, si è limitata a riprendere le conclusioni della già citata sentenza n. 13916 del 2006, e cioè che «qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente».
Rientra certamente tra le fattispecie individuate in questa ultima parte della pronuncia la metodologia accertativa riconducibile al sintetico puro quando la spesa per incrementi patrimoniali fa capo ad una provvista proveniente da terzo ed è stata distribuita in più anni in ragione della presunzione indicata dal legislatore. Essa involge, quindi, più periodi d’imposta e diversi atti accertativi come elemento costitutivo unitario con riguardo a rapporti giuridici relativi a diverse annualità delle imposte periodiche.

4. Osservazioni conclusive

La Suprema Corte ha, in questi ultimi tempi, intrapreso un percorso ermeneutico abbastanza chiaro che appare incentrato su due diversi profili.
Il primo è quello che tende a tutelare il contribuente in tutti quei casi in cui la dimensione probatoria che lo riguarda in ambito processuale diventa particolarmente difficile, sino ad avvicinarsi alla cosiddetta probatio diabolica. Nel caso specifico, infatti, è pur vero che la spesa per investimenti parte da un dato concreto e, quindi, presenta un profilo di affidabilità maggiore, nondimeno ci sono due aspetti che determinano la difficoltà dell’onore probatorio. Il primo è riconducibile alla presunzione relativa alla distribuzione degli incrementi patrimoniali “a ritroso” – in atto, non più operante – ma presa in considerazione, ratione temporis, nella vicenda all’attenzione della Suprema Corte. Il secondo sta nella possibilità di provare che il relativo finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile. E, quindi, come nel caso in esame, anche con redditi riconducibili a terzi soggetti.
Tale posizione è stata riscontrata soprattutto in quelle pronunce in cui si è discusso di strumenti e metodologie utilizzati dall’Amministrazione finanziaria riconducibili a valutazioni presuntive e, per questo, particolarmente rischiosi in relazione ai principi costituzionali che impongono il rispetto della parità delle armi tra Amministrazione finanziaria e contribuente (22).
In questo “trend”, peraltro, sembra essersi inserita anche l’Amministrazione finanziaria, con buona probabilità in quanto ha percepito che il contribuente è propenso a collaborare maggiormente se percepisce chiaramente che le sue ragioni vengono prese in considerazione e non valutate solo per rispetto del dato formale.
Il secondo profilo interpretativo seguito dalla Suprema Corte è, invece, legato ai principi del giusto processo sanciti dall’art. 111 Cost. soprattutto in quelle ipotesi in cui si rischia di minare il principio del ne bis in idem. Ci riferiamo a tutte quelle questioni involgenti più periodi d’imposta, in ragione di un unico elemento costitutivo, rispetto alle quali l’interesse dei Supremi Giudici è di pervenire ad una valutazione unitaria e non a giudicati contrastanti.
Non sempre questi due intenti sono perseguiti con risultati felici. Per quanto ci riguarda, infatti, spesso siamo stati critici con la Suprema Corte in quelle ipotesi in cui era auspicabile un ampliamento ulteriore della tutela del contribuente (23). Soprattutto quando, alle esigenze di rispetto dei principi costituzionali, si aggiungono quelle di economia processuale.
Nondimeno, nella vicenda in questione in cui i due punti di vista si sono “sovrapposti”, si ritiene siano state correttamente formulate conclusioni che hanno privilegiato le ragioni del contribuente, dando la giusta importanza ad alcuni principi di rango superiore, mai trascurabili.

Avv. Patrizia Accordino
Università degli Studi di Messina

(1) Con riguardo alle dinamiche probatorie in capo agli organi del processo tributario si vedano V. AZZONI, I poteri istruttori dei giudici tributari in ordine agli elementi conoscitivi di particolare complessità di cui all’art. 7, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, in Boll. Trib., 2014, 145, in nota a Cass., sez. trib., 13 marzo 2013, n. 6238; ID., Giudice tributario: ruolo e compiti nelle fasi organizzativa, istruttoria e deliberativa del processo tributario, ivi, 2009, 1493; B. QUATRARO, I poteri istruttori delle Commissioni tributarie, Parti I-IV, ibidem, risp. 87, 269, 507 e 840; L. FERLAZZO NATOLI – A. BUCCISANO, L’abrogazione del comma terzo dell’art. 7 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, tra limiti ed estensioni dei poteri delle Commissioni tributarie, ivi, 2006, 558; e A. COLLI VIGNARELLI, I poteri istruttori delle Commissioni tributarie, Bari, 2002, passim.
(2) Si tratta di Cass., sez. trib., 27 marzo 2013, n. 7707, in Boll. Trib., 2013, 1346, con nota di F. BRIGHENTI, Le dichiarazioni (scritte) di terzi nel processo tributario.
(3) In tali termini Cass., sez. un., 16 giugno 2006, n. 13916, in Boll. Trib., 2006, 1223.
(4) Così Cass. n. 13916/2006, cit.
(5) Così Cass., sez. trib., 1° luglio 2015, n. 13498, in Boll. Trib. On-line.
(6) Si tratta del c.d. “accertamento sintetico puro”; cfr. F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Torino, 2011, 216 ss.; G. FALSITTA, Corso istituzionale di diritto tributario, Padova, 2012, 254 ss.; A. FANTOZZI, Il diritto tributario, Torino, 2003, 426 ss.; e R. LUPI, Diritto tributario. Parte generale, Milano, 2005, 188 ss.
(7) Tale presunzione si basava sulla considerazione che le predette spese venivano effettuate con incrementi di ricchezza stratificati negli anni precedenti all’acquisto.
(8) Sulla efficacia delle dichiarazioni di terzi nel processo tributario si vedano A. COLLI VIGNARELLI, Dichiarazioni di terzi e parità delle parti processuali, in Boll. Trib., 2015, 565 ss.; ID., Le dichiarazioni di terzi possono, da sole, fondare la decisione del giudice tributario?, ibidem, 300, in nota a Cass., sez. trib., 23 dicembre 2014, n. 27314; ID., Dichiarazioni di terzi, intercettazioni telefoniche e giudizio tributario, ivi, 2013, 804; ID., Dichiarazioni di terzi, confessione (stragiudiziale) e processo tributario, ivi, 2009, 1733; F. CIANI, Processo tributario: discontinuità giurisprudenziali nell’utilizzo delle dichiarazioni di terzi, ivi, 2010, 942; e A. IANNACCONE, La valenza probatoria delle dichiarazioni di terzi e il giusto processo tributario, ivi, 2008, 157, in nota a Cass., sez. trib., 16 maggio 2007, n. 11221.
(9) Cfr. O. QUARTA, Commento alla legge sulla imposta di ricchezza mobile, Roma-Milano-Napoli, 1903, 721.
(10) Cfr. A.D. GIANNINI, Il rapporto giuridico d’imposta, Milano, 1937, 292.
(11) Cfr. E. ALLORIO, Diritto processuale tributario, Torino, 1969, 194. Per un interessante profilo della vexata quaestio si vedano T. MARINO, Inopponibilità del giudicato “esterno” in ipotesi di pratiche abusive in materia di IVA, in Boll. Trib., 2009, 1404, in nota a Corte Giust. UE 3 settembre 2009, causa C-2/08, e Cass., sez. trib., 21 dicembre 2007, ord. n. 26996; nonché U. PERRUCCI, Il giudicato secondo la Corte di Giusitizia UE, ibidem, 1354.
(12) Cfr. S. SATTA, Contenzioso tributario: ammissibilità dell’azione davanti al magistrato ordinario, appello mancante dei motivi e «res judicata», in Dir. prat. trib., 1957, II, 304, il quale fondava le proprie affermazioni assumendo ad esempio alcuni contratti di diritto civile, come il mutuo e la locazione, rispetto agli obblighi di pagamento delle rate e dei canoni mensili. In queste ipotesi di elementi che fanno parte di un unico insieme riteneva, pertanto, che si venisse a creare un nesso di pregiudizialità logica rispetto al giudicato formatosi in relazione ad un periodo d’imposta precedente. Si vedano altresì M. NENCHA, Gli effetti del giudicato esterno nel nuovo processo tributario, in Boll. Trib., 1977, 1341; e V. FICARI, Il giudicato sul reddito societario vincola l’accertamento del maggior reddito del socio della società trasparente, ivi, 2008, 1097, in nota a Cass., sez. trib., 15 giugno 2007, n. 14012.
(13) Cfr. Cass., sez. un., 14 luglio 1962, n. 1873, in Boll. Trib., 1963, 129.
(14) Si veda, per tutte, Cass., sez. trib., 4 agosto 2000, n. 10280, in Boll. Trib., 2001, 1415.
(15) Cfr. Cass., sez. trib., 21 novembre 2001, n. 14714, in Boll. Trib. On-line.
(16) Cfr. C. GLENDI, Giuste aperture al «ne bis in idem» in Cassazione ma discutibili estensioni del «giudicato tributario» extra moenia, in Riv. giur. trib., 2006, 557 ss.; e C. MAGNANI, Sui limiti oggettivi del giudicato tributario, ibidem, 559 ss.
(17) La rilevabilità d’ufficio del giudicato esterno è stata sostenuta, anche se in una diversa fattispecie, da Cass. n. 14012/2007, cit.
(18) Cfr. F. TESAURO, Giudicato tributario, questioni pregiudiziali e imposte periodiche, in Boll. Trib., 2006, 1173 ss.
(19) Cfr. C. GLENDI, op. cit., 557 ss.; e C. MAGNANI, op. cit., 559 ss.
(20) Cfr. M. BASILAVECCHIA – A. PACE, Valenza ultrannuale del giudicato tributario, in Corr. trib., 2006, 2694 ss.
(21) Cfr. G. INGRAO, Il giudicato esterno nelle ipotesi di tributi differenti: un ripensamento della Cassazione?, in Rass. trib., 2007, 566 ss.
(22) Cfr. P. ACCORDINO, Accertamenti basati su parametri e studi di settore ancora sotto esame, in nota a Cass., sez. trib., 12 marzo 2014, n. 5675; Cass., sez. trib., 2 aprile 2014, n. 7621, e a Cass., sez. VI, 6 maggio 2014, ord. n. 9712, in Boll. Trib., 2014, 1112 ss.; e, da ultimo, ID., La Corte di Cassazione precisa la nozione di spese effettive in tema di accertamento sintetico puro, ivi, 2015, 1594 ss., in nota a Cass., sez. trib., 21 luglio 2015, n. 15289.
(23) Ci sia consentito rinviare al lavoro monografico di P. ACCORDINO, Il rapporto tributario plurisoggettivo: riflessi processuali, Torino 2011, passim, ove la tematica è stata affrontata con riguardo a diverse ipotesi in cui il conflitto tra giudicati è particolarmente frequente, proprio a causa del coinvolgimento di più soggetti nel rapporto giuridico d’imposta.

Procedimento – Giudizio di cassazione – Giudicato esterno successivo alla pronuncia della sentenza impugnata col ricorso per cassazione – Deducibilità e rilevabilità d’ufficio – Sussistono – Produzione nel giudizio di cassazione della sentenza sopravvenuta a favore del contribuente – Ammissibilità – Preclusione di cui all’art. 372 c.p.c. – Inapplicabilità.

Procedimento – Giudicato esterno – Ambito di applicazione ed effetti – Sentenza passata in giudicato contenente la soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune a un altro giudizio ancora pendente tra le stesse parti – Preclusione del riesame dello stesso punto di diritto già accertato – Consegue – Differente scopo e petitum del secondo giudizio – Irrilevanza.

Procedimento – Giudicato esterno – Limiti oggettivi – Giudicato fra le stesse parti intervenuto per un determinato periodo d’imposta su una medesima questione di fatto e di diritto comune ad altre annualità – Estensione del giudicato agli altri periodi d’imposta e preclusione di un nuovo esame delle questioni già decise – Conseguono.

Procedimento – Giudicato esterno – Capacità espansiva ad altri periodi d’imposta – Sussiste – Limiti e condizioni – Accertamento di elementi costitutivi della fattispecie comuni ad una pluralità di periodi d’imposta con carattere tendenzialmente permanente – Estensione del giudicato – Consegue.

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Accertamento sintetico – Efficacia del giudicato esterno – Rideterminazione del reddito per diverse annualità fondata sullo stesso investimento patrimoniale – Prova contraria offerta dal contribuente per un’annualità ritenuta idonea a superare l’efficacia presuntiva di tale identico elemento da parte di una sentenza passata in giudicato – Efficacia anche per gli altri periodi d’imposta – Sussiste – Preclusione di ulteriori accertamenti sul punto – Consegue.

Deve ritenersi rituale la produzione nel giudizio di cassazione della sentenza di merito favorevole al contribuente e passata in giudicato che venga depositata con la memoria di parte di cui all’art. 378 c.p.c., attesa la rilevabilità d’ufficio del “giudicato esterno” nell’ipotesi in cui esso si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, poiché si tratta di un elemento che non può essere incluso nel fatto in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto; ne consegue che il suo accertamento, in quanto diretto ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, attraverso la stabilità della decisione, e tale garanzia di stabilità, collegata all’attuazione dei principi costituzionali del “giusto processo” e della “ragionevole durata”, non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 c.p.c. il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato.

Quando due giudizi tra le medesime parti abbiano fatto riferimento al medesimo rapporto giuridico e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo.

Con riferimento alla materia tributaria, l’efficacia espansiva del “giudicato esterno” di una sentenza passata in giudicato, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta, assumono carattere tendenzialmente permanente; in riferimento a tali elementi il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario quale norma agendi.

L’accertamento sintetico del reddito del contribuente per una determinata annualità fondato, ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, su uno stesso elemento, ossia su un rilevante investimento patrimoniale distribuito su più annualità costituente il presupposto sostanziale di tutti gli avvisi di accertamento emessi per tali plurime annualità, comporta che la precedente statuizione giudiziaria circa l’idoneità della prova contraria dedotta dal contribuente a superare l’efficacia presuntiva dell’identico elemento posto a fondamento della rideterminazione del suo reddito ha efficacia di “giudicato esterno” in relazione alle altre annualità, precludendo ogni ulteriore accertamento al riguardo.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Di Amato, rel. Federico), 20 gennaio 2016, sent. n. 943]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Il contribuente A.M. impugnò l’avviso di accertamento Irpef relativo all’anno 1998 relativo ad un maggior reddito non dichiarato, sulla base di investimenti effettuati negli anni 2001 e 2003.
La CTP di Roma accolse il ricorso.
La CTR del Lazio, con la sentenza n. 177/35/09, in riforma della sentenza di primo grado, affermò invece la legittimità dell’accertamento e respinse il ricorso del contribuente.
La CTR, in particolare, ebbe a rilevare che gli investimenti immobiliari registrati nel triennio successivo all’anno per cui è causa (1998), calcolati secondo il disposto dell’art. 38 comma 5 Dpr 600/73, comportavano una rideterminazione del reddito del contribuente da lire 6.349.000 a lire 127.058.000.
Il giudice di secondo grado affermò inoltre che le dichiarazioni del padre del contribuente, di aver versato gli importi utilizzati per gli investimenti sul c/c del figlio, M quanto supportate da generici tabulati bancari, non avevano la forza di prova testimoniale e, nel merito, non provavano che tali importi erano stati destinati in modo esclusivo in favore del figlio.
La CTR ritenne dunque che gli elementi probatori prodotti dal contribuente non fossero idonei a giustificare il finanziamento delle operazioni immobiliari effettuate.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine di partecipare all’udienza di discussione.
Il contribuente ha altresì depositato memorie ex art. 378 cpc

MOTIVI DELLA DECISIONE – Con l’unico motivo di ricorso il contribuente denunzia insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 n. 5) cpc, lamentando che la sentenza della CTR abbia omesso di esaminare la complessiva posizione dell’intero nucleo familiare, ed in particolare di valutare adeguatamente l’intervento finanziario del padre del contribuente.
Lamenta, in particolare, che gli identici elementi di fatto e la documentazione prodotta siano stati valutati in modo del tutto difforme, senza alcuna giustificazione al riguardo, rispetto ad altra sentenza, la n. 106/12/08, emessa in data anteriore nei confronti del medesimo contribuente, da altra sezione della medesima CTR, in relazione a diversa annualità (1999).
(Omissis). Si rileva, in via preliminare, che il ricorso avverso la sentenza della CTR Lazio n. 106/12/08, citata dal contribuente, che aveva annullato l’avviso di accertamento a carico del medesimo contribuente in relazione ad altra annualità d’imposta, è stato respinto – con la sentenza n. 7707/2013 – da questa Corte, onde la sentenza della CTR del Lazio n. 106/12/08 è divenuta definitiva, come risulta dalla sentenza prodotta dal ricorrente con la memoria ex art. 378 cpc.
Deve al riguardo affermarsi la ritualità della produzione, attesa la rilevabilità d’ufficio del “giudicato esterno” nell’ipotesi in cui esso, come nel caso in esame, si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata (Cass. Ss. Uu. n. 13916/2006 (1)).
Si tratta infatti di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto.
Da ciò consegue che il suo accertamento, in quanto diretto ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, attraverso la stabilità della decisione.
Tale garanzia di stabilità, collegata all’attuazione dei principi costituzionali del “giusto processo” e della “ragionevole durata”, non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 cpc, il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato.
Ciò posto e passando all’efficacia della menzionata pronunzia di questa Corte 7707/2013 (2) sul presente giudizio si osserva che quando due giudizi tra le medesime parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (Cass. Ss. Uu. 13916/2006).
Con riferimento alla materia tributaria, in particolare, tale efficacia espansiva del “giudicato esterno”, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta, assumono carattere tendenzialmente permanente (Cass. 13498/2015 (3)).
In riferimento a tali elementi il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario quale norma agendi.
Orbene, nel caso di specie la sentenza n. 7707/2013 di questa Corte nel respingere i motivi di ricorso proposti dall’Agenzia avverso la sentenza della CTR del Lazio n. 106/12/08 che aveva annullato l’avviso di accertamento a carico del contribuente per diversa annualità, ha affermato che la menzionata pronunzia della CTR di accoglimento del ricorso del contribuente, in quanto fondata su due diversi elementi probatori tra loro congruenti, doveva ritenersi adeguatamente motivata sul piano giuridico e logico.
Tale valutazione, che, nel confermare la sentenza di annullamento della CTR ne ha affermato l’adeguatezza dell’impianto motivazionale, unico profilo censurato (con due motivi) dall’Agenzia, concerne il medesimo presupposto sostanziale dell’avviso di accertamento oggetto del presente giudizio, atteso che la rideterminazione del reddito del contribuente per la diversa annualità, risulta fondato, ai sensi dell’art. 38 Dpr 600/73, sullo stesso elemento, vale a dire il rilevante investimento patrimoniale, distribuito su più annualità.
La statuizione che la prova contraria dedotta dal contribuente era idonea a superare l’efficacia presuntiva dell’identico elemento posto dall’Ufficio a fondamento della rideterminazione del reddito del contribuente (il rilevante investimento patrimoniale, appunto) ha dunque efficacia di “giudicato esterno” in relazione all’altra annualità, oggetto del presente giudizio, precludendo ogni ulteriore accertamento al riguardo.
Il ricorso va dunque accolto e la sentenza impugnata va cassata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, in considerazione dell’efficacia “preclusiva” del rilevato giudicato esterno, la causa può essere decisa nel merito, con accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente.
Considerate le ragioni della decisione e la formazione del “giudicato esterno” successivamente alla proposizione del presente ricorso, appaiono sussistenti i presupposti per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M. – La Corte accoglie il ricorso del contribuente.
Cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.

(1) Cass., sez. un., 16 giugno 2006, n. 13916, in Boll. Trib., 2006, 1223.
(2) Cass., sez. trib., 27 marzo 2013, n. 7707, in Boll. Trib., 2013, 1346.
(3) Cass., sez. trib., 1° luglio 2015, n. 13498, in Boll. Trib. On-line.