Nella fattispecie oggetto delle presenti note, il ricorrente aveva proposto ricorso contro il rifiuto tacito dell’Amministrazione finanziaria in ordine alla restituzione di alcuni tributi (ritenute a titolo d’imposta). Prima della sentenza aveva tuttavia rinunciato al ricorso a norma dell’art. 44 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Il processo si era dunque estinto. Qualche tempo dopo aveva riproposto la medesima azione avanti la stessa Commissione tributaria di merito.
La rinuncia agli atti del giudizio è l’atto attraverso il quale si mette termine al rapporto processuale prima della pronuncia di merito. Essa non richiede forme vincolanti, potendo essere proposta anche verbalmente dal procuratore costituito. Gli effetti che ne conseguono sono l’anticipata definizione del processo senza alcuna decisione sul rapporto giuridico dedotto in giudizio.
Con la rinuncia all’azione, invece, il processo non si estingue ma prosegue fino alla sua naturale conclusione in cui verrà dichiarata, a mente dell’art. 46, la cessazione della materia del contendere.
I codici di rito regolamentano soltanto la prima ipotesi: il codice di procedura civile attraverso l’art. 306, mentre quello del processo tributario è disciplinato dall’art. 44 del D.Lgs. n. 546/1992.
Su tale argomento, la posizione del giudice di legittimità è da tempo consolidata. «In via di principio, l’estinzione del processo non incide sui diritti sostanziali fatti valere in giudizio e sul diritto di riproporli in altro giudizio, rispondendo tale soluzione al principio di autonomia dell’azione rispetto al processo» (1).
L’estinzione del processo non «vulnera gli artt. 2 e 24 cost., poiché le norme si limitano a disciplinare l’onere delle spese del processo, senza limitare il diritto di azione» (2).
Il discorso è chiaro. Anche se il provvedimento che dichiara l’estinzione del processo ha natura di sentenza, trattandosi di provvedimento di natura decisoria, da tale provvedimento altra ragione o principio di diritto non è dato ricavare se non il fatto che il ricorrente ha rinunciato al processo, magari evitando, come nel caso di cui all’art. 45 del D.Lgs. n. 546/1992, «di proseguire, riassumere o integrare il giudizio» entro il termine per ciò previsto. Da suddetta estinzione, legata ad una questione prettamente processuale, nessuna conseguenza può dunque derivare a danno o a favore di una delle parti.
L’estinzione del giudizio a seguito di rinuncia al ricorso da parte del contribuente a mente dell’art. 44 del D.Lgs. n. 546/1992 «non comporta l’automatica inammissibilità di altri ricorsi dallo stesso tempestivamente proposti avverso il medesimo atto dell’Amministrazione» (3).
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In linea di principio, dunque, il ricorso così rinunciato può essere riproposto.
La sentenza che si annota ha ritenuto, invece, che la natura pubblicistica del processo tributario non si adatta all’applicazione di tali principi. Una volta che il provvedimento impositivo giunge avanti al giudice tributario, dice, l’interesse pubblico alla stabilità degli atti prevale sul diritto del privato a sospendere o rinviare la decisione. In suddetti termini, la rinuncia al ricorso di cui all’art. 44 del D.Lgs. n. 546/1992 si traduce in una rinuncia all’azione a cui consegue la definitività e l’inoppugnabilità dell’atto impugnato.
Conveniamo con la sostanza della decisione, che stimiamo possa sussumersi all’interno dei principi sopra enunciati con alcune considerazioni correlate alla specialità delle azioni di rimborso e alla tempestività della riproposizione del ricorso.
Il processo tributario, è noto, si introduce attraverso l’impugnazione di uno degli atti impositivi elencati nell’art. 19 del più volte citato D.Lgs. n. 546/1992 disciplinante il processo tributario. Tra questi, la lett. g) del primo comma del citato art. 19 annovera «il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti».
In tali casi, dice il successivo art. 21, il ricorso deve essere proposto, a pena di inammissibilità, entro sessanta giorni dalla data di notificazione del rifiuto.
Se invece si tratta di diniego tacito, che si ha quando l’Ufficio non risponde alla domanda di restituzione entro il novantesimo giorno dalla sua proposizione, il ricorso per il rimborso delle somme che si assumono indebitamente versate si può proporre «fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto».
Chiave di volta del problema che ci occupa è quello che concerne la natura del silenzio dell’Amministrazione finanziaria. Silenzio che, come visto, rappresenta l’antecedente dell’azione giudiziaria una volta che sia decorso il termine di novanta giorni dalla presentazione della relativa istanza.
In linea generale, si parla di silenzio-rifiuto quando la legge attribuisce il carattere provvedimentale al comportamento omissivo dell’amministrazione finanziaria in ordine a una determinata istanza ricevuta.
Le azioni di rimborso dei tributi non rientrano tuttavia in tale ambito, anche se la legge vuole che quando il silenzio si protrae per oltre novanta giorni l’interessato possa proporre ricorso, avviando una classica azione di cognizione.
In tale caso il silenzio dell’ufficio rappresenta infatti una semplice condizione dell’azione mentre l’oggetto del contendere è quello del diritto alla restituzione dell’indebito, il cui accertamento passerà attraverso la compiuta valutazione delle ragioni allegate dal ricorrente.
Un’azione di suddetto genere rappresenta evidentemente un’anomalia rispetto al modulo del processo tributario laddove vuole che al centro del contendere sia posto un preciso atto impositivo, di cui valutare il fondamento di merito attraverso una pronuncia destinata a prenderne il posto.
Sul piano processuale, nessun problema insorge nell’ipotesi che il ricorso venga proposto contro il diniego esplicito da parte dell’Amministrazione finanziaria. In caso di rinuncia e di successiva riproposizione avanti alla Commissione tributaria, il tutto dovrà avvenire nel previsto termine decadenziale di sessanta giorni.
Diversa è l’ipotesi del silenzio che supera novanta giorni. In tali casi, diversamente da quanto disponeva l’originario testo dell’art. 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, laddove prevedeva che in caso di silenzio il ricorso doveva essere proposto «entro sessanta giorni … dalla scadenza dei novanta giorni», ora è l’interessato che sceglie il tempo in cui il silenzio dell’Amministrazione finanziaria diventa atto impugnabile.
Sosteniamo che suddetta singolare facoltà sia unica e irripetibile. Una volta deciso di proporre ricorso, mettendo così termine all’attesa della decisione da parte dell’Amministrazione finanziaria, riprendono a valere le comuni regole dettate dal sistema processuale per l’impugnazione degli atti impositivi. Da quel momento, pertanto, entrano in gioco i termini di decadenza previsti dal decreto sul contenzioso in omaggio al principio della stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico.
In tale senso, se il ricorso dovesse essere rinunciato a mente dell’art. 44 del D.Lgs. n. 546/1992, la sua eventuale riproposizione sarà soggetta alla regola sul termine di decadenza di sessanta giorni, valida per tutti gli atti impositivi, a nulla potendo valere il disposto contenuto nell’art. 21 «fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto».
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La funzione di tale disposto, come più sopra si è visto, è quella di rimettere in capo all’interessato la facoltà di scegliere il momento in cui assegnare al silenzio dell’Amministrazione finanziaria il valore di diniego tacito del rimborso. Niente di più. Una volta che tale scelta è stata compiuta, una volta cioè che l’interessato ha proposto ricorso, il suddetto disposto ha esaurito la sua funzione.
Tale soluzione non è improntata a rigore formalistico, rappresentando l’esatta applicazione della regola generale sulla impugnazione degli atti impositivi dettata dal D.Lgs. n. 546/1992. È questo il decreto che prescrive che il processo tributario si debba introdurre attraverso un meccanismo impugnatorio di atti impositivi, da esercitarsi entro precisi termini di decadenza.
Il fatto che, rispetto al modello del processo civile, tale dato normativo comporti una consistente compressione delle garanzie difensive, è del tutto noto. L’hanno addirittura confermato anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza 2 dicembre 2004, n. 22601 (4). Questa è tuttavia la regola di sistema con la quale occorre confrontarsi.
Ciò significa che se il ricorso già oggetto di rinuncia ex art. 44 del D.Lgs. n. 546/1992 potesse essere sempre riproposto «fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto», si creerebbe una vistosa anomalia non altrimenti giustificabile sul piano dell’uguaglianza rispetto a chi, ad esempio, quel ricorso l’abbia proposto contro il diniego esplicito.
Regola vuole che fra le varie interpretazioni di una norma di legge si debba sempre preferire quella che assicura una soluzione che si ponga in armonia con il sistema, che non crei cioè nessuna ingiustificata disparità di trattamento rispetto ad ipotesi analoghe. Nel caso specifico, vuole che fra chi propone ricorso contro il rifiuto espresso al rimborso, che in caso di rinuncia ex art. 44 del D.Lgs. n. 546/1992 può essere riproposto entro l’iniziale termine decadenziale di sessanta giorni, e chi propone ricorso contro il rifiuto tacito, non vi sia alcuna differenza di rito stante la sostanziale identità delle situazioni.
Se così è, la valenza del disposto dell’art. 21 sopra menzionato, laddove attribuisce a chi chiede la restituzione di tributi la facoltà di scegliere, attraverso la proposizione del ricorso, il momento in cui il silenzio dell’Amministrazione finanziaria assume il valore di diniego, si arresta a questa opportunità.
In buona sostanza, il ricorso oggetto di rinuncia è ripresentabile, a condizione che ciò avvenga nel termine di sessanta giorni dalla presentazione del primo.
Avv. Bruno Aiudi
(1) Così Cass., sez. lav., 26 maggio 2010, n. 12855, in Boll. Trib. On-line.
(2) Cfr. Cass., sez. III, 24 gennaio 2003, n. 1109, in Mass. Foro it., 2003.
(3) Così Cass., sez. trib., 29 dicembre 2010, n. 26292, in Boll. Trib. On-line.
(4) In Boll. Trib., 2005, 133.
Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Termini di impugnazione degli atti tributari – Hanno natura decadenziale – Termine di impugnazione del rifiuto tacito della restituzione di tributi – Costituisce un’eccezione – Applicabilità della prescrizione ordinaria decennale – Sussiste.
Procedimento – Ricorsi – Termini di impugnazione degli atti tributari – Hanno natura decadenziale – Termine di impugnazione del rifiuto tacito della restituzione di tributi – Costituisce un’eccezione – Applicabilità della prescrizione ordinaria decennale – Sussiste.
Imposte e tasse – Rimborsi – Istanza di rimborso di ritenute a titolo d’imposta – Termine di impugnazione del silenzio rifiuto – È quello della prescrizione ordinaria decennale.
Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Rinuncia al ricorso ex art. 44 del D.Lgs. n. 546/1992 – Effetti – Consumazione del diritto a ricorrere e consolidamento dell’atto impugnato, anche se consistente nel rifiuto tacito della restituzione di tributi – Conseguono – Riproponibilità dell’azione giurisdizionale – Esclusione.
Procedimento – Ricorsi – Rinuncia al ricorso ex art. 44 del D.Lgs. n. 546/1992 – Effetti – Consumazione del diritto a ricorrere e consolidamento dell’atto impugnato, anche se consistente nel rifiuto tacito della restituzione di tributi – Conseguono – Riproponibilità dell’azione giurisdizionale – Esclusione.
Il processo tributario si instaura sia per la tutela di diritti soggettivi, sia a garanzia del legittimo operato dell’Amministrazione finanziaria, ed i termini per l’impugnazione dei relativi atti e provvedimenti hanno natura decadenziale, con l’eccezione però del rifiuto tacito della restituzione di tributi di cui all’art. 19, primo comma, lett. g), del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la cui impugnazione può avvenire nei termini di prescrizione del relativo diritto che, relativamente alla restituzione di tributi quali le ritenute a titolo d’imposta, è quello della prescrizione ordinaria decennale.
Considerato che le norme processuali tributarie, per effetto del rinvio di cui all’art. 1, secondo comma, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, sono prevalenti sulle disposizioni del codice di procedura civile, applicabili solo in quanto compatibili, e che perciò il combinato disposto degli artt. 306 e 310 c.p.c. non è applicabile al processo tributario in quanto incompatibile con la natura pubblicistica di quest’ultimo, e considerato altresì che la rinuncia al ricorso e l’accettazione della controparte nel processo civile sono negozi giuridici pienamente dispositivi, mentre nel processo tributario l’accettazione dell’Amministrazione finanziaria è invece comunque vincolata dal legittimo esercizio del potere discrezionale e dal perseguimento dell’interesse pubblico, ne deriva che pur in presenza della previsione di un termine prescrizionale l’interesse pubblico manifestato attraverso il provvedimento amministrativo autoritativo di rigetto di un’istanza di rimborso, ancorché emanato nella forma del silenzio, acquista netta prevalenza sul diritto soggettivo del privato una volta che abbia superato il vaglio della giurisdizione, in ossequio a un’imprescindibile esigenza di certezza di natura pubblicistica, di talché il diritto del contribuente a richiedere la tutela giurisdizionale avverso il rifiuto tacito dell’Amministrazione finanziaria alla restituzione di tributi si consuma qualora l’interessato formuli la rinuncia al ricorso già presentato avverso tale rifiuto, e ciò a prescindere dal fatto che la relativa azione di rimborso possa essere presentata nell’ordinario termine decennale di prescrizione, dovendosi interpretare l’art. 44 del citato D.Lgs. n. 546/1992 come tale da disciplinare la rinuncia pura e semplice all’azione, implicando in essa anche la definitiva abdicazione alla tutela della posizione soggettiva azionata, indipendentemente dalla natura di detta posizione.
[Commissione trib. provinciale di Pesaro, sez. I (Pres. Morganti, rel. Bellitti), 27 novembre 2014, sent. n. 409]
FATTO – Con ricorso depositato in data 13 marzo 2014, l’avvocato … in proprio, ha impugnato il silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso IRPEF presentata all’Agenzia delle Entrate-Ufficio di Pesaro, e relativa al periodo di imposta 2007.
In ricorso il contribuente lamenta l’omessa applicazione sul proprio trattamento pensionistico complementare erogato dall’I.N.P.S., del regime fiscale previsto dall’art. 11, co. 6, del d.lg. n° 252/’05, nonché dagli artt. 50, co. 1 lett. h)–bis del T.U.I.R., e 24, co. 1, quater del D.P.R. n° 600/73.
Il ricorso si sviluppa sulla natura e sulla spettanza del trattamento fiscale di favore. Solo con separata memoria illustrativa, in risposta alle deduzioni depositate dall’Ufficio – in cui, tra l’altro, si eccepisce che il contribuente aveva già, sulla stessa questione, presentato ricorso nell’anno 2009, per poi rinunciarvi – il ricorrente oppone che l’oggetto della presente impugnazione sarebbe non un atto, bensì il comportamento omissivo dell’Ufficio. In buona sostanza, il contribuente afferma di richiedere a questo Giudice una sentenza dichiarativa dell’obbligo restitutorio.
Conclude, invero, chiedendo che la Commissione dichiari l’obbligo di rimborso delle maggiori imposte pagate in eccedenza. Con interessi e rivalutazione monetaria, oltre che con vittoria di spese.
L’Ufficio si è ritualmente costituito in data 30 aprile 2014, con deposito di controricorso in cui contesta puntualmente le ragioni di parte privata. Conclude chiedendo, in via preliminare, la declaratoria di inammissibilità del ricorso per assenza dell’atto/comportamento oggetto della doglianza stessa. In subordine e nel merito, chiede il rigetto del ricorso, con vittoria di spese, per violazione degli articoli 37 e 38 DPR n° 602/73, che disciplinano le forme di rimborso relative a ritenute e versamenti diretti. Poiché l’istanza di rimborso reca la data del 28 ottobre 2013, essa, riferendosi all’anno 2007, sarebbe tardiva in quanto presentata ben oltre i 48 mesi previsti dalla legge.
All’odierna pubblica udienza di trattazione entrambe le parti si riportano alle rispettive conclusioni.
MOTIVI DELLA DECISIONE –Ai fini della presente decisione è determinante accertare quale sia l’oggetto del processo.
Come già anticipato in fatto, in ricorso il contribuente deduce esclusivamente le ragioni alla base dell’invocato diritto di beneficiare di un trattamento fiscale di favore, che egli assume come a lui spettante in sede di erogazione di pensione complementare.
Dagli atti di causa, nonché dal controricorso dell’Ufficio, emerge che lo stesso avv. … qui ricorrente, ha già in passato presentato ricorso a questa Commissione tributaria, in data 8 gennaio 2009, avente lo stesso petitum ed identica causa petendi rispetto al ricorso qui in decisione. Allora – come oggi – si trattava dell’impugnazione del provvedimento di silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso rivolta all’Agenzia delle Entrate-Ufficio di Pesaro. Il processo ivi celebrato è stato dichiarato “estinto per rinunzia al ricorso, ai sensi dell’art. 44 del Decr. Leg.vo n. 546/92.” con sentenza n° 187/1/’09.
Si tratta, pertanto, di stabilire in via preliminare – giusta eccezione dell’Ufficio – l’ammissibilità del presente ricorso, massimamente alla luce della rinuncia all’identico ricorso, presentata a questa Commissione in data 16 febbraio 2009.
Il processo tributario si instaura, come è noto, sia per la tutela di diritti soggettivi, sia a garanzia del legittimo operato dell’Amministrazione (interessi legittimi). Di certo v’è che i termini per l’impugnazione di atti e provvedimenti (a prescindere dalla posizione soggettiva sottostante) hanno natura decadenziale, con l’eccezione, però, dell’impugnazione del rifiuto tacito della restituzione di tributi, di cui all’art. 19, co. 1, lett. g), del d.lg. n° 546/92, impugnazione che può avvenire nei termini di prescrizione del diritto.
Nel caso che occupa, non sembra esservi dubbio che il ricorso all’A.G.T. avverso il rifiuto tacito di restituzione di tributi (ritenute a titolo di imposta) possa proporsi nei termini di prescrizione ordinaria decennale. Pertanto, sotto questo primo profilo, non possono trovare accoglimento le doglianze dell’Ufficio in merito alla presunta violazione del dedotto art. 37, DPR n° 602/73.
Diverso ragionamento deve formularsi in presenza di rinuncia al precedente ricorso proposto dal medesimo ricorrente, sulla stessa questione, in data 8 gennaio 2009, e dichiarato “estinto per rinuncia al ricorso, ai sensi dell’art. 44 del Decr. Leg.vo n. 546/92” (dispositivo della citata pronuncia).
Poiché la posizione soggettiva allora – ed oggi – azionata consiste in un diritto, e non in un mero interesse legittimo, correttamente l’Ordinamento giuridico ne dispone la tutelabilità nei termini di prescrizione. Ma – ed è qui l’elemento distintivo – ciò che il rito tributario non sembra consentire è che, in presenza di un atto (sia pur tacito) di natura provvedimentale (il silenzio-rifiuto non è qualificabile come mero silenzio inadempimento), ed una volta che sia intervenuta la rinuncia del contribuente alla tutela del diritto azionato, sia possibile reiterare indefinitamente l’azione innanzi allo stesso Giudice. Si parla di reiterazione indefinita in quanto, stando alla tesi che vuole l’applicabilità, al rito tributario, della distinzione squisitamente processual-civilistica tra “rinuncia all’azione” e “rinuncia agli atti del giudizio” (cfr. art. 306 c.p.c.) nei casi come quello in trattazione (soggetti a termini prescrizionali), ne potrebbe derivare il rischio che il ricorrente, per le più varie ragioni (timore di soccombenza innanzi ad un dato Collegio, ricorso a diverso avvocato, successione nel processo, etc.), rinunci con la riserva di riproporre l’azione in tempi successivi, ritenendo (a torto o a ragione) di aver maggiori probabilità di successo. A ciò aggiungasi che i termini di prescrizione del diritto, secondo le ordinarie norme civilistiche (cfr. artt. 2943-2945 c.c.) con la proposizione di un ricorso giurisdizionale risulterebbero semplicemente interrotti, per ricominciare a decorrere ab initio al cessare dell’evento interruttivo. Insomma, si verificherebbe il rischio, tutt’altro che remoto, di un apparentemente legittimo, ma illogico, “processo infinito”.
Ciò premesso, si ricorda che nella fattispecie, senza dubbio alcuno, il precedente giudizio si sia estinto per l’applicazione dell’art. 44, d.lg. 546/92. La norma, evidentemente, è ricalcata sul modello del processo di impugnazione di atti, perciò sottoposto a termine di decadenza. È evidente che, nei detti casi “ordinari” (sicuramente paradigmatici del giudizio tributario) il rischio di cui si è dianzi detto non sarebbe configurabile, in relazione al fatto che l’estinzione del processo, implicando anche rinuncia alla domanda formulata nel ricorso, renderebbe inoppugnabile, e perciò assolutamente intangibile, il provvedimento gravato. Tanto più in presenza di una sentenza passata in autorità di cosa giudicata formale.
Orbene, poiché le norme processuali tributarie, per effetto del rimando di cui all’art. 1, co. 2, d.lg. n° 546/92, sono senza dubbio prevalenti sulle disposizioni del codice di procedura civile, che trovano applicazione solo in quanto “compatibili”, ritiene questo Giudice che il combinato disposto degli artt. 306 e 310 c.p.c. non sia applicabile alla presente fattispecie, in quanto norme non compatibili con la natura pubblicistica del processo tributario. Processo che vede costantemente come parte in causa una p.A. o, al più, un concessionario di pubblico servizio. E con l’aggiunta che la rinuncia al ricorso e l’accettazione della controparte sono, nel processo civile, negozi giuridici pienamente dispositivi, laddove nel processo tributario è evidente, per contro, che l’accettazione dell’Amministrazione è comunque vincolata dal legittimo esercizio del potere discrezionale e, finalmente, dal perseguimento dell’interesse pubblico.
Da tanto si ricava che, pur in presenza di un termine prescrizionale, deve ritenersi che l’interesse pubblico manifestato attraverso il provvedimento amministrativo autoritativo di rigetto di una istanza di rimborso, ancorché emanato nella forma del silenzio (comunque prevista dalla Legge), una volta superato il vaglio della Giurisdizione, acquisti netta prevalenza sul diritto soggettivo del privato, alla luce del regime di diritto pubblico in cui esso provvedimento opera.
Si tratta, come è noto, di una imprescindibile esigenza di certezza che, avendo natura pubblicistica, non può restare sospesa per il lungo tempo necessario a maturare la prescrizione del diritto soggettivo eventualmente sottostante.
In altri termini, nel caso di specie il diritto del contribuente a richiedere la tutela giurisdizionale avverso un atto dell’Amministrazione si è consumato per effetto della rinuncia a suo tempo depositata. E ciò a prescindere dal fatto che la relativa domanda potesse essere presentata, per speciale disposizione di Legge, nel termine di prescrizione.
Tutto ciò premesso, è convincimento del Collegio che l’art. 44 del d.lg. n° 546/92, in assenza di specifiche disposizioni, disciplini la rinuncia pura e semplice all’azione, implicando in essa anche la definitiva abdicazione alla tutela della posizione soggettiva azionata, indipendentemente dalla natura della detta posizione soggettiva.
In conclusione, fermo il dispositivo della sentenza n° 187/1/09, ed anzi, proprio in relazione ad esso dispositivo – che richiama espressamente la rinuncia al ricorso, ai sensi dell’art. 44 del d.lg. n° 546/92 – per effetto della dedotta rinuncia il ricorso qui in decisione deve essere dichiarato inammissibile in quanto soggettivamente ed oggettivamente vertente su identica questione. Questione che – lo si ripete – è sfociata nel consolidamento del provvedimento amministrativo di rifiuto di rimborso, che per effetto della rinuncia al ricorso, ha fin dal 2009 acquisito i caratteri della definitività e della inoppugnabilità.
Quanto fin qui esposto solleva il Collegio dal pronunciarsi sui dedotti motivi di merito, che restano assorbiti.
La complessità della lite giustifica la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M. – Dichiara inammissibile il ricorso. Spese compensate.
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