16 Ottobre, 2019

Sempre deducibili le spese di sponsorizzazione
in favore delle associazioni sportive dilettantistiche

Si consolida l’orientamento della Suprema Corte favorevole alla deducibilità delle spese di pubblicità sostenute nei riguardi di associazioni sportive dilettantistiche iscritte al CONI.
Al riguardo, va ricordato come, ai sensi dell’art. 90, ottavo comma, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, «il corrispettivo in denaro … in favore di associazioni sportive dilettantistiche … costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000,00 euro, spesa di pubblicità, … ai sensi dell’art. 74, comma 2, del testo unico». Inoltre ai sensi dell’art. 7 del D.L. 28 maggio 2004, n. 136 (convertito, con modificazioni, dalla legge 27 luglio 2004, n. 186), i benefici di cui alla citata norma dell’art. 90, ottavo comma, «si applicano alle società ed associazioni sportive dilettantistiche che sono in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal CONI».
Secondo quanto osservato dalla stessa Agenzia delle entrate nella circolare 22 aprile 2003, n. 21/E (1), «la disposizione in esame introduce, in sostanza, ai fini delle imposte sui redditi, una presunzione assoluta circa la natura di tali spese, che vengono considerate – nel limite del predetto importo – comunque di pubblicità e, pertanto, integralmente deducibili per il soggetto erogante». La stessa circolare aggiunge altresì che «la fruizione dell’agevolazione in esame è subordinata alla sussistenza delle seguenti condizioni: 1) i corrispettivi erogati devono essere necessariamente destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante; 2) deve essere riscontrata, a fronte dell’erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima».
Nel caso deciso dalla Suprema Corte l’Ufficio finanziario aveva in particolare obiettato la sostanziale antieconomicità del costo sostenuto dal contribuente, poiché si sarebbe in presenza di un esborso elevato, in rapporto agli altri oneri contabilizzati dall’impresa contribuente, relativi al personale dipendente e agli altri costi di gestione. Tanto, ancor più a cospetto di un’attività d’impresa rivolta in massima parte a clientela estera e in difetto di prova di acquisizione di nuovi clienti locali, per effetto della sponsorizzazione eseguita per di più a favore di associazioni sportive di «scarsa rilevanza e conoscibilità … appartenenti allo stesso ambito territoriale dove la società contribuente aveva sede».
Senonché, a prescindere dalla sussistenza della disposizione speciale sopra riportata, il ragionamento dell’Ufficio appare nient’affatto condivisibile, già solo alla luce dei canoni di ragionevolezza cui risponde l’ordinario agire dell’imprenditore. Invero pretendere di valutare l’inerenza e la congruità della spesa sulla scorta dei risultati conseguiti ex post, in termini di incremento del fatturato e/o della clientela, significa con ogni evidenza assumere che l’esercizio di un’impresa commerciale si risolva in un’attività quasi “profetica” dagli esiti prevedibili con grande attendibilità. È al contrario esperienza comune che quando l’imprenditore sostiene spese di pubblicità ha la speranza, giammai la certezza, di avere un ritorno sui ricavi. Ne deriva che non può certo farsi discendere il trattamento fiscale delle spese sostenute (accadimento storico) dai risultati che auspicabilmente si avranno nel prosieguo (accadimento futuro non prevedibile).
Ma anche ragionando in un’ottica strettamente tributaria l’argomentazione dell’Ufficio non regge: invero il profilo dell’inerenza attiene alla rispondenza dei costi sostenuti rispetto al programma d’impresa del contribuente. Prova ne è la circostanza che nella stessa prassi amministrativa si riconosce espressamente che l’inerenza è collegata all’attività esercitata e non necessariamente ai ricavi conseguiti (2).
Si tratta dunque di una valutazione per sua natura di carattere prospettico che non è e non può essere in alcun modo condizionata al raggiungimento di determinati risultati. Tanto, in disparte dall’annosa questione in ordine all’individuazione della fonte giuridica dell’istituto, se essa debba rinvenirsi nell’art. 109, quinto comma, del TUIR, ovvero, come appare preferibile, se si sia in presenza di un concetto per così dire pregiuridico, in quanto riconducibile alle scienze aziendali (3).
Tornando alla questione specifica delle spese sostenute in favore delle associazioni dilettantistiche, la soluzione sposata dalla Suprema Corte sembra indubbiamente quella più corretta, non solo sotto il profilo della conformità alla littera legis ma anche perché maggiormente rispettosa della ratio agevolativa della previsione di specie.
Sotto il primo aspetto risulta significativa la qualificazione ope legis dei costi in esame come spesa di pubblicità, se contenuti nel tetto quantitativo di 200.000 euro. In tale qualificazione è infatti insita un’attribuzione di inerenza di carattere pregiudiziale, secondo un giudizio di meritevolezza svolto a monte dal legislatore.
Invero proprio il fatto che la previsione di favore abbia individuato un limite in valore assoluto, in luogo di altri indici parametrati a variabili d’impresa, quali ad esempio i ricavi, dimostra che la scelta legislativa implica a monte anche una valutazione convenzionale forfetaria di congruità della spesa che non lascia spazio a sindacati sulla antieconomicità del comportamento dell’imprenditore. In ciò è evidente l’esigenza di tutelare altresì le ragioni di semplificazione degli operatori (imprese, fisco e giudici), i quali possono pertanto fare affidamento sulla sicura deducibilità dell’onere in questione, in presenza dei requisiti di legge. Su tutto ciò aleggia da ultimo la ratio evidente della disposizione divisata, riconducibile a una premialità per il mondo delle associazioni sportive dilettantistiche, ratio che ovviamente risulta meglio garantita nella sua attuazione concreta laddove si interpreti la norma de qua come un viatico sicuro verso il riconoscimento fiscale delle spese in questione. Al contrario, qualora si dovesse comunque discutere, caso per caso, della effettiva congruità delle singole sponsorizzazioni, pur nel rispetto di tutte le condizioni di legge, lo scopo della norma risulterebbe sostanzialmente vanificato.
Rispetto ai precedenti in termini, pure richiamati in pronuncia, l’ordinanza qui annotata si rivela peraltro ancora più esplicita. Peraltro la Suprema Corte è già intervenuta su tale specifico problema, precisando in primo luogo la distinzione tra spese di pubblicità e spese di rappresentanza, per derivarne che, nel caso delle associazioni sportive dilettantistiche, il suddetto problema di inquadramento è per l’appunto risolto a monte dal legislatore. Prosegue, sul punto, la Corte di Cassazione che «è proprio il comma 8 dell’art. 90 a qualificare ex lege tali spese come pubblicitarie, se (a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica, (b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa, (c) la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor, (d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale (es. apposizione del marchio sulle divise, esibizione di striscioni e/o tabelloni sul campo da gioco, etc.)» (4). Nella medesima pronuncia si legge, inoltre, che a fronte dell’obiezione dell’Ufficio finanziario in ordine alla presunta antieconomicità della spesa risultava fondata la replica del contribuente che evidenziava la trascurabile entità della stessa in rapporto all’ammontare dei ricavi.
In una successiva pronuncia, inoltre, il caso portato all’esame della Suprema Corte riguardava un’associazione sportiva che non aveva portato l’iscrizione presso i registri del CONI. Concludeva pertanto il giudice di legittimità che solo con la prova della ridetta iscrizione avrebbe potuto trovare ingresso la «presunzione legale assoluta, di ritenere applicabile ai contributi erogati, entro il limite sopra indicato, in favore di società o associazioni sportive dilettantistiche, la qualificazione di spese di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario» (5).
In entrambe le pronunce la vicenda processuale era incentrata sulla incidenza della fattispecie legislativa in esame sull’esatta qualificazione delle spese di cui si discute, non altro.
Nella pronuncia odierna, invece, si assiste a un indubbio salto di qualità, poiché si controverte non solo e non tanto di come debbano essere considerati i costi per le sponsorizzazioni sportive ma soprattutto del problema della deducibilità degli stessi, in termini di asserita eccessività dell’erogazione eseguita. Per la prima volta la Corte di Cassazione rigetta tale eccezione, ritenendola per l’appunto assorbita dalla qualificazione presuntiva di spesa pubblicitaria degli oneri di specie. Rileva dunque in maniera tranciante il Massimo Consesso che poiché si è al cospetto di costi di pubblicità gli stessi sono conseguentemente “inerenti e congrui”, sempre entro il ridetto tetto di 200.000 euro. Il criterio dell’antieconomicità pertanto non può trovare ingresso in subiecta materia nei limiti indicati dal legislatore.
La questione dovrebbe ritenersi dunque definitivamente risolta, sotto tutti gli aspetti, se solo la Suprema Corte non ci avesse già sorpreso con repentini e inaspettati cambi di rotta.

Dott. Luigi Lovecchio

(1) In Boll. Trib., 2003, 691.
(2) Per tutte cfr. ris. 28 ottobre 1998, n. 158/E, in Boll. Trib., 1998, 1719; in dottrina ved. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2016, 131-132; LEO, Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Milano, 2016, 1931; e in giurisprudenza cfr. Cass., sez. trib., 27 febbraio 2015, n. 4041; e Cass., sez. trib., 19 marzo 2008, n. 7340; entrambe in Boll. Trib. On-line.
(3) Nel primo senso si veda BASILAVECCHIA, Corso di diritto tributario, Torino, 2017, 207; favorevole invece alla seconda impostazione ZIZZO, L’imposta sul reddito delle società, in FALSITTA (a cura di), Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Padova, 2012, 428 ss.
(4) Cfr. Cass., sez. trib., 23 marzo 2016, n. 5720, in Boll. Trib. On-line.
(5) Cfr. Cass., sez. VI, 21 marzo 2017, ord. n. 7202, in Boll. Trib. On-line.

IRES – Redditi di impresa – Spese di sponsorizzazione a favore di associazioni sportive dilettantistiche riconosciute dal CONI – Art. 90 della legge n. 289/2002 – Presunzione legale assoluta di qualificazione come spese di pubblicità – Sussiste – Condizioni.

Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Questione di applicabilità di una norma di legge proposta per la prima volta in grado di appello – Ammissibilità – Limiti e condizioni.

Procedimento – Ricorsi – Appello – Questione di applicabilità di una norma di legge proposta per la prima volta in grado di appello – Ammissibilità – Limiti e condizioni.

Con riferimento alla deducibilità delle spese di sponsorizzazione sostenute in favore di associazioni sportive dilettantistiche riconosciute dal CONI, l’art. 90, ottavo comma, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, pone una presunzione legale assoluta di loro qualificazione, nei limiti di euro 200.000, quali spese di pubblicità volte alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante il corrispettivo in denaro, e quindi inerenti e congrue all’esercizio dell’attività commerciale.

La questione dell’applicabilità di una norma di legge è ammissibile anche se proposta solo in appello, allorquando si tratti di questione di mero diritto sulla base di presupposti di fatto pacifici in atti.

[Corte di Cassazione, sez. VI (Pres. Schirò, rel. Solaini), 14 settembre 2017, ord. n. 21333, ric. Agenzia delle entrate]

Con ricorso in Cassazione affidato a due motivi, nei cui confronti la contribuente ha resistito con controricorso, illustrato da memoria, l’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza della CTR delle Marche, relativa ad un avviso d’accertamento in tema d’Irpef per il 2007, per una ripresa a tassazione dovuto al mancato riconoscimento e alla ritenuta indeducibilità per difetto d’inerenza, delle spese di sponsorizzazione sostenute da C.R. a favore di due associazioni dilettantistiche. L’ufficio ha, pertanto, denunciato la violazione dell’art. 109 del DPR n. 917/86, dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c. (primo motivo), dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/92, dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 57 del d.lgs. n. 546/92, dell’art. 90 della legge n. 289/2002, in relazione all’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c. (secondo motivo), in quanto, erroneamente, i giudici d’appello hanno ritenuto inerenti i costi di sponsorizzazione delle due società dilettantistiche all’esercizio dell’attività d’impresa della società contribuente, nonostante l’elevato importo, avuto riguardo agli altri costi sostenuti dall’impresa per il personale o per gli oneri diversi di gestione (p. 23 ricorso), alla scarsa rilevanza e conoscibilità delle associazioni sportive sponsorizzate, appartenenti allo stesso ambito territoriale dove la società contribuente aveva sede, tenendo conto che i costi dovevano essere strumentali alla promozione dell’immagine di un’impresa – avente ad oggetto l’attività di commercio di accessori e macchinari per calzature – con clientela quasi esclusivamente estera e senza aver concretamente dimostrato di aver acquisito nuovi clienti locali.
Il Collegio ha deliberato di adottare la presente decisione in forma semplificata.
Il ricorso non merita accoglimento.
In riferimento al secondo motivo, da esaminare per primo in quanto logicamente prioritario, lo stesso è infondato, in quanto, sebbene con argomentazioni in diritto non ineccepibili (condivisione dell’eccezione d’inammissibilità della questione e poi esame nel merito della stessa questione e condivisione in ordine alla utilizzabilità nella specie del disposto dell’art. 90, comma 8, citato), la CTR ha fornito una sua sufficiente motivazione, non inferiore al minimo costituzionale, in merito al riconoscimento delle spese di sponsorizzazione, con una soluzione discutibile ma, comunque, comprensibile.
Anche il primo motivo di ricorso è infondato.
Innanzitutto, la questione dell’applicabilità dell’art. 90 della legge n. 289/2002 è ammissibile, anche se proposta solo in appello, trattandosi di questione di mero diritto sulla base di presupposti di fatto (essere le società sponsorizzate associazioni sportive dilettantistiche e essere l’importo delle sponsorizzazioni non superiore a 200.000 euro) pacifici in atti. Nel merito, l’art. 90 comma 8 della legge n. 289 del 2002 introduce una presunzione legale assoluta di qualificazione, nei limiti di 200.000,00 euro, come spese di pubblicità volte alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante il corrispettivo in denaro (Cass. ord. n. 7202/17 , 5720/16 ), quindi, inerenti e congrue all’esercizio dell’attività commerciale.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Poiché l’ufficio ricorrente è un’amministrazione dello Stato, non è soggetto al doppio del contributo unificato (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016 , Rv. 638714; Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014 , Rv. 630550).

P.Q.M. – La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia delle Entrate a pagare alla società contribuente le spese di lite del presente giudizio, che liquida nell’importo di € 3.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.

(1) Cass. 21 marzo 2017, n. 7202, in Boll. Trib. On-line.
(2) Cass. 23 marzo 2016, n. 5720, in Boll. Trib. On-line.
(3) In Mass. Foro it., 2016, 75.
(4) In Mass. Foro it., 2014, 196.

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