19 Maggio, 2017

L’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, relativamente all’accertamento delle imposte sui redditi, e l’art. 51 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per l’accertamento in materia di IVA, prevedono la possibilità, previa acquisizione di apposita autorizzazione, di procedere ad indagini finanziarie nei confronti dei contribuenti. Delicata è la questione circa la individuazione dei soggetti destinatari dei controlli sopra specificati. In via preliminare sono da considerarsi tali tutti coloro che intrattengono qualsiasi rapporto o compiano qualsivoglia operazione con gli operatori finanziari.
Con la riforma tributaria del 1971-1973 e con il potenziamento dei controlli connessi all’introduzione dell’obbligo della contabilità era risultata una forte inadeguatezza strutturale degli Uffici finanziari. Si era, dunque, proceduto ad una programmazione dei controlli, nelle varie epoche storiche, a seconda della c.d. “pericolosità fiscale” dei contribuenti ( ) passando dai controlli globali per sorteggio (1974) (2), alle liste selettive (1980) e, oggi, alla scelta dei soggetti da controllare attraverso le “anomalie” riscontrate nei rapporti finanziari.
In effetti l’Agenzia delle entrate periodicamente rende noti gli indirizzi operativi per il rafforzamento dell’azione di contrasto all’evasione fiscale e la selezione dei contribuenti da controllare. Anche la scelta della modalità istruttoria da espletare costituisce il presupposto della proficuità e incisività dell’accertamento. Si noti, comunque, che alla discrezionalità connessa alla scelta dei contribuenti da controllare, si doveva anche abbinare quella, facente capo sempre all’Amministrazione finanziaria, legata alle scelte di opportunità sugli strumenti istruttori di volta in volta più idonei a seconda della natura e della tipologia degli indizi di cui l’Ufficio aveva conoscenza, sempre nell’ottica del principio di proporzionalità fra strumento istruttorio utilizzato e presumibile entità dell’evasione.
Ci sembra, quindi, che meriti uno specifico approfondimento il coinvolgimento non solo del contribuente, ma anche dei terzi potenzialmente coinvolti nelle indagini bancarie alla luce della più recente giurisprudenza.
Orbene, con una significativa – sebbene non recente – sentenza (3), la Corte di Cassazione aveva ritenuto che, attraverso i dati estrapolati da una indagine bancaria, fosse possibile dimostrare anche la soggettività ai fini IVA. Tale questione era evidentemente connessa alla valutazione relativa all’utilizzo della presunzione contenuta nell’art. 51, secondo comma, n. 2), del D.P.R. n. 633/1972, prima dell’acclaramento della qualifica di soggetto passivo IVA. La Suprema Corte aveva escluso che sull’Ufficio finanziario dovesse ricadere un tale onere, stabilendo che «il legislatore non aveva alcuna necessità di specificare che i dati risultanti dai conti bancari non potessero essere utilizzati ai fini IVA, se non nei confronti di soggetti IVA».
L’attività occulta di imprenditore, di artista, e di professionista poteva, quindi, ben essere ricavata dai rapporti finanziari intrattenuti con i terzi, prescindendo dalla preventiva conoscenza da parte dell’Ufficio finanziario se il contribuente fosse o meno provvisto di partita IVA.
Ai fini delle imposte dirette, invece, essendo molto più ampia la cerchia dei soggetti passivi, l’Ufficio fiscale «potrebbe orientare le indagini nei confronti di un soggetto “qualunque” e solo successivamente – sulla base dei dati acquisiti – rendersi conto che si tratta di un contribuente IVA».
Analogamente, in altra occasione, la Suprema Corte (4) aveva già avuto modo di precisare che «il “cuore” della norma in esame [e cioè dell’art. 51, secondo comma, n. 2), del D.P.R. n. 633/1972, n.d.r.], invece, stabilisce in maniera chiara ed incondizionata che i dati e gli elementi risultanti dai conti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, sia ai fini del quantum che ai fini dell’an. L’attività di imprenditore, di artista e di professionista, può essere ricavata anche dai rapporti finanziari intrattenuti con terzi (come particolari tipi di clienti e fornitori). La ricostruzione della qualifica del contribuente non costituisce necessariamente un prius, rispetto alla quantificazione della materia imponibile».
Sempre in materia di IVA, interessante è la questione relativa alla estensione delle indagini nei confronti dei terzi così come delineata dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione con la sentenza n. 8826/2001 (5).
In essa la Suprema Corte ha affrontato la questione dell’applicabilità dell’art. 51 del D.P.R. n. 633/1972 ai conti bancari intestati esclusivamente a persone diverse dal titolare, solo perché legate da vincoli familiari o commerciali. La Suprema Corte ha chiarito che «l’articolo 51, secondo comma, n. 2) e n. 7), del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 accorda all’Ufficio il potere di richiedere agli istituti di credito notizie dei movimenti sui conti bancari intrattenuti dal contribuente e di presumere la loro inerenza ad operazioni imponibili, ove non si deduca e dimostri che i movimenti medesimi siano stati conteggiati nella dichiarazione annuale o siano ricollegabili ad atti non soggetti a tassazione».
La ratio della norma di cui all’art. 51, proseguiva la Corte di Cassazione, non ne autorizzava l’applicazione ai conti bancari intestati a persone legate da vincoli di parentela, a meno che l’Ufficio finanziario non fosse in grado di dimostrare che l’intestazione a terzi sia fittizia, e che esprima cioè un’apparenza voluta per far risultare in capo ad altri operazioni in realtà compiute dal contribuente.
Già a tale proposito la Suprema Corte (6) aveva precisato che l’Ufficio non poteva avviare arbitrariamente un controllo bancario, se non avesse acquisito gli elementi che gli avrebbero consentito di superare la situazione apparente. In definitiva, la Corte aveva assunto un atteggiamento garantista, consentendo la proiezione dei dati bancari intestati su conti di terzi in quello del contribuente indagato solo in presenza di gravi indizi, che facessero quantomeno supporre l’esistenza di una interposizione fittizia. Ed è proprio su tale aspetto che intendiamo soffermarci in quanto oggetto di interesse nella giurisprudenza più recente.
In buona sostanza il principio di carattere generale che si poteva estrapolare era quello secondo il quale l’interposizione fittizia di persona avrebbe dovuto costituire il presupposto dell’indagine bancaria e non il suo scopo, nel senso che non era automatica l’attribuzione in capo al contribuente di operazioni annotate su conti di terzi, se non vi erano fondati indizi di riferibilità.
Ci sembra possibile affermare che i casi più frequenti, in materia di estensione della soggettività a persone diverse dal contribuente, superando il dato formale e cioè prescindendo dalla intestazione a terzi (7), riguardino l’esame dei conti personali dei soci o degli amministratori di società, nella ipotesi di indagini fiscali rivolte a società; nonché quello dei conti dei familiari del contribuente indagato.
Quanto all’aspetto relativo alla estensione della riferibilità delle indagini ai soci e amministratori, ci sembra opportuno distinguere l’ipotesi di indagini effettuate nei confronti di società di persone, ovvero di capitali. Nella ipotesi di indagine avente per oggetto una società di persone, si è pronunciata inequivocabilmente la Corte di Cassazione (8) stabilendo che «per lo stretto rapporto intercorrente tra socio-amministratore e società di persone da lui amministrata non può ritenersi preclusa agli Uffici IVA, nell’adempimento dei loro compiti, di accertare, sulla base dei conti del socio, l’esistenza di operazioni imponibili non dichiarate, concernenti la società, salvo prova contraria».
Essendo la società di persone inscindibile dai singoli soci, un’indagine che si occupi della società indagata non può non concretizzarsi in una estensione della stessa nei confronti dei soci-amministratori. E, infatti, in un’altra occasione (9) la Suprema Corte pronunciandosi con riferimento alla utilizzabilità dei dati dei soci risultanti nei confronti della società, stabilisce che «pur essendo concettualmente distinta dai singoli soci, sostanzialmente si identifica con costoro …» e che un’eventuale indagine che volesse esprimersi nei confronti di una società di fatto non potrebbe non riguardare i singoli soci.
Nella ipotesi della società di capitali, essendo individuabili e nettamente distinte le figure dei soci da quella della società, e non realizzandosi una commistione di una figura nell’altra, sarebbe illegittimo l’accertamento nei confronti della società di capitali, basato sulla movimentazione dei conti correnti intestati ai singoli soci.
Si ritiene indispensabile, pertanto, l’emanazione di una ulteriore autorizzazione che legittimi l’acquisizione di informazioni bancarie relativamente ad un soggetto con una differente natura giuridica.
In tale senso la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1743 del 2007 (10), ha stabilito che, ai fini dell’accertamento della base imponibile di una società a responsabilità limitata con una compagine sociale concentrata in un ristretto nucleo familiare, rilevano le operazioni bancarie relative ai conti correnti intestati ai soci e ai congiunti in genere, salva la facoltà di questi ultimi di fornire la prova contraria circa la riferibilità delle operazioni in questione.
Non possiamo non mettere in evidenza, a tal proposito, un’incostanza dell’evoluzione della giurisprudenza che, con la sentenza n. 13819 del 2003 (11), si era espressa in senso contrario all’estensione e alla riferibilità a soggetti legati a vincoli familiari o commerciali con il contribuente, salvo che l’Ufficio finanziario poi in sede giudiziale dimostri la fittizietà dell’operazione.
Nella ipotesi relativa all’esame dei conti dei familiari del contribuente indagato, si ritiene comunemente ammessa la riferibilità. Quanto al coniuge non legalmente ed effettivamente separato la Corte Costituzionale con sentenza n. 179 del 1976 (12), chiamata a pronunciarsi in materia di cumulo dei redditi, ha ribadito l’autonoma capacità contributiva di ciascun soggetto appartenente al medesimo nucleo familiare e, pertanto, l’incostituzionalità del cumulo dei redditi.
Ci sembra, quindi, possibile affermare che se sussistono i presupposti di cui all’art. 37 del D.P.R. n. 600/1973, è indubbia la facoltà da parte dell’Amministrazione finanziaria di accedere ai conti del coniuge e dei figli, ma, qualora questi presupposti non sussistessero, in via prudenziale e garantistica sarebbe opportuna l’emanazione di un’autorizzazione ad hoc, previo contraddittorio.
In termini più generali quanto più il vincolo di parentela diventa lontano, tanto più necessaria è una legittimazione cartolare e giuridica alla estensione del controllo a soggetti diversi dal contribuente.
Qualora il conto sia formalmente intestato a terzi, ma sostanzialmente il contribuente possa disporne tramite apposita delega, si ritiene che esso debba essere oggetto di segnalazione da parte della banca poiché (anticipando un concetto che avremo modo di approfondire in seguito) rientra nella nozione di “conto intrattenuto”.
E, invero, nella circolare n. 116/E/1996 ( 3) viene precisato che «la locuzione conto intrattenuto, usata dal legislatore, lascia intendere che oggetto delle richieste dell’Amministrazione finanziaria sono non soltanto i conti intestati al contribuente, bensì anche quelli che si trovano nella sua disponibilità in seguito ad apposito mandato ricevuto dal titolare del conto».
La questione relativa alla estensione delle indagini finanziarie nei confronti dei soggetti terzi si è ulteriormente arricchita di significativi interventi giurisprudenziali. Tenteremo a questo punto, pertanto, di circoscrivere la nostra indagine alle più recenti sentenze che ci sono sembrate particolarmente interessanti e rafforzative della interpretazione fornita circa la problematica inerente l’esame dei conti dei familiari del contribuente indagato.
Punto di partenza della nostra analisi è la sentenza n. 8683 del 2002 (14) della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione la quale disponeva la possibilità di controllare non solo i conti cointestati ad entrambi i coniugi, ma anche i conti intestati unicamente al coniuge del contribuente, che in tale fattispecie assumeva la veste di cointestatario e co-dichiarante, il quale si trovava a subire un accertamento bancario, frutto del convincimento in capo all’Amministrazione finanziaria che rappresentava un espediente normale l’intestazione di un conto corrente a nome del coniuge del contribuente indagato.
La legittimazione di tale estensione soggettiva, considerato che l’intestazione a nome del coniuge rappresentava, a detta della Corte, come già precisato, una normale prassi, era da ricondursi al duplice requisito «della connessione e dell’inerenza del conto intestato al coniuge al conto intestato al contribuente».
Pacifica, dunque, ci sembra l’estensione dell’indagine nei confronti dei conti cointestati ai coniugi co-dichiaranti e altrettanto pacifica è, a parere della Corte di Cassazione, l’indagine esperita nei confronti del conto intestato solo al coniuge in ragione della connessione e dell’inerenza fra i due conti (intestato al contribuente indagato e al coniuge).
In effetti il concetto di inerenza è utilizzato in tale ipotesi in maniera atecnica poiché, ovviamente, non è riferibile – com’è intuitivo – al principio di determinazione del reddito d’impresa (15), bensì al rapporto che sussiste tra «un soggetto ed i suoi attributi e predicati» (16).
E se, come già accennato, il contribuente poteva trincerarsi dietro l’ipotesi di cui all’art. 37 del D.P.R. n. 600/1973, e cioè si poteva consentire il libero accesso ai conti del coniuge solo qualora l’Amministrazione finanziaria fosse in grado di dimostrare che si versava in una ipotesi di interposizione fittizia, anche tale circostanza è stata respinta dalla Suprema Corte secondo la quale si può dimostrare l’interposizione quando si verifica che sui conti del terzo si riscontrino operazioni riconducibili alla persona sottoposta a verifica.
Tale fittizietà si desumerebbe (17) «da una serie di elementi come la cointeressenza, rapporti di parentela, rappresentanza, mandato ecc. che giustificano la loro imputabilità ad operazioni imponibili relative al contribuente»; quanto alle società di capitali a ristretta base azionaria e familiare, nonché alle società di persone «l’esistenza di vincoli di parentela tra i soci e gli amministratori è stata considerata in grado di giustificare l’estensione delle indagini bancarie riferibili alla società purché venga provato dall’Ufficio con elementi concreti che quei determinati movimenti risultanti da conti correnti di singoli soci siano collegabili ad operazioni commerciali poste in essere dalla società».
Tale orientamento è stato ribadito anche nella giurisprudenza più recente che fa riferimento non solo al duplice requisito della connessione e inerenza, ma anche alla presunzione di diretta riferibilità di rapporti intestati a terzi. La sentenza della Corte di Cassazione n. 17387 del 2010 (18) stabilisce che, in assenza di prova contraria, sono legittimamente riferibili alla gestione sociale, le movimentazioni bancarie acquisite sui conti dei familiari, dei soci e degli stretti congiunti dell’amministratore. E, segnatamente, la Corte afferma che «la presunzione di riferibilità dei conti dei familiari della legale rappresentante alla gestione sociale occulta non è stata ritenuta sulla base del solo fatto della ristrettezza dalla base familiare stessa, ma dalle ulteriori circostanze che i titolari dei conti non disponevano di mezzi propri che potessero giustificare spostamenti di così cospicue somme di denaro».
Il recupero d’imposta in capo ad un soggetto diverso da quello cui è intestato il conto è un orientamento già consolidato in capo alla giurisprudenza di legittimità (19) che, più in generale, consente all’Ufficio tributario di avvalersi di dati ed elementi che risultano da rapporti intestati a terzi – salva la prova contraria – presumendo l’esistenza di imponibili non assoggettati a tassazione, ove si possa dimostrare, anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, che il contribuente sottoposto ad accertamento sia l’effettivo possessore per interposta persona.
Più di recente, e comunque nella medesima direzione interpretativa, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20449 del 2011 (20), afferma che si ha motivo di ritenere connessi e inerenti al reddito del contribuente le operazioni riscontrate sui conti correnti bancari formalmente intestati a terzi (congiunti del contribuente e amministratori di società). La riferibilità, dunque, è diretta e opera salvo prova contraria fornita dal contribuente.
Il vincolo familiare rappresenta, dunque, una motivazione necessaria e sufficiente a giustificare la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti intestati a soggetti terzi. In tale senso, ci è sembrata particolarmente interessante la pronuncia della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione n. 19493 del 2010 (21), che afferma la legittimità dell’accertamento sul conto corrente persino della suocera dell’amministratore di una società.
Analogo ragionamento va fatto quanto ai beni dei figli in cui, fin dal 2001, con la sentenza n. 8738 del 2001 (22), la Corte di Cassazione forniva una interpretazione estensiva, tesa, cioè, al recupero a tassazione di beni (natanti o automobili) che facessero supporre il possesso di un adeguato e congruo reddito. La Suprema Corte così motivava la propria scelta interpretativa: «quando il contribuente, richiesto con apposito questionario, ammette la proprietà e l’utilizzazione di determinati beni, indici di capacità reddituale, è legittimo che l’ufficio presuma il possesso di redditi adeguati». E, ancora, la Corte di Cassazione ritiene che sul contribuente debba ricadere la dimostrazione della tassabilità in capo a terzi dei beni, rivestendo egli unicamente la veste di “prestanome” di beni, in effetti di proprietà dei figli.
Ciò, a nostro avviso, da un punto di vista squisitamente tecnico e oggettivo, rispetta le regole dell’accertamento sintetico, che parte dall’individuazione di fatti economici per giungere, poi, alla valutazione del reddito complessivo.
Il principio di carattere generale che ci sembra possibile desumere, in linea con gli orientamenti della Corte di Cassazione, è che tanto più lontano è il vincolo di parentela, tanto più necessaria è una separata e differente legittimazione autorizzatoria per la estensione a terzi dei controlli, utilizzando il previo contraddittorio.
Anche negli ultimi anni la Corte di Cassazione ha sempre continuato a ribadire la legittimità della estensione delle indagini in forza del sostanziale rapporto intercorrente tra contribuente e terzi eventualmente titolari di rapporti finanziari.
Sotto tale profilo la Suprema Corte – con sentenza n. 4775 del 2011 (23) – ha disposto l’estensione del controllo nei confronti del terzo convivente munito di delega ad operare sul conto deducendo che lo stretto legame di natura personale fra il contribuente e l’intestataria del conto è motivo sufficiente a fare dedurre la riferibilità del conto medesimo nel rispetto del principio già affermato dalla Corte con la sentenza n. 2431 del 2004 (24) secondo il quale sulla base delle regole di esperienza «dalla conoscenza di un fatto secondario si deduce l’esistenza del fatto principale ignoto».
Da ultimo, e più di recente, la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 10043 del 2014 (25) ribadisce, quanto alla ripartizione dell’onere probatorio fra Amministrazione finanziaria e contribuente, quanto segue: «una volta dimostrata la pertinenza all’impresa dei rapporti bancari intestati alle persone fisiche ad essa collegate, l’Amministrazione finanziaria non è tenuta a provare che tutte le movimentazioni che risultano da quei rapporti rispecchino operazioni aziendali, ma è onere dell’impresa contribuente di dimostrare l’estraneità di ciascuna di quelle operazioni alla propria attività d’impresa» (26).
Ci sembra pacifica, alla luce di quanto sopra detto, che l’estensione operi nei riguardi del coniuge e dei familiari del contribuente, nonché dell’amministratore delle società a ristretta base familiare (27); dei soci di società di persone, indipendentemente dalla qualifica di amministratori, e dei soci di società di capitali a ristretta base familiare (28); dei terzi legati alla società da particolari rapporti di cointeressenza, rappresentanza organica, mandato, procura generale etc. (29).
In definitiva, appare indispensabile la verifica dell’esistenza di un rapporto diretto tra il soggetto controllato e il terzo con la documentazione bancaria. È solo tale rapporto che determina automaticamente il sorgere dei requisiti della connessione e dell’inerenza e, di conseguenza, della diretta riferibilità. Grava, quindi, sull’Amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare l’esistenza dei due requisiti appena individuati. In assenza di tale dimostrazione è possibile affermare che l’Amministrazione finanziaria agisca in piena violazione delle garanzie del contribuente.
In conclusione, si può affermare la legittimità dell’estensione soggettiva delle indagini bancarie a terzi previa dimostrazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, del rapporto esistente fra i due soggetti. Essa diviene evidentemente superflua nel caso di rapporto di coniugio, e dei motivi che legittimano l’estensione dell’indagine su un conto collegato.
In effetti già la citata circolare n. 32/E/2006 aveva stabilito che è possibile acquisire e utilizzare le movimentazioni bancarie effettuare da terzi a condizione che si dimostri il collegamento reale con il soggetto che ha la paternità dell’attività svolta e, pertanto, si rende necessario dimostrare e comprovare, e non presumere, la corrispondenza tra le movimentazioni presenti sui conti dei soci e quelle della società (30) e, pertanto, nessun automatismo è possibile quanto alla riferibilità delle movimentazioni sui conti correnti dei soci e degli amministratori in assenza della prova del collegamento fra il conto del contribuente e quello dei terzi.

Prof. Maria Vittoria Serranò

(1) A tale proposito cfr. LUPI, I controlli fiscali in Italia: prime considerazioni sui dati ufficiali, in Rass. trib., 1996, 131 ss.
(2) Cfr. MARONGIU, Il sorteggio fiscale e le amnesie del legislatore, in Dir. prat. trib., 1977, I, 3 ss.
(3) Cfr. Cass., sez. trib., 3 febbraio 2001, n. 1569, in Boll. Trib. On-line, e anche in Corr. trib., 2001, 1175, con nota di CASTELLI, Indagini bancarie e prova della soggettività passiva.
(4) Cfr. Cass. n. 1569/2001, cit.
(5) Cfr. Cass., sez. trib., 28 giugno 2001, n. 8826, in Boll. Trib., 2004, 860.
(6) Cfr. Cass., sez. I, 2 marzo 1999, n. 1728, in Boll. Trib., 2000, 706.
(7) Sulla estensione del controllo ai conti correnti intestati a soggetti terzi, ved. circ. 19 ottobre 2006, n. 32/E, in Boll. Trib., 2006, 1617.
(8) Cfr. Cass., sez. trib., 24 febbraio 2001, n. 2738, in Boll. Trib., 2002, 392.
(9) In tal senso cfr. Cass., sez. I, 20 gennaio 1994, n. 516, in Boll. Trib. On-line.
(10) Cfr. Cass., sez. I, 26 gennaio 2007, n. 1743, in Boll. Trib. On-line.
(11) Cfr. Cass., sez. trib., 18 settembre 2003, n. 13819, in Boll. Trib., 2004, 461.
(12) Cfr. Corte Cost. 15 luglio 1976, n. 179, in Boll. Trib., 1976, 1160.
(13) Cfr. circ. 10 maggio 1996, n. 116/E, in Boll. Trib., 1996, 806.
(14) Cfr. Cass., sez. trib., 17 giugno 2002, n. 8683, in Boll. Trib., 2003, 709.
(15) Sul principio di inerenza si veda PROCOPIO, L’inerenza nel sistema delle imposte sui redditi, Milano, 2009.
(16) Così ARISTOTELE, La metafisica, in PROCOPIO, op. ult. cit., 2 ss., il quale individuava l’inerenza semplice e quella necessaria.
(17) Cfr. AMATUCCI, Le indagini bancarie nella determinazione del maggior reddito tassabile, in Riv. dir. trib., 2010, 1019.
(18) Cfr. Cass., sez. trib., 23 luglio 2010, n. 17387, in Boll. Trib., 2011, 803.
(19) Si vedano a tal proposito Cass., sez. trib., 20 gennaio 2010, n. 857, in Boll. Trib. On-line, in tema di estensione dell’indagine fiscale a terzi nel caso di accertamento riguardante una società di capitali «allorché risulti provato dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o comunque la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di singoli operazioni in essi contenute», e Cass., sez. trib., 23 luglio 2010, n. 17390, ivi, che affronta la questione dell’imputazione al titolare di un’attività commerciale, persona fisica, delle risultanze bancarie intestate al coniuge (privo di redditi documentati) in presenza di presunzioni semplici, ma comunque idonee a far ritenere che i conti oggetto di indagine fossero stati utilizzati nell’attività d’impresa del contribuente accertato.
(20) Cfr. Cass., sez. trib., 6 ottobre 2011, n. 20449, in Boll. Trib. On-line.
(21) Cfr. Cass., sez. trib., 13 settembre 2010, ord. n. 19493, in Boll. Trib. On-line.
(22) Cfr. Cass., sez. III, 26 giugno 2001, n. 8738, in Mass. Foro it., 2001.
(23) Cfr. Cass., sez. trib., 28 febbraio 2011, n. 4775, in Boll. Trib. On-line.
(24) Cfr. Cass., sez. III, 9 febbraio 2004, n. 2431, in Boll. Trib. On-line.
(25) Cfr. Cass., sez. VI, 8 maggio 2014, ord. n. 10043, in Boll. Trib. On-line.
(26) In senso conforme ved. Cass., sez. II, 21 novembre 2008, ord. n. 27816, in Boll. Trib. On-line, in cui la Corte di Cassazione stabilisce che «non è possibile in modo pressocchè automatico addebitare al contribuente sottoposto a controllo fiscale gli esiti delle presunzioni scaturenti dalle indagini finanziarie su conti non intestati a tale contribuente ma a terzi. Al contrario, perché ciò avvenga è necessario che l’Amministrazione fornisca elementi probatori in tal senso e volti, quindi, a dimostrare sulla base di quali indizi si ritenga che determinate operazioni transitate su conti di terzi, per le quali non viene fornita alcuna giustificazione, debbano essere invece riferite a ricondotte al contribuente controllato». Da ciò ne consegue la possibilità di procedere ad indagini finanziarie su conti correnti di soggetti terzi rispetto al contribuente assoggettato a verifica previa dimostrazione, secondo la Cassazione, della pertinenza dei rapporti bancari al soggetto verificato.
(27) Si vedano oltre a Cass. n. 8683/2002, cit., anche Cass., sez. trib., 21 marzo 2007, n. 6743, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. trib., 7 settembre 2007, n. 18868, ivi; Cass., sez. trib., 5 ottobre 2007, n. 20858, ivi; Cass., sez. trib., 7 febbraio 2008, n. 2843, in Boll. Trib., 2008, 599; e Cass., sez. trib., 21 gennaio 2009, n. 1452, ivi, 2009, 885, con nota di FICARI, Conti correnti dei soci e ricavi presunti della società di persone a base familiare.
(28) In tale senso ved. Cass. n. 2738/2001, cit.; Cass., sez. trib., 5 dicembre 2005, n. 26410, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. trib., 13 settembre 2006, n. 19609, ivi; Cass., sez. trib., 12 settembre 2003, n. 13391, ivi; e Cass. n. 6743/2007, cit.
(29) Cfr. Cass. n. 1728/1999, cit.; Cass. n. 8826/2001, cit.; Cass., sez. trib., 1° marzo 2002, n. 2980, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. trib., 1° aprile 2003, n. 4987, in Boll. Trib., 2003, 871.
(30) In tale senso si è espressa Comm. trib. reg. della Lombardia, sez. LXVII, 14 dicembre 2015, n. 5512, in Boll. Trib. On-line.

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