17 Aprile, 2019

A distanza di ormai sei anni dalla sua abolizione, l’imposta comunale sugli immobili, con i suoi problemi applicativi, richiama ancora l’attenzione e l’interesse di una vasta platea di operatori del settore immobiliare (dai possessori di immobili ai professionisti, tecnici e giuridici), nonché dei giudici tributari: la ragione principale di questa circostanza risiede nella scelta legislativa (art. 13, terzo comma, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) di confermare, per l’applicazione dei due tributi sostitutivi dell’ICI, l’IMU e la TASI, le regole essenziali stabilite dall’art. 5 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, per la determinazione del valore imponibile degli immobili ivi previsti (in particolare, i fabbricati iscritti in Catasto).
Pronunce giurisprudenziali come quella in esame – come già altre pubblicate in questa Rivista negli ultimi anni in tema di ICI – assumono quindi un rilievo di attualità: debbono ritenersi valide ed estensive, nelle soluzioni e motivazioni raggiunte, anche per i nuovi tributi subentrati dal 2012 nel campo dell’imposizione comunale sugli immobili, fatti salvi, ovviamente, casi di eventuale intervento di modifiche o di innovazioni in materia, come, ad esempio, per i terreni e fabbricati agricoli, gli immobili in vendita da parte dei costruttori, e via dicendo.
Chiusa la parentesi delle considerazioni preliminari, passiamo alla valutazione della pronuncia in rassegna: va subito rilevata l’estrema laconicità della preliminare esposizione della situazione di fatto portata in giudizio, tale da condizionare un giudizio netto e preciso sulle conclusioni esposte. Il dato certo è che una unità immobiliare, accatastata come “ufficio-studio” (cat. A/10), sarebbe stata in realtà adibita a civile abitazione e che il cambio di destinazione d’uso risulterebbe suffragato dalla documentazione delle utenze usuali di ogni residenza; altro dato sicuro è la richiesta di esenzione dell’immobile in questione, divenuta “abitazione principale”, da parte del possessore, da considerare quindi esente da ICI, in quanto – all’epoca dell’inizio della vertenza – era in vigore il regime agevolativo disposto in materia dall’art. 1 del D.L. 27 maggio 2008, n. 93 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126).
Queste le certezze ma, a questo punto, sorgono spontanei gli interrogativi: l’accatastamento originario dell’immobile come “studio-ufficio” era stato erroneo? Tenendo conto delle procedure già all’epoca in atto (DOCFA) o anche d’ufficio, la comunicazione dell’ex UTE di assegnazione di una destinazione erronea sarebbe stata oggetto di contestazione immediata; quindi, è più probabile un cambio di destinazione sopravvenuto e non dichiarato dal possessore al Catasto, magari (ma siamo sempre nel campo delle ipotesi) in quanto eseguito senza lavori di adattamento dell’ufficio-studio in abitazione civile.
Se le cose stanno così, l’omessa richiesta del possessore dell’immobile del cambio di destinazione è elemento decisivo ed esiziale per eliminare ogni pretesa di esenzione ex D.L. n. 93/2008, poiché entra in gioco l’ormai consolidato indirizzo della stessa Corte di Cassazione sulla assoluta preminenza del dato catastale quale presupposto esclusivo per la qualificazione del regime fiscale dell’immobile soggetto ad accatastamento (1).
Alla luce di quest’ultimo postulato, il discorso sull’onere della prova a carico del contribuente per ottenere l’esenzione, inserito nell’ordinanza in esame, appare del tutto inutile e superfluo: nel caso di specie, il contribuente risulta per vero adempiente (seppure in ritardo) in tale onere probatorio, ma il classamento dell’unità immobiliare in questione, rimasto fermo ed intatto sulla destinazione A/10, mette fuori gioco ogni diversa soluzione.
Ci sarebbe un’ultima ipotesi teorica da valutare, sempre nel silenzio dell’ordinanza sulla ricostruzione dei fatti della vertenza: il possessore dell’immobile potrebbe aver eseguito dei lavori di adeguamento, comunicati solo al Comune, ma non al Catasto; anche in questa eventualità, però, prevarrebbe la linea di indirizzo segnata dalla Suprema Corte, facendo comunque salva la possibilità per il possessore dell’immobile in questione di richiedere il cambio di destinazione, ma senza effetti retroagenti.
Non rimane in definitiva che attendere l’esito del giudizio di rinvio per una valutazione compiuta della interessante vicenda contenziosa in rassegna.

Dott. Eugenio Righi

(1) Per l’affermazione del postulato “classamento: presupposto-base dell’imposizione” sugli immobili, ved., per tutte, Cass., sez. trib., 16 dicembre 2016, n. 26054, in Boll. Trib., 2017, 741; e Cass., sez. trib., 10 ottobre 2008, n. 24924, ivi, 2009, 569, con nota di E. RIGHI, Accatastamento di edifici non ancora ultimati e ICI, e le numerose sentenze conformi richiamate nella motivazione di tali sentenze.

ICI – Esenzioni – Immobile accatastato nella categoria A/10 come “ufficio-studio”, ma utilizzato come abitazione principale – Esenzione dall’imposta – Non spetta – Impugnazione dell’atto di classamento da parte del contribuente – Necessità.

In tema di ICI, ai fini del trattamento esonerativo rileva l’oggettiva classificazione catastale dell’immobile, per cui l’immobile che si sostenga costituire l’abitazione principale del contribuente ma che risulti iscritto come “ufficio-studio”, con attribuzione della relativa categoria (A/10), è soggetto all’imposta, non ricorrendo l’ipotesi dell’art. 1, primo comma, del D.L. 27 maggio 2008, n. 93 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126); qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale è onere del contribuente, che pretenda l’esenzione, impugnare l’atto di classamento.

[Corte di Cassazione, sez. VI (Pres. Iacobellis, rel. Mocci), 28 marzo 2017, ord. n. 8017, ric. Comune di Latina]

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE – La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380-bis c.p.c. delibera di procedere con motivazione sintetica ed osserva quanto segue.
Il Comune di Latina propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che aveva respinto il suo appello contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Latina. Quest’ultima aveva accolto l’impugnazione di L.M. avverso l’avviso di accertamento ICI relativo agli anni 2008 e 2009.
Nella decisione impugnata, la CTR ha sostenuto che l’immobile oggetto di accertamento sarebbe stata la prima casa, alla luce del certificato di residenza, della collocazione delle utenze per usi domestici e del pagamento delle relative bollette.
Il ricorso è affidato ad un unico, complesso motivo, col quale il Comune denuncia nullità della sentenza o del procedimento, per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 comma 1° n. 5, oltre alla violazione e falsa applicazione dell’art. 5 comma 2° D.Lgs. n. 504/1992.
Sostiene il ricorrente che le risultanze catastali avrebbero qualificato l’immobile adibito ad altro uso – ufficio/studio – non corrispondente a quello di abitazione, richiesto ai fini dell’agevolazione fiscale. La modificazione della destinazione d’uso da parte della contribuente sarebbe stata arbitraria.
L’intimata ha resistito con controricorso, deducendo pregiudizialmente – ma infondatamente, posto che la spedizione del plico è avvenuta l’8 gennaio 2016 – la decadenza avversaria dall’impugnazione, ex art. 327 c.p.c.
Il motivo è fondato.
Premesso che la violazione di legge denunciata va inquadrata nell’ambito dell’art. 360 n. 3) c.p.c., in tema d’ICI, ai fini del trattamento esonerativo rileva l’oggettiva classificazione catastale dell’immobile, per cui l’immobile iscritto come “ufficio-studio”, con attribuzione della relativa categoria (A/10), è soggetto all’imposta, non ricorrendo l’ipotesi dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 93 del 2008. Qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, è onere del contribuente, che pretenda l’esenzione, impugnare l’atto di classamento (Sez. 5, n. 1704 del 29/1/2016 (1)).
Nella specie, la CTR non si è attenuta ai predetti principi.
Alla luce di tali considerazioni, pertanto, va accolto il ricorso e cassata l’impugnata sentenza, con rinvio per nuova valutazione alla CTR Lazio, in diversa composizione, che si atterrà ai principi sopra esposti e provvederà altresì alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità

P.Q.M. – La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza, con rinvio alla CTR Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

(1) In Boll. Trib. On-line.

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