21 Febbraio, 2014

 IRAP – Attività professionale – Professionisti non organizzati – Autonoma organizzazione – Presupposto di imposta – Impiego non occasionale di lavoro altrui – Soggettività passiva – Consegue.

 IRAP – Attività professionale – Professionisti non organizzati – Autonoma organizzazione – Nozione oggettiva – Necessità di un apparato esterno e distinto dalla persona del professionista – Insostituibilità o particolari capacità personali del professionista – Irrilevanza ai fini della soggettività passiva all’imposta.

In ordine all’applicazione dell’IRAP ai lavoratori autonomi, in tanto è dovuto il tributo in quanto sussista il requisito dell’organizzazione autonoma dell’attività e l’”auto-organizzazione” del professionista, intesa come autonomia e indipendenza nell’esercizio dell’attività rispetto ai terzi, è sì un elemento essenziale per la sottoposizione all’imposta, ma non è sufficiente, essendo altresì necessario un elemento organizzativo esterno, basato sull’esistenza di beni strumentali, ricorso a lavoro altrui e apporto di capitale, anche in via tra loro alternativa, secondo un principio che rende perciò l’impiego non occasionale di lavoro altrui, anche se per un tempo limitato e pagando un corrispettivo non elevato, un significativo indice di organizzazione autonoma.

 È principio consolidato che in tema di IRAP l’esistenza di un’autonoma organizzazione, che costituisce il presupposto per l’assoggettamento a imposizione dei soggetti esercenti arti o professioni indicati nell’art. 49, primo comma, del TUIR, postula che l’attività abituale e autonoma del professionista si avvalga di un’organizzazione dotata di un minimo di autonomia che potenzi e accresca l’attività produttiva, mentre non è invece necessario che la struttura organizzata sia in grado di funzionare in assenza del titolare, né assume alcun rilievo, ai fini dell’esclusione di tale presupposto, la circostanza che l’apporto del titolare sia insostituibile per ragioni giuridiche o perché la clientela si rivolga alla struttura in considerazione delle sue particolari capacità.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Cappabianca, rel. Perrino), 11 dicembre 2012, sent. n. 22592, ric. Agenzia delle entrate]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSOP.R., esercente l’attività di dottore commercialista, presentò istanza di rimborso dell’imposta regionale sulle attività produttive relativa agli anni dal 1998 al 2001, ritenendola indebitamente versata per mancanza del presupposto impositivo.

 Impugnò poi il silenzio-rifiuto opposto dall’amministrazione, in base alla considerazione che la propria attività non fosse contrassegnata da organizzazione. La Commissione tributaria provinciale di Lucca respinse il ricorso, là dove la Commissione tributaria regionale, andando in contrario avviso, ha accolto l’impugnazione originaria del contribuente, escludendo la configurabilità di una organizzazione atta a creare valore aggiunto.

 Ricorre l’Agenzia delle entrale per ottenere la cassazione della sentenza affidando il ricorso a due motivi. Resiste il contribuente con controricorso.

 

[-protetto-]

 

MOTIVI DELLA DECISIONE1. L’agenzia delle entrate con i due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, perché strettamente avvinti, rispettivamente proposti ex art. 360 c.p.c., n. 3 e art. 360 c.p.c., n. 5, lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2, 3, 8, 27 e 36 del D.Lgs. n. 446 del 1997, formulando il seguente quesito di diritto, “se, ai fini dell’imponibilità IRAP, l’autonoma organizzazione possa limitarsi ad agevolare la produzione di un reddito aggiuntivo rispetto a quello che il professionista ritrae dall’esercizio della propria attività professionale senza che sia necessaria la sua idoneità a sganciare l’adempimento della prestazione dall’attività del lavoratore autonomo” – primo motivo; l’omessa motivazione in ordine ad un fatto decisivo e controverso, in particolare in ordine alle reali dimensioni dell’attività del contribuente – secondo motivo.

  2. E ormai orientamento consolidato di questa Corte, quanto all’applicazione dell’Irap ai lavoratori autonomi, anche sulla scorta delle indicazioni fornite da Corte cost. 21 maggio 2001, n. 156, che in tanto è dovuto il tributo in quanto sussista il requisito dell’organizzazione autonoma dell’attività (v., ex plurimis, Cass. 16 febbraio 2007, n. 3680(1)).

 3. In particolare, si precisa, l’“auto-organizzazione” del professionista, intesa come autonomia ed indipendenza nell’esercizio della attività rispetto ai terzi, è sì un elemento essenziale per la sottoposizione alla imposta, ma non è sufficiente, essendo altresì necessario un elemento organizzativo esterno, basato sulle esistenza di beni strumentali, ricorso a lavoro altrui ed apporto di capitale, anche in via tra loro alternativa. È infatti principio consolidato che in tema di IRAP la esistenza di una autonoma organizzazione, che costituisce il presupposto per l’assoggettamento ad imposizione dei soggetti esercenti arti o professioni indicati nell’art. 49, comma 1, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, postula che la attività abituale ed autonoma dei professionista si avvalga di una organizzazione dotata di un minimo di autonomia che potenzi ed accresca la attività produttiva; non è, invece, necessario che la struttura organizzata sia in grado di funzionare in assenza del titolare, né assume alcun rilievo, ai fini della esclusione di tale presupposto, la circostanza che l’apporto del titolare sia insostituibile per ragioni giuridiche o perché la clientela si rivolga alla struttura in considerazione delle sue particolari capacità (v. Cass. n. 5001 del 2007(2); Cass. n. 3677/2007(3)).

 4. Nel solco di tali pronunce, l’impiego non occasionale di lavoro altrui, anche se per un tempo limitato e pagando un corrispettivo non elevato, è costantemente reputato significativo indice di organizzazione autonoma (Cass., ord. 12 luglio 2012, n. 11892(4); Cass., ord. 6 dicembre 2011, n. 26161(5); Cass., ord. 17 settembre 2009, n. 20001(6); rilevano altresì Cass. 20 ottobre 2010, n. 21563(7) e Cass. 6 aprile 2009, n. 8265(8), per le quali l’assoggettabilità ad Irap non è esclusa dalla circostanza che la collaborazione sia part-time e Cass. 20 luglio 2009, n. 16855(9), ad avviso della quale non rileva che il ricorso a lavoratori subordinati sia in qualche modo obbligato).

 È quindi manifestamente insufficiente la motivazione della sentenza impugnata, la quale non da conto dell’apporto di un lavoratore, menzionato dallo stesso controricorrente, il quale ne specifica altresì la qualifica di mero apprendista.

 Il ricorso va in conseguenza accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio, anche per il profilo concernente le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Toscana, la quale valuterà la rilevanza, ai fini della configurabilità de presupposto dell’autonoma organizzazione, dell’apporto del dipendente che emerge dagli atti.

P.Q.M. – La Corte:

accoglie il ricorso;

 cassa la sentenza impugnata;

 rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Toscana.

(1) In Boll. Trib., 2007, 483.

(2) Cass. 5 marzo 2007, n. 5001, in Boll. Trib. On-line.

 (3) Cass. 16 febbraio 2007, n. 3677, in Boll. Trib., 2007, 386.

 (4 )In Boll. Trib. On-line.

 (5) In Boll. Trib. On-line.

 (6) In Boll. Trib., 2009, 1716.

 (7) In Boll. Trib., 2011, 1336.

 (8) In Boll. Trib. On-line.

 (9) In Boll. Trib., 2009, 1638.

 

 

Regimi probatori in tema di IRAP e apprendisti stregoni part-time

 

 

 Prima massima

 

 L’annotata sentenza non aggiunge nulla di particolarmente nuovo ai principi da tempo affermati dalla Suprema Corte secondo cui – per i lavoratori autonomi – «il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui»(1).

 Una prima questione riguarda i professionisti “inseriti” in altrui strutture organizzative: si può definire tale – e quindi esente da IRAP – ad esempio, l’avvocato che prevalentemente segue la pratiche interne di uno studio legale “organizzato” di cui è titolare un terzo (che lo retribuisce a forfait o in base alle pratiche lavorate). in caso di contestazione dell’Ufficio, la prova di essere esente da IRAP incombe sul contribuente (perché il professionista dell’esempio si avvale comunque di una struttura organizzata), ma la prova è piuttosto semplice: è sufficiente dimostrare di non sopportare costi e che la parte preponderante dei compensi proviene dal titolare dello studio. In altri termini, qui l’avvocato dell’esempio non è un soggetto passivo ai fini IRAP perché lui stesso è parte integrante dell’autonoma organizzazione del titolare dello studio.

 I professionisti che fanno parte di uno studio associato si presumono soggetti passivi ai fini IRAP: «l’esercizio in forma associata di una professione liberale è circostanza di per sé idonea a far presumere l’esistenza di un’autonoma organizzazione di strutture e mezzi, ancorché non di particolare onere economico, nonché dell’intento di avvalersi della reciproca collaborazione e competenze, ovvero della sostituibilità nell’espletamento di alcune incombenze, sì da potersi ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio. Ne consegue che legittimamente il reddito dello studio associato viene assoggettato all’IRAP, a meno che il contribuente non dimostri che tale reddito è derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati» (2). In questo ordine di idee, occorre provare che lo studio legale non impieghi personale, non ricorra a lavoro esterno e non preveda una vicendevole collaborazione tra gli associati: una situazione, nella pratica, decisamente rara; l’impegno probatorio è comunque notevole e di improbabile successo. Insomma, se per le società di persone il presupposto IRAP è stabilito dalla legge (potremmo dire con presunzione juris et de jure) dall’art. 2 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, nel caso di uno studio professionale associato la presunzione è juris tantum ma, di fatto, è come se fosse ex lege.

 Poi ci sono situazioni borderline.

 Facciamo l’esempio (non infrequente) in cui il professionista, che segue solo clienti propri, è inserito in uno studio, di cui è titolare un altro soggetto, in forza di un contratto di locazione (o di comodato, eventualmente modale). Ora, se la locazione ha per oggetto semplicemente uno o più vani dello studio (ed eventualmente nel canone di locazione è compreso un contributo forfetario per le spese di riscaldamento, energia elettrica, ecc.), il professionista dell’esempio non può essere soggetto passivo IRAP (perché non beneficia della struttura organizzata); è, viceversa, soggetto passivo IRAP se la locazione include prestazioni di servizi significative come, ad esempio, una quota parte della retribuzione del personale alla cui collaborazione può quindi ricorrere (ovviamente è però irrilevante il fatto, ad esempio, che la segretaria dello studio si limiti ad aprire la porta anche ai clienti del professionista del nostro esempio).

 Detto questo in termini di principio, bisogna chiedersi come vanno ripartiti gli oneri probatori. In proposito, sembra lecito ritenere che se esiste un contratto di locazione (scritto e registrato) che ha per oggetto solo uno o più ambienti, allora la prova che il professionista si avvale della struttura dello studio grava sull’Ufficio; viceversa, se il contratto è solo verbale ovvero prevede un contributo alle spese di gestione, è onere del contribuente provare che non si avvale (se non occasionalmente) della struttura organizzativa dello studio (sempre che vi sia, ovviamente: se il titolare dello studio non è soggetto passivo IRAP perché non si avvale di lavoro altrui, il conduttore di una stanza di quello studio non potrà beneficiare di alcuna struttura organizzata e quindi replica l’esenzione IRAP).

 Per quanto riguarda il requisito della “stretta” indispensabilità dei beni strumentali si può dire che la questione è pressoché scolastica: improbabile che qualcuno eserciti un’attività di lavoro autonomo utilizzando beni strumentali che eccedono il necessario: un avvocato con tre enciclopedie del diritto o un medico con dieci fonendoscopi non si è mai visto. Può essere utile chiarire che il costo elevato del bene strumentale, di per sé stesso, è asintomatico: lo speciale veicolo che serve per lo spurgo e la pulizia di pozzi neri ha un prezzo esorbitante ma è indispensabile al lavoratore autonomo che esercita quella attività.

 Alla resa dei conti, indispensabilità fa rima con inerenza; se il bene strumentale non è inerente (ad esempio, il geometra che utilizza due vetture: una è di troppo) non è neppure indispensabile. Alla stessa stregua non è inerente (e quindi non è indispensabile) per uno psichiatra una tavola oculistica mentre può essere inerente uno sfigmomanometro. È pertanto lecito pensare che – in tema di indispensabilità – si possa applicare il principio generale relativo all’inerenza: «il requisito dell’inerenza … si determina in relazione alla “funzione dei beni e dei servizi acquistati” dal contribuente, ossia della “ragione” della spesa riconosciuta e contabilizzata dall’imprenditore, in relazione alle quali è calibrato l’onere della prova, da porsi, cioè, a carico del contribuente, solo laddove la strumentalità della spesa all’attività di impresa non risulti di chiara evidenza in considerazione della sua stessa natura»(3). In questo quadro, la dimostrazione che, per un fantino, un cavallo non è indispensabile, grava sull’Ufficio; viceversa, graverà su un produttore vinicolo la prova che il cavallo gli è indispensabile.

 Il regime probatorio sull’indispensabilità dei beni strumentali dei lavoratori autonomi, comunque, è una questione non particolarmente avvertita: non risultano infatti pronunciamenti dato che di solito, nella pratica, gli Uffici non sono usi a contestare, ai fini IRAP, la non indispensabilità dei beni strumentali limitandosi a contestare la mancata inerenza ai fini di altre imposte.

 Più problematiche sono le questioni che si agitano intorno al lavoro prestato da terzi.

 La sentenza massimata afferma che «l’impiego non occasionale di lavoro altrui, anche se per un tempo limitato e pagando un corrispettivo non elevato, è costantemente reputato significativo indice di organizzazione autonoma».

 Innanzitutto occorre premettere che il lavoro altrui di cui si avvale il professionista deve essere funzionale alla professione, nel senso di potenzialmente idoneo a incrementare la produttività, e quindi il reddito. In questo ordine di idee, ad esempio, è irrilevante il ricorso, ancorché sistematico, a una donna che cura giornalmente la pulizia dello studio (4).

 Non costituisce impiego di lavoro altrui l’eventuale ausilio che potrebbe fornire un praticante «posto che il praticante non partecipa alla formazione del reddito ma sta compiendo il suo iter formativo» (5); ovviamente, grava sull’Ufficio la prova che il praticante – che tale risulti formalmente – sia un dipendente dissimulato.

 Viceversa «realizza il presupposto di imposta l’avvocato che impiega stabilmente un solo apprendista part-time» (6). L’apprendista, infatti, oltre al diritto ad un percorso formativo ha il dovere di prestare attività lavorativa (il contratto di apprendistato dà origine a un rapporto di lavoro subordinato: cfr. il D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276).

 Detto questo, ci si deve interrogare sul concetto di occasionalità del ricorrere al lavoro altrui (che può essere prestato, indifferentemente, in seno a un qualsiasi tipo di rapporto: subordinato, autonomo, outsourcing, ecc.).

 Sicuramente è occasionale l’impiego di lavoro altrui quando corrisponde ad eventi eccezionali della vita del lavoratore autonomo: ad esempio, il parto, il puerperio, una malattia, un ricovero ospedaliero, ecc. In questi casi, il ricorso a un sostituto è sicuramente irrilevante ai fini IRAP.

 L’occasionalità, tuttavia, può configurarsi anche per eventi di carattere sistematico, come la fruizione di un periodo di riposo; dovrebbe ritenersi senz’altro occasionale il ricorso a un sostituto che si occupi dello studio durante un normale periodo di ferie.

 Occasionalità può significare anche emergenza; è caso dell’avvocato che nomina un collega perché si ritrova due cause allo stesso orario davanti a Uffici giudiziari siti in località diverse o del commercialista che assume temporaneamente un impiegato nel momento dell’approssimarsi, ad esempio, della scadenza del termine per la presentazione delle dichiarazioni fiscali.

 Per quanto riguarda l’onere della prova dell’occasionalità dell’impiego di lavoro altrui è normale pensare che gravi sul contribuente in quanto si tratta di un dato di fatto che mitiga il principio generale della realizzazione del presupposto in presenza di impiego di lavoro altrui.

 Un aspetto su cui porre attenzione è l’entità dei compensi corrisposti ai terzi: in linea di massima si deve presumere che a un costo elevato (ovviamente non solo in senso oggettivo ma anche in rapporto al reddito dichiarato) corrispondono prestazioni continuative (sicché si realizza il presupposto di imposta); pertanto, se il costo molto elevato deriva da una sola prestazione resa, ad esempio, da un luminare della materia, il contribuente è tenuto a dimostrare che si tratta di un’unica prestazione.

 Chiudiamo l’argomento con la questione probatoria in tema di rimborso.

 È principio incrollabile della Corte di Cassazione che «costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni» (7). Invece, se il contribuente afferma di non essere soggetto passivo IRAP, è onere dell’Amministrazione finanziaria provare il contrario: ad esempio, se un agente di commercio dichiara di non avvalersi di lavoro altrui – non esponendo nel quadro E della dichiarazione alcun costo – spetta all’Ufficio dimostrare il contrario. Ovviamente la prova contraria può essere data dall’Ufficio anche mediante presunzioni (ad esempio, se un commercialista dichiara compensi a terzi per un importo elevato si deve presumere – salva la prova contraria del contribuente – che l’impiego di lavoro altrui non sia occasionale).

 In questo quadro il regime di ripartizione dell’onere della prova premia il contribuente più “coraggioso”, cioè quello che non presenta – ritenendosi esente dall’IRAP – la relativa dichiarazione, accettando il rischio del contenzioso (magari confidando anche in una negligenza probatoria processuale dell’Ufficio) e l’applicazione delle sanzioni.

 Viceversa il lavoratore autonomo prudente – quello che cioè presenta la dichiarazione IRAP e versa l’imposta per chiederne poi il rimborso – per far valere il suo diritto all’esenzione dall’IRAP è tenuto a un diligente impegno dimostrativo.

 Questa situazione di asimmetria probatoria avulsa dalla situazione sostanziale (il medesimo contribuente, nella medesima posizione ai fini IRAP, non dovrebbe essere tenuto in un caso a dover provare e nell’altro a stare inerte in attesa che la prova sia offerta dall’Ufficio) può apparire curiosa e anche un pò ingiusta perché penalizza opzioni estranee alla logica della capacità contributiva. Il contribuente qui opta per l’una o l’altra delle soluzioni condizionato pesantemente dal timore della reazione del fisco. Non si trova, insomma, a poter scegliere liberamente come ad esempio succede alla parte, nei cui confronti venga prodotta una scrittura privata, che può scegliere se disconoscerla, addossando alla controparte l’onere di chiederne la verificazione, oppure, alternativamente, di proporre querela di falso assumendosi l’onere di provare la non genuinità della scrittura.

Seconda massima

 

 Qualcuno aveva sostenuto che le professioni per l’esercizio delle quali è prevista l’iscrizione a un albo (c.d. professioni protette) – in ragione della insostituibilità della figura del professionista – non potessero essere assoggettate ad IRAP. Era una tesi singolare (che dimostrava una non perfetta conoscenza del tributo) al pari di quella, diametralmente opposta, che ravvisava sempre, nell’esercizio di una qualsiasi professione, il presupposto del tributo perché l’autonoma organizzazione si faceva coincidere con la cultura e con l’intelligenza

 Ma tale tesi è stata seccamente bocciata: «l’esistenza di un’autonoma organizzazione, costituente il presupposto per l’assoggettamento ad imposizione ai fini IRAP dei soggetti esercenti arti o professioni (esclusi i casi di soggetti inseriti in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse), non deve essere intesa in senso soggettivo, ma oggettivo, nel senso di esigere un apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui, risultante dall’aggregazione di beni strumentali e/o di lavoro altrui, sicché non ha alcun rilievo l’impiego dell’intelligenza e della cultura posseduta dal professionista stesso» (8).

Avv. Fausta Brighenti

 

(1) Cfr. Cass., sez. trib., 21 marzo 2012, ord. n. 4490, in Boll. Trib., 2012, 1275.

(2) Cfr. Cass., sez. trib., 22 maggio 2013, n. 12507, in Boll. Trib. On-line.

(3) Cfr. Cass., sez. trib., 27 aprile 2012, n. 6548, in Boll. Trib., 2013, 602.

(4) Cfr. Comm. trib. prov. di Piacenza, sez. IV, 31 marzo 2008, n. 24, in Boll. Trib.,2008, 862.

(5) Cfr. Cass., sez. trib., 14 aprile 2009, n. 8834, in Boll. Trib., 2009, 826.

(6) Cfr. Cass., sez. trib., 28 ottobre 2010, n. 21563, in Boll. Trib., 2011, 1336.

(7) Cfr. Cass., sez. trib., 21 giugno 2013, n. 15641, in Boll. Trib. On-line.

(8) Cfr. Cass., sez. trib., 23 gennaio 2008, n. 1414, con nota di F. Brighenti, IRAP e intelligentometro, in Boll. Trib., 2008, 269.

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