18 Gennaio, 2019

Com’è noto, nel quadro del riconoscimento di una più ampia autonomia tributaria e gestionale degli enti loca¬li, il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, ha previsto, fra le tante innovazioni, dopo una originaria previsione di abolizione della tassa sulle occupazioni di spazi ed aree pubbliche dal 1° gennaio 1999, “abolizione” successivamente cancellata ancora prima che producesse effetti estintivi su tale tributo (1), la facoltà dei Comuni e delle Province di disporre, con propri regolamenti adot¬tati ai sensi dell’art. 52 dello stesso D.Lgs. n. 446, o la soppressione della TOSAP o la sua sostituzione con un canone a carico del titolare della concessione di occupazione di suolo pubblico rilasciato dall’ente locale competente, canone la cui misura veniva determinata nello stesso atto di concessione, in base a tariffa (a norma dell’art. 63 del citato D.Lgs. n. 446/1997); tale norma detta poi, con particolare cura, gli ambiti entro i quali i Comuni e le Province possono disciplinare, nei propri regolamenti, l’applicazione del canone in parola.
In detta specifica e limitata sede, legata alle conclusioni e alle motivazioni della pronuncia in commento, non ci soffermeremo sulle modalità attuative dell’inedito prelievo, né sulla sua natura giuridica (2), ma cercheremo di valutare il decisum espresso dalla Suprema Corte sui vari problemi esaminati.
Sorprendente, intanto, ci appare la conclusione raggiunta nella prima massima: è esatto che la volontà contrattuale della pubblica Amministrazione deve essere sempre espressa in forma scritta, a pena di nullità, e non desumibile per facta concludentia; ma qui il problema è diverso ed è quello di un credito della pubblica Amministrazione non richiesto, né riscosso per anni: non esiste anche per le pubbliche Amministrazioni la prescrizione, fondata – come si sa – sulla presunzione di una “rinuncia tacita” a realizzare un proprio diritto? Crediti tributari o anche collegati a contratti, concessioni, etc., sono normalmente soggetti a prescrizione, così come – in casi particolari – è ammissibile addirittura l’usucapione di beni pubblici del patrimonio disponibile (3).
In tutti questi casi sono il silenzio, l’inerzia della pubblica Amministrazione, prolungati nel tempo, a creare effetti giuridici precisi e concreti; piuttosto, meraviglia non poco che l’ammontare del canone e le modalità e scadenze per il suo versamento non fossero specificati nell’atto concessorio, come ben precisa e impone il già citato art. 63 del D.Lgs. n. 446/1997 al secondo comma, lett. d).
Sulla seconda massima, la nostra iniziale grande sorpresa (fondata sulla normale applicazione della TOSAP in base al metro quadrato, salvo che non riguardasse le occupazioni dei sottosuolo e soprassuolo, regolate a parte con il criterio chilometrico o comunque lineare) è superata dalla statuizione dello stesso art. 63 del D.Lgs. n. 446/1997 che ammette esplicitamente l’applicabilità discrezionale dei due metodi, confermando quanto era già disposto dall’art. 42, comma quarto, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507; e, in effetti, se si pone attenzione ad alcune ipotesi specifiche di occupazione, come quelle, appunto, di occupazioni verticali rispetto al suolo [ad esempio, manifesti pubblicitari o di altro genere affissi sulle pareti di edifici e, quindi, tassabili, ai fini TOSAP, solo per la loro proiezione sul suolo (4)], che è ovviamente lineare, in quanto limitata allo spessore del mezzo affisso, il duplice parametro di misurazione dell’occupazione è giustificato. Non dovrebbe, però, essere compito del regolamento comunale precisare le possibili ipotesi di tassazione a metro lineare, per evitare l’equivoco di una sua generalizzazione, incoerente con il fatto che il COSAP è di regola applicabile sulle superfici e sulle aree, che si misurano a metro quadrato? Nel caso di specie, in realtà, l’art. 5 del Regolamento per l’applicazione del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, approvato dal Comune di Milano con delibera del Consiglio comunale n. 11 del 21 febbraio 2000, e successive modificazioni e integrazioni (in Boll. Trib. On-line), prevede al primo comma che «La misura della superficie di occupazione è determinata sulla base di quanto indicato nell’atto di concessione o autorizzazione. Essa è espressa in via ordinaria da un’unica misura complessiva che tiene conto della tipologia di occupazione e delle dimensioni individuali dei mezzi di occupazione. In casi particolari essa è indicata analiticamente in relazione ai singoli mezzi di occupazione», e ai successivi commi terzo e quarto che «3. La superficie di occupazione deve essere indicata nell’atto di concessione o autorizzazione tenendo conto delle modalità temporali di effettuazione della stessa. Il canone è dovuto limitatamente alla superficie relativa a ciascuna fase o periodo in cui l’occupazione eventualmente si suddivide. 4. Le superfici di occupazione di cui al comma 1 sono espresse in metri quadrati o lineari. Le superfici inferiori ad un metro quadrato o lineare si arrotondano per eccesso al metro quadrato o lineare e le frazioni di esso, oltre il primo, a mezzo metro quadrato o lineare superiore».
Sulla reiezione della domanda di (parziale) rimborso, da parte del Comune concedente, del canone versato per mancata utillizzazione degli spazi concessi, nulla quaestio: giustamente risulta una norma del regolamento comunale che esclude questa possibilità se non per comprovata causa di forza maggiore; in tale caso, il concessionario avrebbe dovuto attivarsi a tempo debito, chiedendo la revisione della concessione o la sua sostituzione con altra basata sulla situazione in atto, tempestivamente documentata.
Discutibile, invece, la legittima contemporanea applicabilità del COSAP e dell’imposta di pubblicità sugli spazi concessi; la Corte di Cassazione si richiama all’uopo ad un concorde suo pronunciamento del 2012 (5), ma non ricorda che, in altre proprie pronunce in terminis concluse in senso opposto (6), nella precipua considerazione che l’applicazione di ambedue i prelievi comunali trova il suo unico presupposto nella occupazione e utilizzazione per uso particolare del medesimo spazio pubblico, sottratto alla disponibilità collettiva, per cui la riscossione effettuata dallo stesso ente per uno dei due prelievi avrebbe funzione assorbente e liberatoria sull’altro (7).
In effetti, il presupposto è sostanzialmente unico e la prevista, e poi cancellata prima ancora di nascere, (8) imposta municipale secondaria avrebbe sicuramente risolto il problema con la logica unificazione delle due forme impositive.

Dott. Eugenio Righi

(1) Il testo originario dell’art. 51, secondo comma, lett. a), del D.Lgs. n. 446/1997, prevedeva l’abolizione della TOSAP dal 1° gennaio 1999, unitamente alla contestuale abolizione dell’imposta erariale di trascrizione al PRA [lett. b)] e dell’addizionale provinciale all’imposta erariale di trascrizione al PRA [lett. c)]; la citata lett. a) è stata poi abrogata dall’art. 31, comma 14, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (secondo cui «la lettera a) del comma 2 dell’articolo 51 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, sono abrogati»), con il ripristino della TOSAP.
(2) In materia cfr. L. DEL FEDERICO, Il nuovo canone di occupazione di spazi ed aree pubbliche: tassa, corrispettivo o prezzo pubblico, in Riv. dir. trib., 1998, 181; ed E. RIGHI, Fuori dalla giurisdizione tributaria le controversie COSAP, in Boll. Trib., 2008, 771, in nota a Corte Cost. 14 marzo 2008, n. 64.
(3) Ved. G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, Milano, IV, 1958, 46; A. MONTEL – M. SARTORIO, Usucapione, in Noviss. dig., XX, 1975, 296; e Cass. 24 giugno 1948, n. 1540, in Rep. giur. it., 1947-48, 642.
(4) Ved. Cass., sez. I, 12 marzo 1986, n. 5984, in Boll. Trib., 1987, 261, con nota di E. RIGHI, Sui criteri di applicazione della TOSAP.
(5) Cfr. Cass., sez. trib., 27 luglio 2012, n. 13476, in Boll. Trib. On-line.
(6) Per tutte ved. Cass., sez. trib., 19 agosto 2009, ord. n. 18442, in Boll. Trib., 2010, 384; Cass., sez. trib., 1° settembre 2004, n. 17614, ivi, 2005, 315; e Cass., sez. I, 9 ottobre 1996, n. 8827, ivi, 1997, 171, con nota adesiva di E. RIGHI.
(7) Sull’argomento, vedasi ris. 9 giugno 2000, n. 86/E, in Boll. Trib., 2000, 1100.
(8) La nuova imposta, da istituire ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, sul Federalismo municipale, è stata soppressa dall’art. 1, comma 25, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

COSAP – Mancata richiesta di pagamento del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche al momento del rilascio della concessione – Irrilevanza – Decadenza del Comune dalla pretesa impositiva – Non sussiste – Rinuncia al credito per facta concludentia – Inconfigurabilità.

COSAP – Metodologia di calcolo della superficie tassabile agli effetti del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche – Discrezionalità di scelta tra il criterio del metro quadrato e di quello lineare – Sussiste.

COSAP – Rimborsi – Rimborso delle somme corrisposte nell’ipotesi di rinuncia volontaria alla installazione, su parte dello spazio pubblico o del tempo di esposizione, dei mezzi pubblicitari dati in concessione – Esclusione – Prova della imputabilità a causa di forza maggiore della minore superficie o durata dell’occupazione – Necessita.

COSAP – Pubblicità effettuata su impianti installati su beni appartenenti al Comune o da questo dati in godimento – Contemporanea applicazione dell’imposta sulla pubblicità e del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche – Legittimità – Alternatività delle due forme di tassazione – Non sussiste, per la diversità dei relativi presupposti.

Imposta sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni – Pubblicità effettuata su impianti installati su beni appartenenti al Comune o da questo dati in godimento – Contemporanea applicazione dell’imposta sulla pubblicità e del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche – Legittimità – Alternatività delle due forme di tassazione – Non sussiste, per la diversità dei relativi presupposti.

Procedimento – Ricorso per cassazione – Ricorso incidentale condizionato – Riproposizione di questioni sulle quali il giudice dell’appello non si è pronunciato – Inammissibilità – Deducibilità di tali questioni in sede di rinvio – Sussiste.

Non può ritenersi decaduto il Comune dalla pretesa del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche per non averlo liquidato e richiesto al momento del rilascio della concessione, avendovi così sostanzialmente quanto tacitamente rinunciato per implicito, in quanto la volontà negoziale della pubblica Amministrazione non può mai desumersi da comportamenti concludenti, ma deve essere espressa in forma scritta a pena di nullità, con la conseguenza che nei suoi riguardi non è radicalmente ipotizzabile, in relazione al disposto dell’art. 1579 c.c., la rinnovazione tacita del contratto di locazione e di ogni altro contratto concluso con essa, come pure non può teorizzarsi una “rinuncia al credito” per facta concludentia.

Agli effetti dell’applicazione del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche è consentita, sia in base alla legge che al regolamento comunale adottato per l’applicazione del suddetto canone, la scelta discrezionale della metodologia di calcolo del canone delle occupazioni tassabili a metro lineare o a metro quadrato.

In materia di canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, a norma dell’art. 16 del Regolamento per l’applicazione del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche del Comune di Milano, approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 11 del 21 febbraio 2000 e successive modificazioni, è escluso il rimborso delle somme corrisposte nell’ipotesi di rinuncia volontaria alla installazione, su parte dello spazio pubblico o del tempo di esposizione, dei mezzi pubblicitari di cui alla concessione, salva la prova della imputabilità a causa di forza maggiore della minore superficie o durata dell’occupazione.

In caso di pubblicità effettuata su impianti installati su beni appartenenti al Comune o da questo dati in godimento, l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità non esclude quella della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, nonché il pagamento di canoni di locazione o di concessione, atteso il chiaro tenore letterale dell’art. 9, settimo comma, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, ed essendo esclusa l’alternatività tra i due tributi per violazione del divieto di doppia imposizione, in quanto l’imposta comunale sulla pubblicità ha presupposti diversi dalla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, come emerge dal confronto fra gli artt. 5 e 38 del predetto decreto legislativo, che individuano il presupposto impositivo, rispettivamente, nel mezzo pubblicitario disponibile e nella sottrazione dell’area o dello spazio pubblico al sistema della viabilità e, quindi, all’uso generalizzato.

È inammissibile il ricorso incidentale per cassazione, sia pure condizionato, con il quale la parte vittoriosa in sede di merito riproponga questioni su cui i giudici di appello non si sono pronunciati, avendole ritenute assorbite dalla statuizione adottata, in quanto tali questioni, nel caso di cassazione della sentenza, rimangono impregiudicate e possono essere dedotte davanti al giudice di rinvio.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Chindemi, rel. Botta), 11 maggio 2017, sent. n. 11673, ric. Comune di Milano c. Italtriest s.p.a.]

FATTI DI CAUSA – La controversia concerne l’impugnazione di avvisi di pagamento per il canone di occupazione di suolo pubblico (COSAP) dovuto in relazione ad impianti pubblicitari:
a) di tipo “permanente” (di durata annuale o pluriennale) installati negli anni 2000 e 2001, il cui canone per la società contribuente era stato illegittimamente calcolato a metro quadro, invece che a metro lineare;
b) di tipo “temporaneo” (c.d. “strutture provvisorie”) installati negli anni 2000, 2001 e 2002, rispetto ai quali l’ente locale era decaduto per non aver fatto richiesta del canone al momento della concessione.
La società attrice affermava, inoltre, di aver corrisposto per l’anno 2003 il canone relativo a mezzi “temporanei” poi non esposti e ne chiedeva il rimborso (o in subordine la compensazione con quanto eventualmente dovuto).
Il Tribunale adito, in parziale accoglimento del ricorso, dichiarava non dovuti gli importi pretesi per i mezzi “temporanei” installati negli anni 2000, 2001 e 2002, rigettata ogni altra domanda. La decisione era confermata dalla Corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, che rigettava tanto l’appello principale proposto dall’ente locale, quanto l’appello incidentale proposto dalla società contribuente.
Avverso tale sentenza il Comune di Milano propone ricorso per cassazione con due motivi, illustrati anche con memoria, alla quale sono allegate una serie di pronunce della giurisprudenza di merito in area milanese che “sosterrebbe” le ragioni esposte nel ricorso dall’ente locale.
La società contribuente ha notificato controricorso proponendo con lo stesso atto ricorso incidentale con tre motivi.

RAGIONI DELLA DECISIONE – 1. Preliminarmente deve ritenersi tempestivo il ricorso principale, applicandosi il termine di sei mesi di cui alla nuova formulazione dell’art. 327 cod. proc. civ. solo ai giudizi instaurati dopo il 4 luglio 2009, mentre nella fattispecie il giudizio è stato introdotto con atto di citazione notificato il 19 febbraio 2008 (v. Cass. n. 19969 del 2015).

2. Con i due motivi del ricorso principale, che possono essere valutati congiuntamente per ragioni di connessione logica, l’ente locale censura, sotto più profili di violazione di legge – violazione artt. 63, d.lgs. n. 446 del 1997, 2, 3 e 25 Regolamento comunale COSAP, 2946 cod. civ., 9, comma 7, d.lgs. n. 507 del 1993 (primo motivo) e violazione art. 1236 cod.civ. (secondo motivo) – nonché sotto il profilo del vizio di motivazione, la decisione del giudice di merito di ritenere decaduto il Comune dalla pretesa del canone per non averlo liquidato e richiesto al momento del rilascio della concessione, avendovi così sostanzialmente (quanto tacitamente) rinunciato per implicito.

3. Le censure sono fondate sulla base di un principio, più volte affermato da questa Corte e che appare applicabile anche nel caso di specie, secondo cui: «La volontà negoziale della P.A. non può desumersi da comportamenti concludenti, ma deve essere espressa in forma scritta a pena di nullità, con la conseguenza che nei suoi riguardi non è radicalmente ipotizzabile, in relazione al disposto dell’art. 1579 cod. civ., la rinnovazione tacita del contratto di locazione» (Cass. n. 1223 del 2006; v. nello stesso senso Cass. n. 8539 del 2011 e Cass. n. 13886 del 2011, le quali pongono in evidenza che rispetto ai contratti della P.A. «vige il principio formalistico, richiedendosi la forma scritta ad substantiam (che deve essere adottata anche per le modifiche successive del contratto)» ed è irrilevante «un mero comportamento concludente, anche protrattosi per anni»).

4. Tanto non può non valere anche per una supposta “rinuncia al credito” per facta concludentia, come il giudice di merito sembrerebbe voler configurare la fattispecie in esame, che coinvolge anche il doveroso rispetto di complesse regole di contabilità pubblica ed esige l’intervento di deliberazioni specifiche adottate dagli organi competenti dell’ente locale.

5. Quanto al ricorso incidentale si osserva preliminarmente che esso si presenta inammissibilmente formulato come se il ricorso per cassazione fosse una ulteriore revisio prioris istantiae, non un controllo sulla legittimità della decisione adottata, ma una mera riproposizione delle posizioni difensive sviluppate nel corso del giudizio, intesa a far prevalere l’interpretazione della fattispecie e delle norme regolatrici ritenuta dalla parte su quella ritenuta dal giudice di merito: manca la fondamentale specificità di censure che investano la sentenza impugnata, mentre prevalgono decisamente le critiche rivolte alla pretesa dell’ente locale.

6. In particolare, generica e sostanzialmente assertiva si presenta la critica circa la supposta “doverosità” dell’adozione del metro quadro come metodo unico di calcolo del canone dovuto per la concessione di cui è causa a fronte di un ampio e rigoroso accertamento, supportato da congrua motivazione, da parte del giudice di merito in ordine alla discrezionalità concessa dalla legge e dal regolamento circa la scelta tra metro lineare e metro quadro come metodologia di calcolo del canone per gli anni di riferimento, ragionamento al quale la parte ricorrente incidentale non oppone alcuna convincente ragione che non sia quella della propria soggettiva interpretazione delle norme applicate nella specie.

7. Altrettanto generica e assertiva appare la formulazione della questione relativa al supposto diritto al rimborso delle somme corrisposte dalla società per l’anno 2003 per installazione di mezzi pubblicitari tuttavia non eseguiti: manca la specifica individuazione del vizio che connoterebbe sul punto la sentenza impugnata, la quale ha fatto corretta applicazione di quanto disposto dall’art. 16 del regolamento COSAP, a norma del quale è escluso il rimborso delle somme corrisposte nell’ipotesi di rinuncia volontaria alla installazione (su parte dello spazio pubblico o del tempo di esposizione) dei mezzi pubblicitari di cui alla concessione, salva la prova – che, ad avviso del giudice di merito, la società non avrebbe dato – della imputabilità a causa di forza maggiore della minore superficie o durata dell’occupazione.

7.1. Sicché le argomentazioni sviluppate dalla parte ricorrente incidentale non mostrano di cogliere la ratio decidendi della sentenza impugnata, costituita dal mancato assolvimento da parte della società dell’onere probatorio sulla sussistenza nel caso di una causa di forza maggiore.

8. La questione relativa alla supposta tardività della richiesta del Comune di integrazione dei versamenti per il periodo 2000-2001 riferito ai “mezzi permanenti” resta, invece, assorbita a seguito dell’accoglimento del ricorso principale: l’analogia tra le due situazioni è alla base del ragionamento critico sviluppato dalla parte ricorrente incidentale, la quale, peraltro, non offre alcun convincente argomento che possa evidenziare perchè debbano ritenersi “viziate” le conclusioni del giudice di merito (e quale eventualmente ne sia il vizio tra quelli specificamente previsti dal codice di rito).

9. Quanto alla questione relativa alla supposta alternatività tra imposta sulla pubblicità e COSAP si tratta di deduzioni prive di fondamento alla luce dell’orientamento di questa Corte secondo cui: «In caso di pubblicità effettuata su impianti installati su beni appartenenti al Comune o da questo dati in godimento, l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità non esclude quella della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, nonchè il pagamento di canoni di locazione o di concessione, atteso il chiaro tenore letterale dell’art. 9, comma 7, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, ed essendo esclusa l’alternatività tra i due tributi per violazione del divieto di doppia imposizione, in quanto l’imposta comunale sulla pubblicità ha presupposti diversi dalla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, come emerge dal confronto fra gli artt. 5 e 38 del d.lgs. citato, che individuano il presupposto impositivo, rispettivamente, nel mezzo pubblicitario disponibile e nella sottrazione dell’area o dello spazio pubblico al sistema della viabilità e, quindi, all’uso generalizzato» (Cass. n. 13476 del 2012).

10. Quanto, infine, alla questione relativa al superamento del limite percentuale rispetto all’imposta sulla pubblicità, il ricorso incidentale deve dirsi senz’altro inammissibile, trattandosi di questione dichiarata assorbita dal giudice di merito: questa Corte, infatti, ha stabilito, con orientamento costante, che «è inammissibile il ricorso incidentale, sia pure condizionato, con il quale la parte vittoriosa in sede di merito riproponga questioni su cui i giudici di appello non si sono pronunciati, avendole ritenute assorbite dalla statuizione adottata, in quanto tali questioni, nel caso di cassazione della sentenza, rimangono impregiudicate e possono essere dedotte davanti al giudice di rinvio» (Cass. n. 547 del 2016 (1); n. 4130 del 2012 (2); n. 6572 del 1988 (3)).

11. Pertanto deve essere accolto il ricorso principale, rigettato in parte il ricorso incidentale e dichiarato lo stesso inammissibile per la restante parte come in motivazione; deve essere cassata la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che si pronuncerà anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio.

P.Q.M. – Accoglie il ricorso principale, rigettato in parte il ricorso incidentale e dichiarato lo stesso inammissibile per la restante parte come in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione.

(1) Cass. 15 gennaio 2016, n. 547, in Boll. Trib. On-line.
(2) Cass. 15 marzo 2012, n. 4130, in Boll. Trib. On-line.
(3) Cass. 3 dicembre 1988, n. 6572, in Boll. Trib. On-line.

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