17 Giugno, 2013

Procedimento – Notificazione dell’atto impositivo  – Mancanza della sua regolare notificazione – Determina l’inefficacia dell’atto ma non incide sulla sua giuridica esistenza.

La mancanza della notificazione di un atto amministrativo d’imposizione tributaria non influisce sulla sua esistenza in quanto gli atti amministrativi d’imposizione tributaria sono sottoposti ad un regime procedimentale, che, pur nelle sue peculiarità rispetto a quello generale dell’atto amministrativo, lascia ben distinta la fase di decisione, o di perfezione dell’atto, rispetto alla fase integrativa della sua efficacia, di talché il vizio della notificazione di un atto tributario determina solo la preclusione della “efficacia” del provvedimento ma non incide affatto sull’esistenza dello stesso, la quale non viene per nulla compromessa da quel vizio.

Il rinnovo della sola notificazione della cartella di pagamento non importa l’emissione di una nuova cartella di pagamento che perciò può essere rinnovata e nuovamente notificata anche in presenza del suo annullamento per vizio della notifica sentenziato dalla Commissione tributaria in un processo ancora pendente tra le stesse parti, senza che occorra il preventivo annullamento del primo esemplare della medesima cartella oggetto di controversia ancora in corso.

Come la notificazione di un atto, anche la sua rinotificazione non richiede la presenza e, quindi, l’esplicazione di specifiche ragioni giustificative, discendendo le stesse dalla univoca e unica funzione svolta dalla notificazione, ossia quella di portare l’atto nella sfera di conoscibilità del destinatario perché possa produrre gli effetti suoi propri, quali quelli di cristallizzazione della pretesa tributaria per decorso dei termini di impugnazione o anche di sola provocatio ad opponendum.

 [Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. e rel. D’Alonzo), 26 settembre 2012, sent. n. 16370]

 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Con ricorso notificato all’Agenzia delle Entrate, alla s.p.a. GERIT («subentrata … al concessionario … Monte dei Paschi di Siena spa, giusta cessione di … specifico ramo d’azienda») ed alla s.p.a. Monte dei Paschi di Siena («dante causa» della spa GERIT), D.P. A. – premesso che «con ricorso del 9 giugno 2003» ha impugnato la «cartella di pagamento … emessa per gli anni 1979-1980 …, riguardante … iscrizione a ruolo a fronte di dichiarazione integrativa ex legge 7 agosto 1982, n. 516», denunciando (a) «l’inesistenza del presupposto della riscossione promossa con l’impugnata cartella» («stante il suo precedente annullamento» con «sentenza n. 763/02/02» della medesima CTP) e (b) «la carenza di motivazione della … stessa» –, in forza di tre motivi, chiede di cassare la sentenza n. 975/40/05 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio (depositata il 30 maggio 2006) che ha disatteso il suo appello.

La s.p.a. GERIT e l’Agenzia instano per il rigetto dell’impugnazione.

La s.p.a. Monte dei Pachi di Siena non ha svolto attività difensiva.

 

[-protetto-]

 

MOTIVI DELLA DECISIONE – 1.La Commissione Tributaria Regionale ha disatteso l’impugnazione osservando:

– «la violazione dell’art. 39, comma 1, c.p.c.», («per omesso rispetto del principio del ne bis in idem») è «insussistente … in quanto con il ricorso dell’otto agosto 2002 si contestava esclusivamente la validità della notificazione della cartella su cui si controverte» mentre «con il ricorso datato 10 giugno 2003 che si è concluso con la sentenza qui appellata, viene contestata l’insussistenza del presupposto impositivo per l’avvenuto annullamento del ruolo con la … sentenza 763/02/02, nonché per carenza di motivazione»;

– «condivide pienamente quanto statuito dai giudici di prime cure» in ordine al «merito della pretesa tributaria» («che … deriva dalla liquidazione delle imposte della dichiarazione integrativa ex lege 516 del 1982, che ha trovato conferma nel giudizio della Corte di Cassazione») perché «il ruolo» («che è un atto di esclusiva emanazione dell’amministrazione finanziaria») «ha la funzione di titolo esecutivo per esigere il diritto a percepire una somma di denaro, che si manifesta nei confronti del contribuente tramite la notifica della cartella di pagamento che viene emessa, invece, dal concessionario della riscossione»: «poiché con la sentenza n. 763/02/02 è stata annullata la cartella per vizio della relata di notifica, … non per questo può pretendersi … l’annullamento del carico fiscale di cui al ruolo emesso dall’amministrazione finanziaria, che … è perfettamente legittimo»; «conseguentemente, persistendo l’obbligazione tributaria e poiché nei termini per la notifica, bene ha fatto il concessionario a consegnare nuovamente la cartella di pagamento»;

– «la censura» di «immotivazione della cartella» è «infondata» in quanto «l’atto … contiene gli elementi essenziali per conoscere il carico fiscale» («ben noto alla … contribuente, poiché originato da un giudizio di Cassazione promosso dalla stessa parte e che l’ha vista soccombente»);

– «è inconferente nel caso … il richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 280 del … 2005, dato che la dichiarata incostituzionalità ha riguardato l’art. 25 del D.P.R. 1973 … n. 602, per le cartella di pagamento delle imposte liquidate ai sensi dell’art. 36 bis del D.P.R. 600 del 1973».

 

2.La D.P.censura la decisione con tre motivi:

(1) con il primo la contribuente denunzia «violazione o falsa applicazione degli artt. 10, 25, 26, 49 e 50 del D.P.R. n. 602/1973, dell’art. 21 del D.Lgs. n. 546/1992, degli artt. 475, 476 e 479 c.p.c., e dei principi che regolano il ruolo, la cartella di pagamento e la unicità dell’atto impositivo e del titolo esecutivo posto a base della riscossione», chiedendo, «a norma dell’art. 366-bis c.p.c.», di «valutare se … sia nulla o comunque illegittima la cartella di pagamento riemessa e rinotificata …in presenza del suo pregresso annullamento … sentenziato dal giudice tributario con statuizioni ancora cogenti rese in un antecedente processo tuttora pendente …, senza che il primo esemplare della stessa cartella sia mai stato annullato dal … concessionario e se, comunque, incorra nella violazione o falsa applicazione degli artt. 10, 25, 26, 49 e 50 del D.P.R. n. 602/1973, dell’art. 21 del D.Lgs. n. 546/1992, degli artt. 475, 476 e 479 c.p.c., e [dei] … principi giuridici che regolano il ruolo, la cartella di pagamento e la unicità dell’atto impositivo e del titolo esecutivo, la sentenza … che dichiari valida e legittima la suddetta cartella»;

(2) con l’altro motivo la ricorrente denunzia «insufficiente o contraddicono motivazione … sul fatto controverso e decisivo riguardante l’illegittima rinnovazione della cartella di pagamento in dispregio al suo annullamento giudiziale» nonché «violazione o falsa applicazione dell’art. 36 del D.Lgs. n. 546/1992, dell’art. 132 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c., e dell’art. 111 Cost.», sostenendo che l’affermazione del giudice di appello di «condivide(re) pienamente quanto statuito dai giudici di prime cure», con la sola aggiunta («aggiungendo solo») che «bene» avrebbe «fatto il concessionario a consegnare nuovamente la cartella di pagamento», è:

– «contraddittoria», laddove ritiene «legittima la nuova notificazione di un atto che nel contempo si ammette essere inesistente … perché già annullato dal … giudice»;

– «insufficiente», perché «non ha … spiegato gli specifici motivi sui quali avrebbe basato tale consenso» e non ha esplicitato «perché ha ritenuto prive di rilievo le opposte deduzioni» di essa «appellante».

In sintesi («agli effetti dell’art. 366-bis c.p.c.»), la ricorrente:

– afferma che «le sopra esposte considerazioni spiegano le ragioni per le quali la dedotta insufficienza di motivazione della sentenza gravata la rende inidonea a giustificare la decisione assunta sul fatto … riguardante l’arbitraria rinnovazione della cartella di pagamento in presenza del suo annullamento sentenziato dal giudice tributario in un … precedente processo»;

– chiede («quesito») “se … sia comunque nulla o illegittima, per la … violazione delle citate norme …, la sentenza di appello che sul predetto fatto controverso si sia limitata a richiamare … la pronuncia di primo grado dichiarando di condividerla …”;

(3) con l’ultima doglianza, la D.P. lamenta «violazione o falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, degli artt. 7 e 17 della legge n. 212/2000, e dell’art. 12 del D.P.R. n. 602/1973», nonché «insufficiente motivazione … sul fatto controverso e decisivo riguardante l’inadeguatezza della motivazione della cartella di pagamento», concluse con il «quesito»

se … sia nulla o comunque illegittima la cartella di pagamento totalmente priva di motivazione sia sulle ragioni della sua riemissione e rinotificazione in costanza del suo pregresso annullamento giudiziale, sia sugli estremi del precedente accertamento posto a suo preteso fondamento e se, comunque, incorra nella violazione o falsa applicazione” delle norme suddetta “la sentenza … che giudichi valida e legittima una siffatta motivazione della cartella”.

 

3. Il ricorso deve essere respinto.

A. L’infondatezza dei primi due motivi da scrutinare congiuntamente perché attinenti alla medesima questione – discende dal rilievo che (come pacifico) il giudice tributario ha dichiarato inesistente e/o nulla non già la cartella od il ruolo “individuale” in essa racchiuso ma soltanto la notificazione della stessa, ovverosia non l’atto (cartella di pagamento) in sé ma l’attività di trasmissione di tale atto al destinatario.

Questa Corte, invero (Cass., trib., 27 febbraio 2009 n. 4760), specificamente esaminando il “rapporto tra … notificazione e … atto notificando”, ha già chiarito (dopo ampia disamina delle conferenti disposizioni) che “la mancanza della notificazione di un atto amministrativo d’imposizione tributaria non influisce sulla sua esistenza” in quanto “gli atti amministrativi d’imposizione tributaria sono sottoposti ad un regime procedimentale, che, pur nelle sue peculiarità rispetto a quello generale dell’atto amministrativo, lascia ben distinta la fase di decisione, o di perfezione dell’atto, rispetto alla fase integrativa della sua efficacia”: il vizio della notificazione di un atto tributario, quindi (Cass., un., 5 ottobre 2004 n. 19854), determina solo la preclusione della “efficacia” del provvedimento ma non incide affatto sull’“esistenza” dello stesso, la quale non viene per nulla compromessa da quel vizio.

La precisazione della (apparentemente ovvia) differenza tra atto e sua notificazione, nel caso, assume univoco valore dirimente atteso che le argomentazioni svolte dalla ricorrente (per la quale: «la cartella … vale anche come notificazione del relativo ruolo che costituisce titolo esecutivo … e perciò, in quanto tale, non può essere duplicata al di fuori dei casi … previsti dall’art. 476 c.p.c.»; «l’espropriazione forzata richiede la valida esistenza del titolo esecutivo, costituito dal ruolo …, nonché la sua preventiva e rituale notificazione al debitore mediante la cartella di pagamento … che è appositamente abilitata … a valere “anche come notificazione del ruolo” … ossia quale notificazione del titolo esecutivo»; «finché pende l’originario giudizio … promosso dal debitore contro la prima cartella di pagamento e nell’ambito del quale quest’ultima è stata … annullata, il concessionario … è tenuto a rispettare la pronuncia di annullamento … senza potersi … arrogare il potere … di rinnovare e rinotificare … l’atto annullato dall’autorità giudiziaria»; «unica iniziativa perseguibile dal concessionario … per emendare errori commessi … non può che consistere nel preventivo annullamento della cartella impugnata … prima della decisione giudiziale») si fondano su di una inaccettabile unificazione dell’atto e della sua notificazione: il rinnovo solo della sua notifica, come intuitivo, non importa l’emissione di una “nuova” cartella di pagamento (essendo l’atto identico, come riconosce anche la contribuente), donde l’inconferenza del richiamo alla unicità ed alla non duplicabilità («è unico e non può essere duplicato») del «titolo esecutivo» di «diritto comune» perché tali caratteri non vengono disconosciuti né alterati dal mero rinnovo della (sola) notificazione, neppure per il titolo esecutivo detto.

B. La doglianza relativa all’assunta «inadeguatezza della motivazione» della cartella – per mancanza (“priva”) delle “ragioni della sua riemissione e rinotificazione in costanza del suo pregresso annullamento giudiziale” –, una volta esclusa (giusta le considerazioni innanzi esposte) la ravvisabilità, nel caso, di una “riemissione” della cartella stessa, non ha pregio atteso che, come la “notificazione” di un atto, anche la sua “rinotificazione” non richiede la presenza (quindi l’esplicazioni) di “ragioni” giustificative, discendendo le stesse dalla univoca, unica funzione svolta dalla notificazione, ossia (come detto) di portare l’atto nella sfera di conoscibilità del destinatario perché possa produrre gli effetti suoi propri (di cristallizzazione della pretesa tributaria per decorso dei termini di impugnazione o anche di sola provocatio ad opponendum).

 

4. Per la sua totale soccombenza la ricorrente, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., è tenuta a rifondere alle parti costituite le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate (nella misura indicata in dispositivo) tenuto conto del valore della controversia nonché dell’attività difensiva svolta dalle parti vittoriose.

Nessun provvedimento, invece, deve essere adottato in favore della spa Monte dei Paschi di Siena perché la stessa non ha svolto nessuna attività in sede di legittimità.

 

P.T.M. – La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alle controparti le spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 2.600,00 (duemilaseicento/00), di cui € 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge, in favore della spa GERIT, ed in € 4.000,00 (quattromila/00), oltre spese prenotate a debito, in favore dell’Agenzia.

 

II

 

Procedimento – Autotutela – Presupposti temporali per l’esercizio del relativo potere – Mancata formazione di un giudicato o mancata scadenza del termine decadenziale – Adozione di un nuovo avviso di accertamento in sostituzione di quello giudizialmente annullato – Preventivo annullamento del precedente atto viziato – Necessità.

Imposte e tasse – Autotutela – Presupposti temporali per l’esercizio del relativo potere – Mancata formazione di un giudicato o mancata scadenza del termine decadenziale – Adozione di un nuovo avviso di accertamento in sostituzione di quello giudizialmente annullato – Preventivo annullamento del precedente atto viziato – Necessità.

 

Il potere di autotutela tributaria ha come autonomo presupposto temporale la mancata formazione di un giudicato o la mancata scadenza del termine decadenziale fissato per l’accertamento, di talché l’esercizio di tale potere può avere luogo soltanto entro il termine previsto per il compimento dell’atto sostituito, non può tradursi nell’elusione o nella violazione del giudicato eventualmente formatosi sull’atto viziato, e l’adozione di un nuovo avviso di accertamento in sostituzione di quello annullato dalla Commissione tributaria deve essere preceduta dall’annullamento del primo, a tutela del diritto di difesa del contribuente ed in ossequio al divieto di doppia imposizione in dipendenza dello stesso presupposto.

 

[Corte di Cassazione, sez. VI (Pres. Cicala, rel. Iacobellis), 13 marzo 2013, ord. n. 6329]

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – La controversia promossa da M.T. contro l’Agenzia delle Entrate è stata definita con la decisione in epigrafe, recante il rigetto dell’appello proposto dalla Agenzia contro la sentenza della CTP di Agrigento n. 213/7/206 che aveva accolto il ricorso avverso l’avviso di accertamento n. … per iva e irap relative all’anno 1999. Il ricorso proposto si articola in due motivi. Nessuna attività difensiva ha svolto l’intimato. Il relatore ha depositato relazione ex art. 380-bis c.p.c. chiedendo l’accoglimento del ricorso. Il presidente ha fissato l’udienza del 13/2/2013 per l’adunanza della Corte in Camera di Consiglio. Il P.G. ha concluso aderendo alla relazione.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE – Con primo motivo la ricorrente assume la insufficiente motivazione della decisione che “si è limitata a un mero richiamo alle statuizioni contenute nella sentenza appellata senza alcuna confutazione specifica dei motivi di impugnazione articolati nell’atto di appello”. La censura è infondata in quanto il giudice di appello ha argomentato nel merito diffusamente a riguardo (v. pagg. 7, 8 e 9 della decisione) ritenendo la esistenza di “elementi indiziari semplici”.

Con secondo motivo la ricorrente assume la violazione e falsa applicazione degli artt. 43 D.P.R. n. 600/73, 57 del D.P.R. n. 633/72 e 2697 c.c. laddove ha ritenuto illegittimo il nuovo avviso di accertamento, sostitutivo di quello annullato dalla CTP.

La censura è fondata alla luce dei principi affermati da questa Corte con sentenza 22 febbraio 2002, n. 2531[1], secondo cui “il potere di autotutela tributaria ha come autonomo presupposto temporale uno dei due seguenti fatti: la mancata formazione di un giudicato o la mancata scadenza del termine decadenziale fissato per l’accertamento”; nonché, con la sentenza 20 novembre 2006, n. 24620[2], secondo cui “l’esercizio di tale potere (di autotutela tributaria) … può aver luogo soltanto … entro il termine previsto per il compimento dell’atto, non può tradursi nell’elusione o nella violazione del giudicato eventualmente formatosi sull’atto viziato, e dev’essere preceduto dall’annullamento di quest’ultimo, a tutela del diritto di difesa del contribuente ed in ossequio al divieto di doppia imposizione in dipendenza dello stesso presupposto”.

Consegue da quanto sopra la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto ed il rinvio, anche per le spese di questo grado, ad altra sezione della CTR della Sicilia.

La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio al giudice del merito, per le sue ulteriori valutazioni, sulla base del principio di diritto affermato e per la liquidazione delle spese.

 

P.Q.M. – Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo grado, ad altra sezione della CTR della Sicilia.

 

 

La notifica nulla o inesistente della cartella di pagamento può essere sempre rinnovata

 

1. Premessa

 

La sentenza che dichiari la nullità o l’inesistenza della notifica di una cartella di pagamento non preclude all’agente della riscossione la possibilità di rinnovare la notificazione della stessa, senza che sia necessario addurre, nella motivazione dell’atto, le ragioni giustificatrici della nuova notifica.

Sono queste, in estrema sintesi, le conclusioni alle quali è pervenutala Suprema Cortenella sentenza n. 16370/2012, la prima delle pronunce in rassegna.

Prima di svolgere qualsiasi considerazione introduttiva alla presente nota, è opportuno evidenziare che alle suddette conclusioni la Cortedi Cassazione è giunta sulla base dei principi affermati in un precedente arresto del 2009 (1), nel quale era stato indagato e chiarito il rapporto tra inesistenza (o, comunque, invalidità) della notificazione e inesistenza dell’atto notificando, avendo specifico riguardo agli «atti d’imposizione tributaria».

La sentenza n. 16370/2012 presenta, ad avviso di chi scrive, profili di evidente contrasto con altri fondamentali principi affermati dalla stessa Corte in precedenti occasioni, e ancora nella recente ordinanza n. 6329/2013, anch’essa in rassegna, ugualmente elaborati con riferimento, in generale, agli atti d’imposizione.

Ci è sembrato opportuno fare questa precisazione per fugare in limine ogni possibile dubbio sull’applicabilità anche alle cartelle di pagamento e, in generale, agli atti della riscossione, dei principi che assumiamo disattesi dal Supremo Collegio con la sentenza n. 16370.

In altri termini, se la Cortedi Cassazione, per pronunciarsi in materia di (ri)notificazione della cartella di pagamento, ha ritenuto di poter mutuare alcuni principi elaborati con specifico riferimento agli atti impositivi, ad altri principi elaborati nella stessa materia faremo riferimento noi per motivare le nostre obiezioni, non potendo rappresentare la natura dell’atto notificando (di riscossione piuttosto che di imposizione) ostacolo alle nostre argomentazioni, così come non lo è stato per quelle addotte dalla Corte.

 

2. La rinotificazione della cartella di pagamento viziata.

 

La vicenda processuale conclusa con la sentenza n. 16370/2012 traeva origine dal ricorso proposto da una contribuente avverso una cartella di pagamento «emessa per gli anni 1979-1980 … riguardante … iscrizione a ruolo a fronte di dichiarazione integrativa ex lege 7 agosto 1982, n. 516», nel quale si denunciava «l’inesistenza del presupposto della riscossione promossa con l’impugnata cartella (stante il suo precedente annullamento con sentenza n. 763/02/02)» e la «carenza di motivazione».

In quella vicenda, la Commissionetributaria provinciale rigettava il ricorso dell’intimata nel presupposto che il precedente annullamento della cartella di pagamento impugnata per «vizio della relata di notifica», deciso dalla stessa Commissione con sentenza del 2002, non intaccava la fondatezza della sottostante pretesa impositiva, né la legittimità della presupposta iscrizione a ruolo.

Anche l’appello proposto dalla contribuente veniva rigettato.

La preliminare eccezione dell’appellante, di violazione dell’art. 39 c.p.c. («omesso rispetto del principio del ne bis in idem»), veniva giudicata “insussistente” dal giudice di secondo grado nella considerazione che col precedente ricorso del 2002 era stata contestata esclusivamente l’invalidità della notificazione della cartella di pagamento, mentre col ricorso del 2003, concluso con la sentenza appellata, era stata contestata «l’insussistenza del presupposto impositivo per avvenuto annullamento del ruolo con la sentenza n. 763/02/02, nonché per carenza di motivazione».

Quanto al «merito della pretesa tributaria», la Commissione tributaria regionale affermava di «condividere pienamente quanto statuito dai giudici di prime cure» e, infine, giudicava infondata la censura di «immotivazione della cartella di pagamento», poiché «l’atto contiene
gli elementi essenziali per conoscere il carico fiscale (ben noto alla contribuente perché originato da un giudizio di Cassazione promosso dalla stessa parte e che l’ha vista soccombente)
».

Avverso la sentenza d’appello la contribuente proponeva ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di impugnazione.

Con il primo motivo denunciava violazione e falsa applicazione di norme di legge e dei «principi che regolano il ruolo, la cartella di pagamento e la unicità dell’atto impositivo e del titolo esecutivo posto a base della riscossione», chiedendo al Supremo Collegio di valutare se sia «nulla o comunque illegittima la cartella di pagamento riemessa e rinotificata … in presenza del suo pregresso annullamento … sentenziato dal giudice tributario con statuizione ancora cogente resa in un antecedente processo tuttora pendente …, senza che il primo esemplare della stessa cartella sia mai stato annullato dal concessionario».

Con il secondo motivo di ricorso si denunciava insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza d’appello sul «fatto controverso e decisivo riguardante l’illegittima rinnovazione della cartella di pagamento in dispregio al suo annullamento giudiziale», per avere la Commissione regionale semplicemente «richiamato la pronuncia di primo grado dichiarando di condividerla».

Con il terzo ed ultimo motivo la ricorrente denunciava la violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e degli artt. 7 e 17 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), chiedendo se sia «nulla o comunque illegittima la cartella di pagamento totalmente priva di motivazione sia sulle ragioni della sua riemessione e rinotificazione in costanza del suo pregresso annullamento giudiziale, sia sugli estremi del precedente accertamento».

 

3. Il responso della Corte

 

La Suprema Corte, con la sentenza n. 16370/2012, ha rigettato il ricorso della contribuente, con una motivazione che possiamo così sintetizzare.

I primi due motivi, scrutinati congiuntamente perché ritenuti «attinenti alla medesima questione» (sic!), sono stati giudicati infondati perché il giudice tributario, in precedenza, aveva dichiarato «inesistente e/o nulla non già la cartella od il ruolo individuale in essa racchiuso ma soltanto la notificazione della stessa», e dunque «non l’atto (cartella di pagamento in sé), ma l’attività di trasmissione di tale atto al destinatario».

In base ai principi stabiliti dalla citata pronuncia resa dalla
Cassazione n. 4760/2009, ha precisato il Supremo Collegio, si può concludere che il vizio della notificazione di un atto tributario determina solo la preclusione della “efficacia” del provvedimento, ma non incide affatto sulla “esistenza” dello stesso, che non viene per nulla compromessa da quel vizio.

La precisazione della differenza tra un atto e la sua notificazione, ha proseguito la Suprema Corte, assume «univoco valore dirimente» nel caso di specie, atteso che «le argomentazioni svolte dalla ricorrente … si fondano su di una inaccettabile unificazione dell’atto e della sua notificazione: il rinnovo solo della sua notifica, come intuitivo, non importa l’emissione di una nuova cartella di pagamento, donde l’inconferenza del richiamo alla unicità ed alla non duplicabilità del titolo esecutivo di diritto comune, perché tali caratteri non vengono disconosciuti né alterati dal mero rinnovo della (sola) notificazione, neppure per il titolo esecutivo detto».

Infondato è stato giudicato anche il terzo motivo del ricorso per cassazione, con cui si censurava l’inadeguatezza della motivazione della cartella di pagamento.

Secondo la Cortedi Cassazione, infatti, una volta esclusa la ravvisabilità, nel caso che qui occupa, di una “riemissione” della cartella di pagamento impugnata, non sussiste l’obbligo di fornire le ragioni giustificative della sua “rinotificazione” semplicemente perché tale obbligo non sussiste nemmeno per l’originaria notificazione, avendo tale attività l’unica ed univoca funzione di portare l’atto nella sfera di conoscibilità del destinatario perché possa produrre gli effetti suoi propri.

 

4. Le aberranti conseguenze di plurime rinotificazioni dello stesso atto

 

Alcuni dei principi di diritto affermati nella sentenza n. 16370/2012 riteniamo che non possano non essere condivisi. Invero, non ci sembra contestabile l’assunto secondo cui l’inesistenza o la nullità della notificazione di un atto tributario determini solo la «preclusione dell’efficacia del provvedimento» senza comprometterne in alcun modo l’esistenza.

Ugualmente condivisibile, a parere di chi scrive, è l’ulteriore affermazione secondo cui, non potendosi ravvisare alcuna unificazione tra l’atto d’imposizione e la sua notificazione, l’eventuale rinotificazione dello stesso non equivale all’emissione di un “nuovo atto”.

Molto meno condivisibile, tuttavia, è la conclusione a cui la Cortedi Cassazione è pervenuta applicando tali principi al caso di specie, nel quale ha ravvisato la legittimità della cartella di pagamento impugnata ed affermato che, sostanzialmente, sussisterebbe per l’ente impositore o per l’agente della riscossione la possibilità di rinotificare ad libitum gli atti di imposizione tributaria o della riscossione.

Nel caso concreto portato all’esame del Supremo Collegio, invero, si era verificata una circostanza che, seppur ripetutamente evidenziata dalla ricorrente, non sembra essere stata adeguatamente valorizzata dalla Corte, e cioè che la cartella di pagamento impugnata era già stata annullata dalla Commissione tributaria provinciale per «vizio della notifica» e, soprattutto, che il relativo giudizio risultava ancora pendente.

Non a caso la ricorrente, oltre ad eccepire la violazione dei «principi che regolano il ruolo, la cartella di pagamento e la unicità dell’atto impositivo e del titolo esecutivo posto a base della riscossione» e, dunque, l’illegittimità della cartella di pagamento “riemessa”, chiedeva che si valutasse se sia «nulla o comunque illegittima la cartella di pagamento riemessa e rinotificata … in presenza del suo pregresso annullamento … sentenziato dal giudice tributario con statuizione ancora cogente resa in un antecedente processo tuttora pendente …, senza che il primo esemplare della stessa cartella sia mai stato annullato dal concessionario».

A tale specifico quesito, tuttavia, non c’è stata una altrettanto specifica risposta della Corte, anzi, nella motivazione della sentenza n. 16370/2012 non si fa cenno alcuno al precedente annullamento deciso dal giudice tributario e alla pendenza del relativo giudizio (!).

Inadeguata, poi, ci sembra anche la risposta del Supremo Collegio al quesito se, nelle condizioni date (precedente sentenza di annullamento della cartella di pagamento per vizio di notifica e pendenza del relativo giudizio), l’atto rinotificato dovesse recare una motivazione, sia pure generica, sulle ragioni che avevano suggerito (rectius, imposto) la rinotificazione.

È probabile che la Suprema Corteabbia ritenuto di rispondere (implicitamente) anche ai suddetti quesiti con l’affermazione secondo cui il rinnovo della notificazione non importa l’emissione di un nuovo atto, tuttavia, ad avviso di chi scrive, le questioni da ultimo evidenziate sono rimaste comunque irrisolte o non adeguatamente risolte dalla sentenza n. 16370/2012.

Cominciamo dalla prima di tali questioni.

Sappiamo che in materia tributaria l’esercizio del potere di autotutela non incontra limiti se non nel termine decadenziale previsto per il compimento dell’atto e nel giudicato eventualmente formatosi sull’atto viziato, come ribadito pure dall’ordinanza n. 6329/2013 sopra riportata. Tuttavia, nelle varie occasioni in cui la Cassazioneha riconosciuto la legittimità di quel potere se esercitato entro i limiti indicati, ha contestualmente affermato il dovere dell’Amministrazione finanziaria di procedere al previo annullamento dell’atto sostituito o riemesso.

Già nella Cassazione n. 10650/1997 (2) si era affermato che «la sostituzione di un atto nullo con uno valido presuppone la caducazione d’ufficio del primo atto, e quindi la conclusione della controversia da esso sorta per cessazione della materia del contendere. Sono da ritenersi nulli gli atti impositivi rinnovati che non tengano conto del giudicato o che si affianchino all’atto originario, riproducendolo o modificandolo senza preventiva revoca del medesimo».

La Corte, evidentemente, già all’epoca immaginava le aberrazioni cui potrebbe dare luogo il mancato previo annullamento o ritiro (in autotutela) dell’atto viziato successivamente “riemesso”.

Non a caso, in un successivo arresto, i Supremi Giudici escludevano esplicitamente che l’Amministrazione potesse «reiterare il medesimo accertamento, per sanarne vizi reali o ipotetici … senza annullare il precedente, giacché questo comporta la presenza contemporanea di più atti di imposizione aventi come contenuto il medesimo credito tributario, ciò che è intrinsecamente contraddittorio, gravemente lesivo delle ragioni di difesa del contribuente, ed espressamente vietato dall’art. 67 d.P.R. n. 600/1973 cit. (divieto di plurima imposizione in dipendenza dello stesso presupposto)» (3).

Ora ben comprendiamo che la Suprema Corte, nella prima delle due pronunce in commento, ha tentato di prevenire tali obiezioni affermando che la rinotificazione di un atto non equivale a riemissione dello stesso, e dunque, aggiungiamo noi, che la rinotificazione di un atto non implicherebbe la «violazione del divieto di plurima imposizione».

È altrettanto vero, però, che nel riconoscere la legittimità della cartella di pagamento impugnata, la Cortenon si è minimamente preoccupata del fatto che, all’esito del giudizio (ancora pendente) in cui era stata contestata la nullità della notifica della medesima cartella di pagamento, la contribuente potrebbe trovarsi esposta al rischio di una doppia esecuzione forzata.

Come spesso accade, le belle affermazioni di principio non tengono adeguatamente conto di quello che accade nella realtà fattuale.

Ha un bel dire la Corteche i caratteri della unicità e non duplicabilità del titolo esecutivo non vengono disconosciuti né alterati dal «mero rinnovo della sola notificazione» della cartella di pagamento, ma cosa succederà se, dopo avere iniziato l’esecuzione forzata a seguito della sentenza n. 16370/2012, l’agente della riscossione dovesse risultare vincitore anche nel giudizio ancora pendente e dovesse procedere ad ulteriore esecuzione forzata?

Non ci sembra inutile sottolineare che si tratta di un’eventualità tutt’altro che remota e che la cronaca racconta di tanti casi di doppia riscossione in forza di un unico atto impositivo o di una doppia esecuzione in forza di un’unica cartella di pagamento.

Per non dire dell’eventualità, meno grave negli effetti ma non proprio trascurabile, che un processo parallelo, relativo alla medesima cartella di pagamento, continuerà a pendere da qualche parte e magari arriverà davanti alla stessa Corte di Cassazione, con ogni implicazione, anche in termini di maggiori oneri, tanto per il contribuente quanto per la parte pubblica.

Ma ai Supremi Giudici, evidentemente, quelle possibili (aberranti) conseguenze poco interessano: il contribuente, se vorrà, avrà diritto di opporsi all’ulteriore esecuzione e non importa se resterà ancora invischiato, chissà per quanto tempo, in un contenzioso tributario relativo a un debito risalente agli anni d’imposta 1979 e 1980, così come non importa l’esito, tutt’altro che scontato, che potrà avere detto contenzioso.

Di qui la nostra obiezione alla sentenza n. 16370/2012, e cioè che la non ravvisabilità di una “riemissione” dell’atto nei casi di semplice “rinotificazione” dello stesso non è sufficiente per non imporre, anche in tali casi, il previo annullamento dell’atto precedentemente notificato, comela Corte di Cassazione ha sempre stabilito in passato (4), e ribadito finanche successivamente (pure con l’annotata ordinanza n. 6329/2013), proprio allo specifico fine di evitare ogni possibile abuso in danno del contribuente.

Passiamo alla seconda questione.

Come abbiamo già evidenziato, anche la risposta al quesito della ricorrente se l’atto rinotificato dovesse o meno recare una motivazione sulle ragioni che ne avevano imposto la rinotificazione, ci sembra inappagante.

In linea di principio, l’assunto secondo cui la rinotificazione di un atto, non equivalendo a “riemissione” dello stesso, «non richiede la presenza di ragioni giustificative», appare del tutto condivisibile.

Non c’è dubbio, infatti, che la notificazione di un atto si giustifica con l’unica ed univoca funzione dell’attività notificatoria di «portare l’atto nella sfera di conoscibilità del destinatario perché possa produrre gli effetti suoi propri» e che, pertanto, anche la “rinotificazione” di quell’atto non necessita di specifiche motivazioni.

Anche a tale riguardo, però, quando si passa dalla teoria alla pratica, dai principi al caso concreto, la soluzione proposta può rivelarsi inadeguata.

Nel caso deciso dalla sentenza n. 16370/2012, l’agente della riscossione era ben consapevole di procedere alla rinotificazione della cartella di pagamento per evitare che i vizi che affliggevano la precedente notifica, la sussistenza dei quali era già stata accertata dal giudice tributario, potessero definitivamente compromettere il recupero del credito erariale.

Comportamento legittimo e, aggiungiamo noi, quanto mai doveroso.

Ciò nondimeno, possiamo davvero ritenere, come ha fatto la Corte, che poiché si era proceduto alla mera rinotificazione dell’atto non si dovesse spiegare al contribuente che la stessa veniva eseguita per “ovviare” ai vizi della precedente notifica?

Probabilmente la “ragion di stato” (ma forse dovremmo chiamarla “ragion di cassa”) ha fatto dimenticare (per l’ennesima volta) alla Corte di Cassazione che esiste uno Statuto dei diritti del contribuente, il cui art. 10 prevede espressamente che i rapporti tra Amministrazione finanziaria e contribuente devono essere improntati al principio di collaborazione e buona fede.

Ma, se non in ossequio a tale principio generale dell’ordinamento tributario, il dovere di spiegare «le ragioni giustificatrici della rinotificazione» certamente sussisteva per consentire alla contribuente di spendere nel procedimento (ancora pendente) in cui aveva contestato i vizi della prima notifica il riconoscimento della loro esistenza da parte dello stesso agente della riscossione.

Tale riconoscimento, riteniamo, le avrebbe consentito quanto meno di ottenere una pronuncia favorevole in quel giudizio e di evitare, in caso contrario, il rischio di subire una seconda esecuzione forzata per lo stesso identico titolo esecutivo.

 

5. Considerazioni conclusive

 

Quali insegnamenti possiamo trarre, in conclusione, dalle pronunce in commento e, in particolare, dalla sentenza n. 16370/2012?

Che la rinotificazione di un atto non equivale a riemissione dell’atto stesso e, per tale ragione, non viola il «divieto di plurima imposizione in dipendenza dello stesso presupposto», né necessita di giustificazione alcuna.

Poiché, tuttavia, in caso di rinotificazione di un atto non sembra (o, comunque, nella prima delle annotate pronunce non si è voluto affermare) che sussista l’obbligo di procedere al previo annullamento dello stesso atto «invalidamente notificato», dobbiamo accettare l’idea che si verifichi una situazione di questo tipo: l’ente impositore o l’agente della riscossione notificano un atto, il contribuente lo impugna eccependo l’inesistenza della notifica e l’emittente procede alla rinotificazione dello stesso. Siccome non è escluso che anche la rinotificazione di quell’atto sia affetta da inesistenza o, comunque, che il suo destinatario tale vizio intenda contestare ed impugni nuovamente l’atto, penderanno due processi (e non si può escludere che siano anche più di due), ai quali si aggiungerà, con molta probabilità, il processo nel quale il suddetto destinatario contesterà l’avversa pretesa anche nel merito.

È davvero accettabile un’eventualità di questo tipo? E se non si ritiene che la pendenza di più giudizi per lo stesso atto sia così inaccettabile (a nostro avviso una vera iattura), si può accettare che l’intimato, ove risulti soccombente in tutti i processi, corra il rischio di subire plurime esecuzioni forzate?

Noi pensiamo di no, e siamo sicuri che anchela Suprema Cortela pensi allo stesso modo, come infatti dimostra la successiva ordinanza n. 6329/2013. Peccato, però, che la sentenza n. 16370/2012 ha invece totalmente ignorato quel rischio.

 

Dott. Domenico Carnimeo

 

(1) Cfr. Cass., sez. trib., 27 febbraio 2009, n. 4760, inBoll. Trib. On-line.

(2) Ossia Cass., sez. I, 29 ottobre 1997, n. 10650, inBoll. Trib., 1999, 1235.

(3) Così Cass., sez. trib., 19 marzo 2002, n. 3951, inBoll. Trib., 2003, 869.

(4) Si veda in tal senso Cass., sez. trib., 20 novembre 2006, n. 24620, inBoll. Trib. On-line.



[1] In Boll. trib., 2002, 1101.

[2] In Boll. trib. On-line.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *