Procedimento – Commissioni – Sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata innanzi alla Corte di Cassazione – Potere cautelare ex art. 373 c.p.c. – Sussiste – Valutazione rigorosa dei requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora – Necessita.
Anche al ricorso per cassazione avverso una sentenza delle Commissioni tributarie regionali si applica la disposizione di cui all’art. 373, primo comma, secondo periodo, c.p.c., giusta la quale «il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione», con la precisazione però che la specialità della materia tributaria e l’esigenza che sia garantito il regolare pagamento delle imposte impongono una rigorosa valutazione dei requisiti del fumus boni iuris dell’istanza cautelare e del periculum in mora.
[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Merone, rel. Botta), 24 febbraio 2012, sent. n. 2845, ric. Richard Ginori 1735 s.p.a. c. Agenzia delle entrate]
(Omissis). MOTIVAZIONE – (Omissis). Pertanto il ricorso avverso la sentenza di merito deve essere rigettato.
[-protetto-]
(Omissis). Può essere esaminato, quindi, il ricorso proposto dall’amministrazione avverso il provvedimento con il quale il giudice tributario d’appello, in applicazione dell’art. 373 c.p.c., aveva disposto la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza dal medesimo giudice pronunciata. Con l’unico motivo di ricorso l’amministrazione denuncia la violazione del combinato disposto dell’art. 373 c.p.c. e degli artt. 1, comma 2, 49 e 68 D.Lgs. n. 546 del 1992, evidenziando il carattere abnorme del provvedimento adottato dal giudice tributario in carenza di potere.
È evidente che, una volta rigettato il ricorso per cassazione avverso la sentenza di merito, che aveva costituito la ragione fondante del provvedimento di sospensione, il ricorso avverso quest’ultimo provvedimento non sia più sorretto da interesse e ne vada dichiarata conseguentemente l’inammissibilità.
È, tuttavia, opinione del collegio che la rilevanza della questione di diritto sollevata con il ricorso, e concernente l’applicabilità nel processo tributario della disposizione di cui al comma 1 dell’art. 373 c.p.c., imponga comunque una pronuncia sulla questione medesima ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c.
In ordine alla soluzione del problema dell’applicabilità nel processo tributario delle disposizioni di cui all’art. 373 c.p.c., si presenta utile il rinvio a quanto affermato dalla Corte costituzionale in proposito. Il giudice delle leggi, nell’escludere il denunciato vizio di legittimità costituzionale delle disposizioni di cui agli artt. 47 e 49, D.Lgs. n. 546 del 1992, hastabilito che «la garanzia costituzionale della tutela cautelare debba ritenersi imposta solo fino al momento in cui non intervenga, nel processo, una pronuncia di merito che accolga – con efficacia esecutiva – la domanda, rendendo superflua l’adozione di ulteriori misure cautelari, ovvero la respinga, negando in tal modo, con cognizione piena, la sussistenza del diritto e dunque il presupposto stesso della invocata tutela. Con la conseguenza che la previsione di mezzi di tutela cautelare nelle fasi di giudizio successive a siffatta pronuncia, in favore della parte soccombente nel merito, deve ritenersi rimessa alla discrezionalità del legislatore». Sicché deve «escludersi che le norme denunciate siano in contrasto con l’art. 24 Cost., nella parte in cui non consentono alla commissione tributaria regionale, in caso di rigetto totale o parziale del ricorso del contribuente, l’adozione di misure cautelari intese ad impedire, in pendenza del ricorso per cassazione o del ricorso alla commissione tributaria centrale, l’esecuzione della pretesa tributaria oggetto del giudizio, nei limiti fissati dalla sentenza impugnata». Né può ritenersi sussistente la asserita disparità di trattamento tra le controversie in materia di imposte e tasse devolute alla cognizione del giudice ordinario, nelle quali sarebbe possibile sospendere, ai sensi dell’art. 373 del codice di procedura civile, l’esecuzione della sentenza d’appello in pendenza del ricorso per cassazione, e le controversie, nelle stesse materie, attribuite alla giurisdizione delle commissioni tributarie, per le quali tale possibilità di sospensione non è prevista. La censura, investendo la differente latitudine dei poteri del giudice nel processo civile e nel processo tributario, si pone in aperta contraddizione con la giurisprudenza di questa Corte che ha costantemente escluso l’esistenza di un principio (costituzionalmente rilevante) di necessaria uniformità tra i vari tipi di processo». In conclusione, ha affermato il giudice delle leggi, «la scelta di non estendere la tutela cautelare, nel processo tributario, ai gradi di giudizio successivi al primo appare, anche con riferimento al parametro di cui all’art. 3 della Costituzione, legittimo esercizio di discrezionalità legislativa e si sottrae, perciò stesso, alla censura di incostituzionalità» (così Corte cost. sent. n. 165 del 2000[1]).
Queste conclusioni sono state successivamente confermate dalla stessa Corte costituzionale con le ordinanze 19 giugno 2000, n. 217[2], 27 luglio 2001, n. 325[3], 3 luglio 2002, n. 310[4], e infine con l’ordinanza 5 aprile 2007 n. 119[5], la quale, tuttavia, concernendo l’ipotesi della sospensione in pendenza di appello, ha affermato che, nel caso di specie, «oggetto del provvedimento di sospensione non potrebbe mai essere la sentenza che ha respinto l’impugnazione, bensì semmai il provvedimento impositivo la cui impugnazione è stata rigettata in primo grado».
In un più recente intervento, la Cortecostituzionale, occupandosi ancora una volta della sospettata illegittimità costituzionale dell’art. 49, D.Lgs. n. 546 del 1992 inragione della ritenuta inapplicabilità dell’art. 373 c.p.c. nel processo tributario, ha dichiarato inammissibile la questione per tre ordini di ragioni, la prima delle quali per non aver il rimettente esperito, nonostante la mancanza di un diritto vivente sul punto, «alcun tentativo di interpretare la disposizione censurata nel senso che essa consenta l’applicazione al processo tributario della sospensione cautelare prevista dall’art. 373 c.p.c., con conseguente insussistenza del prospettato contrasto con gli evocati parametri costituzionali» (Corte cost. sent. 17 giugno 2010, n. 217[6]). Il giudice a quo, rileva il giudice delle leggi, «muove da due premesse interpretative: una, esplicita, per la quale la denunciata disposizione vieta espressamente l’applicazione, nel processo tributano, della sospensione cautelare di cui al citato art. 373 c.p.c.; l’altra, implicita, per la quale, ove si potesse prescindere dal denunciato comma 1 dell’art. 49 del d.lgs. n. 546 del 1992, la menzionata sospensione cautelare sarebbe pienamente compatibile con la complessiva disciplina del processo tributario. La prima di tale premesse, tuttavia, non è argomentata in alcun modo dal giudice rimettente, il quale, al riguardo, si limita a richiamare genericamente la “giurisprudenza assolutamente prevalente” e ad affermare, altrettanto genericamente, che tale interpretazione della disposizione censurata deriverebbe, secondo una “fedele applicazione delle regole ermeneutiche”, dal divieto di estendere al processo tributario l’art. 337 c.p.c. il quale richiama, appunto, l’art. 373 dello stesso codice. Il rimettente, pertanto, omette di valutare se la disposizione denunciata sia interpretabile diversamente. Non tiene conto, infatti, che:
a) non v’è, in proposito, alcuna pronuncia della Corte di Cassazione, ma solo contrastanti orientamenti della giurisprudenza di merito, che non assurgono a diritto vivente;
b) il contenuto normativo dell’art. 337 c.p.c. (inapplicabile al processo tributario, per l’espresso disposto della norma censurata) è costituito da una regola (“L’esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell’impugnazione di essa”) e da una eccezione alla stessa regola (“salve le disposizioni degli artt. […] 373 […]”);
c) l’art. 373 consta anch’esso, al primo comma, di una regola (primo periodo: “Il ricorso per cassazione non sospende l’esecuzione della sentenza”) e di una eccezione (secondo periodo: “Tuttavia il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno, dispone con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione”);
d) l’inapplicabilità al processo tributario – in forza della disposizione censurata – della regola, sostanzialmente identica, contenuta nell’art. 337 c.p.c. e nel primo periodo del primo comma dell’art. 373 dello stesso codice, non comporta necessariamente l’inapplicabilità al processo tributario anche delle sopraindicate “eccezioni” alla regola e, quindi, non esclude di per sé la sospendibilità ope iudicis dell’esecuzione della sentenza di appello impugnata per cassazione. Da tale possibile interpretazione, alternativa a quella immotivatamente adottata dal rimettente, conseguirebbe che il comma 1 dell’art. 49 del d.lgs. n. 546 del 1992 non costituisce ostacolo normativo ad applicare al processo tributario l’inibitoria cautelare di cui all’art. 373 c.p.c. e che, pertanto – nella stessa prospettiva del giudice a quo, il quale ritiene l’art. 373 c.p.c. astrattamente compatibile con il processo tributario –, la sollevata questione sarebbe irrilevante. Il mancato tentativo di una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione denunciata si risolve, dunque, nella carenza di motivazione sulla rilevanza della questione e nella conseguente inammissibilità della questione medesima» (Corte cost. sent. n. 217 del 2010).
Alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale sembra necessario riflettere sulla circostanza che l’art. 373 c.p.c. è norma specifica per il ricorso per cassazione, rispetto al quale, per quanto riguarda il processo tributario, l’art. 62, D.Lgs. n. 546 del 1992 stabilisce che «al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal c.p.c. in quanto compatibili con quelle del presente decreto». Sicché la valutazione da fare è se la predetta disposizione sia compatibile con le norme del decreto n. 546 del1992, inparticolare con l’art.49. Inquesta prospettiva, alcuna incompatibilità può riscontrasi tra la disposizione di cui all’art. 373, comma 1, secondo periodo, c.p.c. e le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992 e in particolare con l’art. 49, il quale si riferisce all’inapplicabilità della regola generale stabilita con formulazione sostanzialmente identica dall’art. 335 e dall’art. 373, comma 1, primo periodo, c.p.c.
Quella stabilita dall’art. 373, comma 1, secondo periodo, c.p.c. è una eccezione alla regola generale (stabilita del primo periodo dello stesso comma) ed è una eccezione propria del ricorso per cassazione, come tale applicabile anche per quanto riguarda il ricorso per cassazione avverso una sentenza delle Commissioni Tributarie Regionali, non essendo prevista, in questo caso, alcuna speciale e diversa disciplina per il ricorso per cassazione. Si tratta di una interpretazione costituzionalmente orientata del combinato disposto di cui agli artt. 49 e 62 D.Lgs. 546 del 1992 e all’art. 373 c.p.c. perché elimina in radice una possibile discriminazione irragionevole ristabilendo, per quanto riguarda il ricorso per cassazione avverso una sentenza delle Commissioni Tributarie Regionali la garanzia costituzionale della tutela cautelare, in un senso non difforme da quella che è assicurata rispetto al ricorso per cassazione avverso qualsiasi altra sentenza. Tuttavia, non può sfuggire all’interprete quali siano le inderogabili esigenze di un necessario bilanciamento degli interessi in gioco, che nel caso della materia tributaria vedono contrapposti, da un lato, l’interesse del contribuente a non subire un danno irreparabile in conseguenza del pagamento di un tributo, che potrebbe alla fine essere giudicato come non dovuto, e, dall’altro, l’interesse dello Stato al regolare pagamento dei tributi e alle esigenze di tutela del bilancio. Tale situazione impone che i requisiti del fumus boni iuris dell’istanza cautelare e il periculum in mora, che possono giustificare l’adozione di un provvedimento di sospensione ex art. 373, comma 1, secondo periodo, c.p.c., debbano essere valutati con particolare rigore.
Sicché deve essere pronunciato il seguente principio di diritto: «Al ricorso per cassazione avverso una sentenza delle Commissioni Tributarie Regionali si applica la disposizione di cui all’art. 373, comma 1, secondo periodo, c.p.c. giusta la quale “il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione”. La specialità della materia tributaria e l’esigenza che sia garantito il regolare pagamento delle imposte impone una rigorosa valutazione dei requisiti del fumus boni iuris dell’istanza cautelare e del periculum in mora.»
Pertanto deve essere rigettato il ricorso avverso la sentenza di merito e va dichiarato inammissibile il ricorso avverso il provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva della predetta sentenza. La particolarità della vicenda e la sostanziale novità delle questioni giustificano la compensazione delle spese della presente fase del giudizio.
P.Q.M. –La Corte Suprema di Cassazione riunisce al ricorso RG. 20805/10 il ricorso RG. 217/11. Rigetta il primo e dichiara inammissibile il secondo. Compensa le spese.
L’efficacia della sentenza della Commissione tributaria regionale impugnata con ricorso
per cassazione può essere sospesa dalla stessa Commissione.
Ultimo atto:la Cortedi Cassazione avalla
Osservata con gli occhi del poi, assume sempre più i contorni della mossa decisiva in vista di una svolta epocale quella sentenza (non così lontana nel tempo) della Corte Costituzionale 17 giugno 2010, n. 217 (1), che, demolendo una convinzione dura a morire, ha aperto alla possibilità di sospendere l’efficacia della decisione tributaria impugnata in ultimo grado avanti il giudice della legittimità. Già all’epoca il verdetto è apparso come un profondo revirement, tanto più gradito in quanto inatteso, essendo stato a lungo invocato e altrettanto fermamente osteggiato con obiezioni di pura forma e di irritante inattualità (in un cielo, è bene ricordarlo, rischiarato da sporadiche prese di posizione, per ciò solo assai coraggiose) (2).
La decisione in commento, che a tale premessa ha dato seguito nel concreto del diritto vivente, chiude coerentemente il cerchio (e aggiungerei definitivamente, se il corso delle cose umane obbedisse senza cedimenti ai postulati della logica) (3).
La Sezione tributariaha infatti sancito – a completamento dell’operazione e attraverso una lettura costituzionalmente allineata del referto normativo, facendo spazio cioè a quel riscontro preliminare che, in tutte le ordinanze di remissione, è sempre mancato, portando alla loro reiezione – che la tutela cautelare è valore cardine del sistema e che i due interessi contrapposti (quello del privato a non vedere pesantemente inciso e irrimediabilmente depauperato il proprio patrimonio prima di un verdetto definitivo che potrebbe anche riconoscerlo come vincitore, da un lato, e quello della mano pubblica al puntuale assolvimento degli obblighi contributivi, dall’altro) possiedono uguale dignità, pur con i dovuti distinguo e nelle scontate proporzioni.
Rimetto il lettore interessato a ricostruire nei dettagli le tappe di questo tormentato percorso ai numerosi scritti, qualificati quanto esaurienti, pubblicati su queste colonne (4). Mi limito a sottolineare lo spessore degli ultimi passaggi del risalente iter, avviato l’indomani stesso dell’entrata in vigore di quell’art. 47 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, recante la riforma del processo tributario, che introduceva, in un ordinamento storicamente (e direi culturalmente) sbilanciato a favore dell’erario, la facoltà per i contribuenti di chiedere al giudice naturale del merito l’adozione di una misura interinale affidata al duplice presupposto dell’apparente bontà degli argomenti affacciati (il fumus boni iuris) e della gravità e irreversibilità del danno procurato dall’immediata esecuzione del provvedimento censurato (il periculum in mora).
Non a caso il testo della decisione sotto esame prende l’abbrivo da quel fatidico giro di boa, ricucendo i fili della lucida tessitura ivi svolta, estraendone autorevoli indicazioni sul fronte comportamentale e sottoponendo ad una disamina governata da queste ultime la specifica realtà condotta al vaglio dei collegi preposti al merito. È a costoro, infatti, che il giudice delle leggi ha rimesso il compito di verificare se, ad una lettura consona con i paradigmi della suprema carta, sia data, in caso di adizione dell’ultimo grado di giudizio avanti la Cortedi Cassazione, la possibilità, per il giudice a quo (leggi: per la commissione tributaria regionale), di essere legittimamente attivata ai sensi dell’art. 373, primo comma, c.p.c., che recita: «Il ricorso per cassazione non sospende l’esecuzione della sentenza. Tuttavia il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che la esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione».
L’insegnamento impartito nella circostanza dai giudici di Palazzo della Consulta è stato talmente approfondito, e insieme di così alta levatura, da sgombrare il campo da qualsiasi refolo di resistenza e da tracciare una linea maestra – ci ritornerò a breve – anche per ulteriori situazioni simili che avessero a prodursi in avvenire. Resta certo che, d’ora in poi, le Commissioni regionali non possono ignorare che la sospendibilità delle sentenze da loro stesse deliberate, e medio tempore impugnate con ricorso per cassazione, costituisce un dato del sistema e che nulla osta a che esse, a ciò espressamente stimolate, verifichino i requisiti per la concessione della misura inibitoria (5). Esattamente come capita, mutatis mutandis, alle Commissioni provinciali alla stregua del citato art. 47.
Infatti la più volte citata sentenza della Corte Costituzionale n. 217/2010 – dopo avere solennemente catechizzato l’organo rimettente, colpevole di avere dichiarato, in premessa, di ritenersi condizionato da un consolidato orientamento giurisprudenziale ostile ad ogni apertura, posizione erronea perché «non v’è, in proposito, alcuna pronuncia della Corte di Cassazione, ma solo contrastanti orientamenti della giurisprudenza di merito, che non assurgono a diritto vivente» – ha smontato, e subito rimontato, gli ingranaggi del meccanismo che presiede alla questione.
Rivediamolo, questo meccanismo, perché, come detto, è grazie a quella presa di posizione (e alla sentenza odierna che le ha tenuto dietro) che i giudici di merito devono considerare come strumento appartenente al loro bagaglio di competenze (quindi potenzialmente promuovibile dal contribuente) la sospendibilità di tutte le decisioni emanate prima del passaggio in giudicato. Regola a valere, oggi, in tutte le varianti concepibili: oltre che per la sospensione dell’efficacia del provvedimento lesivo da parte del giudice di primo grado (art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992) e per la sospensione dell’efficacia della sentenza di secondo grado, una volta impugnata avantila Cortedi Cassazione, da parte dello stesso giudice emittente (combinato disposto dell’art. 49 del D.Lgs. n. 546/1992 e degli artt. 337 e 373 c.p.c.), anche – lo vedremo subito – per la situazione che si colloca come intermedia nella scaletta temporale, cioè la sospensione dell’efficacia della sentenza di primo grado da parte del giudice dell’appello, terza delle tre ipotesi prospettabili (quest’ultima in virtù del combinato disposto dell’art. 49 del D.Lgs. n. 546/1992 e degli artt. 337 e 283 c.p.c.).
Il ragionamento seguito dalla Corte Costituzionale, pedissequamente ripreso dalla Sezione tributaria, è il seguente: a) l’art. 49 del D.Lgs. n. 546/1992 prevede, tra l’altro, che dal novero delle norme applicabili alle impugnazioni delle sentenze delle Commissioni tributarie sia espunto l’art. 337 c.p.c.; vediamolo dunque questo art. 337, scoprendo così che b) al suo primo comma esso contiene due proposizioni, l’una («L’esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell’impugnazione di essa») a valere come regola, l’altra («salve le disposizioni degli articoli 283, 373») a valere come eccezione; c) identica è l’impostazione dell’art. 373 c.p.c., strutturato anch’esso in una regola («Il ricorso per cassazione non sospende l’esecuzione della sentenza») e in una eccezione («Tuttavia il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che la esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione»); d) la disamina corretta, formulata dalla Corte Costituzionale con la sua sentenza interpretativa di rigetto, è questa: l’art. 49 bandisce dal rito tributario solo le due regole portanti dell’art. 337 e dell’art. 373, ma non esclude affatto la praticabilità delle rispettive eccezioni, le quali dunque sono perfettamente applicabili alla procedura di interesse, dovendosi ritenere favorevolmente superato, senza forzature né acrobazie, lo sbarramento costituito dall’art. 62 del D.Lgs. n. 546/1992, alla cui stregua «al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto».
In altre parole, in un sistema come il vigente, dove solo il primo segmento del giudizio è coperto dal vincolo costituzionale di garantire la tutela cautelare mentre da lì in avanti, cioè dopo il deposito della decisione di merito (benché non definitiva), siffatta tutela non è più assicurata dal dettato costituzionale ma è rimessa alla discrezione del legislatore ordinario (6), dove dunque quest’ultimo è eletto ad arbitro delle scelte, il nodo della questione si sposta recisamente sul fronte della compatibilità in parte qua dei due riti, tracciati l’uno dal D.Lgs. n. 546/1992 e l’altro dal codice processuale civile.
Ad avvenuta rimozione in senso positivo di quest’ultimo ostacolo per mano della Corte Costituzionale, alla Suprema Corte non è rimasto che tirare le fila, riconoscendo l’ammissibilità della fase cautelare in tutt’e tre i gradi di giudizio (il primo, avanti e a cura delle commissioni tributarie provinciali; il secondo, avanti e a cura delle commissioni tributarie regionali; il terzo, di legittimità, avanti la stessa Corte ma a cura della commissione tributaria regionale emanante) (7). Ammissibilità beninteso ancora astratta, perché tocca al giudice tributario accertare se della sospensione ricorrono le condizioni concrete, identiche nei tre casi.
Per completare il quadro e per dare spiegazione di un accenno fatto sopra a volo d’uccello, va ribadito che anche le sentenze licenziate dalle commissioni tributarie provinciali sono soggette al regime illustrato, per la semplice (e nondimeno risolutiva) ragione che l’iter argomentativo svolto nella citata sentenza n. 217/2010 è piegabile ad esse senza alcun intoppo logico, solo sostituendo – nell’articolazione del ragionamento – all’art. 373 c.p.c., relativo alla Sospensione dell’esecuzione [della sentenza d’appello impugnata con ricorso per cassazione], il precedente art. 283, relativo ai Provvedimenti sull’esecuzione provvisoria in appello [della sentenza di merito di primo grado impugnata in secondo].
Restano da decifrare le modalità procedurali da seguire per incardinare il giudizio cautelare.
Nulla quaestio per il primo grado, normato direttamente e senza contaminazioni dal più volte citato art. 47.
Quanto agli altri due, pur consapevole delle differenze esistenti fra i diversi dettati (più che altro sfumature, ma non irrilevanti), ritengo che, dopo il primo grado, le regole da applicare siano quelle enunciate dal codice di rito civile. Cioè rispettivamente:
– per l’appello promosso avanti la commissionetributaria regionale, l’art. 283 c.p.c., in forza del quale «Il giudice dell’appello, su istanza di parte, proposta con l’impugnazione principale o con quella incidentale, quando sussistono gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti, sospende in tutto o in parte l’efficacia esecutiva o l’esecuzione della sentenza impugnata [di prime cure], con o senza cauzione» (8), non escluso il secondo comma, che ora recita: «Se l’istanza prevista dal comma che precede è inammissibile o manifestamente infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10.000. L’ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio» (9);
– per l’impugnazione avanti la Suprema Corte(ove, si ripete, la differenza più rilevante tocca il profilo della competenza ed è data dalla coincidenza fra organo emanante la decisione di cui si invoca la sospensione e organo giudicante sull’istanza cautelare, sempre trattandosi della commissione tributaria regionale), l’art. 373 c.p.c., in forza del quale la Commissionetributaria regionale, adita con istanza di parte contenuta in «apposito ricorso», «può … disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione» (primo comma, in fine), con la precisazione che «il presidente del collegio, con decreto in calce al ricorso, ordina la comparizione delle parti … dinanzi al collegio in camera di consiglio. Copia del ricorso e del decreto sono notificate al procuratore dell’altra parte, ovvero alla parte stessa, se questa sia stata in giudizio senza ministero di difensore o non si sia costituita nel giudizio definito con la sentenza impugnata. Con lo stesso decreto, in caso di eccezionale urgenza può essere disposta provvisoriamente [dal presidente del collegio] l’immediata sospensione dell’esecuzione» (secondo comma) (10).
Avv. Valdo Azzoni
(1) In Boll. Trib., 2010, 1150, con nota di v. azzoni, Un passo avanti verso la completa tutela del contribuente anche in fase cautelare. Il giudice delle leggi ha poi ribadito l’assunto (ripercorrendone argomentazioni e sviluppo logico) con la sentenza (di non fondatezza) del 26 aprile 2012, n. 109, in Boll. Trib., 2012, 1034, con nota di v. azzoni, La Consulta ribadisce l’ammissibilità della tutela cautelare nei giudizi tributari d’impugnazione.
(2) Cfr. Comm. trib. reg. del Lazio, sez. XIV, 7 ottobre 2009, n. 320, inBoll. Trib., 2010, 650, con nota favorevole di g. palma, Sull’applicabilità di strumenti di sospensione cautelare nei gradi del giudizio tributario successivi al primo.
(3) Apprezzabile il circuito virtuoso che si è innescato nella circostanza, dove un comune intento operoso ha congiurato positivamente per la quadratura del cerchio che oggi possiamo registrare. Infatti: a) la Corte Costituzionale, in fondo, non era tenuta ad indicare analiticamente – come viceversa ha fatto nella citata sentenza n. 217/2010 – la strada maestra, ben potendosi limitare a rilevare l’omissione commessa dal giudice rimettente, carente nel verificare la congruenza fra paradigma costituzionale e ius conditum; b) dal canto suo,la Suprema Corte poteva semplicemente, nella sentenza 24 febbraio 2012, n. 2845, qui annotata, prendere atto del cessato interesse da parte del privato al responso della fase processuale, ormai irreversibilmente superata dal tenore della decisione nel merito. Il doppio fervore documenta l’intenzione – lodevolissima – dei Supremi Collegi giudicanti di voler mettere un punto fermo alla questione.
(4) Tra tutti ricordiamo i contributi di f. barone, Sulla sospensione dell’atto impugnato. Brevi considerazioni sulla posizione dell’Agenzia delle entrate, in Boll. Trib., 2010, 947; l. montecamozzo, Il procedimento cautelare. Analisi dell’art. 47 del D.Lgs. n. 546 del 1992, ibidem, 1764, con particolare riguardo – ai nostri odierni fini – al par. 6, La tutela cautelare dopo la sentenza di primo grado; f. d’ayala valva, Sulla necessità dei rimedi di sospensione cautelare processual-civilistici per un “giusto” processo tributario, ivi, 2011, 725; n. dolfin, La questione della tutela cautelare del contribuente in pendenza del giudizio di cassazione, ibidem, 732; e f. ciani, Processo tributario: sospensive endoprocessuali effettive e auspicate, ibidem, 738.
(5) Non deve ingannare la sentenza di Cass., sez. trib., 13 ottobre 2010, n. 21121, inBoll. Trib., 2011, 133, che aveva, una volta ancora, escluso ogni possibilità di tutela cautelare nei confronti dell’efficacia esecutiva della pronuncia della commissione tributaria regionale, in quanto la sua deliberazione, avvenuta il 28 maggio 2010, è di poco anteriore alla sentenza della Corte Costituzionale n. 217/2010, cit. Va da sé che, come puntualmente si osserva nella nota redazionale che la correda, non avrebbe guastato un più attento raccordo tra i due pronunciamenti. Il che avrebbe evitato, per di più, di infliggere alla parte (ingiustamente) soccombente l’amarezza della condanna alle spese.
(6) Importante il passaggio della sentenza commentata ove si osserva come «la garanzia costituzionale della tutela cautelare debba ritenersi imposta solo fino al momento in cui non intervenga, nel processo, una pronuncia di merito che accolga – con efficacia esecutiva – la domanda, rendendo superflua l’adozione di ulteriori misure cautelari, ovvero la respinga, negando in tal modo, con cognizione piena, la sussistenza del diritto e dunque il presupposto stesso della invocata tutela. Con la conseguenza che la previsione di mezzi di tutela cautelare nelle fasi di giudizio successive a siffatta pronuncia, in favore della parte soccombente nel merito, deve ritenersi rimessa alla discrezionalità del legislatore».
(7) Correttamente conclude la decisione esaminata rilevando come, in questo modo, alle sentenze delle Commissioni tributarie regionali sia estesa «la garanzia costituzionale della tutela cautelare, in un senso non difforme da quella che è assicurata rispetto al ricorso per cassazione avverso qualsiasi altra sentenza».
(8) La nuova versione dell’art. 283 c.p.c. reca, di innovativo rispetto alla precedente in vigore fino al 2006, i due incisi: «anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti» e «con o senza cauzione». Resta aperto il problema se, ammettendo l’introduzione della questione cautelare con una «istanza di parte, proposta con l’impugnazione principale o con quella incidentale», il legislatore abbia detto minus quam voluit, lasciando cioè aperta la via all’introduzione con altre forme di iniziativa pendente iudicio.
(9) Il secondo comma dell’art. 283 c.p.c. è stato aggiunto dalla lett. a) del primo comma dell’art. 27 della legge 12 novembre 2011, n. 183, applicabile (ex secondo comma dell’art. 27) dal 1° febbraio 2012. La decisione sull’istanza inibitoria (che può investire solo parte della sentenza impugnata «se i capi di essa sono separati»: cfr. Cass., sez. III, 25 febbraio 2005, n. 4060, in Mass. Foro it., 2005, 254) non deve pregiudicare la decisione definitiva sull’appello, «fondata sulla piena cognizione di tutte le acquisizioni processuali e dalla quale è destinata ad essere assorbita, con la conseguente inidoneità a incidere su diritti soggettivi con efficacia di giudicato» (Cass., sez. II, 21 febbraio 2007, n. 4024, ivi, 2007, 352).
(10) L’ordinanza ex art. 373 c.p.c. ha «carattere non decisorio, ma meramente cautelare e ordinatorio, pertanto non è impugnabile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.» (da ultimo, Cass., sez. un., 18 giugno 2008, ord. n. 16537, in Mass. Foro it., 2008, 933). Quanto alla liquidazione delle spese della procedura cautelare, volta alla sospensione della sentenza di secondo grado impugnata avanti la Corte di Cassazione, le stesse non sono liquidate dalla Commissione tributaria regionale chiamata ad esaminare la questione, ma dalla Corte di Cassazione, trattandosi di «una pronuncia solo provvisoria» (Cass., sez. I, 4 giugno 2001, n. 7520, in Mass. Foro it., 2001) e «atteso che solo all’esito del giudizio di legittimità è possibile accertare l’effettiva soccombenza di una delle parti» (Cass., sez. I, 31 agosto 2005, n. 17584, ivi, 2005, 1551). L’art. 373 c.p.c. delinea uno scenario diverso da quello concepito dall’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992 (dove l’istanza motivata di sospensione è «proposta nel ricorso o con atto separato notificato alle altre parti e depositato in segreteria»). Qui infatti il contribuente deposita il ricorso ad hoc presso la segreteria della commissione tributaria regionale, il presidente di quest’ultima (nella prassi è il presidente della sezione assegnataria) fissa con decreto l’udienza di comparizione e il provvedimento è notificato a tutte le parti, anche quelle fino a quel momento non costituite.