31 Maggio, 2013

SOMMARIO: 1. premessa – 2. limiti all’esercizio della rivalsa nella previgente normativa – 2.1. Rapporto tra art. 60, comma 7, e art. 26 del D.P.R. n. 633/1972. Norma di comportamento AIDC n. 179/2010 – 3. il nuovo diritto di rivalsa dell’iva accertata: considerazioni generali – 3.1. Profili applicativi del nuovo art. 60, comma 7, del D.P.R. n. 633/1972. Il diritto di rivalsa del cedente/prestatore accertato – 3.2.Il diritto di detrazione del cessionario/committente – 4. cenni sulla giurisdizione in materia di rivalsa iva.

1.premessa

 

Il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 (c.d. “Cresci-Italia” o “Decreto sulle liberalizzazioni”, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27), ha eliminato il “divieto” di rivalsa dell’IVA pagata per effetto di avviso di accertamento, sancito dall’art. 60, comma 7, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

La modifica normativa è diretta a porre fine alla procedura di infrazione n. 2011/4081, relativa alla rettifica dell’IVA fatturata, con cui la Commissioneeuropea aveva sollevato dubbi sulla compatibilità del precedente comma 7 con il diritto comunitario, come interpretato dalla Corte di Giustizia europea [1]. Nella relazione di accompagnamento al D.L. n. 1/2012 viene dato atto, in particolare, della contestazione di legittimità della previsione normativa da parte della Commissione, laddove stabiliva che il contribuente non aveva diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta pagata, in conseguenza dell’accertamento o della rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi.

La novella legislativa, intervenuta con l’art. 93 del c.d. “decreto liberalizzazioni”, elimina finalmente uno dei “tabù” della gestione dell’IVA [2], considerata, a partire dalla sua introduzione nel 1973, alla stregua di una qualsiasi imposta indiretta che, se accertata, doveva rimanere ad esclusivo carico dell’operatore, con una palese violazione del principio di simmetria tra esigibilità e detrazione, sancito dalla norma comunitaria [3].

Il nuovo comma 7 dell’art. 60 del D.P.R. n. 633/1972 consente ora al soggetto passivo di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente potrà esercitare il diritto di detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione.

L’intento perseguito dalla nuova disposizione è quello, dunque, di sanare la preclusione del diritto di rivalsa, tutelare l’inderogabilità del diritto alla detrazione e ripristinare il meccanismo di neutralità dell’IVA [4], imposti dalla Direttiva comunitaria 112/2006/CE.

 

[-protetto-]

 

2.limiti all’esercizio della rivalsa nella previgente normativa

 

Al fine di comprendere la portata innovativa della novella legislativa e analizzarne i profili applicativi problematici, occorre soffermarsi brevemente sul regime pregresso.

Sotto la vigenza del vecchio comma 7 dell’art. 60 del D.P.R. n. 633/1972, l’imposta o la maggiore imposta accertata era destinata a rimanere definitivamente a carico del cedente/prestatore [5], nei cui confronti era stato eseguito l’accertamento o la rettifica. In sostanza, l’onere del tributo gravava sul soggetto che, con il suo comportamento illecito, aveva fatto sì che il complesso meccanismo di attuazione dell’IVA [6] si “inceppasse”.

Secondo la Relazionegovernativa allo schema del D.P.R. n. 633/1972, l’art. 60, comma 7, oltre che da intenti sanzionatori, era suggerito da valutazioni pratiche, data l’impossibilità, e, comunque, l’inopportunità di porre le premesse legislative per una riapertura dei rapporti contrattuali allo scopo di recuperare, a posteriori, l’imposta a suo tempo non addebitata. Si riteneva, quindi, che la finalità della norma fosse duplice: da un lato, la disposizione aveva intento sanzionatorio [7]; dall’altro, era dettata dall’esigenza di dare certezza ai rapporti giuridici sottostanti, evitando la possibilità che, anche a distanza di tempo, il cedente/prestatore potesse riaprire i rapporti giuridici medesimi chiedendo al cliente il pagamento dell’imposta a suo tempo non addebitata.

Tale finalità della norma veniva, tuttavia, messa in discussione da una parte della dottrina, secondo la quale la natura sanzionatoria del divieto di rivalsa si poneva in contrasto, da un lato, con l’art. 2 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, inquanto prevedeva una sanzione diversa da quella ivi indicata (sanzione pecuniaria e sanzioni accessorie ex art. 21); dall’altro lato, con il principio di neutralità, il quale non consentiva una distinzione generale tra le operazioni lecite e le operazioni illecite, poiché la qualificazione di un comportamento come riprovevole non implica, di per sé, una deroga all’imposizione [8].

Alcuni Autori hanno pure ritenuto che la norma avesse anche una funzione sostanziale di salvaguardia del gettito [9]: la norma, infatti, consentiva di evitare che, in virtù di rivalse esperite a distanza di anni, lo Stato si trovasse nella posizione di chi aveva accertato maggiori imposte che non avrebbero prodotto tuttavia maggiori entrate. A ciò si aggiunga che, anche da un punto di vista strettamente commerciale, sarebbe sorto un certo imbarazzo degli operatori economici nel richiedere, a distanza di anni, maggiori imposte ai propri clienti per operazioni già da tempo definite. Si riteneva, pertanto, che la norma di cui all’art. 60 non fosse destinata semplicemente a garantire la coerenza del sistema tributario, ma realizzasse normativamente un’esigenza avvertita nella prassi degli scambi economici, tutelando la certezza del costo di un’operazione e cristallizzandone il dato all’interno dell’atto di trasferimento.

Tale argomentazione trovava conferma nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo la quale, nel previgente art. 60, comma 7, l’esigenza di stabilità dei rapporti giuridici assumeva, per legge, carattere assolutamente prevalente rispetto al principio di neutralità dell’IVA e dell’imposizione a carico del consumatore finale. Si trattava di un equo contemperamento di opposti interessi che, da un lato, garantivano la certezza del gettito fiscale (rapporto pubblicistico), dall’altro, salvaguardavano la certezza dei costi finali nella circolazione dei beni e dei servizi (rapporto civilistico) [10].

Se la funzione della norma fosse stata realmente quella di recuperare l’imposta evasa, salvaguardando il gettito erariale, non si comprende perché la preclusione al diritto di rivalsa avrebbe allora dovuto operare solo per l’imposta pagata a seguito di accertamento e non anche a seguito di processo verbale di constatazione. La dottrina maggioritaria [11] riteneva, infatti, che l’art. 60 si riferisse esclusivamente all’imposta pagata in conseguenza di due atti impositivi tipici, l’accertamento e la rettifica, così escludendo la prestazione all’esercizio della rivalsa nei casi in cui il contribuente fosse stato destinatario di atti prodromici dell’accertamento, quali il processo verbale di constatazione o altri atti istruttori [12].

In tal senso si era espressa anche la giurisprudenza di legittimità [13], secondo la quale l’imposta o la maggiore imposta dovuta in conseguenza dell’accertamento tributario o della rettifica della dichiarazione annuale non poteva essere addebitata in rivalsa al cessionario del bene o al committente del servizio, restando cosi interamente a carico del cedente o del prestatore [14].

La suddetta interpretazione, elaborata dalla dottrina e avallata dalla giurisprudenza [15], trovava, peraltro, conferma sia nel dato letterale della disposizione, in quanto il legislatore usava esplicitamente le espressioni “rettifica” e “accertamento”, sia in considerazione del profilo logico-sistematico della norma, in quanto la disposizione in esame è collocata nell’ambito della norma (art. 60) che definisce le modalità di versamento delle sole imposte accertate in base a provvedimenti amministrativi [16].

 

2.1.Rapporto tra art. 60, comma 7, e art. 26 del D.P.R. n. 633/1972. Norma di comportamento AIDC n. 179/2010

 

Il vecchio divieto di rivalsa della maggiore imposta pagata, posto in deroga all’obbligo di traslazione a valle dell’IVA, fissato, in via generale, a carico del contribuente che effettuava l’operazione soggetta ad imposta, doveva essere coordinato con la prescrizione relativa alla fatturazione integrativa delle operazioni, stabilita anche per le inesattezze compiute al momento della loro effettuazione e dell’originaria fatturazione, ex art. 26, primo e quarto comma, secondo periodo, del D.P.R. n. 633/1972, rispettivamente per l’omessa fatturazione originaria e per la correzione di errori materiali.

Un coordinamento tra le due norme si rendeva doveroso, giacché un’interpretazione del divieto posto dall’art. 60, settimo comma, che avesse comportato la generalizzata applicazione del precetto a tutti i casi di operazioni soggette a rettifica o accertamento, avrebbe determinato l’abrogazione implicita, in particolare, della disposizione contenuta nell’art. 26, primo comma, ove invece si prevede l’onere di fatturazione successiva al momento di originaria effettuazione dell’operazione, anche per cause imputabili ad errore del contribuente.

La giurisprudenza di legittimità sembrava individuare il discrimine tra le due norme nell’emissione dell’avviso di accertamento; in altre parole, il soggetto passivo, fino all’emissione dell’atto impositivo, trovava tutela nell’art. 26, che gli permetteva di esercitare la rivalsa integrando la fattura originaria ovvero emettendo una fattura tardiva [17]. In particolare, la Corte di Cassazione osservava che, a prescindere dall’accertamento, il cedente era tenuto all’obbligo [18] della fatturazione non solo all’atto in cui effettuava la cessione del bene o l’esecuzione del servizio, ma anche quando, successivamente all’emissione della fattura o alla sua registrazione, l’ammontare dell’imponibile o quello dell’imposta venissero ad aumentare per qualsiasi ragione, ivi compreso il caso in cui l’imposta, in sede di fatturazione, fosse stata applicata in misura minore a quella dovuta per legge. Tale ipotesi, secondo i Supremi Giudici, era disciplinata dall’art. 26 (e non dall’art. 60, comma 7), che prevede l’obbligo di fatturazione integrativa mediante l’emissione della nota di variazione. Di conseguenza, tale obbligo del cedente, che non era condizionato dalla notifica di atti impositivi, gli permetteva di esercitare il diritto di rivalsa nei confronti del cessionario, al quale, come per la fattura, doveva essere inviata nota di variazione nell’ambito del rapporto di realizzazione del credito di rivalsa [19].

Del tema si è occupata specificamente l’Associazione italiana dottori commercialisti ed esperti contabili (AIDC), con la norma di comportamento n. 179 del dicembre 2010 [20], la quale fissava i seguenti principi:

a) il cedente/prestatore poteva addebitare in via di rivalsa l’IVA dovuta sulle operazioni imponibili, oggetto di rettifica in aumento da parte dell’Amministrazione finanziaria, a condizione che: – l’operazione fosse stata oggetto di rilevazione contabile nel momento della sua effettuazione; – sempre che l’IVA non fosse stata già corrisposta direttamente all’erario, in dipendenza degli atti impositivi derivanti da accertamento o rettifica;

b) il cessionario/committente aveva diritto di esercitare la detrazione della maggiore imposta dovuta e addebitata, a seguito della rivalsa “tardiva”, nei limiti del periodo decadenziale prescritto dall’art. 19, primo comma (sempre che non avesse preventivamente regolarizzato l’operazione ai sensi dell’art. 6, comma 8, del D.Lgs. n. 471/1997, versando direttamente all’erario la maggior imposta dovuta).

La norma di comportamento osservava che, se il divieto stabilito dall’art. 60 fosse stato esteso a tutti i casi di operazioni soggette a rettifica o accertamento, in cui l’art. 26, primo comma, prescrive l’emissione della fattura integrativa, ciò avrebbe determinato l’abrogazione di tale ultima disposizione. L’AIDC affermava, pertanto, in maniera più decisa rispetto alla Suprema Corte, la prevalenza dell’art. 26, primo comma, sull’art. 60, ultimo comma, ritenendo che, laddove fosse stato applicabile l’obbligo imposto dall’art. 26, non avrebbe potuto trovare applicazione il divieto sancito dall’art. 60.

Quindi, secondo l’Associazione dei dottori commercialisti, nell’ipotesi di una fattura emessa con aliquota inferiore a quella dovuta e contestata dall’Ufficio con avviso di accertamento, la fattura integrativa emessa dal cedente/prestatore, prima del pagamento diretto dell’imposta all’erario, sulla base dello stesso atto impositivo, avrebbe determinato il superamento del divieto di cui all’art. 60 e la conseguente facoltà di esercitare il diritto di rivalsa in capo al cessionario/committente, il quale avrebbe potuto esercitare, a sua volta, il diritto di detrazione della maggior imposta addebitata.

 

 

 

3.il nuovo diritto di rivalsa dell’iva accertata: considerazioni generali

 

Il c.d. “decreto liberalizzazioni”, accogliendo parzialmente quanto suggerito dalla Norma di comportamento n. 179, stabilisce, come già detto, che il contribuente ha diritto di rivalersi nei confronti del cessionario/committente della maggiore IVA dovuta a seguito di accertamento, solo dopo aver provveduto al pagamento all’erario dell’imposta accertata, delle sanzioni e degli interessi. Il legislatore attribuisce, inoltre, al cessionario/committente (se soggetto passivo IVA), il diritto di detrazione dell’imposta versata entro il secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto al cedente/prestatore l’IVA addebitata in via di rivalsa.

La novella legislativa pone, pertanto, fine ad un meccanismo, formatosi sotto la vigenza del vecchio comma 7 dell’art. 60, non rispettoso del sistema di imposizione dell’IVA. Il divieto di rivalsa, infatti, provocava una deroga fondamentale al principio di neutralità dell’IVA (garantito dal diritto-dovere di rivalsa e dal diritto di detrazione) [21], impedendo il normale funzionamento dell’imposta, la quale deve, per sua natura, colpire i consumi e non certo gravare sugli operatori economici.

L’IVA è infatti così denominata non perché il valore aggiunto costituisca, in modo specifico, la base imponibile del tributo, ma perché, per effetto della detrazione, il tributo ha come oggetto economico il valore aggiunto: ossia il quid pluris che ogni operatore economico aggiunge al prezzo del bene o al corrispettivo del servizio. Valorizzandosi, pertanto, il “gioco” della rivalsa e della detrazione, quale meccanismo di trasferimento della prestazione patrimoniale nel corso del ciclo produttivo fino alla immissione in consumo, se ne può dedurre che il fondamento costituzionale dell’IVA è il consumo, che acquista rilevanza ai fini della capacità contributiva [22]. Per ottenere questo obiettivo, il sistema normativo dell’IVA è stato congegnato e va conseguentemente considerato in modo unitario, avendo riguardo, da un lato, alla sua ratio costituzionale orientata alla traslazione del carico fiscale sul consumo; e, dall’altro, alla funzione dell’intero meccanismo impositivo volto, mediante gli istituti della detrazione e della rivalsa, ad attuare questa ratio [23].

Questi principi sono stati, di recente, applicati dalla Suprema Corte [24], la quale ha osservato che «l’applicazione dell’imposta è, in via di principio, neutrale, posto che l’IVA sulle operazioni attive è da essi (cioè, dai fornitori) trasferita sui clienti, mentre quella sui loro acquisti è recuperata compensandola con la prima, a guisa di credito verso l’Erario; per il che il tributo viene a gravare, in via definitiva, sui cd. consumatori finali» [25].

Anche la Cortedi Giustizia ha precisato che il sistema comune dell’IVA consiste nell’applicare ai beni ed ai servizi, fino allo stadio del commercio al dettaglio compreso, una imposta generale sui consumi esattamente proporzionale al prezzo dei beni e servizi, con la conseguenza che la prestazione tributaria ricade solamente sul consumatore finale, il quale, al termine del ciclo distributivo, è chiamato a pagare l’IVA per un importo proporzionale al prezzo [26]. Pertanto, nella sensibilità giuridica comunitaria è decisamente consolidata e pacifica l’idea che l’IVA sia da considerare alla stregua di un’imposta generale sui consumi, che colpisce la spesa sostenuta dal consumatore finale [27].

La norma contenuta nel vecchio comma 7 dell’art. 60, invece, precludendo al soggetto passivo IVA di addebitare l’imposta pagata a seguito di accertamento, impediva al meccanismo rivalsa-detrazione di funzionare correttamente, con la conseguenza che il tributo accertato, anziché configurarsi come imposta sui consumi proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, si tramutava in una maggiorazione dei costi sopportati dall’operatore economico.

È proprio per l’effetto che conseguiva all’operare del suddetto divieto chela Commissioneeuropea, con la procedura di infrazione 2011/4081, sollevava dubbi sulla compatibilità dell’art. 60, comma 7, del D.P.R. n. 633/1972, con il diritto europeo. In particolare, si riteneva che i limiti posti dal legislatore italiano al diritto di rivalsa fossero in contrasto con quanto stabilito, a livello comunitario, dall’art. 1, paragrafo 2, comma 3, della Direttiva 28 novembre 2006, 2006/112/CE, secondo cui il principio del sistema comune dell’IVA è esteso fino allo stadio del commercio al minuto incluso, applicando, in ogni fase del processo di distribuzione, l’IVA calcolata sul prezzo del bene o del servizio, che diviene esigibile previa detrazione dell’ammontare dell’imposta che ha gravato direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo.

Come si diceva, se non opera la rivalsa, il sistema distributivo dell’imposta si “inceppa” e non consente di giungere al risultato tipizzato dal primo comma dell’art. 1, paragrafo 2, secondo il quale il principio del sistema comune dell’IVA consiste nell’applicare ai beni ed ai servizi un’imposta generale sui consumi esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero delle operazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase di imposizione.

 

3.1.Profili applicativi del nuovo art. 60, comma 7, del D.P.R. n. 633/1972. Il diritto di rivalsa del cedente/prestatore accertato

 

In attesa di scoprire come gli operatori economici e la giurisprudenza accoglieranno, nella pratica, la novella legislativa, occorre dare atto dei principali profili di problematicità che emergono già dalla prima lettura della nuova disposizione [28].

In primo luogo va osservato, per quanto concerne l’ambito di applicazione, che il soggetto passivo ha ora diritto di rivalsa «dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica». Dal dato normativo appare evidente che l’ipotesi non è limitata al solo caso della “maggiore” imposta, come si verifica, ad esempio, se l’operazione sia stata fatturata originariamente ad un’aliquota inferiore a quella dovuta; ma involge anche l’“imposta accertata”, con evidente riferimento, quindi, ai casi in cui ab origine l’IVA non sia stata addebitata.

La norma interesserà, pertanto, le ipotesi di erronea applicazione di regimi di esclusione o di esenzione ad operazioni che andavano invece assoggettate ad Iva; casi, cioè in cui il soggetto abbia emesso una fattura esente, ovvero non imponibile, che, poi, venga accertata imponibile. Si pensi, ad esempio, alle contestazioni in materia di applicabilità dell’IVA o del registro, o a quelle concernenti cessioni di denaro escluse da IVA di cui venga invece accertata l’imponibilità, in quanto le stesse rappresentano il corrispettivo di un’operazione rientrante nel campo di applicazione IVA [29].

I primi commentatori si sono già domandati se nei casi di “IVA accertata” possano rientrare le c.d. vendite in nero. Secondo una parte della dottrina, queste ultime dovrebbero restare al di fuori del perimetro del nuovo diritto ex art. 60, comma 7, in quanto l’assenza di una rilevazione contabile dell’operazione impedirebbe geneticamente l’esercizio ex post della rivalsa [30]. Di opinione contraria è, invece, altra dottrina, secondo la quale, nel silenzio della legge, la nuova rivalsa potrebbe riguardare anche le ipotesi di mancata fatturazione ab origine di operazioni imponibili dovute all’occultamento totale o parziale del corrispettivo. In particolare, si è affermato che, se l’operazione IVA gestita “in nero” e non fatturata fosse oggetto di accertamento sulla base di specifici riscontri analitici, potrebbero non esservi ostacoli alla possibilità di esercizio della rivalsa legati alla non conoscibilità del destinatario dell’operazione. Nelle vendite “in nero”, infatti, proprio per il compimento delle indagini compiute dall’Amministrazione finanziaria, potrebbe essere individuata la controparte economica dell’operazione, alla quale il cedente/prestatore potrebbe, mediante fatturazione differita, addebitare la rivalsa postuma [31].

Maggiori dubbi sorgono, invece, in merito all’operare del nuovo diritto di rivalsa nelle ipotesi di accertamenti presuntivi (quali, ad esempio, studi di settore, accertamenti basati sulla presunzione di cessione dei beni acquistati o prodotti non rinvenuti nei locali dell’imprenditore).

Alcuni Autori, infatti, in tali casi, escluderebbero l’esercizio della rivalsa per mancanza di “realità” dell’operazione “accertata”, in quanto il soggetto passivo, sottoposto a verifica, potrebbe non essere in grado di riscostruire con certezza, all’interno di una massa indistinta di operazioni imponibili contestate dall’Amministrazione finanziaria, quale transazione si riferisce a quel cliente piuttosto che ad un altro e, di conseguenza, sarebbe molto difficile rivalersi dell’IVA accertata sui singoli cessionari/committenti [32].

Altra questione che accenderà il dibattito nei prossimi tempi concerne il momento di nascita del diritto alla rivalsa, in quanto la norma sembra collegarlo al “pagamento” dell’imposta accertata.

Prevedere testualmente che il diritto di rivalsa dell’IVA accertata sorge con il pagamento dell’imposta rettificata può, infatti, generare effetti distorsivi: si pensi, ad esempio, alla presentazione del ricorso avverso l’atto impositivo e al pagamento di una parte o di tutto il tributo nel corso del giudizio, il quale si concluda poi vittoriosamente per il contribuente, con il conseguente rimborso dell’imposta versata. In un caso del genere, la rivalsa e l’eventuale detrazione darebbero luogo a una serie di inconvenienti amministrativi legati alla necessità di dover rimborsare l’IVA versata dal cedente/prestatore e rettificare la detrazione IVA effettuata dal cessionario/committente.

La dottrina più autorevole ha, a tal proposito, ritenuto che la disposizione, nella parte in cui fa riferimento al “pagamento dell’imposta”, dovrebbe essere interpretata nel senso che, per potersi avere la rivalsa, il pagamento dovrebbe accompagnarsi alla stabilità di quanto accertato, conseguente ad una definitività della pretesa fiscale, mentre dovrebbe ritenersi esclusa la rivalsa per i pagamenti effettuati a titolo provvisorio [33].

Si deve, peraltro, segnalare che il legislatore subordina il diritto di rivalsa all’avvenuto pagamento anche delle sanzioni e degli interessi. I primi commentatori hanno già osservato che la nuova norma renderebbe vantaggioso, per il soggetto accertato, aderire ad uno degli istituti deflattivi, quali ad esempio l’adesione al processo verbale di constatazione o l’accertamento con adesione [34]. In questo modo, il soggetto potrebbe rivalersi in maniera più rapida sul proprio avente causa della maggiore IVA corrisposta, restando esclusivamente inciso dalla sanzione calcolata in misura ridotta.

Tale considerazione ha portato, peraltro, a ritenere che il nuovo comma 7 dell’art. 60 potrebbe in molti casi generare situazioni di vantaggio per l’erario, sia da un punto di vista finanziario (immediato incasso della maggiore IVA accertata e delle relative sanzioni, che il soggetto passivo avrebbe convenienza a corrispondere onde poter esercitare il suo diritto di rivalsa), sia in termini di maggior gettito acquisito in via definitiva, come si verificherebbe nei casi in cui il soggetto accertato non riuscisse più ad esercitare proficuamente la rivalsa (si pensi alle ipotesi di insolvenza o fallimento del cessionario/committente), oppure laddove il cliente avesse dei limiti all’esercizio del diritto di detrazione [35].

 

3.2.Il diritto di detrazione del cessionario/committente

 

Il secondo periodo del nuovo art. 60, comma 7, prevede che il cessionario/committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o maggiore imposta addebitata in via di rivalsa e alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione.

Tale norma, subordinando la detrazione dell’IVA addebitata in via di rivalsa a seguito di un accertamento o rettifica alla condizione del suo pagamento da parte del cessionario/committente in favore del cedente/prestatore, ha destato qualche perplessità sotto il profilo della compatibilità con la Direttiva IVA[36]. In particolare, la previsione nazionale si collocherebbe al di fuori dell’attuale modello dell’imposta, secondo cui il diritto di detrazione sorge quando il tributo detraibile diventa esigibile, circostanza che si verifica, ai sensi dell’art. 63 della Direttiva IVA, a partire dal momento in cui l’operazione è stata realizzata. L’art. 168, lett. a), della Direttiva IVA, indica, a sua volta, espressamente che il diritto di cui beneficia il soggetto passivo di detrarre l’imposta a monte riguarda non soltanto l’IVA assolta, ma anche l’IVA dovuta [37]. Ne consegue che il diritto alla detrazione dovrebbe sorgere e poter essere esercitato indipendentemente dal pagamento dell’IVA accertata da parte del cliente.

Parte della dottrina ha, tuttavia, correttamente osservato che la nuova norma ha dovuto imporre lo “slittamento” del periodo di esercizio del diritto di detrazione, in ragione delle vicende esattive concernenti l’avviso di accertamento. In specie, se il legislatore, nella formulazione della nuova norma, non avesse derogato al principio generale, secondo il quale la detrazione sorge nel momento in cui l’imposta diventa esigibile, vi sarebbe stato il rischio che, al momento dell’accertamento, del versamento dell’imposta e dell’esercizio della rivalsa, il cessionario/committente non fosse più nei termini per trarre beneficio dal diritto alla detrazione (che, come noto, va esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto). Per tale ragione, si è resa necessaria un’eccezione alla regola in materia di computo del periodo utile per l’esercizio del diritto alla detrazione, spostando il momento ultimo di esercizio del diritto al biennio successivo alla corresponsione dell’imposta alla propria controparte [38].

 

4.cenni sulla giurisdizione in materia di rivalsa iva

 

In considerazione delle rilevanti incertezze applicative della nuova norma, è facile ipotizzare un aumento del contenzioso tra cedente/prestatore e cessionario/committente per il corretto esercizio della rivalsa. Si ritiene, pertanto, opportuno richiamare da ultimo la questione della giurisdizione nelle liti azionate dal cedente/prestatore, nei confronti del cessionario/committente, per il pagamento dell’IVA addebitata.

Si può, fin d’ora, rilevare che la giurisprudenza di legittimità ha sempre affermato che l’azione esercitata dal fornitore, al fine di ottenere il versamento dell’IVA da parte del cliente, rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice ordinario [39].

I Supremi Giudici definiscono tali controversie come liti tra privati aventi ad oggetto, incidentalmente, questioni tributarie e, in applicazione del principio generale secondo cui il giudice della questione principale è anche giudice della questione pregiudiziale (incidentale), attribuiscono la giurisdizione delle suddetti liti al giudice ordinario [40].

Oggetto di tale giudizio, infatti, non è la spettanza o la determinazione di un tributo all’erario, bensì l’esistenza o l’ammontare di un diritto di credito che il contribuente di diritto ha nei confronti di un altro privato. La rivalsa, infatti, sorge collateralmente all’obbligazione tributaria del cedente, ma indipendentemente da essa, e ha ad oggetto la pretesa al pagamento da parte del cessionario, in aggiunta al corrispettivo, di una somma da determinarsi, non già per relationem al debito tributario del cedente, bensì, autonomamente, in misura pari all’importo dell’IVA gravante sull’operazione secondo il regime vigente al momento della sua effettuazione. Si tratta, pertanto, di un’obbligazione ex lege del cessionario verso il cedente, che si aggiunge all’ammontare del corrispettivo e rimane soggetta al relativo regime civilistico [41].

Peraltro, anche nella sentenza a Sezioni Unite 26 giugno 2009, n. 15031 [42], in tema di sostituzione d’imposta, la Corte di Cassazione, con specifico riferimento alla rivalsa IVA, osservava che «poiché soggetto passivo dell’imposta è esclusivamente colui che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi, la controversia in questione non ha ad oggetto un rapporto tributario tra contribuente e Amministrazione finanziaria, ma un rapporto di natura privatistica tra soggetti privati, che comporta un mero accertamento incidentale in ordine all’ammontare dell’imposta applicata in misura contestata».

Pare potersi definire corretta la soluzione, alla quale è pervenuta la Suprema Corte, di attribuire le liti in questione alla giurisdizione del giudice ordinario, poiché in tale tipologia di controversia non si rinviene alcuno dei “requisiti” per poter accedere alla giustizia tributaria.

Nonostante il diritto alla rivalsa sia previsto da una norma fiscale (art. 18 del D.P.R. n. 633/1972), le liti tra il soggetto attivo e il soggetto passivo IVA non rientrano nella nozione di controversia tributaria [43], in quanto non hanno ad oggetto un rapporto fiscale, di tipo pubblicistico, il quale implicherebbe, al contrario, l’esercizio del potere impositivo nell’ambito di un rapporto sussumibile allo schema potestà-soggezione, ed esulano dalle attribuzioni delle Commissioni tributarie, come delineate dall’art. 2 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, anche a seguito delle novelle legislative [44].

Pertanto, in assenza sia del soggetto titolato ad esercitare la potestas impositiva che dell’atto espressivo di tale potere, non sembra potersi configurare una lite fiscale che per definizione nasce dal contrasto rispetto ad una concreta ed autoritativa pretesa impositiva; con la conseguenza che se la codesta lite tra cedente e cessionario venisse incardinata davanti al giudice tributario, questi non potrebbe che dichiarare inammissibile l’azione “per carenza dell’atto impugnabile”.

Pare, dunque, conforme al dettato legislativo la soluzione fornita dalla Corte, secondo la quale il rapporto tra cedente e cessionario riguardante il diritto di rivalsa, avendo natura esclusivamente privatistica, spetta all’Autorità giudiziaria civile (e non alle Commissioni tributarie), poiché non basta che in una controversia si proietti il riflesso di una norma tributaria perché la stessa venga sottratta alla giurisdizione del giudice ordinario, ma occorre invece che la controversia tragga origine da un atto “qualificato” (art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992) e che tale atto sia riconducibile all’Autorità fiscale (art. 10 del D.Lgs. n. 546/1992), in maniera che la controversia abbia ad oggetto direttamente il rapporto tributario e non soltanto gli effetti indiretti di una norma fiscale.

Dott. Irene Pini

 

 

 


[1] È del tutto consolidato, nella giurisprudenza comunitaria, che la neutralità costituisca un tratto qualificante della struttura dell’IVA in quanto funzionale a garantire la piena concorrenzialità delle imprese ed il perseguimento delle libertà fondamentali dell’ordinamento comunitario. Si veda, tra le tante, Corte Giust. CE 23 maggio 1996, causa C-331/94, Commissione c. Grecia, in Boll. Trib. On-line; e Corte Giust. UE 16 settembre 2008, causa C-288/07, Isle of Wight, ivi, e anche in Rass. trib., 2009, I, 289 ss., con nota di k. nikifarava, La neutralità concorrenziale dell’Iva e le attività economiche degli enti pubblici.

[2] L’espressione è utilizzata da p. centore, Rivalsa dell’Iva dovuta e ristoro dell’Iva non dovuta, in Riv. giur. trib., 2012, 614.

[3] Art. 167 della Direttiva 2006/112/CE.

[4] Cfr. a. boria, Diritto tributario europeo, Milano, 2010, 297, secondo il quale sussistono due profili di neutralità: la c.d. neutralità interna, rappresentabile come la conseguenza naturale del meccanismo di funzionamento del tributo che si riflette sul piano interno, determinando la neutralizzazione dell’incidenza delle prestazioni tributarie rispetto al numero dei passaggi intermedi subiti dal bene o dal servizio tra la fase della produzione e quella della immissione al consumo, e la cd. neutralità esterna, consistente, anche a livello comunitario, nella trasparenza del tributo all’atto del trasferimento di un bene o servizio sul mercato di un altro Stato europeo, finendo per gravare soltanto sul consumatore finale e non anche sull’imprenditore o sul professionista, così da assicurare la neutralità nel trattamento internazionale delle transazioni commerciali.

[5] Cfr. d. stevanato, La rivalsa dell’Iva accertata, tra ripristino della neutralità del tributo e problematiche applicative, in Dial. trib., 2012, 67 ss. Secondo l’Autore, l’art. 60, comma 7, del D.P.R. n. 633/1972, si sarebbe dovuto intendere non tanto come un divieto assoluto di rivalsa, bensì come un caso di rivalsa subordinata all’esistenza di un accordo in tal senso tra fornitore e cliente. Insomma, fermo restando che, a fronte dell’IVA pagata dal fornitore in conseguenza di un accertamento, il cliente avrebbe potuto validamente opporsi alla richiesta di rivalsa, la legge non si spingeva fino al punto di vietare un diverso accordo tra le parti, configurandolo come illecito.

[6] L’esecuzione di operazioni imponibili ai fini IVA comporta “ex lege” l’instaurazione di tre autonomi rapporti giuridici: uno di natura pubblicistica, tra il fisco e il cedente/prestatore, per il versamento dell’imposta; un altro, di natura prettamente civilistica, tra il cedente/prestatore e il cessionario/committente, riguardo alla rivalsa; un terzo, sempre di natura pubblicistica, tra cessionario/committente (se egli rientra nella nozione di “soggetto passivo IVA”) ed erario in ordine alla detrazione dell’IVA assolta in rivalsa (cfr. Cass., sez. II, 24 novembre 2005, n.24794, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. un., 7 novembre 2000, n. 1147, ivi; Cass., sez. trib., 27 giugno 2001, n.8783, in Boll. Trib., 2004, 628; e Cass., sez. trib., 22 aprile 2003, n. 6419, ivi, 2003, 1191, e anche in Riv. giur. trib., 2003, 816 ss., con nota di a. cattaneo, Legittimazione attiva del cessionario alla richiesta del rimborso Iva indebitamente richiesta dall’appaltatore, nonché in Riv. dir. trib., 2004, 241 ss., con nota di a. di bella, Rivalsa Iva: alcune considerazioni in tema di giurisdizione). Il meccanismo impositivo dell’IVA è pertanto congegnato in maniera che il tributo non costituisca un costo effettivo per il soggetto passivo, bensì gravi in via definitiva sul consumatore finale che, invece, non è parte di alcun rapporto giuridico con il fisco. Per maggiori approfondimenti sul tema si rinvia a f. florenzano, Il diritto di rivalsa, in L’imposta sul valore aggiunto. Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, diretta da f. tesauro, Torino, 2001, 280 ss.

[7] Sulla natura sanzionatoria del divieto di rivalsa, cfr. f. bosello, L’imposta sul valore aggiunto. Aspetti giuridici, Bologna, 1979, 95; e f. gallo, Profili di una teoria dell’imposta sul valore aggiunto, Roma, 1974, 75.

[8] In tal senso r. fanelli, La rivalsa dell’imposta accertata o contestata, in L’Iva, 2009, 65 ss.

[9] Cfr. m. beghin, È ammessa la rivalsa per l’Iva pagata a seguito di verbale di constatazione?, in Corr. trib., 1997, 1029; f. florenzano, op. cit., 287; e r. perrone capano, L’imposta sul valore aggiunto, Napoli, 1977, 449.

[10] Tale principio è stato affermato di recente: Cass., sez. trib., 2 marzo 2012, n. 3291, in Boll. Trib. On-line, e anche in il fisco, 2012, 3768 ss., con nota di p. merlo, È il cedente il principale responsabile della scorretta applicazione dell’aliquota. In senso conforme Cass., sez. I, 16 giugno 2010, n. 14578, in Boll. Trib., 2010, 1658 ss., con nota di c. cipollini, Esclusa la rivalsa nei confronti del socio assegnatario in caso di maggiore Iva accertata alla cooperativa edilizia; e Cass., sez. II, 24 novembre 2005, n. 24794, in Boll. Trib. On-line.

[11] Cfr. a. benvenuti, La rivalsa Iva in caso di fattura emessa successivamente a verifiche dell’Amministrazione finanziaria, in Dir. prat. trib., II, 1993, 1133 ss.; f. castelli, Regolarizzazione delle operazioni non fatturate dai fornitori, in Corr. trib., 2000, 2241 ss.; e f. florenzano, op. cit., 287.

[12] L’Amministrazione finanziaria, con nota del 31 gennaio 2006, prot. 2006/17074, in Dial. trib., 2006, 409 ss., con nota di m. giorgi – a. piciocchi, Addebito dell’Iva dopo l’inizio delle attività di controllo, aveva affermato che l’imposta pagata dopo l’inizio di un’attività di controllo non avrebbe più potuto essere addebita in via di rivalsa. Veniva pertanto inteso il riferimento normativo, più che agli “atti”, al “procedimento” di accertamento: dunque anche l’IVA pagata a seguito di un rilievo contenuto in un processo verbale sarebbe rientrata nella sfera del divieto di rivalsa. Questa ribaltava il precedente orientamento espresso nella circ. 11 luglio 1986, n. 43/3153, in Boll. Trib., 1986, 1494, secondo cui la fattura emessa prima di ispezioni e verifiche e, comunque, prima dell’emissione dell’avviso di rettifica o accertamento induttivo, comportava l’applicazione delle sanzioni nella misura edittale, consentendo comunque sempre la possibilità di effettuare la rivalsa e la conseguente detrazione. Per maggiori approfondimenti si rinvia a m. peirolo, Esercizio del diritto di rivalsa dell’Iva anche post accertamento, in Azienda & Fisco, 2012, 43 ss.

[13] Cfr. Cass., sez. I, 26 maggio 2010, n.12882, in Boll. Trib. On-line, e anche in il fisco, 2010, 4276 ss., con nota di s. servidio, Corte di Cassazione, sent. n. 12882 del 26 maggio 2010. Esclusione della rivalsa dell’Iva sul socio assegnatario; e Cass. n. 24794/2005, cit.

[14] Unica pronuncia di segno contrario pare essere Cass., sez. I, 19 maggio 2009, n.11549, in Boll. Trib. On-line, e anche in Cooperative e Consorzi, 2009, 789 ss., con nota di f. gavioli, Addebitata al socio l’Iva sulle assegnazioni, nonché in Riv. giur. trib., 2009, 771 ss., con nota di p. centore, Esiste un limite al diritto di rivalsa dell’Iva accertata?, secondo la quale “a norma dell’art. 18 D.P.R. 633/1972, la cooperativa cedente, che assegna un appartamento al socio, è tenuta a rivalersi su di lui della maggiore Iva, che per la medesima cessione sia stata accertata dall’Erario”: principio che, come osserva centore, si poneva fortemente in contrasto con il disposto dell’art. 60, comma 7, del D.P.R. n. 633/1972.

 

[15] In senso contrario si era espressa Comm. trib. centr. 9 novembre 1991, n.7421, in Boll. Trib., 1993, 1168, e anche in Dir. prat. trib., 1993, II, 1133, con nota di a. benvenuti, La rivalsa Iva in caso di fattura emessa successivamente a verifica dell’Amministrazione finanziaria, la quale aveva negato il diritto del contribuente a recuperare l’imposta nei confronti del cessionario, nel caso di fatture emesse tardivamente, a seguito della redazione di un processo verbale di constatazione in sede di verifica fiscale. Tuttavia,la Commissione aveva affermato che qualora il cessionario avesse provveduto spontaneamente a rimborsare l’imposta addebitatagli dal cedente, l’Amministrazione non avrebbe potuto recuperare l’imposta in capo a quest’ultimo.

[16] Cfr. m. beghin, È ammessa la rivalsa per l’Iva pagata a seguito di verbale di constatazione?, in Corr. trib., 1997, II, 1032.

[17] Cfr. Cass. n. 3291/2012, cit.

[18] Cfr. a. carinci, Le variazioni Iva: profili sostanziali e formali, in Riv. dir. trib., 2000, I, 719 s., secondo il quale il carattere obbligatorio della variazione in aumento trova giustificazione nella considerazione che gli eventi che l’occasionano sono casi in cui, relativamente ad una data operazione, si rende dovuta un’imposta originariamente non applicata. Pertanto, la variazione in aumento non si presenta semplicemente come una procedura volta alla rettifica di un “errore” commesso (o meglio, di una difformità delle risultanze formali rispetto alla realtà sostanziale), quanto piuttosto quale istituto preordinato comunque all’applicazione dell’imposta. È proprio l’applicazione dell’imposta che, come è noto, esige determinati adempimenti, in coerenza con il peculiare modello di attuazione di questa forma di imposizione, che sono appunto quelli di cui agli artt. 21 ss. In questo senso, la particolarità del caso è data solamente dal fatto che tali adempimenti devono essere eseguiti limitatamente al maggior ammontare e/o dell’imposta di un’operazione per la quale è stata già emessa fattura. Si parla, non a caso, di fatturazione integrativa.

[19] Cfr. Cass., sez. II, 24 novembre 2005, n.24794, in Boll. Trib. On-line.

[20] In Boll. Trib., 2010, 1782; sul punto cfr. r. fanelli, Rivalsa e detrazione Iva ammessa anche in presenza di accertamento, in Corr. trib., 2011, 270 ss.; e s. pellegrino – g. valcarenghi, Norma di comportamento AIDC di Milano n. 179 – Rivalsa e detrazione della maggiore iva accertata, in il fisco, 2010, 7521 ss.

 

[21] Cfr. f. tesauro, Il principio europeo di neutralità dell’Iva e le norme nazionali non compatibili in materia di rimborso dell’indebito, in Giur. it., 2011, 1938 ss.

[22] Cfr. f. randazzo, Le rivalse tributarie, Milano, 2012, 85, secondo il quale, considerata la rilevante funzione della rivalsa volta ad assicurare la neutralità e la trasparenza del prelievo tributario nelle diverse fasi della produzione e della distribuzione di beni e servizi, è riduttivo considerare la rivalsa come espressione di un rapporto credito/debito tra cedente e cessionario e che, di conseguenza, la sua disciplina vada individuata nelle norme del codice civile in materia di obbligazioni pecuniarie. In tal senso si era espresso anche a. comelli, Iva comunitaria e Iva nazionale. Contributo alla teoria generale dell’imposta sul valore aggiunto, Padova, 2000, 655 s., secondo il quale la rivalsa, pur attenendo a rapporti tra privati, costituisce un istituto la cui essenza tributaria prevale ontologicamente sui relativi profili privatistici, in quanto l’esercizio della rivalsa è strettamente correlato all’adempimento della fatturazione e non forma l’oggetto di una mera facoltà, bensì di uno specifico obbligo, nel senso che il soggetto attivo del rapporto, al momento dell’emissione della fattura, deve addebitare la relativa imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario o committente ed è nullo ogni patto contrario. Gli Autori, sul punto, si pongono in contrasto con la dottrina maggioritaria, secondo la quale la rivalsa è un diritto di credito, che si aggiunge al corrispettivo pattuito. Di conseguenza, questo istituto si presenta non come tributario, ma come prettamente privatistico inerendo ai rapporti interni fra soggetti passivi di imposta. Cfr. f. banchini, Il giudice competente per le controversie in tema di rivalsa Iva, in Riv. dir. fin. e sc. fin., 1977, II, 365 s.; e f. tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2008, 268.

[23] Cfr. f. tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte speciale, cit.,251. In senso conforme e. de mita, Principi di diritto tributario, Milano, 2011, 383 s.; l. salvini, Rivalsa, detrazione e capacità contributiva nell’imposta sul valore aggiunto, in Riv. dir. trib., 1993, I, 1287.

[24] Cfr. Cass., sez. trib., 14 marzo 2012, n.4020, in Boll. Trib. On-line, e anche in Riv. giur. trib., 2012, 475 ss., con nota di p. centore, Le condizioni per il rimborso dell’Iva non dovuta.

[25] Cfr. f. tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte speciale, cit., 217 s., il quale ha osservato che il sistema dell’IVA è fondato sul principio per cui l’imposta, calcolata sul corrispettivo del bene ceduto o del servizio reso, è dovuta allo Stato da ciascun soggetto passivo, che però dal debito IVA detrae l’imposta che ha gravato i suoi acquisti. Ad ogni passaggio, lo Stato deve incassare la differenza tra IVA sugli acquisti e IVA sulle vendite da ogni soggetto passivo. Chiude il ciclo, l’IVA dovuta dal venditore di un bene sull’ultimo passaggio, cioè nello stadio del commercio al minuto.

[26] Cfr. Corte Giust. UE, sez. III, 30 settembre 2010, causa C-392/09, Uszodaépítőkft, in Boll. Trib. On-line, e anche in Rass. trib., 2011, 1069 ss., con nota di m. logozzo, Il diritto alla detrazione dell’Iva tra principi comunitari e disposizioni interne. In senso conforme anche Corte Giust. CEE 29 febbraio 1996, causa C-215/94, Mohr, in Boll. Trib., 1996, 1320, e anche in Rass. trib., 2000, 322, con nota di r. cordeiro guerra, L’Iva quale imposta sui consumi: riflessi applicativi secondola Corte di giustizia. Si vedano, inoltre, i commenti di m. medici, L’indennità percepita dall’imprenditore agricolo per la cessazione di una produzione eccedentaria non è assoggettabile all’imposta sul valore aggiunto, in Boll. Trib., 1996, 1320 ss.; a. comelli, L’Iva quale imposta sul consumo, in Riv. dir. trib., 1996, II, 1136 ss.; e ID., Ancora sull’Iva quale imposta di consumo, in Riv. giur. trib., 1998, 414 ss.

[27] a. boria, op. cit., 310.

 

[28] In dottrina, si sono già evidenziate le problematicità della nuova norma. In tal senso cfr. c. benigni, Diritto di rivalsa a seguito di accertamento, in Prat. fisc. e prof., 2012, 32 ss.; p. centore, Possibile la rivalsa dell’Iva accertata se l’imposta dovuta è versata all’Erario, in Corr. trib., 2012, 542 ss.; m. peirolo, Esercizio del diritto di rivalsa dell’Iva anche post-accertamento, cit., 43 ss.; m. russotto, Diritto di rivalsa Iva a seguito di accertamento o rettifica, in L’Iva, 2012, 59 ss.; e d. stevanato, La rivalsa dell’Iva accertata, tra ripristino della neutralità del tributo e problematiche applicative, cit., 67 ss.

[29] In tal senso p. centore, Possibile la rivalsa dell’Iva accertata se l’imposta dovuta è versata all’Erario, cit., 544.  

[30] In dottrina, per l’esclusione dall’ambito applicativo della norma in questione delle “vendite in nero”, si rinvia a p. centore, Possibile la rivalsa dell’Iva accertata se l’imposta dovuta è versata all’Erario, cit., 544.  

[31] Ha ritenuto che il nuovo diritto di rivalsa possa essere applicato anche alle vendite “in nero”, in considerazione del silenzio del legislatore che non pone distinzioni, d. stevanato, La rivalsa dell’Iva accertata, tra ripristino della neutralità del tributo e problematiche applicative, cit., 69 s.

[32] In tal senso a. iacono, La compatibilità con il diritto dell’Unione europea dei “nuovi” limiti nazionali al diritto di rivalsa e detrazione dell’Iva, in il fisco, 2012, 5603 ss.; e d. stevanato, La rivalsa dell’Iva accertata, tra ripristino della neutralità del tributo e problematiche applicative, cit., 69 s.

[33] Cfr. d. stevanato, La rivalsa dell’Iva accertata, tra ripristino della neutralità del tributo e problematiche applicative, cit., 69 ss.

 

[34] Cfr. c. benigni, Diritto di rivalsa a seguito di accertamento, cit., 33 s.; e b. santacroce – m. mantovani, Rivalsa Iva solo a Erario saldato, in Il Sole 24 ore del 6 febbraio 2012.

[35] Cfr. d. stevanato, La rivalsa dell’Iva accertata, tra ripristino della neutralità del tributo e problematiche applicative, cit., 71 s.

[36] Cfr. a. iacono, La compatibilità con il diritto dell’Unione europea dei “nuovi” limiti nazionali al diritto di rivalsa e detrazione dell’Iva, cit., 5608 ss.

[37] Sussiste, nell’attuale sistema dell’IVA, una correlazione tra esigibilità dell’imposta in capo al soggetto passivo fornitore o prestatore e detraibilità della medesima imposta in capo al soggetto passivo acquirente, a prescindere dal fatto che il destinatario abbia pagato per i beni o i servizi. Cfr. a. pace, Il diritto di detrazione, in aa.vv., L’imposta sul valore aggiunto, in Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, diretta da f. tesauro, Torino, 2001, 313 s.; e f. tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte speciale, cit., 2008, 270.

[38] Cfr. d. stevanato, La rivalsa dell’Iva accertata, tra ripristino della neutralità del tributo e problematiche applicative, cit., 72 s. L’Autore asserisce, inoltre, che il diritto di detrazione potrebbe essere esercitato entro un termine potenzialmente indefinito, dipendendo quest’ultimo non già dall’addebito documentato dalla fattura, bensì dalla corresponsione dell’imposta dal cliente al proprio fornitore, il quale potrebbe avvenire anche a distanza di molto tempo dalla richiesta avanzata, tramite fattura, da quest’ultimo. Al tempo stesso, il legislatore ha previsto che la detrazione debba essere esercitata alle condizioni che sussistevano al momento dell’effettuazione dell’operazione originaria, evitando così il rischio di accordi collusivi tra il fornitore e cliente finalizzati allo spostamento del momento di rilevanza della detrazione. L’Autore ipotizza, ad esempio, il caso in cui, al momento dell’effettuazione dell’operazione, il cliente si trovi con un pro rata di totale indetraibilità: in tale circostanza potrebbe risultare conveniente non fatturare l’operazione ed attendere l’avviso di accertamento, per poi pagare l’imposta e la sanzione ridotta, consentendo così al cliente, con l’esercizio della rivalsa, di detrarre l’imposta in un esercizio successivo ad elevata percentuale di detraibilità. Tali possibili arbitraggi sono appunto impediti, posto che la detrazione andrà comunque esercitata alle condizioni che esistevano al momento dell’operazione originaria.

[39] Cfr. Cass., sez. un., 3 febbraio 1989, n.657, in Boll. Trib., 1989, 1009; Cass., sez. un., 28 ottobre 1995, n.11313, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. un., 22 maggio 1998, n. 5140, ivi; Cass., sez. un., 22 luglio 2002, n. 10693, ivi; Cass., sez. un., 11 febbraio 2003, n. 1995, ivi; Cass., sez. un., 29 aprile 2003, n. 6632, ivi, e anche in Giust. civ., 2004, III, 2780 ss., con nota di a.a. ferrario, La giurisdizione nelle controversie in tema di rivalsa dell’Iva; e Cass., sez. un., 4 maggio 2005, n.9191, in Boll. Trib. On-line, e anche in Riv. giur. trib., 2005, 812 ss., con nota di a.a. ferrario, Il problema della giurisdizione nelle controversie relative al rapporto di rivalsa dell’Iva.

 

[40] Di recentela Suprema Corte è tornata a ribadire che la giurisdizione per le liti tra cliente e fornitore riguardanti la rivalsa IVA è quella del giudice ordinario che può conoscere, incidentalmente, anche questioni tributarie. Cfr. Cass., sez. un., 18 febbraio 2009, ord. n.3817, in Boll. Trib. On-line, e anche in Corr. trib., 2009, 1367 ss., con nota di m. giorgi, La giurisdizione sulle controversie tra cliente e fornitore in tema di Iva.

[41] In tal senso Cass. n. 5140/1998, cit.

[42] Tale decisione è stata commentata (unitamente a Cass., sez. un., 26 giugno 2009, ord. n. 15047) da f. brighenti, Le controversie tra sostituto e sostituito: al giudice tributario; anzi, no, al giudice ordinario, in Boll. Trib., 2009, 1377; s.m. messina, Tornano davanti al giudice ordinario le liti tra sostituto e sostituito, in Corr. trib., 2009, 3346 ss.; p. stizza, La giurisdizione nelle liti tra sostituto e sostituito nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Dir. prat. trib., 2010, I, 683 ss.; e g. tabet, Svolta storica in tema di giurisdizione sulla lite tra sostituto e sostituito?, in Riv. giur. trib., 2009, 1046 ss.

[43] Per quanto in questa sede rileva, si può, in estrema approssimazione, qualificare la controversia come tributaria quando ha ad oggetto prestazioni imposte in via coattiva, ossia senza il consenso dell’obbligato, purché non rappresentino il corrispettivo privatistico di una prestazione dell’ente impositore e siano destinate a finanziare enti pubblici. La nozione di controversia tributaria non è pertanto legata alla situazione soggettiva sottostante, bensì essa si riferisce a tutte le controversie relative a posizioni giuridiche attribuite da norme tributarie sostanziali e procedimentali, ossia alle liti aventi ad oggetto la definizione dell’obbligazione tributaria ovvero una lesione di un bene della vita causata dall’esercizio dei poteri di controllo dell’Amministrazione. Cfr. a. poddighe, Giusto processo e processo tributario, Milano, 2010, 76 s.; e f. tesauro, Manuale del processo tributario, Torino, 2009, 33.

[44] Per effetto della legge 28 dicembre 2001, n. 448, come è noto, l’art. 2 è stato riformato nel senso del superamento della previgente elencazione puntuale dei tributi costituenti la cornice esterna della giurisdizione tributaria, la quale è stata estesa «a tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, compresi quelli regionali, provinciali e comunali … nonché le sovraimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio». A distanza di appena quattro anni da siffatta modifica, con la legge 2 dicembre 2005, n. 248 (di conversione del D.L. 30 settembre 2005, n. 203), il legislatore è nuovamente intervenuto sull’art. 2, non solo ivi specificando espressamente che competono alla cognizione delle Commissioni le controversie sui tributi di ogni genere e specie “comunque denominati”, ma altresì introducendo un secondo periodo al comma 2, statuente l’appartenenza alla giurisdizione tributaria “anche” delle «controversie relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche … e del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue e per lo smaltimento dei rifiuti urbani, nonché delle controversie attinenti l’imposta o il canone comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni».

 

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