6 Aprile, 2017

1. Premessa

La sentenza che si annotata merita di essere segnalata perché fa chiarezza sulle conseguenze che derivano dall’accoglimento parziale del ricorso proposto dal contribuente avverso un atto impositivo.
Se, com’è noto, in caso di accoglimento totale del ricorso, come in caso di rigetto, gli effetti che produce la sentenza tributaria sull’atto impugnato sono generalmente univoci, inequivocabili, diverso è il discorso per le sentenze che dichiarano «fondato in parte il ricorso» o che lo accolgono «per quanto di ragione».
In questi ultimi casi, infatti, non solo bisogna preliminarmente individuare “quanta parte” della contestata pretesa impositiva il giudice tributario abbia riconosciuto legittima e fondata, ciò che peraltro non sempre emerge con chiarezza dalla motivazione della sentenza, ma occorre poi stabilire se vada emesso, sempre e comunque, un nuovo atto impositivo, che recepisca la statuizione giudiziale, o se possa legittimamente sopravvivere (ed essere portata ad esecuzione) la parte dell’atto impositivo originario “salvata” dalla Commissione tributaria.
In particolare occorre verificare se l’ente impositore possa procedere direttamente all’iscrizione a ruolo delle imposte dovute in base all’atto impositivo originario, ancorché nella minore misura risultante dalla sentenza, o se, invece, debba necessariamente procedere alla rideterminazione (riliquidazione) delle stesse attraverso l’emissione di un secondo atto impositivo conforme alle prescrizioni del giudice.
Nella fattispecie decisa con l’annotata sentenza, come vedremo, non potevano sussistere dubbi sul fatto che si dovesse procedere all’emissione di un nuovo atto impositivo, stante l’ordine, in tal senso, specificamente impartito dalla Commissione tributaria che aveva parzialmente accolto il ricorso dei contribuenti avverso un avviso di liquidazione.
Tuttavia, a parere di chi scrive, la Suprema Corte ha svolto alcune considerazioni ed è giunta a una conclusione che vanno oltre il caso di specie e alle quali può ascriversi certamente “portata generale”.
Di qui l’opportunità di esaminare nel dettaglio tali considerazioni e i corollari che se ne possono trarre.

2. Il caso di specie

La pronuncia annotata è stata emessa all’esito di un giudizio che aveva ad oggetto il rifiuto opposto alla richiesta di rimborso di interessi di mora e aggio esattoriale versati da quattro eredi a seguito di una “intimazione di pagamento” emessa dall’agente della riscossione.
A monte del suddetto giudizio, tuttavia, vi era una complessa vicenda processuale che va preliminarmente e necessariamente ricostruita.
L’Agenzia delle entrate aveva notificato agli eredi di un contribuente un “avviso di liquidazione” dell’imposta di successione che gli intimati avevano impugnato dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano.
La Commissione adita aveva giudicato «fondati, almeno in parte» gli assunti dei ricorrenti, riconoscendo nello specifico la «detrazione dell’importo di L. 8.686.051.625 relativo a titoli esenti» e la «decurtazione dall’imponibile del 50% dei beni cointestati», demandando all’Ufficio finanziario «la riliquidazione dell’imposta dovuta in ragione della … decisione».
Mentre la sentenza di parziale accoglimento del ricorso si rendeva definitiva per mancata impugnazione, l’Ufficio procedeva all’iscrizione a ruolo dell’imposta di successione «sulla base dell’originario (e tuttavia caducato) avviso di liquidazione».
Di qui la proposizione di un nuovo ricorso, questa volta avverso le cartelle di pagamento, che il giudice tributario accoglieva, condannando l’Amministrazione finanziaria «ad adeguare le cartelle secondo il dispositivo della sentenza n. 138 del 2001», ovvero secondo il dispositivo della sentenza, passata in giudicato, che aveva parzialmente accolto il ricorso avverso l’avviso di liquidazione.
L’Agenzia delle entrate, successivamente, procedeva alla riliquidazione dell’imposta in misura «conforme al giudicato», con «provvedimento detto di sgravio», e i contribuenti provvedevano ad eseguire i pagamenti dovuti.
Sennonché, l’agente della riscossione emetteva una “intimazione di pagamento” per l’esazione degli interessi di mora e dell’aggio esattoriale «sulla base di un aggiornamento contabile avente data dalla notifica delle cartelle».
I contribuenti eseguivano i pagamenti intimati e successivamente agivano in giudizio per ottenerne il rimborso, ritenendo illegittima la pretesa di quegli “accessori”.
La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso e, successivamente, la Commissione tributaria regionale rigettava l’appello dell’Ufficio, riconoscendo il diritto al rimborso delle somme versate a titolo di interessi di mora e aggio esattoriale, ancorché in misura ridotta rispetto alla domanda.
Avverso tale ultima decisione proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, cui resistevano gli intimati con controricorso e ricorso incidentale, mentre a sua volta l’agente della riscossione proponeva ricorso incidentale adesivo alle censure dispiegate dal ricorso principale dell’Agenzia fiscale.

3. La decisione della Suprema Corte

Come ha bene sintetizzato la Suprema Corte, il fulcro delle doglianze formulate dalla ricorrente «riguarda l’interpretazione data dalla commissione tributaria al giudicato di cui alla evocata sentenza n. 138-01».
Secondo le prospettazioni dell’Agenzia delle entrate, quella sentenza aveva accolto solo parzialmente il ricorso avverso l’originario avviso di liquidazione, per ragioni non di ordine formale, e aveva «ridotto l’imposta dovuta senza espressamente dichiararne l’annullamento», motivo per il quale l’atto impositivo era «sopravvissuto alla decisione per le parti in cui il ricorso non era stato accolto».
Di conseguenza, anche le successive cartelle di pagamento, emesse in base al suddetto avviso di liquidazione, dovevano ritenersi legittime «in proporzione delle imposte non dichiarate indebite dalla commissione tributaria e, appunto, non fatte oggetto di sgravio», ciò che rendeva fondata la pretesa degli aggi e degli interessi di mora «in proporzione delle imposte ancora dovute, essendo state le imposte pagate dai contribuenti solo dopo il ricalcolo conseguente allo sgravio parziale».
In sostanza, secondo l’Ufficio impositore, l’avviso di liquidazione era comunque “sopravvissuto” (in parte) alla sentenza di accoglimento parziale, di qui la legittimità delle successive cartelle di pagamento, sia pure per la minore imposta “sopravvissuta” alla suddetta sentenza, e la fondatezza della pretesa di aggi della riscossione e interessi di mora, in misura proporzionata a tale minore imposta e a fare data dalla notifica delle cartelle medesime.
Sempre secondo la tesi erariale, invero, avendo i contribuenti versato l’imposta soltanto dopo il “ricalcolo” eseguito con il provvedimento di sgravio parziale, restavano comunque dovuti gli interessi di mora maturati medio tempore e gli aggi della riscossione.
Ergo, legittima doveva considerarsi l’intimazione di pagamento emessa dall’agente della riscossione per il recupero dei suddetti accessori e, di contro, infondata la richiesta di rimborso dei contribuenti, accolta invece dal giudice di merito con la sentenza gravata.
La Suprema Corte, preliminarmente, ha ritenuto opportuno ribadire che il processo tributario è un processo c.d. di “impugnazione-merito”, diretto non alla mera eliminazione dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione sul rapporto “in funzione sostitutiva” (1), e che il quadro di tale definizione si completa con il principio secondo cui l’oggetto del processo tributario è la «verifica della legittimità della pretesa tributaria in quanto avanzata con l’atto impugnato e alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in tale atto indicati» (2).
Alla luce di tali premesse, è stata giudicata infondata la tesi dell’Ufficio finanziario secondo cui la sentenza di parziale accoglimento del ricorso avverso l’originario avviso di liquidazione aveva determinato la “parziale sopravvivenza” dello stesso, in quanto, per effetto della suddetta sentenza, l’avviso di liquidazione aveva perso la sua «efficacia di atto impositivo, essendo infine i contribuenti tenuti ad adempiere l’obbligazione non già nei termini derivati dall’atto, sebbene nei termini imposti dalla sentenza».
Di conseguenza, fino alla riliquidazione demandata all’ente impositore, l’obbligazione di pagamento, tratta dall’originario avviso di liquidazione, «non potevasi in modo alcuno considerare esigibile».
Stante l’inesigibilità della suddetta obbligazione, l’Ufficio impositore non poteva iscrivere direttamente a ruolo l’imposta sulla base dell’originario avviso di liquidazione, ma aveva l’obbligo di procedere, preliminarmente, alla riliquidazione di quell’imposta, attraverso l’emissione di un nuovo atto che recepisse i rilievi e le indicazioni della Commissione tributaria.
Pertanto, illegittime erano le successive cartelle di pagamento notificate agli eredi, perché emesse sulla base di un atto parzialmente annullato, e illegittima era la conseguente pretesa degli interessi di mora e degli aggi di riscossione, seppur determinati «sulla base di un aggiornamento contabile … attinente alle sole quote iscritte residuate dopo i provvedimenti di sgravio, nonché dei pagamenti registrati».
Tale “pratica intimativa”, ha precisato la Suprema Corte, è del tutto illegittima, avendo a presupposto la persistente validità delle cartelle di pagamento, mentre, «in coerenza con la natura sostitutiva della sentenza del giudice tributario, le cartelle erano da ritenersi caducate a seguito dell’ordine di adeguamento impartito nella sentenza emessa a conclusione del relativo giudizio».
Un titolo annullato, ha chiarito il Supremo Collegio, «non può costituire base di un’intimazione avente data dalla sua notifica, finanche ove aggiornata contabilmente sulla base delle quote residuate dopo i provvedimenti di sgravio. Viene difatti meno la legittimità dell’iscrizione a ruolo e, di conseguenza, l’onere di pagamento da essa derivante, ivi compreso quello relativo all’aggio».
Segue conclusivamente la precisazione, anche questa di grandissimo rilievo, secondo cui «l’iscrizione a ruolo è atto della riscossione che si forma in base ai contenuti degli atti della procedura di accertamento dell’imponibile, secondo la triade dichiarazione-avviso-sentenza. In mancanza, o in difformità di tale accertamento, l’iscrizione a ruolo è illegittima. E il principio deve trovare applicazione anche laddove il contrasto in ordine all’accertamento abbia imposto l’intervento giurisdizionale. Se la definizione dell’imponibile è conseguente alla sentenza, l’iscrizione a ruolo, avente a presupposto l’atto amministrativo tributario più non rileva, in quanto una nuova iscrizione va effettuata in base alla sentenza, della quale statuizione deve riprodurre il contenuto».
Alla luce di tali considerazioni il ricorso principale dell’Agenzia fiscale è stato rigettato, al pari del ricorso incidentale adesivo proposto dall’agente della riscossione e del ricorso incidentale degli intimati.

4. La natura sostitutiva delle sentenze tributarie

Come abbiamo anticipato in premessa, l’annotata sentenza merita di essere segnalata perché motivata con considerazioni giuridiche che hanno un grandissimo rilievo, sia sul piano teorico e dei principi generali, sia sul piano pratico.
Le suddette considerazioni, peraltro, vanno esaminate con attenzione al fine di evitare che una loro lettura frettolosa possa ingenerare qualche equivoco.
Cominciamo allora col verificare se la conclusione alla quale è giunta la Corte di Cassazione, di giudicare non dovuti (e da rimborsare) gli aggi della riscossione e gli interessi di mora «a far data dalle cartelle di pagamento», sia stata consequenziale, in qualche modo necessitata dal passaggio in giudicato della sentenza che aveva ordinato all’Ufficio impositore di riliquidare l’imposta, o se quella conclusione, anche in assenza di tale specifico ordine, non sarebbe cambiata in virtù del fatto che il giudice tributario aveva “definito” un diverso imponibile e, per tale sola ragione, si rendeva comunque necessaria l’emissione di un nuovo atto impositivo per procedere legittimamente all’iscrizione a ruolo e alla notifica delle cartelle di pagamento.
Il dubbio, a tale riguardo, deriva dal fatto che nella motivazione della sentenza annotata vi è un passaggio in cui il Supremo Collegio afferma, testualmente, che «fino alla riliquidazione demandata all’amministrazione (atteso il giudicato, non interessa qui indagare fino a che punto un simile mandato fosse giuridicamente consentito), l’obbligazione di pagamento, tratta dagli avvisi, non potevasi in alcun modo considerare esigibile».
Questa affermazione, se letta frettolosamente e senza il necessario coordinamento con le precisazioni successive, potrebbe indurre a ritenere che la decisione in esame sia stata in qualche modo condizionata dall’esistenza di quell’ordine impartito dal giudice (non importa, precisa la Corte di Cassazione, se «giuridicamente consentito», atteso il giudicato).
In realtà, ad avviso di chi scrive, anche se la Commissione tributaria provinciale di Milano non avesse espressamente ordinato la “riliquidazione dell’imposta”, ma si fosse limitata a pronunciare l’accoglimento parziale del ricorso, la decisione dei giudici della Corte di Cassazione non sarebbe cambiata.
Riteniamo, infatti, che l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo eseguita sulla base del caducato avviso di liquidazione non derivi tanto dalla circostanza (pure caratterizzante il caso di specie) che il giudice avesse esplicitamente “ordinato” la riliquidazione dell’imposta, ma dall’applicazione dei principi generali che informano il processo tributario, non a caso richiamati in limine dalla Suprema Corte per delineare con chiarezza, e da subito, il percorso motivazionale che avrebbe seguito per giungere alla conclusione qui commentata.
Invero, se il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione sul rapporto in “funzione sostitutiva”, è del tutto consequenziale che l’accoglimento del ricorso, ancorché parziale, faccia perdere efficacia al suddetto atto.
In sostanza, e in termini ancora più sintetici, non è solo l’ordine della Commissione territoriale di Milano che rendeva obbligata l’emissione di un nuovo atto impositivo, ma il fatto che il giudice avesse comunque ridefinito l’imponibile.
Pertanto, anche ove fosse mancato quell’ordine esplicito, la decisione di parziale accoglimento del ricorso avrebbe svolto ugualmente la sua “funzione sostitutiva” sul rapporto impositivo, con la conseguenza che il titolo per procedere all’iscrizione a ruolo non era e non poteva più essere rappresentato dall’originario (e caducato) avviso di liquidazione, ma occorreva preliminarmente procedere alla riliquidazione dell’imposta.
Il caso di specie, peraltro, è significativo del rilievo che ha sul piano pratico l’applicazione dei suddetti principi generali.
Se, come ha precisato la Suprema Corte, fino alla riliquidazione demandata all’ente impositore, l’obbligazione di pagamento, tratta dall’originario avviso di liquidazione, «non potevasi in modo alcuno considerare esigibile», l’Ufficio finanziario non poteva legittimamente procedere all’iscrizione a ruolo sulla base di quell’atto, con la conseguenza che non si potevano addebitare ai contribuenti né gli aggi della riscossione, né gli interessi di mora.
Pertanto, a nulla rilevava che si fosse intimato ai debitori il pagamento di quegli aggi e di quegli interessi in misura proporzionata all’imposta riliquidata (col provvedimento di sgravio), stante l’illegittimità dell’originaria iscrizione a ruolo dell’imposta di successione per l’inesigibilità della stessa.
In altri termini, il caso che occupa risulta emblematico della grande rilevanza che ha, sul piano sostanziale e della concreta quantificazione dell’obbligazione tributaria, l’affermazione del Supremo Collegio secondo cui «Se la definizione dell’imponibile è conseguente alla sentenza, l’iscrizione a ruolo, avente a presupposto l’atto amministrativo tributario più non rileva, in quanto una nuova iscrizione va effettuata in base alla sentenza, della quale statuizione deve riprodurre il contenuto».
Quella che precede, naturalmente, non è la sola affermazione di principio che rende interessante la sentenza in esame, visto che accanto alle considerazioni che attengono, in generale, all’impugnazione degli atti impositivi, ve ne sono alcune che riguardano specificamente l’impugnazione degli atti della riscossione.
Come abbiamo visto, nella complessa vicenda dalla quale ha tratto origine la controversia in esame si era svolto anche un processo nel quale erano state impugnate le cartelle di pagamento emesse sulla base dell’originario (e caducato) avviso di liquidazione, conclusosi con l’accoglimento del ricorso e la condanna dell’Amministrazione finanziaria «ad adeguare le cartelle secondo il dispositivo della sentenza n. 138 del 2001».
Ebbene, a prescindere dalle considerazioni esaminate in precedenza, che attengono al rapporto tra le sentenze che “(ri)definiscono l’imponibile” e l’iscrizione a ruolo – che, ripetiamo, risulterà legittima solo ove eseguita sulla base della sentenza e non già dell’originario atto impositivo – la Suprema Corte ha anche precisato che la pretesa di interessi di mora e aggi della riscossione a far data dalla notifica di una cartella di pagamento annullata, in tutto o in parte, dal giudice tributario costituisce una «pratica intimativa comunque illegittima».
In sostanza, a prescindere dalla legittimità o meno dell’iscrizione a ruolo, il parziale o totale annullamento di una cartella di pagamento impone sempre all’agente della riscossione l’emissione di una nuova cartella di pagamento per il recupero dell’imposta eventualmente ancora dovuta dal contribuente.
Di conseguenza, in tali casi al debitore non può essere intimato il pagamento di aggi della riscossione relativi alla cartella di pagamento annullata, né degli interessi di mora a decorrere dalla sua notifica, sorgendo il debito per tali accessori soltanto con l’emissione della nuova cartella di pagamento.

Domenico Carnimeo

(1) Oltre a Cass., sez. trib., 17 ottobre 2008 n. 25376; Cass., sez. trib., 9 giugno 2010, n. 13868; Cass., sez. VI, 24 luglio 2012, n. 13034; e Cass., sez. VI, 21 novembre 2013, n. 26157 (tutte in Boll. Trib. On-line), richiamate dalla Suprema Corte nell’annotata sentenza, ricordiamo nello stesso senso Cass., sez. trib., 18 settembre 2015, n. 18448, in Boll. Trib., 2015, 1582, con nota di V. AZZONI, Annullabilità, nullità e inesistenza dell’atto tributario; nonché Cass., sez. trib., 22 settembre 2011, n. 19337; e Cass., sez. trib., 4 maggio 2010, n. 11156 (entrambe in Boll. Trib. On-line).
(2) Oltre a Cass., sez. trib., 14 dicembre 2012, n. 23064 (erroneamente citata come depositata nel 2006), ed a Cass., sez. trib., 18 giugno 2003, n. 9754 (entrambe in Boll. Trib. On-line), richiamate dalla Suprema Corte nella sentenza in commento, ricordiamo nello stesso senso Cass., sez. trib., 3 agosto 2007, n. 17119, in Boll. Trib., 2008, 425, con nota di V. AZZONI, Per un’autotutela che tuteli davvero anche il contribuente; nonché Cass., sez. trib., 19 marzo 2009, n. 6620; Cass., sez. trib., 11 dicembre 2013, n. 27678; e Cass., sez. trib., 23 dicembre 2014, n. 27333 (quest’ultime tutte in Boll. Trib. On-line).

Procedimento – Ricorso per cassazione – Ricorso incidentale tardivo – Ammissibilità – Limiti e condizioni.

Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Natura ed oggetto del processo tributario – Costituisce un giudizio di ‘’impugnazione-merito’’ diretto alla pronuncia di una decisione sul rapporto tributario in funzione sostitutiva dell’accertamento.

Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Sentenza di annullamento parziale dell’atto impositivo – L’obbligazione tributaria da adempiere diviene quella discendente dal contenuto della sentenza, anziché dall’originario atto impositivo – Inesigibilità dell’obbligazione di pagamento sino alla riliquidazione demandata all’Amministrazione finanziaria – Consegue.

Imposte e tasse – Riscossione – Cartella di pagamento parametrata all’originario atto impositivo impugnato – Sopravvenuta sentenza di annullamento parziale dell’atto impositivo – Comporta la caducazione della cartella di pagamento – Nuova iscrizione a ruolo sulla base del contenuto della sentenza – Necessità.

Imposte e tasse – Riscossione – Iscrizione a ruolo a titolo provvisorio in pendenza di giudizio – Sopravvenuta sentenza di annullamento parziale dell’originario atto impositivo impugnato – Inefficacia dell’iscrizione a ruolo fondata su tale atto impositivo – Consegue – Nuova iscrizione a ruolo sulla base del contenuto della sentenza – Necessità.

I ricorsi incidentali tardivi avanti la Corte di Cassazione sono ammissibili non solo nella versione della controimpugnazione, per la quale rileva l’art. 334, primo comma, c.p.c., ma anche nella versione della impugnazione adesiva, tutte le volte in cui il ricorso principale abbia messo comunque in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza confermativa di una condanna solidale, alla quale era stata prestata acquiescenza.

Oggetto del processo tributario, atteso il meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio che lo caratterizza, non è l’accertamento dell’obbligazione tributaria in quanto tale, da condursi attraverso una diretta ricognizione della disciplina applicabile e dei fatti rilevanti sulla base di essa, a prescindere cioè dalle risultanze dell’atto impugnato, ma piuttosto la verifica della legittimità della pretesa tributaria in quanto avanzata con l’atto impugnato e alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto ivi indicati, ovvero il processo tributario deve essere definito come processo c.d. di “impugnazione-merito”, non diretto cioè alla mera eliminazione dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione sul rapporto in funzione sostitutiva.

A seguito della sentenza giudiziale di annullamento parziale di un atto impositivo, quest’ultimo perde la propria efficacia, e quindi il contribuente è tenuto ad adempiere l’obbligazione tributaria non già nei termini derivati dall’atto originario, bensì nei termini imposti dalla sentenza, con la conseguenza che fino alla riliquidazione demandata all’Amministrazione finanziaria l’obbligazione di pagamento tratta dall’originario atto impositivo non si può in alcun modo considerare esigibile.

In coerenza con la natura sostitutiva della sentenza del giudice tributario, la cartella di pagamento originariamente parametrata al debito globale scaturente dall’atto impositivo impugnato dal contribuente è da ritenere caducata a seguito dell’ordine di adeguamento che sia stato impartito nella sentenza di accoglimento parziale emessa a conclusione del relativo giudizio, e un titolo annullato non può costituire base di un’intimazione avente data dalla sua notifica, finanche ove aggiornata contabilmente sulla base delle quote residuate dopo i provvedimenti di sgravio eventualmente adottati, poiché viene meno la legittimità dell’iscrizione a ruolo e, di conseguenza, l’onere di pagamento da essa derivante, ivi compreso quello relativo all’aggio di riscossione.

L’iscrizione a ruolo è atto della riscossione che si forma in base ai contenuti degli atti della procedura di accertamento dell’imponibile secondo la triade dichiarazione – avviso – sentenza, e in mancanza o in difformità di tale accertamento l’iscrizione a ruolo è illegittima, secondo un principio che deve trovare applicazione anche laddove il contrasto in ordine all’accertamento abbia imposto l’intervento giurisdizionale; se la definizione dell’imponibile è conseguente alla sentenza, l’iscrizione a ruolo, avente a presupposto l’atto amministrativo tributario, più non rileva, in quanto una nuova iscrizione va effettuata in base alla sentenza, della quale statuizione deve riprodurre il contenuto.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Merone, rel. Terrusi), 12 novembre 2014, sent. n. 24092, ric. Agenzia delle entrate]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Con sentenza n. 65-42-2008, depositata il 5-6-2008 e non notificata, la commissione tributaria regionale della Lombardia ha confermato, seppur riducendo l’importo, il diritto degli eredi P. al rimborso di quanto pagato a seguito di un’intimazione emessa da Equitalia Esatri s.p.a., per la riscossione degli interessi di mora indicati in alcune cartelle di pagamento e per la corresponsione dell’aggio sulle cartelle dette.
Per quanto rileva, la commissione tributaria regionale ha evidenziato che la pretesa era originata da avvisi di liquidazione dell’imposta di successione in morte di G.P., in relazione ai quali la commissione tributaria provinciale di Milano, con sentenza n. 138 del 2001, passata in giudicato per mancata impugnazione, aveva riconosciuto fondati, almeno in parte, gli assunti dei contribuenti, ordinando all’ufficio di procedere alla riliquidazione dell’imposta sulla base di quanto statuito.
La commissione regionale ha quindi osservato che l’avviso di liquidazione non poteva dirsi sopravvissuto alla sentenza che ne aveva statuito l’erroneità, e non aveva implicato l’obbligo dei contribuenti di rideterminarsi al riguardo e di provvedere al relativo pagamento. Invero la richiamata sentenza n. 138-01, imponendo all’ufficio la riliquidazione dell’imposta, aveva fatto perdere all’originario avviso qualsivoglia efficacia, essendo quello tributario un giudizio di impugnazione, e non essendo stata la sentenza impugnata dall’amministrazione soccombente. Le cartelle, sulla cui base era stato intimato il pagamento di interessi e aggio, erano state del resto notificate dopo la sentenza, per la riscossione dell’imposta sulla base dell’originario e già caducato avviso di liquidazione; e della sentenza non avevano tenuto conto.
A ogni modo la commissione ha ravvisato un errore nel computo della somma rimborsabile, e l’ha quindi ridotta in misura corrispondente.
Ha proposto ricorso per cassazione l’agenzia delle entrate, articolando due motivi di censura.
Gli intimati hanno replicato con controricorso e hanno proposto tre motivi di ricorso incidentale.
Si è costituita anche Equitalia Esatri s.p.a., proponendo ricorso incidentale adesivo alle censure svolte dall’amministrazione nel ricorso principale.

MOTIVI DELLA DECISIONE – I. Il ricorso principale consta di due motivi, conclusi da quesiti e rubricati come (i) violazione dei principi generali del processo tributario in tema di poteri del giudice tributario e di natura del processo, artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.; e (ii) insufficiente motivazione su fatto controverso (art. 360, n. 5, c.p.c.).
Il fulcro delle doglianze riguarda l’interpretazione data dalla commissione tributaria al giudicato di cui alla evocata sentenza n. 138-01.
Sostiene la ricorrente che la sentenza aveva accolto solo parzialmente il ricorso dei contribuenti per ragioni non di ordine formale e che aveva ridotto l’imposta dovuta senza espressamente dichiarare l’annullamento (parziale o meno) degli atti tributari. Conseguentemente, gli avvisi erano sopravvissuti alla decisione per le parti in cui il ricorso non era stato accolto; e dunque avevano comportato la legittimità delle cartelle di pagamento in proporzione delle imposte non dichiarate indebite dalla commissione tributaria provinciale e, appunto, non fatte oggetto di sgravio.
Da tale legittimità si sarebbe dovuta rilevare la debenza degli aggi e degli interessi di mora maturati in proporzione delle imposte ancora dovute, essendo state le imposte pagate dai contribuenti solo dopo il ricalcolo conseguente allo sgravio parziale.

II. Occorre avvertire che alla tesi del ricorrente principale ha fatto riscontro quella – identica e fondata sugli stessi testuali motivi – di Esatri s.p.a., di cui al controricorso contenente ricorso incidentale adesivo.
Il ricorso incidentale di Esatri s.p.a. è ammissibile in base a sez. un. n. 24627-07, cui il collegio intende dare continuità.
In sostanza i ricorsi incidentali tardivi sono ammissibili, non solo nella versione della controimpugnazione (per la quale rileva l’art. 334, 1° co., c.p.c.), ma anche nella versione della impugnazione adesiva, le volte in cui il ricorso principale abbia messo comunque in discussione – come nel caso di specie – l’assetto di interessi derivante dalla sentenza confermativa di una condanna solidale, alla quale era stata prestata acquiescenza; assetto che, se quell’impugnazione fosse accolta, potrebbe comportare, finanche in cause formalmente scindibili, una modifica delle situazioni giuridiche originariamente accettate dalla concessionaria per la riscossione.

III. Il ricorso principale è tuttavia infondato.
La tesi della commissione tributaria regionale è riassunta nella duplice considerazione (a) che “il processo tributario è un giudizio di impugnazione” e (b) che “la relativa sentenza non può che avere effetti nei confronti dell’atto impugnato e del relativo contenuto”.
Invero la commissione ha affermato che “nel caso in esame la sentenza n. 138/01 oltre a ridimensionare la pretesa contenuta nell’avviso impugnato, ha imposto all’ufficio di provvedere alla riliquidazione dell’importo dovuto, facendo, in tal modo, perdere all’originario avviso di liquidazione la relativa efficacia”.
Da qui ha desunto che le cartelle di pagamento, che hanno poi determinato l’intimazione relativa agli interessi di mora e all’aggio di riscossione (di cui è causa), in quanto notificate dopo la sentenza, avevano perso ogni validità, visto che con esse era stata chiesta l’imposta sulla base dell’originario (e tuttavia caducato) avviso di liquidazione.

IV. La conclusione, sebbene con le precisazioni che seguono, va confermata.
Oggetto del processo tributario, atteso il meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio che lo caratterizza, non è l’accertamento dell’obbligazione tributaria in quanto tale, da condursi attraverso una diretta ricognizione della disciplina applicabile e dei fatti rilevanti sulla base di essa (a prescindere, cioè, dalle risultanze dell’atto impugnato). È piuttosto la verifica della legittimità della pretesa tributaria in quanto avanzata con l’atto impugnato (v., ex multis, Cass. n. 23064-06; n. 9754-03), e alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in tale atto indicati.
Il dianzi detto principio completa il quadro della definizione del processo tributario come processo cd. di “impugnazione-merito”, non diretto cioè alla mera eliminazione dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione sul rapporto in funzione sostitutiva (v. per tutte Cass. n. 26157-13; n. 13034-12; n. 13868-10; n. 25376-08).
Simile premessa rende ragione sotto due punti di vista dell’infondatezza della tesi della ricorrente.
Questa afferma che il nodo cruciale della controversia risiedeva nell’interpretazione della sentenza n. 138-44-2001 della commissione tributaria provinciale di Milano, passata in giudicato, in quanto – a suo dire – quella sentenza aveva determinato la sopravvivenza delle parti degli avvisi di liquidazione per le quali il ricorso non era stato accolto.
Una simile affermazione si pone in contrasto con l’insegnamento di questa corte tratto dai principi appena ricordati, dal momento che quei principi giustificano esattamente la diversa interpretazione del titolo, dalla commissione tributaria implicitamente ritenuta mercé l’assunto che, a seguito della sentenza, gli avvisi impugnati perdono la loro efficacia di atti impositivi, essendo infine i contribuenti tenuti ad adempiere l’obbligazione non già nei termini derivati dagli atti, sebbene nei termini imposti dalla sentenza.
Consegue che, fino alla riliquidazione demandata all’amministrazione (atteso il giudicato, non interessa qui indagare fino a che punto un simile mandato fosse giuridicamente consentito), l’obbligazione di pagamento, tratta dagli avvisi, non potevasi in modo alcuno considerare esigibile.

V. È errato affermare – come invece è stato fatto dall’amministrazione ricorrente – che, siccome annullati solo parzialmente, gli avvisi avrebbero “continuato a produrre effetti anche dopo la sentenza n. 138/44/2001”; e non è condivisibile l’ulteriore consequenziale rilievo che “le cartelle di pagamento, sia pure errate per eccesso, in quanto richiedenti l’intera somma indicata nell’avviso di liquidazione, erano comunque legittime per la somma risultante dall’annullamento parziale”.
Il punto nodale della causa imponeva di considerare la cronologia dei fatti, i quali emergono dalla stessa esposizione della ricorrente.
Se, da un lato, risulta che la commissione tributaria provinciale di Milano, con la più volte citata sentenza n. 138 del 2001, a conclusione del giudizio di impugnazione instaurato in relazione agli avvisi di accertamento dell’imposta di successione, aveva accolto le domande dei contribuenti (a) “di detrazione dell’importo di lire 8.686.051.625, relativo a titoli esenti” e (b) “di decurtazione dall’imponibile del 50% dei beni cointestati”; sicché aveva accolto la domanda di annullamento dell’imposta globale e aveva demandato all’ufficio “la riliquidazione dell’imposta dovuta in ragione della … decisione”; dall’altro, risulta pure che, dopo la sentenza, erano state notificate le cartelle di pagamento ancora parametrate al debito globale di cui agli avvisi di liquidazione; e che, all’esito del giudizio di impugnazione, ulteriormente promosso contro le medesime, il giudice tributario aveva condannato l’amministrazione ad adeguare le cartelle secondo il dispositivo della sentenza n. 138 del 2001.
La riliquidazione dell’imposte in misura conforme al giudicato era infine avvenuta con provvedimento (detto di sgravio) del 17-12-2002, a fronte del quale i contribuenti avevano eseguito i dovuti pagamenti.
Finanche allora dandosi per scontato che – come la ricorrente afferma – la concessionaria per la riscossione abbia richiesto, con le intimazioni oggetto della presente causa, il pagamento degli interessi di mora e l’aggio, sulla base di un aggiornamento contabile avente data dalla notifica delle cartelle suddette, ma attinente alle “sole quote iscritte residuate dopo i provvedimenti di sgravio, nonché dei pagamenti registrati”, resta il fatto che una tale pratica intimativa era comunque illegittima.
Essa, difatti, aveva a presupposto la persistente validità delle cartelle medesime, mentre, in coerenza con la natura sostitutiva della sentenza del giudice tributario, le cartelle erano da ritenere caducate a seguito dell’ordine di adeguamento impartito nella sentenza emessa a conclusione del relativo giudizio. E un titolo annullato non può costituire base di un’intimazione avente data dalla sua notifica, finanche ove aggiornata contabilmente sulla base delle quote residuate dopo i provvedimenti di sgravio. Viene difatti meno la legittimità dell’iscrizione a ruolo e, di conseguenza, l’onere di pagamento da essa derivante, ivi compreso quello relativo all’aggio.
A tal riguardo è opportuno precisare che l’iscrizione a ruolo è atto della riscossione che si forma in base ai contenuti degli atti della procedura di accertamento dell’imponibile, secondo la triade dichiarazione-avviso-sentenza. In mancanza, o in difformità di tale accertamento, l’iscrizione a ruolo è illegittima. E il principio deve trovare applicazione anche laddove il contrasto in ordine all’accertamento abbia imposto l’intervento giurisdizionale. Se la definizione dell’imponibile è conseguente alla sentenza, l’iscrizione a ruolo, avente a presupposto l’atto amministrativo tributario, più non rileva, in quanto una nuova iscrizione va effettuata in base alla sentenza, della quale statuizione deve riprodurre il contenuto.
Da qui il rigetto del ricorso principale (e del ricorso incidentale adesivo di Esatri s.p.a., che replica le censure).

VI. Eguale sorte spetta al ricorso incidentale tardivo dei contribuenti.
Il ricorso incidentale attinge, da un lato, il capo della sentenza d’appello che ha escluso la responsabilità processuale aggravata dell’amministrazione e, dall’altro, il capo che ha rideterminato la somma dovuta in favore degli eredi P. in misura inferiore alla domanda di rimborso.
Esso risulta affidato a tre motivi rubricati come:
(a) insufficiente motivazione della sentenza su fatto controverso (art. 360, n. 5, c.p.c.);
(b) vizio di ultrapetizione e violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.;
(c) ancora insufficiente motivazione su altro profilo, ritenuto decisivo per il giudizio. È decisivo osservare che:
(aa) il primo motivo incoerentemente denuncia ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. i profili giuridici della controversia incentrati sul quesito se sia fonte di responsabilità aggravata il comportamento dell’ufficio che ha determinato l’emissione di un avviso di liquidazione senza notificare i provvedimenti sospensivi della riscossione; non dunque i profili di fatto; laddove il vizio di motivazione, rilevante in cassazione, può essere impiegato solo per ottenere un sindacato indiretto sull’accertamento di fatti;
(bb) il secondo è inammissibile per genericità di formulazione del quesito che lo conclude, sostanzialmente tradotto in mero interpello sulla portata di un principio codicistico [“se è corretta, in relazione all’art. 112 c.p.c. e all’art. 56 del d.lgs. n. 546-1992, la sentenza che pronuncia su una domanda non formulata da nessuna parte nel corso dei precedenti gradi di giudizio, rideterminando per tale ragione le somme definite nel primo grado …”]; ed è in ogni caso infondato in quanto la rideterminazione della sorte capitale richiesta a rimborso poteva essere fatta d’ufficio dal giudice tributario, attenendo al quantum debeatur rispetto a una pretesa contestata dall’amministrazione in toto;
(cc) il terzo è inammissibile per la stessa ragione del primo, essendo anche in tal caso denunciati ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. i profili giuridici della controversia, circa – questa volta – il potere giudiziale di rideterminazione di importi in asserito difetto di domanda.

VII. I ricorsi vanno dunque rigettati.
L’esito determina la compensazione delle spese processuali.

P.Q.M. – La Corte rigetta i ricorsi e compensa le spese processuali.

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