2 Aprile, 2014

 

SOMMARIO: Premessa – 1. La negazione del diritto di detrazione in presenza di una frode all’IVA europea: la sentenza Kittel e Recolta Recycling– 2. La sentenza 21 giugno 2011 (Mahagében e Dávid) – 3. La sentenza 6 settembre 2012 (Tóth) – 4. La sentenza 6 settembre 2012 (Mecsek-Gabona) – 5. La sentenza 6 dicembre 2012 (Bonik EOOD) – 6. L’onere di conoscenza esigibile dal soggetto passivo 7. Conclusioni.

 

 

Premessa

 

La ripartizione dei doveri di vigilanza tra Amministrazione finanziaria e contribuenti per assicurare la regolarità delle operazioni soggette all’IVA e sventare eventuali frodi o abusi, specie nell’ambito delle operazioni intracomunitarie, ha dato luogo ad un cospicuo contenzioso in sede nazionale (1) ed europea. La posta in gioco, infatti, è costituita dal riconoscimento del diritto del soggetto passivo di detrarre l’imposta sugli acquisti effettuati o di non pagarla in caso di cessioni intracomunitarie non imponibili (o, esenti, come stabilisce l’art. 138 della Direttiva 2006/122/CE).

 In una serie di sentenze pronunciate tra il 21 giugno e il 6 dicembre 2012 (2) la Corte di Giustizia UE ha definito il contenuto dell’onere di conoscenza imposto ad un soggetto passivo IVA destinatario di una cessione che si inserisce in un’operazione fraudolenta, ma anche gli obblighi incombenti sulle Amministrazioni finanziarie nazionali, cui spetta, in prima battuta, fornire la prova della partecipazione del soggetto passivo ad un’operazione fraudolenta che determini l’evasione dell’IVA europea, senza potersi limitare a contestare la regolarità dell’operazione.

 La Corte UE ripudia nettamente una concezione del sistema dell’IVA europea come volta ad istituire un sistema di responsabilità oggettiva in capo ai soggetti passivi, che li trasformerebbe di fatto in veri e propri responsabili d’imposta per l’IVA sugli acquisti, esortando le Amministrazioni fiscali europee a compiere le attività istruttorie necessarie a stabilire la regolarità o l’irregolarità di un’operazione anche attraverso gli strumenti della cooperazione amministrativa previsti dal diritto dell’Unione europea (3).

 

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1. La negazione del diritto di detrazione in presenza di una frode all’IVA europea: la sentenza Kittel e Recolta Recycling

 

 

Per un’adeguata comprensione delle questioni trattate nelle sentenze appena ricordate, occorre ripercorrere i tratti salienti della decisione della Corte di Giustizia UE 6 luglio 2006 (4) relativa alle cause Kittel e Recolta Recycling. In questa sentenza i giudici del Lussemburgo avevano statuito che qualora fosse acclarato, alla luce degli elementi fattuali del caso, che una cessione sia stata effettuata nei confronti di un soggetto passivo che «sapeva o avrebbe dovuto sapere» di partecipare con il proprio acquisto ad un’operazione che si iscriveva in una frode all’IVA, il giudice nazionale deve negare a detto soggetto il beneficio del diritto alla deduzione dell’IVA pagata sugli acquisti.

 Nonostante la chiara statuizione di principio contenuta nella sentenza Kittel e Recolta Recycling, che ha equiparato la conoscibilità alla conoscenza effettiva della frode (secondo la formula del diritto tedesco Kennen = Kennenmüssen) (5), rimaneva incerto che cosa si potesse esigere da un soggetto passivo, ignaro della macchinazione fraudolenta, al fine di escludere l’omissione di un onere di conoscenza degli indizi dell’operazione fraudolenta a monte, lasciando al giudice nazionale una discrezionalità eccessiva nella limitazione del diritto alla detrazione nel caso concreto, poco coerente con il sistema comune dell’IVA europea.

 Come affermato dalla costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, il diritto di detrazione (6) costituisce un cardine fondamentale del sistema comune dell’IVA attuato dalla normativa dell’Unione europea (7) e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazione, dovendosi esercitare immediatamente per la totalità dell’imposta che hanno gravato sulle operazioni effettuate a monte. Questo diritto è inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’IVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche, garantendo in tal modo la neutralità dell’imposizione fiscale (8).

 Le sentenze esaminate chiariscono che si può esigere dal contribuente tutto ciò che rientra nella sua sfera di controllo, ma non lo si può gravare di adempimenti che spettano all’Amministrazione.

 

 

2. La sentenza 21 giugno 2011 (Mahagében e Dávid)

 

 

Nella sentenza 21 giugno 2011 (Mahagében e Dávid), resa nelle cause riunite C-80/11 e C-142/11, la Corte di Giustizia si è occupata di due distinte questioni.

 In primo luogo, esaminando la causa C-142/11, la Corte di Giustizia ha affrontato la questione della detraibilità dell’IVA da parte di un appaltatore, il sig. Dávid, che aveva effettuato lavori di costruzione avvalendosi dei servizi di diversi subappaltatori senza aver assunto informazioni circa l’identità degli operai impiegati dai subappaltatori. I successivi controlli fiscali avevano accertato che i lavori erano stati effettivamente eseguiti dagli operai indicati sui fogli di presenza, ma, non essendo stato possibile accertare quale imprenditore avesse realizzato effettivamente i lavori, le fatture ricevute dal soggetto passivo non sarebbero risultate collegate con una reale operazione economica di talché si sarebbero dovute considerare fittizie. L’Amministrazione finanziaria, pertanto, aveva contestato al soggetto passivo di non aver accertato con la diligenza richiesta dalla legge ungherese sull’IVA, che il subappaltatore disponesse o meno dei mezzi necessari per l’esecuzione dei lavori. Conseguentemente l’Amministrazione ha negato al sig. Dávid il diritto di detrazione e gli ha notificato un avviso di rettifica dell’IVA, pretendendo il pagamento della maggiore imposta dovuta.

 In altra causa (C-80/11), decisa con la medesima sentenza, la stessa Amministrazione fiscale ungherese aveva negato il diritto di detrazione ad altro soggetto passivo, la società Mahagében, che aveva stipulato un contratto con un altro operatore per la fornitura di tronchi d’acacia, in quanto, pur avendo accertato che la merce era stata effettivamente consegnata, la società non era riuscita a produrre tempestivamente i buoni di consegna dei tronchi e, in definitiva, non aveva controllato con la richiesta diligenza che il fornitore fosse un soggetto passivo esistente e disponesse effettivamente del legname oggetto del contratto di somministrazione.

 Orbene, nella sentenza Mahagében e Dávid la Corte di Giustizia ha chiarito che gli artt. 167, 168, lett. a), 178, lett. a), e 273, della Direttiva 28 novembre 2008, n. 112, in mancanza di indizi di frodi o di irregolarità nella catena di cessioni a monte, ostano al diniego del diritto di detrazione per il semplice fatto che un soggetto passivo non si sia assicurato che l’emittente della fattura per la quale chiede l’esercizio del diritto di detrazione, avesse la qualità di soggetto passivo, disponesse dei beni oggetto del contratto e fosse in grado di fornirli ed avesse soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’IVA (ancorché tale soggetto passivo non disponga di documenti idonei a dimostrare la sussistenza delle suddette circostanze), ove ricorrano le condizioni di sostanza e di forma come previste dalla Direttiva 2006/112/CE per l’esercizio del diritto di detrazione (9).

 Né il diritto di detrazione potrebbe essere negato, secondo la Corte lussemburghese, con la motivazione che l’emittente della fattura abbia commesso un’irregolarità, qualora l’Amministrazione finanziaria non dimostri, sulla scorta di elementi oggettivi, che il soggetto passivo interessato sapesse e dovesse sapere, che l’operazione invocata fondamento del diritto di detrazione si iscriveva nell’ambito di una frode IVA (10). secondo la Corte, pertanto, la conoscenza potenziale (ovvero la conoscibilità) di partecipare ad una frode all’IVA autorizza gli Stati europei a negare ai soggetti passivi la detrazione dell’imposta sugli acquisti, ma occorre che l’Amministrazione finanziaria dimostri, da un lato, la sussistenza di un’operazione fraudolenta e, dall’altra, che il soggetto passivo fosse consapevole di parteciparvi o, quanto meno, avrebbe potuto agevolmente rendersene conto.

 

 

3. La sentenza 6 settembre 2012 (Tóth)

 

 

Nella sentenza 6 settembre 2012 (Tóth), resa nella causa C-324/11, la Corte di Giustizia ha affrontato una serie di questioni sulla detraibilità dell’IVA da parte di un soggetto, il sig. Tóth, che aveva effettuato lavori di costruzione avvalendosi in parte di subappaltatori, tra i quali il sig. M.L. Poiché quest’ultimo soggetto non aveva adempiuto ai propri obblighi fiscali a partire dal 2003 e utilizzava lavoratori “in nero”, le Autorità fiscali ungheresi gli avevano revocato la licenza di imprenditore ancor prima che potesse eseguire la fornitura dei servizi al sig. Toth. L’Amministrazione finanziaria ungherese, pertanto, ritenendo la che l’IVA indicata nelle fatture emesse da M.L. non potesse essere detratta dal sig. Toth, aveva notificato a quest’ultimo un avviso di rettifica dell’IVA, pretendendo il pagamento della maggiore imposta dovuta.

 In questa pronuncia la Corte di Giustizia ha puntualizzato che il diritto di detrazione previsto dall’art. 168, lett. a), della Direttiva 28 novembre 2008, n. 112, essendo subordinato all’impiego da parte del soggetto passivo IVA di beni e servizi acquistati ai fini di proprie operazioni soggette ad imposta, non può essere negato o limitato a causa del fatto che il cedente o il prestatore abbia subito la revoca della licenza di imprenditore e, conseguentemente, non possa più utilizzare il proprio numero di identificazione fiscale, qualora la fattura emessa, presenti comunque tutte le informazioni richieste dall’art. 226 della Direttiva 2008/112/CE. Il giudice europeo ha evidenziato, infatti, che lo status di soggetto passivo IVA, ai sensi dell’art. 9 della Direttiva 2008/112/CE, dipende da circostanze meramente fattuali, quali l’esercizio, in modo indipendente, di un’attività economica relativa alla produzione o al commercio di beni (comprese le attività estrattive e agricole), ovvero alla prestazione di servizi (compresi quelli oggetto delle professioni liberali assimilate), senza che assumano rilievo eventuali autorizzazioni o licenze concesse dall’Amministrazione al fine di consentire l’esercizio dell’attività economica (11).

 Secondo il giudice del Lussemburgo neppure l’impiego di lavoratori “in nero” da parte del subappaltatore costituisce, in linea di principio, un ostacolo all’esercizio del diritto di detrazione dell’IVA da parte dell’appaltatore, soggetto passivo IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria non riesca a provare, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo sapesse o avrebbe dovuto sapere, che l’operazione invocata per giustificare il diritto di detrazione si iscriveva nel contesto di una frode commessa dall’emittente o da altro operatore intervenuto a monte nella catena delle prestazioni eseguite (12). Anche in questa pronuncia la Corte ha ribadito che la potenziale conoscenza (ovvero la conoscibilità) di partecipare ad una frode all’IVA va equiparata alla conoscenza effettiva. La mala fede del soggetto passivo autorizza gli Stati membri a negargli la detrazione sugli acquisti.

 

 

4. La sentenza 6 settembre 2012 (Mecsek-Gabona)

 

 

La sentenza 6 settembre 2012 (Mecsek-Gabona), è stata pronunciata all’esito di una controversia (causa C-273/11) tra l’Amministrazione finanziaria ungherese e la società Mecsek-Gabona per alcune operazioni di cessione intracomunitaria di colza. La merce era stata ceduta dalla società ungherese ad una italiana, la Agro-Trade, con obbligo di trasporto a carico di quest’ultima, che aveva reperito i mezzi di trasporto su cui la merce era stata caricata per essere inviata in Italia. Per la cessione suddetta la Mecsek-Gabona aveva emesso due fatture di cui l’ultima non era stata pagata.

 A seguito di una verifica fiscale l’Amministrazione finanziaria ungherese, avvalendosi della cooperazione amministrativa in materia di IVA prevista dal regolamento CE 7 ottobre 2003, n. 1789, aveva accertato che la società cessionaria non era reperibile all’indirizzo indicato e che il 14 gennaio 2010, all’epoca del controllo, il numero di identificazione IVA risultava cancellato. La Direzione regionale delle imposte esigeva che la Mecsek-Gabona fornisse la prova sia della consegna della merce all’acquirente sia dell’uscita della stessa dal territorio ungherese. In definitiva la Mecsek-Gabona non era in grado di fornire la prova dell’effettiva realizzazione delle cessioni intracomunitarie.

 La Corte di Giustizia, prendendo spunto dalle sue precedenti decisioni in materia (13), ha ricordato che nelle cessioni intracomunitarie in linea di principio il venditore può fruire dell’esenzione dall’IVA solo se fornisca la prova che il bene sia stato spedito o trasportato in un altro Stato membro, ovvero che esso abbia lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione (14). A seguito dell’abolizione delle frontiere interne tra gli Stati è divenuto più difficile per le Autorità fiscali verificare se le merci abbiano o meno lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione. Pertanto, dette Autorità procedono ad una tale verifica «principalmente in base alle prove fornite dai soggetti passivi e dalle dichiarazioni di questi ultimi» (15). Spetta dunque agli Stati membri fissare le condizioni alle quali le cessioni intracomunitarie vengono esentate per assicurare una corretta e semplice applicazione dell’IVA e per prevenire ogni possibile evasione, elusione e abuso. Tuttavia «gli Stati membri sono tenuti a rispettare i principi generali del diritto che fanno parte dell’ordinamento giuridico dell’Unione, quali, in particolare, i principi di certezza del diritto e di proporzionalità» (16).

 In una situazione in cui non esiste alcuna prova tangibile che permetta di ritenere che i beni oggetto della cessione intracomunitaria siano stati fisicamente trasferiti al di fuori dello Stato membro, obbligare il soggetto passivo a fornire una tale prova «non garantisce una corretta e semplice applicazione delle esenzioni». Al contrario, un obbligo siffatto pone il soggetto passivo in una situazione di incertezza circa la possibilità di avvalersi dell’esenzione ovvero di includere l’IVA nel prezzo di vendita (17).

 Va considerato, tra l’altro, che le prove di cui il venditore può avvalersi per dimostrare la regolarità della cessione dipende pur sempre dai documenti rinviatigli dall’acquirente. Pertanto, quando il venditore abbia adempiuto correttamente i suoi obblighi, se la spedizione o il trasporto erano a carico dell’acquirente e non viene provato il perfezionamento della cessione intracomunitaria, dovrebbe essere considerato debitore dell’IVA nello Stato proprio l’acquirente (18).

 Orbene, secondo la Corte di Giustizia, proprio nell’ipotesi in cui l’Amministrazione tributaria nazionale abbia rinvenuto fondati indizi di una frode all’IVA comunitaria perpetrata dall’acquirente, deve ritenersi giustificato subordinare al requisito della buona fede il diritto del venditore a non applicare l’imposta sulle cessioni intracomunitarie. Invero non può ritenersi contrario al diritto dell’Unione europea esigere che un operatore, che agisca in buona fede, adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo coinvolga in una frode che determini un’evasione tributaria (19).

 Tuttavia, nel procedimento di rinvio pregiudiziale, la Corte di Giustizia non è competente a verificare, né a valutare, le circostanze di fatto relative al procedimento principale. Conseguentemente spetta al giudice nazionale la valutazione di tutte le circostanze di fatto o del procedimento principale e, quindi, stabilire se il cedente abbia agito in buona fede e abbia adottato tutte le misure necessarie che gli si potevano ragionevolmente richiedere per garantire che l’operazione realizzata non si inquadrasse nell’ambito di una frode IVA (20).

 In conclusione, secondo i giudici del Lussemburgo, l’art. 138 della Direttiva 2006/112/CE non esclude che la non imponibilità della cessione intracomunitaria possa essere negata qualora «sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi», che il venditore non abbia adempiuto agli obblighi su di lui incombenti in materia di prova ovvero che sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione effettuata era parte di un meccanismo truffaldino posto in essere dall’acquirente e «non ha adottato le misure cui poteva ragionevolmente ricorrere per evitare la propria partecipazione a detta evasione».

 Una volta ribaditi i punti cardine della responsabilità del cedente nelle operazioni intracomunitarie, i giudici comunitari hanno quindi affermato che la cancellazione del numero di identificazione IVA dell’acquirente non può inficiare la regolarità della cessione. Invero, se l’esistenza di un numero siffatto fornisce la prova dello status fiscale del soggetto passivo ed agevola il controllo delle operazioni intracomunitarie, il numero identificativo IVA costituisce pur sempre solo un requisito formale, la cui mancanza non può mettere in discussione il diritto all’esenzione dell’IVA qualora ricorrano tutti gli elementi sostanziali dell’operazione intracomunitaria. In definitiva, secondo la Corte di Giustizia una norma nazionale che subordini il diritto all’esenzione del cedente al mero rispetto di obblighi di forma, senza prendere in considerazione i requisiti sostanziali dell’operazione (21), si pone in contrasto con il principio di proporzionalità in quanto eccede quanto è necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’IVA (22).

 

 

5. La sentenza 6 dicembre 2012 (Bonik EOOD)

 

 

La sentenza 6 dicembre 2012 (Bonik EOOD) è scaturita da una controversia (causa C-285/11) tra l’Amministrazione finanziaria della Bulgaria e la società Bonik per alcune cessioni intracomunitarie di grano e di girasoli. a seguito di una verifica fiscale, l’Ufficio tributario aveva constatato la mancanza di prova dell’effettuazione delle cessioni intracomunitarie per le quali la società pretendeva di esercitare il proprio diritto di detrazione. In questo caso l’Amministrazione finanziaria bulgara, ritenendo che la società fosse coinvolta in un’operazione fraudolenta, ha negato la detrazione dell’IVA indicata nelle fatture di acquisto, notificando a quest’ultima un avviso di rettifica dell’IVA con l’intimazione di provvedere al pagamento della maggiore imposta dovuta. Il caso è dunque diverso da quello esaminato dalla Corte nella causa C-273/11, sopra esaminato, dove l’Amministrazione ungherese aveva negato alla Mecsek-Gabona il diritto a non applicare l’IVA sulle cessioni intracomunitarie contestate.

 La Corte di Giustizia, richiamati i principi fondamentali in materia di detrazione dell’IVA sugli acquisti effettuati nell’esercizio dell’attività di impresa, ha affermato che tale diritto deve poter essere esercitato a prescindere dal regolare versamento dell’imposta a monte (23). Per poter beneficiare del diritto di detrazione, infatti, occorre esclusivamente che ricorrano i seguenti requisiti: che l’interessato sia un soggetto passivo ai sensi della Direttiva 2006/112/CE, che i beni e i servizi acquistati siano stati utilizzati a valle nell’ambito della propria attività economica per operazioni soggette ad IVA e che le cessioni intracomunitarie siano state effettivamente realizzate (24).

 Tuttavia la Corte ha ribadito che compete ai giudici nazionali verificare la realizzazione, nel caso concreto, delle predette circostanze fattuali, non potendo detta verifica essere condotta, in sede di rinvio pregiudiziale (25), dalla stessa Corte comunitaria (26). Qualora i fatti della causa principale dimostrino che le cessioni siano effettivamente avvenute, il beneficio del diritto di detrazione non potrà essere negato (27). Diversamente le Autorità finanziarie nazionali possono opporsi all’esercizio del diritto di detrazione e imporre il versamento della maggiore imposta dovuta.

 Anche in questa pronuncia il giudice del Lussemburgo ha ricordato che l’Amministrazione finanziaria può opporsi all’esercizio del diritto di detrazione, che costituisce un cardine fondamentale del sistema comune dell’IVA, solo quando sia in grado di fornire la prova che nel caso concreto sia stata realizzata un’operazione fraudolenta dallo stesso soggetto passivo ovvero che quest’ultimo sapeva o avrebbe dovuto sapere, agendo con la richiesta diligenza, che con il proprio acquisto avrebbe partecipato o, comunque, avrebbe rischiato di partecipare ad un’operazione fraudolenta volta ad evadere il versamento dell’IVA (28).

 

 

6. L’onere di conoscenza esigibile dal soggetto passivo

 

 

Le sentenze testé esaminate consentono dunque di chiarire i limiti dell’onere di conoscenza esigibile in concreto dai soggetti passivi, che assume un rilievo centrale nel sistema dell’IVA europea, in quanto condiziona l’esercizio del diritto di detrazione. Orbene, tutte le sentenze richiamate concludono nel senso che gli operatori devono adottare ogni misura «che può esser loro ragionevolmente richiesta» per evitare di prender parte, ovvero agevolare, la realizzazione di un’operazione volta ad evadere l’IVA.

 Tuttavia i giudici comunitari precisano che le Amministrazioni finanziare degli Stati membri non possono negare automaticamente l’esercizio del diritto di detrazione qualora i soggetti passivi non abbiano verificato la sussistenza dello status di soggetto passivo in capo al cedente, la disponibilità dei beni oggetto della prestazione e il puntuale adempimento degli obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’IVA facenti capo a costui, ove non dispongano di elementi idonei a fondare il sospetto dell’esistenza di irregolarità o frodi a monte (29). Il diniego della detrazione non può neppure essere fondato sulla generica presunzione di conoscenza o, a fortiori, di conoscibilità, dell’operazione fraudolenta, in base al fatto, ad esempio, che il soggetto passivo, appaltatore, non abbia verificato che in un cantiere gestito da un subappaltatore fossero impiegati lavoratori irregolari (30).

 Pertanto le Amministrazioni finanziarie nazionali non possono negare il diritto di detrazione ai soggetti passivi, ove ricorrano le condizioni previste dagli artt. 168 e 226 della Direttiva 2006/112/CE, qualora non siano in grado di provare che il destinatario della fattura disponesse di indizi idonei a fondare il sospetto dell’esistenza di irregolarità o frodi nella sfera dell’emittente. Diversamente, il diritto di detrazione può essere limitato, laddove l’Autorità fiscale sia in grado di provare, non solo la realizzazione nel caso concreto di una frode all’IVA, ma anche che il destinatario della fattura sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza, che l’operazione invocata a fondamento nel diritto di detrazione si iscriveva in una frode comunitaria.

 La Corte di Giustizia questa volta lo dice esplicitamente: spetta all’Amministrazione finanziaria dimostrare la sussistenza di elementi oggettivi che consentano di concludere che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata fondamento del diritto di detrazione si iscriveva nell’ambito di una frode volta a determinare un’evasione dell’IVA (31).

 Analogamente il diritto a non applicare l’IVA sulle cessioni intracomunitarie non può essere paralizzato sulla base di contestazioni meramente formali che non incidano sulla effettiva realizzazione dell’operazione, come, ad esempio, il rilievo che l’acquirente comunitario dopo l’acquisto abbia perduto la propria soggettività IVA e il suo numero di identificazione, valido al momento dell’operazione e accertabile con il sistema VIES (32), sia stato successivamente cancellato (33).

Le Amministrazioni tributarie non possono infatti delegare ai soggetti economici de quibus i poteri di controllo sull’esatto adempimento degli obblighi fiscali incombenti sugli altri soggetti che intervengono nelle varie operazioni intracomunitarie a monte e a valle di quella di cui è contestato il diritto alla detrazione. Spetta infatti alle Autorità fiscali degli Stati membri effettuare i controlli delle dichiarazioni fiscali, della contabilità e degli altri documenti detenuti dai soggetti passivi al fine di individuare eventuali irregolarità o frodi all’imposta (34).

 In conclusione la Corte di Giustizia ha negato che la Direttiva 2006/112/CE, pur avendo l’obiettivo di limitare le forme di evasione d’imposta da parte dei soggetti passivi, abbia inteso istituire un sistema di responsabilità oggettiva in capo ai soggetti passivi (35) che li trasformerebbe automaticamente in responsabili d’imposta per l’IVA a monte, qualora l’imposta non venga versata dai soggetti obbligati in via principale (36).

 

 

7. Conclusioni

 

 

È ormai chiaro che l’Amministrazione finanziaria non possa più negare i diritti garantiti dalla legislazione comunitaria ai soggetti IVA con inutili ragionamenti presuntivi. Nella giurisprudenza più recente la Corte di Giustizia, seguita dalla nostra Corte di Cassazione (37), ha affermato con parole inequivocabili che spetta all’Amministrazione finanziaria provare la “mala fede” del soggetto passivo che esercita il proprio diritto di detrazione (38), ovvero che costui, al momento dell’operazione contestata, versasse in una situazione che potremmo definire di “buona fede temeraria” (39), e cioè che, ancorché non avesse una compiuta conoscenza della frode, potesse agevolmente acquisirne la cognizione con la diligenza esigibile dall’imprenditore medio, stante la presenza di significativi indizi.

 Di primo acchito sembrerebbe che la Corte lussemburghese tuteli in modo molto forte l’affidamento dell’operatore nella regolarità delle operazioni per assicurare la neutralità dell’imposta. Si osservi però che, sulla scorta del diritto tedesco, il giudice europeo ha equiparato il dover conoscere alla conoscenza effettiva (Kennenmüssen = Kennen), ai fini della perdita del diritto di detrazione. Questa equiparazione tra conoscenza effettiva e dovere di conoscenza, del resto, non è del tutto estranea al nostro diritto civile, che all’art. 1338 c.c., prevede la responsabilità precontrattuale della parte che, conoscendo o dovendo conoscere, l’esistenza di una causa d’invalidità del contratto, non ne informi la controparte. Pertanto l’acquirente o, nelle cessioni intracomunitarie, lo stesso venditore, devono compiere le verifiche necessarie per accertare la regolarità dell’operazione, perché la violazione del dovere di conoscenza fa insorgere una specifica responsabilità che produce gli effetti della conoscenza effettiva (40). Il dubbio sulla regolarità dell’operazione non costituisce una scusante.

 Ma quali verifiche si possono chiedere ad un soggetto IVA alla luce del principio di proporzionalità evocato dalla Corte di Giustizia?

 A modesto avviso di chi scrive l’onere di conoscenza gravante sul soggetto IVA impone di: verificare tramite il sistema VIES che il venditore o l’acquirente intracomunitario siano identificati in uno Stato membro; effettuare una visura presso la camera di commercio o almeno una verifica su internet relativa alla società e al suo titolare; sentire, anche telefonicamente, i clienti dell’impresa di cui si conosca l’identità. Non pare compatibile con il principio i proporzionalità, invece, esigere dalla controparte la copia delle dichiarazioni IVA, le attestazione di versamento dell’imposta, i dati identificativi del personale impiegato. Non si può neppure esigere che il contribuente svolga per suo conto indagini bancarie o assuma un investigatore privato (41). Ma un ammonimento pare doveroso: il diritto dell’Unione europea esige comunque dagli operatori professionali, soggetti passivi IVA, un alto tasso di diligenza: essi devono essere in grado di premunirsi con strumenti adeguati contro il rischio di essere coinvolti in un’operazione volta ad evadere l’IVA e, più in generale, come altrove chiarito dalla Corte di Giustizia, contro il rischio di eventuali azioni di recupero nei loro confronti (42). Il dubbio sulla regolarità dell’operazione dovrebbe equivalere alla nostra “buona fede temeraria”, trattata dall’ordinamento come la mala fede (43).

 

Dott. Fabrizio Cerioni

 

(1) Si rinvia, senza alcuna presunzione di completezza stante la cospicua e incessante produzione giurisprudenziale, a Cass., sez. trib., 20 giugno 2012, n. 10167; Cass., sez. trib., 6 giugno 2012, n. 9107; Cass., sez. trib., 23 settembre 2011, n. 19530; Cass., sez. trib., 12 gennaio 2011, ord. n. 608; Cass., sez. trib., 11 aprile 2011, n. 8132; Cass., sez. trib., 20 gennaio 2010, n. 867; Cass., sez. trib., 25 marzo 2011, n. 6943; e Cass., sez. trib., 11 giugno 2008, n. 15395, tutte in Boll. Trib., 2013, 223 ss., con nota di F. Cerioni, L’indetraibilità dell’IVA relativa alle operazioni inesistenti tra frode e abuso del diritto di detrazione.

(2) Cfr. Corte Giust. UE, sez. III, 21 giugno 2012, cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahagében e David; Corte Giust. UE, sez. II, 6 settembre 2012, causa C-273/11, Mecsek-Gabona; Corte Giust. UE, sez. III, 6 settembre 2012, causa C-324/11, Tóth; e Corte Giust. UE, sez. III, 6 dicembre 2012, causa C-285/11, Bonik, tutte in Boll. Trib. On-line.

(3) Il sistema della cooperazione amministrativa è ora disciplinato dal Reg. CE 7 ottobre 2010, n. 904 (in vigore dal 1° novembre 2010), efficace dal 1° gennaio 2012. In argomento sia consentito rinviare per una prima analisi a F. Cerioni, La cooperazione amministrativa IVA tra autorità fiscali degli Stati UE si rafforza: verso un controllo europeo, in Corr. trib., 2012, 1138 ss.

(4) Cfr. Corte Giust. UE, sez. III, 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e C-440/04, in Boll. Trib. On-line, e anche in Riv. giur. trib., 2006, 837 ss., con nota di P. Centore, L’evoluzione della giurisprudenza comunitaria in tema di frodi IVA, ivi, 843 ss., nonché in Rass. trib., 2008, 235 ss., con nota di M. Cardillo, Tutela della buona fede e dell’affidamento del soggetto passivo nelle frodi IVA mediante operazioni carosello.

(5) Sulle implicazioni dell’equipollenza tra il dovere di conoscenza e la conoscenza effettiva, nei casi previsti dalla legge, si rinvia a S. Pugliatti, Conoscenza, in Enc. dir., IX, Milano, 1961, 45 ss.

(6) Sul diritto alla detrazione si vedano G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Il sistema delle imposte in Italia, Padova, 2010, 790 ss.; C. Ferrari – M. Tortorelli, La sentenza della Corte di Giustizia europea sul diniego del diritto alla detrazione, in Boll. Trib., 2010, 1531; R. Lupi, Imposta sul valore aggiunto (Iva), in Enc. giur. Trecc., XVI, Roma, 1989, 2 e 16; P. Filippi, Valore aggiunto (imposta sul), in Enc. dir., XLVI, Milano, 1993, 125 ss., spec. 159 ss.; A. Comelli, Iva nazionale e comunitaria, Padova, 2000, 675 ss.; L. Carpentieri, L’imposta sul valore aggiunto, in A. Fantozzi, Il diritto tributario, Torino, 2003, 936 ss.; A. Pace, Il diritto di detrazione, in AA.VV., L’imposta sul valore aggiunto, Torino, 2001, 300 ss.; M. Giorgi, Detrazione e soggettività passiva nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto, Padova, 2005, 281 ss.; e R. Miceli, Il recupero dell’Iva detraibile fra principi comunitari e norme interne, in Rass. trib., 2006, 1874 ss. Sul diritto di detrazione in presenza di frodi carosello si vedano A. Marcheselli, Ripartizione dell’onere della prova nell’ipotesi di frodi carosello e di operazioni inesistenti, in Riv. dir. trib., 2013, 154 ss., e F. Cerioni, L’indetraibilità dell’IVA relativa alle operazioni inesistenti tra frode e abuso del diritto di detrazione< span style="font-style: normal;">, cit., 233 ss.

(7) Si vedano Corte Giust. CE, sez. V, 25 ottobre 2001, causa C-78/00, Commissione c. Italia, punto 28, in Boll. Trib., 2001, 1663; Corte Giust. UE, sez. I, 10 luglio 2008, causa C-25/07, Sosnowsca, punto 14, in Boll. Trib. On-line; Corte Giust. UE, sez. III, 28 luglio 2011, causa C-274/10, Commissione c. Ungheria, punto 42, ivi; Corte Giust. UE cause riunite C-80/11 e C-142/11 del 2012, punto 37, cit.; Corte Giust. UE causa C-324/11 del 2012, punto 23, cit.; e Corte Giust. UE causa C-285/11 del 2012, punto 25, cit.

(8) Si rimanda a Corte Giust. CEE 21 settembre 1988, causa C-50/87, Commissione c. Francia, punti 16-17; Corte Giust. CEE 6 luglio 1995, causa C-62/93, BP Soupergaz, punto 16; Corte Giust. CE 21 marzo 2000, cause riunite da C-110/90 a C-147/98, Gabalfrisa, punto 43; Corte Giust. CE 22 febbraio 2001, causa C-408/98, Abbey National, punto 24; Corte Giust. UE 21 aprile 2005, causa C-25/03, HE, punto 70; Corte Giust. UE 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax, punto 78; Corte Giust. UE 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e C-440/04, Axel Kittel, punto 48; Corte Giust. UE 28 luglio 2011, causa C-274/10, Commissione c. Ungheria, punto 43; tutte in Boll. Trib. On-line; Corte Giust. UE cause riunite C-80/11 e C-142/11 del 2012, punto 40, cit.; Corte Giust. UE causa C-324/11 del 2012, punto 25, cit.; e Corte Giust. UE causa C-285/11 del 2012, punti 26-27, cit.

(9) Cfr. Corte Giust. UE cause riunite C-80/11 e C-142/11 del 2012, punto 66, cit.

(10) Cfr. Corte Giust. UE cause riunite C-80/11 e C-142/11 del 2012, punto 50, cit.

(11) Cfr. Corte Giust. UE causa C-324/11 del 2012, punto 30, cit.

(12) Cfr. Corte Giust. UE causa C-324/11 del 2012, punto 39, cit.

(13) Si fa riferimento a Corte Giust. UE, sez. III, 27 settembre 2007, causa C-184/05 e C-409/04, in Boll. Trib., 2009, 899 ss., con nota di F. Cerioni, Cessioni intracomunitarie: non imponibilità e prova dell’uscita della merce dal territorio dello Stato.

(14) In tal senso si sono espresse Corte Giust. UE causa C-409/04 del 2007, punto 42, cit.; Corte Giust. UE causa C-184/05 del 2007, punto 23, cit.; e Corte Giust. UE, sez. II, 16 dicembre 2010, causa C-430/09, Euro Tyre Holding, punto 29, in Boll. Trib. On-line.

(15) Cfr. Corte Giust. UE causa C-273/11 del 2012, punto 35, cit.

(16) Corte Giust. UE causa C-273/11 del 2012, punto 36, cit.

(17) Corte Giust. UE causa C-273/11 del 2012, punto 41, cit.

(18) Corte Giust. UE causa C-273/11 del 2012, punto 43, cit.

(19) Corte Giust. UE causa C-273/11 del 2012, punti 48 e 50, cit.

(20) Corte Giust. UE causa C-273/11 del 2012, punto 53, cit.

(21) Giova evidenziare che, nel caso di specie il numero identificativo IVA dell’acquirente al momento dell’esecuzione dell’operazione era valido, ma dopo alcuni mesi le autorità italiane ne avevano disposto la cancellazione, con effetto retroattivo; ved. Corte Giust. UE causa C-273/11 del 2012, punto 62, cit.

(22) Ved. Corte Giust. UE causa C-273/11 del 2012, punto 61, cit.: in questi termini la Corte di Giustizia si è espressa nella sentenza 27 settembre 2007, causa C-146/05, Collèe, in Boll. Trib., 2009, 896, con nota di F. Cerioni, Cessioni intracomunitarie: non imponibilità e prova dell’uscita della merce dal territorio dello Stato.

(23) Cfr. Corte Giust. UE causa C-285/11 del 2012, punti 28, cit.

(24) Cfr. Corte Giust. UE causa C-285/11 del 2012, punti 29-31, cit.

(25) Sul rinvio pregiudiziale si veda G. Tesauro, Diritto dell’Unione europea, Padova, 2010, 309 ss.

(26) Cfr. Corte Giust. UE causa C-285/11 del 2012, punto 32, cit.

(27) Cfr. Corte Giust. UE causa C-285/11 del 2012, punto 33, cit.

(28) Cfr. Corte Giust. UE causa C-285/11 del 2012, punti 38-39, cit.

(29) In tal senso ved. Corte Giust. UE cause riunite C-80/11 e C-142/11 del 2012, punto 60, cit.; e Corte Giust. UE causa C-285/11 del 2012, punto 43, cit.

(30) Come nel caso esaminato da Corte Giust. UE cause riunite C-80/11 e C-142/11 del 2012, cit.

(31) Si legga quanto statuito in Corte Giust. UE cause riunite C-80/11 e C-142/11 del 2012, punto 49, cit.; e Corte Giust. UE causa C-285/11 del 2012, punto 43, cit.

(32) Il VIES (VAT Information Exchange System) è un sistema di scambi automatici tra le amministrazioni finanziarie degli Stati membri dell’Unione europea, ora fondato sulle disposizioni del Regolamento UE 904/2010. Attivo dal 1° gennaio 1993, la finalità del VIES è il controllo delle transazioni commerciali in ambito comunitario e dei soggetti passivi IVA che le pongono in essere. In questo contesto il servizio “Partite IVA comunitarie” consente agli operatori commerciali titolari di una partita IVA che effettuano operazioni intracomunitarie, di verificare la validità del numero di identificazione IVA dei loro clienti. Gli operatori commerciali in ambito comunitario devono essere identificati da un codice IVA attribuito dalle rispettive amministrazioni nazionali. Essi sono, pertanto, tenuti ad indicare sulle fatture di vendita il numero identificativo IVA della controparte. Tale numero deve essere formalmente corretto e corrispondere ad un operatore IVA esistente ed in attività. La verifica del numero identificativo IVA digitato avviene attraverso il collegamento con i sistemi fiscali degli Stati membri. Non esiste, infatti, una banca dati a livello comunitario ma per effettuare il controllo, le richieste sono inviate allo Stato membro selezionato che, per fornire la risposta, accede alla propria base dati nazionale. La banca dati italiana è stata aggiornata a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 27 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122) e dei relativi provvedimenti attuativi (provvedimenti del Direttore dell’Agenzia 29 dicembre 2010, n. 188376 e n. 188381).

(33) Com’è avvenuto nel caso esaminato da Corte Giust. UE causa C-273/11 del 2012, cit.

(34) Cfr. Corte Giust. UE, sez. grande, 17 luglio 2008, causa C-132/06, Commissione c. Italia, punto 37, in Boll. Trib., 2008, 1384, con nota di F. Brighenti, La Corte di Giustizia europea boccia il condono IVA, ma i contribuenti stiano tranquilli; Corte Giust. UE, sez. IV, 29 luglio 2010, causa C-188/09, Kuleska, Francowski, Jóźwiak, Orlowski, punto 21, in Boll. Trib. On-line; Corte Giust. UE cause riunite C-80/11 e C-142/11 del 2012, punto 62, cit.

(35) Cfr. Corte Giust. UE cause riunite C-80/11 e C-142/11 del 2012, punto 48, cit.; e Corte Giust. UE causa C-285/11, del 2012, punto 46, cit.

(36) Il responsabile d’imposta è il soggetto tenuto a versare l’imposta in via sussidiara in virtù di un’obbligazione fiscale di garanzia a suo carico. Per approfondimenti sull’istituto si rinvia a a. parlato, Responsabilità d’imposta, in Enc. giur. Trecc., XXVII, Roma, 1991; L. Castaldi, Solidarietà tributaria, ivi, XXIX, Roma, 1993; e A. Fantozzi, Il diritto tributario, cit., 329 ss.

(37) Cfr., ex multis, Cass., sez. trib., 25 marzo 2011, n. 6943, in Boll. Trib. On-line.

(38) Questa posizione poteva già evincersi da Corte Giust. UE cause riunite C-439/04 e C-440/04 del 2006, cit., come rilevato in F. Cerioni, L’indetraibilità dell’IVA relativa alle operazioni inesistenti tra frode e abuso del diritto di detrazione, cit., 235 ss.

(39) Cfr. R. Sacco, Affidamento, in Enc. dir., Roma, I, 1958, 661 ss.

(40) Così S. Pugliatti, Conoscenza, cit., 117.

(41) In questi termini A. Marcheselli, Frodi IVA e operazioni inesistenti: quando si risponde delle violazioni commesse dal proprio fornitore, in Riv. giur. trib., 2013, 154 ss.

(42) Si legga Corte Giust. CEE, sez. V, 17 luglio 1997, causa C-97/95, Pascoal e Filhos Ltd, in Boll. Trib. On-line.

(43) In generale si rinivia altresì a M. Logozzo, la tutela dell’affidamento e della buona fede del contribuente tra prospettiva comunitaria e “nuova” codificazione, in Boll. Trib., 2003, 1125.

 

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