Gli effetti legati alla cancellazione di una società dal Registro delle Imprese sono noti. L’art. 2495 c.c., nel testo successivo al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, sulla riforma del diritto societario, prevede che, approvato il bilancio finale, i liquidatori chiedano la cancellazione della società dal Registro delle Imprese. In seguito a ciò la società si estingue, a nulla valendo il fatto che possano permanere rapporti non esauriti o passività non soddisfatte. Dopo di che, precisano le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 12 marzo 2013, n. 6070 (1), che la Commissione regionale opportunamente richiama, la società non può più «agire o essere convenuta in giudizio», difettando di soggettività giuridica.
Altrettanto nota è la questione circa la presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio conseguiti da una società a ristretta base azionaria o familiare. Quando una società di capitali integra questa condizione, afferma la giurisprudenza ormai dominante, è legittimo presumere, salva la prova contraria, che gli utili non contabilizzati siano stati distribuiti ai soci in proporzione alle rispettive quote di partecipazione al capitale sociale.
La singolarità del caso in esame sta nel fatto che queste due fattispecie sulla estinzione della società e sulla distribuzione degli utili extrabilancio si sono incrociate fra loro. Al momento della notifica dell’avviso di accertamento in capo alla società questa era stata cancellata dal Registro delle Imprese. A ragione di tali circostanze l’atto impositivo era stato annullato, non potendo una società estinta esserne destinataria.
Veniva dunque a mancare la prova del supposto maggior reddito. Tuttavia, siccome l’estinzione in parola non era stata un evento indipendente dalla volontà dei soci, ma la conseguenza di una loro volontaria iniziativa, logica voleva che una tale operazione non comportasse l’automatica scomparsa dei diritti dei terzi, fra cui quelli dell’Amministrazione finanziaria.
La decisione della Commissione regionale consente di fare il punto su questa combinata questione.
Trattando della cancellazione della società dal Registro delle Imprese, il secondo comma dell’art. 2495 c.c. dispone che «i creditori sociali non soddisfatti, possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione».
Nel caso in esame, l’Ufficio finanziario non si era attenuto a tale norma, e nemmeno all’art. 36 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, sulla responsabilità sussidiaria dei liquidatori, amministratori e soci. I primi sono chiamati a rispondere in proprio per l’eventuale pagamento durante la liquidazione di crediti di ordine superiore a quelli tributari, i soci a rispondere per il danaro e gli altri beni sociali eventualmente ricevuti nel contesto della liquidazione e nei due anni precedenti. Questo genere di responsabilità, che deve essere accertato «con atto motivato da notificare ai sensi dell’art. 60 del DPR 29 settembre 1973 n. 600», e dunque impugnabile avanti al giudice tributario, è prevista anche per gli amministratori che, nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla liquidazione, hanno compiuto «operazioni di liquidazione ovvero hanno occultato attività sociali anche mediante omissioni nelle scritture contabili».
Di società estinte si interessa anche l’art. 28, quarto comma, del D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175, recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità delle società cancellate dal Registro delle Imprese. La norma prevede il differimento quinquennale a favore dell’Amministrazione finanziaria degli effetti legati alla cancellazione delle società dal Registro delle Imprese. Ciò ai «fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi».
L’intento è chiaro ed è quello di costituire una deroga all’ordinario regime previsto dall’art. 2495 c.c. consentendo all’Amministrazione stessa di notificare gli atti di cui sopra direttamente nei confronti della società, ancorché estinta.
Nel caso specifico, se la norma fosse stata applicabile, avrebbe reso valido ed efficace l’avviso di accertamento emesso a carico della società nonostante la cancellazione dal Registro delle Imprese. Così tuttavia non è avvenuto in quanto, come precisa la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (2), la norma non ha effetti retroattivi applicandosi soltanto «ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese sia presentata nella vigenza della nuova disciplina».
L’annullamento dell’avviso di accertamento nei confronti della società era pertanto un risultato scontato, del tutto conforme all’orientamento giurisprudenziale sopra esposto.
Questo non significa tuttavia che, al pari di esso, fosse divenuto illegittimo anche l’accertamento del reddito in capo ai soci.
Pur vero che, come afferma l’annotata sentenza, la presunzione sulla percezione di una quota del reddito extracontabile conseguito dalla società è oggettivamente collegata all’esistenza di un effettivo maggior reddito in capo alla società, ma ciò non sembra significare che al socio non possa esserne imputato il possesso della propria quota a prescindere dalla formale esistenza, a carico della società stessa, di un atto emanato nelle forme di cui all’art. 40 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Se tale esistenza fosse un presupposto indispensabile per l’accertamento del maggior reddito extracontabile in capo ai soci questi si troverebbero nella “comoda” posizione di non scontare alcuna imposta sul reddito così percepito.
Si dirà che l’intento dell’art. 28 del D.Lgs. n. 175/2014 era per l’appunto quello di escludere una tale eventualità.
Invero, il problema da risolvere è quello di verificare, attraverso un’analisi sistematica della questione, se il diritto di un creditore possa venire meno soltanto perché la società a lui debitrice viene cancellata dal Registro delle Imprese.
La soluzione è quella del meccanismo successorio enunciato dalla sopra citata sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte n. 6070/2013; le obbligazioni facenti capo alla società non scompaiono per il solo fatto dell’estinzione voluta dai soci, trasferendosi in capo ad essi, nei limiti dettati dall’art. 2495 c.c.
Nel caso in esame non si discuteva tuttavia della successione nelle obbligazioni tributarie facenti capo alla società cancellata, ma dell’imposta personale riferita ai soci in relazione alla percezione, da parte loro, del reddito extrabilancio da essa società prodotto, reddito formalmente non accertato prima dell’estinzione.
Lo snodo da risolvere non concerneva dunque i limiti della loro responsabilità, ma se l’accertamento del maggior reddito in capo a tale società, quale antecedente logico per poterlo ritenere distribuito, potesse o meno rientrare nell’oggetto del giudizio dai soci avviato contro l’accertamento personale.
Secondo la Suprema Corte (3) ciò non sarebbe stato possibile, in quanto per coinvolgere il socio nei rapporti con la cessata società l’Ufficio finanziario «è tenuto a dimostrare il presupposto della responsabilità di quest’ultimo, vale a dire la sua legittimazione passiva». Presupposto che nella specie si identifica nel fatto che dal bilancio finale di liquidazione risulta un qualche riparto a suo favore.
Secondo questa logica, un tale riparto dell’attivo non condiziona dunque soltanto il limite di responsabilità del socio sul piano quantitativo, ma rappresenta anche una vera e propria condizione dell’azione. Intanto il giudice potrà trattare una domanda di risarcimento nei confronti del socio, in quanto tale domanda non oltrepassi quanto questi ha percepito in sede di liquidazione, così come non potrebbe trattare una domanda che non abbia ad oggetto tale genere di petitum, e cioè il pagamento di un credito.
Tale orientamento è stato recentemente confermato dalla Suprema Corte (4) con la precisazione che, nell’ipotesi di cancellazione di una società di capitali dal Registro delle Imprese, l’Amministrazione finanziaria che vuole agire nei confronti dei soci è tenuta a dimostrare il presupposto della loro responsabilità sussidiaria a mente dell’art. 2495 c.c. «e, cioè che, in concreto, vi sia stata distribuzione dell’attivo», e che questi ne abbiano riscosso una quota.
Da ultimo, altrettanto esplicita è la sentenza della Suprema Corte 31 gennaio 2017, n. 2444 (5), secondo cui il ricorso per cassazione proposto dagli ex soci è inammissibile se i medesimi «non provino la loro legittimazione “ad causam” e, cioè la loro qualità di successori, dal lato passivo nel rapporto di imposta, se e nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione».
Ciò significa che, nel nostro caso, la Commissione tributaria non avrebbe potuto trattare la questione concernente il reddito posseduto dalla società prima della sua estinzione, non competendo ai soci alcuna legittimazione passiva su domande diverse dal pagamento di un credito.
Tale posizione che vuole il socio legittimato ad causam nel rapporto d’imposta della cessata società soltanto se abbia percepito riparti in sede di liquidazione, e nei limiti di questi, non è tuttavia per nulla una posizione consolidata. Ne esiste infatti un’altra di segno opposto secondo cui i soci succedono sempre e comunque nei rapporti debitori facenti capo alla società cancellata non definiti all’esito della liquidazione, potendo il creditore coinvolgerli nel giudizio anche per accertarne semplicemente l’esistenza, e non tanto per far valere nei loro confronti il correlato diritto all’esecuzione.
Ci riferiamo alla sentenza 7 aprile 2017, n. 9094 (6), sempre della Sezione Tributaria, che costituisce una sorta di argomentato ritorno al pensiero delle citate Sezioni Unite n. 6070/2013. Trattando un caso in cui i soci avevano contestato la loro legittimazione passiva non avendo «goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione», la Corte di Cassazione ha precisato che la loro successione nei rapporti non definiti dalla società da essi partecipata è indipendente da tale circostanza. Ciò in quanto, affermano i Supremi Giudici, tale fatto «non incide sulla loro legittimazione, giacché non configura una condizione da cui dipende la possibilità di proseguire nei loro confronti l’azione originariamente intrapresa dal creditore sociale verso la società».
Parole decisamente chiare che replicano con buone ragioni il principio a suo tempo enunciato dalle Sezioni Unite, secondo cui l’interesse del creditore all’accertamento del proprio diritto è un interesse tutelabile a prescindere dal fatto che il socio abbia percepito un qualche riparto nel contesto del bilancio finale di liquidazione.
Dato che l’interesse ad agire ha natura dinamica, rifuggendo da considerazioni statiche legate allo stato degli atti, l’Amministrazione finanziaria ben potrebbe dunque avere interesse a procurarsi un titolo valido per altre ragioni nei confronti dei soci, come ad esempio nel caso di una «possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio» o, aggiungiamo, per attribuire ai soci, come nel caso per cui si discute e in virtù della presunzione di cui sopra, la quota del reddito così accertato in capo alla società. Non dunque per ottenere un titolo esecutivo nei loro confronti senza tenere conto del limite di responsabilità di cui all’art. 2495 c.c., ma per l’accertamento di una semplice situazione di fatto: il presunto reddito della società estinta.
Identica posizione si rinviene nella sentenza dell’8 marzo 2017, n. 5988 (7), che ha ripreso testualmente i principi espressi nella più volte citata sentenza n. 6070/2013 delle Sezioni Unite, secondo cui «Il successore che risponde solo intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore; e se il suaccennato limite di responsabilità dovesse rendere evidente l’inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sul requisito dell’interesse ad agire (ma si tenga presente che il creditore potrebbe avere comunque interesse all’accertamento del proprio diritto, ad esempio in funzione dell’escussione di garanzie) ma non sulla legittimazione passiva del socio medesimo», con il conseguente affermato principio di diritto per cui «Se l’estinzione della società cancellata dal registro intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dall’art. 299 c.p.c. ss., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. Ove invece l’evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta» (8).
In conclusione, la cancellazione di una società dal Registro delle Imprese fa cadere lo schermo sociale nei confronti dei soci sicché, per i rapporti non esauriti, l’Amministrazione finanziaria può procedere in capo a loro essendo questi legittimati al contraddittorio sulla base del fenomeno successorio (9). Fermo evidentemente il limite della loro responsabilità per il debito della società così come disposto dall’art. 2495 c.c. e, ancora, fermo il diritto alla prova contraria in relazione alla presunzione di distribuzione del reddito della società, beninteso sempreché quest’ultima risulti correttamente formulata e adeguatamente supportata.
In tali termini appare del tutto inutile, e per certi versi dannosa, la norma di favore introdotta dal quarto comma dell’art. 28 del D.Lgs. n. 175/2014.
Secondo tale disposizione gli «atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi» possono essere notificati direttamente nei confronti delle società estinte in quanto, per l’Amministrazione finanziaria, i correlati effetti si realizzano cinque anni dopo dalla cancellazione. Un tale genere di atti può dunque essere notificato presso l’ultima sede della società.
Invero, dato che questa sede non esiste più (diversamente la società non sarebbe estinta), chi è il soggetto abilitato a ritirare un tale genere di atto ad essa società diretto?
Ancora. Ammesso per amore di tesi che tale notifica riesca in qualche modo a perfezionarsi, chi rende edotto il socio, colui che sarà cioè chiamato a farsi carico del correlato onere tributario, della notifica di un atto contenente una maggiore pretesa impositiva nei confronti della società?
Da ultimo, se l’atto è intestato alla società estinta, come tale priva di organi sociali, chi è il soggetto abilitato a rappresentarla a tutela dei soggetti responsabili nei rapporti così instaurati con l’Amministrazione finanziaria?
Quid est responsum?
Invero, sarebbe più che opportuno un intervento chiarificatore del legislatore, atteso che un ulteriore intervento di nomofilachia sarebbe probabilmente insufficiente, dati anche i numerosi contrasti che spesso si creano all’interno della stessa Suprema Corte (10).
Avv. Bruno Aiudi
(1) In Boll. Trib., 2013, 701, con nota di M. PROIETTI, La cancellazione delle società dal Registro delle Imprese tra profili di diritto sostanziale e conseguenze processuali: in attesa che la Consulta si pronunci sulla costituzionalità degli artt. 2495 c.c. e 328 c.p.c., “risponde” la Corte di Cassazione.
(2) Cfr. Cass., sez. trib., 2 aprile 2015, n. 6743, in Boll. Trib. On-line, e non, come si legge nelle circ. 30 dicembre 2014, n. 31/E (in Boll. Trib., 2015, 59), e 19 febbraio 2015, n. 6/E (ibidem, 271), anche per le attività di controllo riferite a società che hanno già chiesto la cancellazione dal Registro delle Imprese prima del 31 dicembre 2014, data di entrata in vigore del citato decreto legislativo.
(3) In tali termini cfr. Cass., sez. trib., 26 giugno 2015, n. 13259, in Boll. Trib., 2015, 1731, con nota di B. AIUDI, Estinzione della società di capitali: sulla responsabilità dei soci.
(4) Cfr. Cass., sez. trib., 23 novembre 2016, ord. n. 23916, in Boll. Trib. On.line.
(5) In Boll. Trib. On-line.
(6) In Boll. Trib. On-line.
(7) In Boll. Trib. On-line.
(8) Così Cass. n. 988/2017, cit. Tale principio è stato da ultimo ribadito anche da Cass., sez. trib., 20 settembre 2017, ord. n. 21803, in Boll. Trib. On-line.
(9) Per evitare giudicati contrastanti e anche per evidenti ragioni di economia processuale, una tale azione deve evidentemente svolgersi in regime di litisconsorzio fra tutti i soci.
(10) Per approfondimenti delle problematiche afferenti gli effetti della cancellazione delle società dal Registro delle Imprese e per ulteriori spunti di riflessione, ci permettiamo rinviare a B. AIUDI, Le società hanno eredi? Brevi riflessioni sulla cancellazione delle società dal Registro delle Imprese, in Boll. Trib., 2018, 25 ss.
Imposte e tasse e accertamento imposte sui redditi – Cancellazione di società dal Registro delle Imprese – Estinzione della società – Consegue – Trasferimento ai soci delle obbligazioni e dei rapporti facenti capo alla società estinta – Sussiste – Responsabilità dei soci nei limiti di quanto riscosso a seguito di liquidazione o illimitatamente a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali – Consegue.
Imposte e tasse e accertamento imposte sui redditi – Cancellazione di società dal Registro delle Imprese – Estinzione della società – Consegue – Società di capitali a ristretta base sociale cancellata – Presunti utili societari extrabilancio – Attribuzione e accertamento in capo ai soci – Ammissibilità – Limiti e condizioni.
La cancellazione volontaria dal Registro delle Imprese di una società a partire dal momento in cui si verifica determina l’estinzione della società medesima, impedendo che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio, purtuttavia qualora all’estinzione della società conseguente alla sua cancellazione dal Registro delle Imprese non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale le obbligazioni si trasferiscono ai soci i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito di liquidazione o illimitatamente a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali.
La cancellazione volontaria di una società dal Registro delle Imprese determina l’estinzione della società medesima con conseguente impossibilità per tale società estinta di essere destinataria di un avviso di accertamento, ma tale circostanza non impedisce tuttavia che un atto di accertamento, pur oggettivamente connesso a quello rivolto alla medesima società estinta, possa essere legittimamente emesso e notificato ai soci della società a ristretta base sociale cancellata per l’attribuzione ad essi del maggiore reddito accertato a carico di detta società, conservando la pretesa fiscale la propria autonomia se essa sia formulata non a titolo successorio, ma relativamente ad utili realizzati e presuntivamente distribuiti ai soci in tempi in cui la società cancellata era esistente ed operativa.
[Commissione trib. regionale delle Marche, sez. III (Pres. D’Aprile, rel. Tedeschini), 7 febbraio 2017, sent. n. 58, ric. Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Pesaro-Urbino]
MOTIVI DELLA DECISIONE – 1. Con decisione n. 90/04/09 del 29/6/2009 la C.T.P. di Pesaro accoglieva il ricorso presentato dalla contribuente T.C. avverso avviso di accertamento n. … emesso dalla Agenzia delle Entrate Ufficio di Fano, con il quale, per l’anno d’imposta 2003, veniva determinata maggiore imposta a fini IRPEF, Addizionali Regionali e Comunali, Oneri Contributivi ed IVA.
Rilevava infatti il primo Giudice che “… Va preliminarmente illustrato che il gravame risulta oggettivamente connesso e correlato ai principali ricorsi che investono le due società EURTRE srl e EURO3 srl, di cui il ricorrente è risultato socio … questa stessa CTP ha già in data odierna pronunciato sentenze di accoglimento dei ricorsi riguardanti le citate società, pertanto questa decisione non può che essere consequenziale …”
Annullava pertanto l’impugnato avviso di accertamento, peraltro compensando le spese tra le parti in giudizio in considerazione della “singolarità e complessità della trattata fattispecie”.
Con atto di appello depositato in data 12/11/2010 ricorreva l’Ufficio chiedendo la totale riforma della decisione, rappresentando che la stessa appariva del tutto erronea poiché veniva fatto rinvio a due sentenze (comunque impugnate) che avevano accolto i ricorsi delle due società per motivi esclusivamente formali e preliminari, legati agli effetti della cancellazione delle società dal registro delle imprese, non esaminando minimamente nel merito la fondatezza dei rilievi formulati. Nel caso in esame, invece, era in discussione un atto accertativo regolarmente rivolto al socio delle due società, regolarmente notificato presso la residenza del medesimo, dove la pretesa erariale riguardava somme dovute appunto in qualità di socio, pretesa di cui del tutto erroneamente la CTP aveva omesso di esaminare la fondatezza. Nel merito, l’Ufficio, ribadita la legittimità ed applicabilità nel caso in esame della presunzione di distribuzione ai soci degli utili accertati in capo alle società, in quanto a c.d. “ristretta compagine societaria a base familiare”, riaffermava la correttezza dell’operato dell’Amministrazione Finanziaria, rappresentando che sul tema degli utili occulti, la cui percezione nell’anno 2003 era stata contestata alla parte, nulla quest’ultima aveva opposto a proprio discarico.
Chiedeva pertanto l’integrale riforma dell’impugnata sentenza, con vittoria delle spese per entrambi i gradi di giudizio.
Con atto di costituzione e risposta ed appello incidentale del 28/12/2010 si costituiva l’appellata, ribadendo la correttezza delle decisioni del primo Giudice, successivamente confermate da costante orientamento delle SS.UU. circa l’effetto costitutivo della cancellazione della società, stabilito dall’art. 2495 co. 2 c.c. a far data dal 1/1/2004 (data dell’entrata in vigore dell’art. 4 D.Lgs. n. 6/03); rappresentando comunque nel merito la mancata prova dei maggiori ricavi oggetto di accertamento; chiedendo l’annullamento della decisione in punto di compensazione delle spese per carenza di motivazione, posto che il contenzioso era nato in relazione ad un atto nullo emesso dall’Ufficio e dunque non vi sono ragioni per non seguire la regola della soccombenza nell’attribuzione delle spese.
La causa è stata discussa e decisa nel merito all’udienza del 13/12/2016.
2. Il ricorso dell’Ufficio è fondato e pertanto merita accoglimento.
Invero questa CTR condivide gli ormai definitivi approdi giurisprudenziali relativi agli effetti della cancellazione delle società dal registro delle imprese dopo la riforma del diritto societario attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003. Con le sentenze nn. 4060, 4061 e 4062 del 2010 le Sezioni Unite della Suprema Corte (1) hanno ravvisato nelle modifiche legislative del testo dell’art. 2495 c.c. (rispetto alla formulazione dell’art. 2456 c.c.) una sicura valenza innovativa; con la sentenza n. 6070 del 2013 (2) le Sezioni Unite hanno poi definito compiutamente il regime dei rapporti originariamente facenti capo alla società estinta a seguito di cancellazione volontaria, non definiti nella fase di liquidazione, precisandone altresì le conseguenze sul piano processuale, con l’affermazione dei seguenti principi di diritto: “… qualora all’estinzione della società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale le obbligazioni si trasferiscono ai soci i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito di liquidazione o illimitatamente a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali … La cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società a partire dal momento in cui si verifica determina l’estinzione della società medesima, impedendo che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio …”.
Conseguentemente questa CTR, con separate decisioni, confermava le decisioni del primo Giudice relativamente agli atti accertativi notificati alle due società, estinte in data antecedente agli avvisi di accertamento.
Si osserva, peraltro, preliminarmente, che l’atto accertativo oggetto del caso in esame, pur oggettivamente connesso a quelli rivolti e notificati alle due società, appare regolarmente diretto e notificato alla parte, in qualità di socia; riguarda somme dovute in virtù di una pretesa erariale che conserva la sua autonomia anche a fronte di annullamento riguardante la posizione delle società cancellate; riguarda altresì una pretesa formulata non a “titolo successorio”, ma relativa ad utili realizzati e presuntivamente distribuiti in tempi in cui la società era esistente e operativa.
Nel merito, la pretesa erariale, formulata nei confronti dell’appellata nella sua qualità di socia delle soc. “EURTRE” srl e “EUR3” srl per maggiori utili accertati in capo alle stesse, in proporzione alla quota di partecipazione, stante la ristretta compagine sociale a base familiare, appare legittimamente ed adeguatamente formulata.
Invero, con riguardo ai maggiori utili extrabilancio di cui al punto A dell’avviso di accertamento (rideterminazione del valore commerciale degli immobili venduti dalla soc. “EURTRE” srl) l’Ufficio procedeva constatando inspiegabili discrasie tra l’importo fatturato per l’appartamento ceduto ai sigg. G./P. e l’importo del relativo mutuo ipotecario supportato da perizia di stima; inspiegabili discrasie tra l’importo fatturato per l’appartamento ceduto a R.M. e quello fatturato per la cessione G./P., di superficie commerciale minore; inspiegabili discrasie tra i valori dichiarati e quelli risultanti da un prospetto informativo di una delle maggiori agenzie immobiliari della zona.
Con riguardo ai maggiori utili di cui al punto B dell’avviso di accertamento (sottofatturazione della cessione di un terreno edificabile effettuata dalla soc. EUR3 srl alla soc. DIEMME srl) l’Ufficio procedeva avendo accertato inspiegabili discrasie tra l’importo fatturato e il relativo contratto di mutuo ipotecario supportato da perizia di stima.
A fronte di tali elementi, certamente costituenti presunzione semplice, l’appellata si limitava a rappresentare, senza peraltro in alcun modo documentare, un’incidenza negativa sulle cubature di alcuni appartamenti oggetto di preliminari di vendita sottoscritti dalla soc. EURTRE srl, ed a contestare l’attendibilità del prospetto utilizzato per la determinazione dei valori immobiliari compravenduti.
Orbene, a giudizio di questa CTR, l’impianto argomentativo e probatorio a supporto degli atti accertativi appare idoneo a determinare una pluralità di elementi costituenti prova presuntiva di quanto accertato, determinando l’onere di controparte, in alcun modo assolto, di superare detta presunzione.
Quanto poi alla legittimità dell’applicabilità della presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio al caso delle società di capitali a ristretta base partecipativa familiare, si tratta di una giurisprudenza condivisibile ed ormai del tutto consolidata, alla quale costantemente questa CTR si adegua.
Nel caso in esame, invero, l’appellata risulta socia della soc. EURTRE srl per una quota pari al 66,667%, laddove il coniuge D.A.F. risulta titolare del restante 33,33% nonché amministratore e poi liquidatore; risulta socia della soc. EUR3 srl per una quota del 0,010%, laddove il coniuge D.A.F. risulta titolare del restante 99,99%, nonché amministratore e poi liquidatore.
La decisione di primo grado, pertanto, appare meritevole di riforma. All’accoglimento del gravame segue la condanna alle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M. – la Commissione accoglie l’appello e condanna il contribuente alle spese del presente grado di giudizio, liquidate in euro 800 oltre accessori di legge.
(1) Cass. 22 febbraio 2010, nn. 4060, 4061 e 4062, tutte in Foro it., 2011, I, 1498.
(2) Cass. 12 marzo 2013, n. 6070, in Boll. Trib., 2013, 701.