8 Febbraio, 2019

SOMMARIO: 1. PREMESSA – 2. LA RATIO DELLA DISCIPLINA – 3. I REQUISITI PER ACCEDERE AL BENEFICIO; 3.1 I requisiti soggettivi; 3.2 I requisiti oggettivi; 3.3 Le modalità di utilizzo del bene immateriale: diretto e indiretto; 3.4 Le spese di ricerca e sviluppo; 3.5 Il procedimento di ruling – 4. I CRITERI DI DETERMINAZIONE DEL REDDITO AGEVOLATO; 4.1 Il metodo CUP; 4.2 Il profit split method; 4.3 Le regole di valutazione secondo l’OCSE; 4.4 Le principali metodologie di calcolo secondo l’OIV; 4.5 Individuazione e rappresentazione del conto economico figurativo – 5. CONCLUSIONI.

1. PREMESSA

Il cosiddetto patent box si riferisce ad una disciplina opzionale, particolarmente agevolativa, che opera nell’ambito delle imposte dirette e consente, in presenza di condizioni ben definite, un consistente risparmio di imposta per un periodo pari ad almeno cinque anni.
L’art. 1, commi da 37 a 45, della legge di Stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190), così come modificato dal D.L. 24 gennaio 2015, n. 3 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 33), ha introdotto nel nostro ordinamento una disciplina fiscale agevolata, opzionabile al ricorrere di particolari requisiti, rivolta a tutti i soggetti che producono in Italia reddito di impresa, attraverso l’utilizzo o la cessione di un bene immateriale (1).

2. LA RATIO DELLA DISCIPLINA

La tipologia di agevolazione fiscale che qui si tenta di esaminare ha in genere per scopo quello di incentivare i soggetti privati ad investire nell’ambito della ricerca e dello sviluppo.
Al riguardo è opportuno rilevare che incentivi fiscali specifici che determinano una riduzione dei costi o che riducono la tassazione in fase di sfruttamento dei beni immateriali possono stimolare ad investire in quanto limitano i cosiddetti fallimenti del mercato ossia l’assenza di un profitto che giustifichi l’investimento stesso. In tal senso appare evidente che le fattispecie agevolative cosiddette patent boxes dissuadono i contribuenti dallo svolgere attività di ricerca e sviluppo in Paesi a bassa tassazione e, nel contempo, attraggono i contribuenti di altri Paesi (2). La ratio della disciplina italiana del patent box è evidentemente quella di assicurare un trattamento di favor fiscale a tutte le attività economiche che utilizzano beni immateriali nello Stato italiano, al fine, principalmente, di incoraggiare gli investimenti e favorire un generale rilancio dell’economia italiana, anche attraendo investitori stranieri (3).
Più in particolare, come argomentato nella citata circolare n. 11/E/2016, con l’introduzione della disciplina del patent box il legislatore ha voluto tutelare la base imponibile nazionale con l’obiettivo di incentivare la collocazione in Italia dei beni immateriali attualmente detenuti all’estero da imprese italiane o estere, così come la stabile collocazione in Italia degli stessi.
Ciò in attuazione del modello che, da tempo, è alla base dei progetti messi in atto dall’OCSE in materia di regimi fiscali per lo sviluppo economico dei beni immateriali.
Si pensi al modello del nexus approach (recato nei rapporti OCSE del 1998 e del 2014), che realizza la “tecnica del nesso/collegamento necessario”, in base alla quale ogni beneficio deve essere collegato all’attività effettiva che il regime giuridico relativo intende promuovere (4).
In questo senso, il beneficio normativo spetterà soltanto a chi, oltre a sfruttare economicamente il bene e a ritrarne i relativi profitti, lo migliora, effettuando costantemente un’attività di ricerca e di sviluppo sullo stesso e contribuendo – in questo modo – alla sua crescita sul mercato.

3. I REQUISITI PER ACCEDERE AL BENEFICIO

3.1 I requisiti soggettivi

La disciplina del patent box è rivolta, in via generale, a tutti i soggetti residenti nello Stato italiano, che svolgono un’attività di impresa sul territorio, nell’ambito della quale è previsto lo sfruttamento diretto o indiretto di un bene immateriale (5).
La disciplina in esame interessa le imprese commerciali individuali, le società di persone commerciali, le società di capitali e gli enti commerciali, gli enti non commerciali relativamente all’attività commerciale esercitata e le stabili organizzazioni in Italia di imprese commerciali estere (6).
Sono invece espressamente esclusi dal novero dei beneficiari del regime agevolativo, per quanto disposto all’art. 3 del D.L. n. 3/2015, le società che: (a) siano assoggettate a procedura di fallimento dall’inizio dell’esercizio in cui interviene la dichiarazione di fallimento; (b) siano assoggettate a procedura di liquidazione coatta dall’inizio dell’esercizio in cui interviene il provvedimento che ordina la liquidazione; (c) siano assoggettate a procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi dall’inizio dell’esercizio in cui interviene il decreto motivato che dichiara l’apertura della procedura di amministrazione straordinaria.

3.2 I requisiti oggettivi

La disciplina di cui si discute adotta una nozione molto ampia di bene intangibile, che sembra volere comprendere ogni tipologia di bene dell’ingegno, devoluto all’attività economica e imprenditoriale (7).
Tale ampiezza della nozione di bene intangibile, che rende la normativa in esame particolarmente vantaggiosa e appetibile, non esclude tuttavia un futuro intervento del legislatore volto a una delimitazione della nozione stessa con una conseguente esclusione dalla disciplina agevolativa di determinate tipologie di beni (8).
Nell’attuale disciplina agevolativa rientrano i redditi d’impresa derivanti dall’utilizzo di: (a) software protetto da copyright (9); (b) brevetti industriali siano essi concessi o in corso di concessione, ivi inclusi i brevetti per invenzione, ivi comprese le invenzioni biotecnologiche e i relativi certificati complementari di protezione, i brevetti per modello d’utilità, nonché i brevetti e certificati per varietà vegetali e le topografie di prodotti a semiconduttori; (c) marchi di impresa, ivi inclusi i marchi collettivi, siano essi registrati o in corso di registrazione; (d) disegni e modelli, giuridicamente tutelabili; (e) informazioni aziendali ed esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali o scientifiche proteggibili come informazioni segrete, giuridicamente tutelabili (10) nexus.
Laddove invece due o più beni immateriali, come sopra indicati, siano collegati da un vincolo di complementarità, tale per cui l’uso congiunto risulti necessario, il contribuente, ai fini della determinazione della quota di reddito agevolabile, deve considerarli come un solo bene.
Ai fini della definizione delle diverse tipologie di beni immateriali, in accordo con quanto disposto all’art. 6 del decreto, si deve fare riferimento alle norme nazionali, comunitarie ed internazionali.

3.3 Le modalità di utilizzo del bene immateriale: diretto e indiretto

Il regime agevolativo della patent box interessa quelle attività economiche che utilizzano beni immateriali indipendentemente dal titolo giuridico in virtù del quale avviene l’impiego degli stessi.
Come specificatamente previsto all’art. 39 della legge n. 190/2014, e meglio specificato all’art. 7 del D.L. n. 3/2015, le modalità di utilizzo del bene immateriale sono due:
• la concessione in uso del diritto all’utilizzo dei beni immateriali, che è definito uso indiretto. In questi casi, l’impresa concede il bene immateriale in utilizzo a terzi e ne ritrae dei corrispettivi (royalties), che costituiscono i ricavi della propria attività collegata al suddetto bene;
• l’utilizzo nell’ambito di qualsiasi attività che i diritti sui beni immateriali riservano al titolare del diritto stesso, per tale intendendosi uso diretto. In tali casi, l’impresa utilizza in modo diretto il bene immateriale e ritrae dallo stesso dei profitti, che saranno inglobati nel risultato complessivo della propria attività.
Il reddito agevolabile costituisce la quota di reddito di impresa prodotto nel periodo di imposta considerato, che sia direttamente imputabile o riferibile all’utilizzo del bene immateriale.
La determinazione di tale valore è differente in caso di utilizzo diretto o indiretto dell’intangible.
Nell’ipotesi di uso indiretto di beni immateriali, il reddito agevolabile sarà costituito dai canoni derivanti dalla concessione in uso dei beni immateriali, al netto dei costi fiscalmente rilevanti, diretti ed indiretti ad essi connessi, di competenza del periodo di imposta.
In caso di utilizzo diretto del bene immateriale è necessario individuare il contributo economico del bene immateriale che ha concorso a formare il reddito ovvero la perdita d’impresa.
Al fine di calcolare il contributo economico, ovvero l’apporto dell’utilizzo del bene immateriale alla formazione del reddito d’impresa, il soggetto beneficiario è obbligato ad avviare una particolare procedura informativa e di confronto con l’Agenzia delle entrate, la c.d. “procedura di ruling”.

3.4 Le spese di ricerca e sviluppo

L’effettuazione di spese di ricerche e sviluppo è una condizione necessaria per l’utilizzo del regime in esame.
Ne deriva che in assenza di tali spese – e quindi nel caso in cui il valore annuale delle medesime sia pari a zero – il regime in esame non può essere utilizzato dal contribuente.
L’art. 8 del citato decreto individua le attività di ricerca e sviluppo che devono svolgere le imprese al fine di beneficiare del regime agevolativo in parola.
Nello specifico, tali attività sono state così analiticamente enucleate:
a) la ricerca fondamentale, con ciò dovendosi intendere i lavori sperimentali o teorici svolti per acquisire nuove conoscenze, ove successivamente utilizzate nelle attività di ricerca applicata e design;
b) la ricerca applicata, con ciò dovendosi intendere la ricerca pianificata per acquisire nuove conoscenze e capacità, da utilizzare per sviluppare nuovi prodotti, processi o servizi o apportare miglioramenti a prodotti, processi o servizi esistenti, in qualsiasi settore della scienza e della tecnica: lo sviluppo sperimentale e competitivo, con ciò dovendosi intendere l’acquisizione, la combinazione, la strutturazione e l’utilizzo delle conoscenze e capacità esistenti di natura scientifica, tecnologica commerciale e di altro tipo allo scopo di sviluppare prodotti, processi o servizi nuovi o migliorati. Rientrano in questa definizione anche le altre attività destinate alla definizione concettuale, concretamente nuovi prodotti, processi o servizi, e i test, le prove e le sperimentazioni necessari ad ottenere le autorizzazioni per la immissione in commercio dei prodotti o l’utilizzo di processi e servizi fruendo nello sviluppo sperimentale la costruzione di prototipi e campioni, la dimostrazione, la realizzazione di prodotti pilota, i test e la convalida di prodotti, processi o servizi nuovi o migliorati, e la realizzazione degli impianti e delle attrezzature a tal fine necessari;
c) il design, con ciò intendendosi le attività di ideazione e progettazione di prodotti, processi e servizi, ivi incluso l’aspetto esteriore di essi e di ciascuna loro parte, e le attività di sviluppo dei marchi;
d) l’ideazione e la realizzazione del software protetto da copyright;
e) le ricerche preventive, i test e le ricerche di mercato e gli altri studi e interventi anche finalizzati all’adozione di sistemi anticontraffazione, il deposito, l’ottenimento e il mantenimento dei relativi diritti, il rinnovo degli stessi a scadenza, la protezione di essi anche in forma associata e in relazione alle attività di prevenzione della contraffazione e la gestione dei contenziosi e contratti relativi;
f) le attività di presentazione, comunicazione e promozione che accrescano il carattere distintivo e/o la rinomanza dei marchi, e contribuiscano alla conoscenza, all’affermazione commerciale, all’immagine dei prodotti o dei servizi, del design o degli altri materiali proteggibili.
Si tratta di un’area molto ampia di spese sostenibili, nell’ambito della quale possono rientrare investimenti di ogni tipo finalizzati alla ricerca, alla evoluzione ovvero alla conoscenza e promozione del bene intangible sul mercato.
In relazione ai primi tre periodi d’imposta, in cui è possibile l’utilizzo dell’agevolazione, l’art. 8 del decreto precisa che, ai fini dell’operatività del beneficio, si possono computare le spese sostenute nel periodo cui si riferisce la dichiarazione dei redditi e nei tre periodi di imposta precedenti. Tali costi sono, inoltre, assunti complessivamente per tutti i beni immateriali utilizzati.
Differentemente, invece, a partire dal terzo periodo di imposta successivo a quello in cui è possibile l’utilizzo della agevolazione, i costi da computare saranno soltanto quelli sostenuti nei periodi di imposta in cui l’agevolazione trova applicazione e sono assunti distintamente per ogni bene immateriale.
È sempre necessario che le spese siano connesse ad un’attività di ricerca o di sviluppo direttamente collegata al bene immateriale dell’impresa.
Non sono, quindi, ammissibili attività di ricerca generiche, non circostanziate, che non mostrino un adeguato collegamento con l’intangible dell’impresa.

3.5 Il procedimento di ruling (11)

I titolari di reddito d’impresa che utilizzano direttamente il bene immateriale devono attivare la procedura di accordo preventivo con l’Amministrazione finanziaria (ruling) al fine di definire in contraddittorio i metodi ed i criteri di determinazione del reddito agevolabile (ipotesi di “ruling obbligatorio”). Le disposizioni concernenti l’accesso alla citata procedura sono state definite con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate 1° dicembre 2015, n. 154278.
In caso di utilizzo indiretto del bene immateriale, il soggetto che intende beneficiare dell’agevolazione ha la facoltà di attivare la suddetta procedura di ruling qualora tale utilizzo venga realizzato nell’ambito di operazioni con società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa (ipotesi di “ruling facoltativo”).
Il raggiungimento di un accordo con l’Ufficio fiscale rende, quindi, sostanzialmente insindacabile, in un momento successivo, l’an e il quantum degli ammontari definiti; la possibilità di risolvere l’accordo è infatti collegata esclusivamente alla violazione di quanto stabilito nell’accordo medesimo.

4. I CRITERI DI DETERMINAZIONE DEL REDDITO AGEVOLATO

L’agevolazione derivante dal regime patent box consiste nella detassazione di quella porzione di reddito, il reddito agevolato, determinato secondo particolari modalità (12).
La definizione del reddito agevolato è il risultato di un’operazione algebrica, nella quale si determina il prodotto tra il reddito agevolabile e il rapporto tra i costi qualificati e i costi complessivi di ricerca sostenuti dall’impresa.
Il reddito agevolabile – in caso di utilizzo diretto del bene intangible – è costituito dal contributo economico derivante dal bene immateriale, che ha concorso a formare il reddito o la perdita dell’impresa.
Differentemente – nei casi di utilizzo indiretto – il reddito agevolabile sarà costituito dai corrispettivi ricevuti a fronte dell’utilizzo del bene intangible (le cosiddette, royalties), al netto dei costi rilevanti e indiretti a esso connessi.
I costi qualificati comprendono tutte le spese di ricerca e di sviluppo e soltanto una parte sia del costo delle ricerche derivanti da operazioni con società del gruppo che del costo di acquisizione del bene intangible medesimo, sostenuto nel periodo di imposta.
I costi complessivi sono, invece, costituiti da tutti i costi qualificati, dall’ammontare totale delle spese di ricerca effettuate nell’ambito delle società del gruppo e dal costo di acquisizione del bene immateriale sostenuto nel periodo di imposta (13).
Non si tratta di una esclusione totale da tassazione, ma di una parziale – e graduale – detassazione, che raggiungerà, dopo i primi due anni dall’esercizio dell’opzione, il 50% del reddito determinato.
L’applicazione della detassazione al 50%, dunque, non sarà immediata bensì progressiva, in tal modo: per il 30% della quota di reddito agevolabile nel primo periodo di imposta; per il 40% della quota di reddito agevolabile nel secondo periodo di imposta; per il 50% della quota di reddito agevolabile a partire dal terzo periodo di imposta.
La più volte citata circolare n. 11/E ha chiarito che, per determinare il reddito agevolabile da patent box, occorre redigere un conto economico virtuale del ramo di azienda “bene immateriale”, esponendo come ricavi la royalty “implicita”, da quantificare con le regole del transfer pricing, e, come costi, gli oneri diretti e indiretti di questo ramo, da estrapolare dal conto economico complessivo e valorizzare con criterio fiscale (14).
L’Agenzia delle entrate ha specificato che il metodo del confronto di prezzo ed il metodo c.d. profit split costituiscono i metodi principali per la quantificazione del reddito del bene immateriale utilizzato direttamente, da definire nel ruling.
Il reddito agevolabile, come si evince dalla circolare n. 11/E, è dunque una misura ottenuta per differenza fra ricavi e costi del “ramo di azienda” relativo al bene immateriale. I ricavi possono essere effettivi (royalty conseguita in caso di licenza a terzi) ovvero impliciti (in caso di utilizzo diretto del bene), mentre i costi sono sempre e solo effettivi e fiscalmente rilevanti.
Quindi, nell’uso diretto, il reddito da determinare è la differenza tra ricavi impliciti per (una ipotetica) licenza a terzi (royalty che un terzo pagherebbe – a valori di libera concorrenza – all’impresa che possiede l’intangibile al lordo dei costi di manutenzione, di sviluppo e di accrescimento del bene) e i costi (diretti e indiretti) che effettivamente l’impresa sostiene per il bene stesso.
Le maggiori complessità per quantificare il reddito di impresa che (previo ragguaglio con il nexus ratio) può usufruire della detassazione si pongono nelle ipotesi (che sono le più diffuse nella realtà delle imprese) di utilizzo diretto del bene immateriale.
Sia la relazione ministeriale al decreto 30 luglio 2015 sia la circolare n. 11/E/2016 richiedono di ricostruire il reddito (analogamente al caso di utilizzo indiretto) come differenza tra ricavi e costi di un ipotetico “ramo di azienda” autonomo dell’impresa (e dunque distinto dalle altre funzioni svolte, quali manufacturing e trading puro) volto alla creazione, allo sviluppo e al mantenimento dell’intangible e alla sua concessione in uso “interno” all’impresa stessa.
Per calcolare il reddito di questo “ramo di azienda” interno, che costituisce l’importo agevolabile, occorre costruire un apposito conto economico sezionale riferibile al bene immateriale che indicherà, tra i proventi, la royalty implicita incorporata nei ricavi di vendita di beni e servizi (quota parte del prezzo attribuibile all’uso del o dei beni immateriali immessi nel patent box) e, tra i componenti negativi, tutti i costi diretti e indiretti relativi alle attività connesse alla creazione, sviluppo, mantenimento o miglioramento del bene immateriale.
L’analisi del contribuente, da portare nel ruling, deve dunque partire dalla individuazione della royalty implicita “di mercato”, cioè dal canone di utilizzo che un terzo indipendente sarebbe potenzialmente disposto a pagare per prendere in licenza, alle medesime condizioni, l’intangible utilizzato direttamente dall’impresa.
Tra i ricavi del conto economico sezionale del ramo bene immateriale si comprendono anche eventuali somme ottenute dall’impresa a titolo di risarcimento o indennizzo per violazione dei diritti sui beni stessi.
Per calcolare la royalty implicita, calcolo che è l’elemento di maggiore problematicità del ruling, occorre rifarsi ai criteri previsti in sede OCSE per la determinazione dei prezzi di trasferimento di intangibles (15).

4.1 Il metodo CUP

Come sottolinea la circolare n. 11/E, il metodo ritenuto preferibile è quello del confronto di prezzo (CUP) che, applicato al particolare caso di determinazione della royalty implicita, si sostanzia nella individuazione della percentuale “di mercato” per la concessione in uso di beni immateriali che sono comparabili (caratteristiche dei beni o servizi, analisi funzionale, termini contrattuali, circostanze economiche e strategie aziendali) con quello (o quelli) oggetto di patent box.
È bene ricordare, a questo proposito, che l’Amministrazione finanziaria si è espressa in passato su questi aspetti suggerendo una griglia di valori: il richiamo è molto datato, in quanto si tratta della circolare n. 32/1980 (16); ad ogni modo, tale strumento di prassi costituisce allo stato attuale un riferimento che deve essere tenuto in considerazione in questa prima fase di analisi generale.
Seguendo il metodo CUP, la suddetta individuazione può effettuarsi:
• con metodologia “interna”, sulla base della royalty pattuita in licenze d’uso che la stessa impresa concede a terzi per analoghi intangibles;
• con metodologia esterna, estraendo da banche dati specializzate, ovvero da altra documentazione nota al contribuente, la royalty pattuita tra imprese indipendenti per licenze d’uso analoghe.
Ne deriva che per utilizzare il metodo CUP si dovrà:
• determinare la percentuale di royalty di mercato;
• individuare i ricavi ai quali applicare la percentuale (ricavi derivanti dalle sole linee di business per i quali il bene immateriale è utilizzato).
Come precisa ancora la circolare n. 11/E, il CUP può inoltre essere adottato per determinare la royalty implicita, non attraverso la stima di una percentuale di mercato derivante dalla ipotetica licenza d’uso dell’intangibile, ma mediante la quantificazione del cosiddetto premium price incorporato nei prodotti dell’impresa.
Il premium price (17) è costituito dalla differenza tra prezzo del prodotto “branded” (o comunque dotato dell’intangible oggetto di stima) e un analogo prodotto “unbranded” (o comunque non dotato di quell’intangible).
Il premium price, che moltiplicato per le quantità vendute con l’intangibile indica i ricavi impliciti del ramo di azienda bene immateriale (in alternativa il calcolo si potrà effettuare con un premium price percentuale), viene stimato confrontando (internamente) i prezzi di prodotti ceduti dalla stessa impresa rispettivamente con e senza il marchio (o con e senza altro bene immateriale), oppure confrontando i prezzi dei prodotti ceduti dall’impresa con quelli di analoghi prodotti posti sul mercato da imprese terze (senza marchio).
Dall’ammontare dei ricavi impliciti, come sopra determinati, occorre sottrarre, nel conto economico virtuale del ramo aziendale, i costi diretti e indiretti a essi connessi.
Per la quantificazione di tali costi, precisa la circolare n. 11/E, si devono utilizzare i criteri di competenza e più in generale di rilevanza fiscale. Quindi, anche qualora si utilizzino (in particolare per i costi indiretti) metodi di contabilità industriale, occorrerà una riconciliazione con i valori effettivi di contabilità generale (risultanti dal conto economico complessivo dell’impresa, di cui quello del ramo di azienda virtuale costituisce un “sezionale”) e con il relativo regime fiscale (18).
I costi diretti da iscrivere nel conto economico virtuale sezionale sono tutti e soltanto quelli riconducibili al processo di ricerca e sviluppo, nonché di comunicazione e difesa dell’intangible.
In linea di massima si tratta dei costi specifici derivanti dalle attività di ricerca qualificata individuate dall’art. 8 del decreto, a prescindere però dalle modalità di sostenimento (interne, esterne, o presso altre società del gruppo), modalità che invece rilevano distintamente per il calcolo del nexus ratio.
Sono invece “indiretti” quei costi imputabili all’intangible secondo criteri di comunanza ovvero indirettamente mediante un processo di ripartizione (come chiarito dalla circolare n. 11/E).

4.2 Il profit split method

In alternativa al metodo CUP, e qualora il CUP non sia materialmente applicabile per mancanza di dati su transazioni comparabili, è utilizzabile il cosiddetto profit split method, in particolare nella sua versione “residuale”.
Questo metodo consente di quantificare l’utile prodotto dall’intangibile per differenza tra utile totale dell’impresa (nella sua accezione fiscale di reddito) e l’utile generato dalle funzioni routinarie, in particolare dalla funzione di manufacturing e dalla funzione di trading (19).
La circolare n. 11/E chiarisce i seguenti passaggi da seguire se si utilizza il Residual Profit Split Method:
• individuazione del reddito di impresa da ripartire tra le diverse funzioni aziendali;
• remunerazione delle funzioni cosiddette “routinarie” (manufacturing e trading per un’impresa industriale ovvero solo trading per un’impresa commerciale); la remunerazione si calcola utilizzando sempre regole di transfer pricing e dunque con un sistema di CUP, Cost plus ovvero se, come di solito avviene, si opera direttamente sui margini, con un metodo “Tnmm” (applicando l’Ebit margin rilevato in un campione di imprese indipendenti che svolgono solo attività di produzione di quei beni per conto terzi oppure di distribuzione dei prodotti);
• determinazione della differenza tra utile complessivo dell’impresa e utile delle funzioni routinarie come sopra calcolato, differenza che costituisce l’extraprofitto derivante dall’utilizzo di tutti i beni intangibili (e degli eventuali altri fattori che contribuiscono alla creazione di valore);
• imputazione della quota parte di extraprofitto attribuibile al bene immateriale oggetto di agevolazione, isolando la (eventuale) quota parte di extra-profitto attribuibile ad altri fattori che contribuiscono alla creazione di valore; non è detto infatti che tutto l’extra profitto rispetto alle funzioni routinarie sia ascrivibile all’intangibile agevolato, potendo esistere ulteriori funzioni o intangibili non immessi nel patent box o comunque non agevolate; la circolare n. 11/E fa l’esempio (ripreso dall’OCSE, Azione 5 del Beps), dei manufacturing returns (particolare qualità dei prodotti commercializzati rispetto al mercato, particolari economie di scala produttive, se diverse da un know how agevolato, ecc.) e dei cosiddetti marketing returns (ad esempio, posizione commerciale particolarmente importante della società sul mercato, eventualmente imputabile alla lista clienti e altri intangibili di marketing non agevolabili).
Più sinteticamente, il profit split residuale si applicherà (soprattutto laddove esso venga utilizzato come secondo test) calcolando (in base al metodo “Tnmm” o simili metodi reddituali) la marginalità netta delle due funzioni routinarie di manufacturing e di trading (applicando ai ricavi dell’una e dell’altra, ad esempio, la percentuale di redditività – utile ante imposte o EBT su fatturato – rilevata da un’analisi su imprese comparabili) e per differenza rispetto all’utile totale dell’impresa, il reddito del ramo aziendale beni immateriale.
Anche nel caso di utilizzo del profit split occorre, secondo la circolare n. 11/E, rideterminare il sovra-reddito del ramo aziendale bene immateriale applicando le variazioni in aumento e in diminuzione previste dalla disciplina del reddito di impresa.
Si tratta di un calcolo che richiede particolari assunzioni “forfetarie”, laddove il profit split method venga applicato partendo direttamente dai risultati netti e dunque senza costruire tre distinti conti economici sezionali.
Da ultimo si segnala che la circolare n. 11/E precisa che l’utilizzo di metodi differenti dal CUP e dal profit split (in particolare metodi basati su tecniche valutative) non è escluso, ma dovrà comunque essere adeguatamente motivato in sede di interpello.

4.3 Le regole di valutazione secondo l’OCSE

Come osservato, nel regime del patent box, i metodi di transfer pricing previsti dall’OCSE devono “guidare” nella determinazione del reddito agevolabile derivante dall’utilizzo diretto dei beni immateriali.
Invero l’art. 12 del decreto attuativo stabilisce che il contributo economico al reddito d’impresa del bene immateriale è determinato sulla base degli standard internazionali rilevanti elaborati dall’OCSE con particolare riferimento alle Guidelines in materia di prezzi di trasferimento.
Le linee guida OCSE (nella versione del luglio 2010) stabiliscono che il principio del “prezzo di libera concorrenza” (arm’s length) o del “valore normale” deve essere utilizzato per determinare l’adeguatezza dei prezzi di trasferimento applicati fra imprese facenti parte dello stesso gruppo.
Questo principio è incluso sia nelle linee guida OCSE, che nel Modello di Convenzione OCSE, utilizzato quale base per i trattati bilaterali contro la doppia imposizione fra i Paesi membri dell’OCSE (20).
La traduzione applicativa del principio di libera concorrenza richiede di esaminare transazioni svolte fra soggetti economici tra di loro indipendenti, o comunque non sottoposti a qualche forma comune di controllo. Il valore normale è infatti un valore il più possibile oggettivo e riconducibile a quello che sarebbe applicato fra due parti terze, ciascuna delle quali operante con l’obiettivo di massimizzare i propri utili.
Nonostante le stesse linee guida OCSE riconoscano le difficoltà che gli operatori possono trovare nell’applicazione pratica del principio di libera concorrenza alle transazioni infragruppo, nondimeno esse stabiliscono che tale principio deve essere l’obiettivo principale che i contribuenti devono cercare di ottenere quando operano scambi di beni e servizi tra di loro (21).
Ai fini dell’applicazione del principio di libera concorrenza, i contribuenti sono dunque chiamati ad individuare una o più transazioni il più possibile simili a quelle oggetto di verifica e il cui prezzo (o i cui margini) possano essere individuati o determinati. Una volta esaminate tali transazioni, viene applicato un principio di comparabilità in base al quale il contribuente deve confrontare i risultati (prezzi e/o margini) delle sue transazioni infragruppo con i risultati (prezzi e/o margini) di transazioni comparabili fra parti non correlate.
Le raccomandazioni OCSE, con particolare riferimento al capitolo VI delle Linee guida denominato “Special considerations for Intangible property”, di recente aggiornate dal documento “Base Erosion and Profit Shifting Project” (Beps), action 8-10, Aligning transfer pricing outcomes with value creation (ottobre 2015), definiscono il confronto di prezzo (comparable uncontrolled transactions – CUP – paragrafo 6.146 e segg.) ed il profit split come i metodi che “con maggior probabilità” si riveleranno utili nella determinazione del valore e dei redditi derivanti dallo sfruttamento di beni immateriali o diritti sui medesimi (paragrafo 6.145); le tecniche di stima adottate dalla prassi finanziaria, benché non “scartate” a priori, sono considerate un utile strumento di valutazione, adottabili laddove sia comprovata la non applicabilità dei metodi “ordinari” citati e purché l’utilizzo delle stesse avvenga nel pieno rispetto dei principi guida sui prezzi di trasferimento (paragrafo 6.154).
Come osservato nel paragrafo che precede, tali metodi sono stati ritenuti preferibili dalla stessa Agenzia delle entrate nella circolare n. 11/E.
Il metodo CUP è il metodo concettualmente preferibile per verificare l’adeguatezza dei prezzi intercompany applicati. Tale metodo confronta infatti il prezzo dei beni o servizi in una transazione fra imprese del Gruppo con il prezzo degli stessi beni o servizi in una transazione fra imprese indipendenti nelle medesime condizioni di mercato.
La comparabilità implica che non vi siano differenze nel prodotto o nei servizi, nelle condizioni, nelle funzioni e nei rischi che possano influenzare significativamente il prezzo di mercato oppure che possano essere effettuati degli aggiustamenti contabili ragionevolmente accurati per annullare l’impatto di tali differenze.
Il metodo perde la sua validità come sostituto delle transazioni di libera concorrenza nel caso in cui non sia possibile confrontare tutte le caratteristiche di queste transazioni sul libero mercato, caratteristiche che incidono in modo significativo sul prezzo stabilito tra le imprese indipendenti.
Una transazione comparabile indipendente si definisce “esterna” quando avviene tra due imprese del tutto estranee al Gruppo, oppure “interna” quando interessa un’impresa del Gruppo ed un’impresa indipendente.
Un CUP interno in vendita implica che il prezzo applicato su vendite effettuate a società del Gruppo è uguale al prezzo applicato nei confronti di acquirenti terzi indipendenti. Un CUP esterno implica che il prezzo applicato su vendite effettuate tra soggetti indipendenti è uguale al prezzo applicato infragruppo.
Un CUP interno in acquisto implica che il prezzo pagato su acquisti effettuati presso società del Gruppo è uguale al prezzo pagato nei confronti di fornitori terzi indipendenti.
Il CUP è quindi un metodo c.d. di tipo “two-side” e quindi riflette le condizioni di un accordo di scambio tra due parti indipendenti ed evita la necessità di individuare la cosiddetta “tested party” ovvero la società da testare ai fini della verifica di conformità. Il CUP pertanto normalmente evita l’insorgere di problematiche di doppia tassazione che possono sorgere quando si utilizza un metodo di verifica “one-side”.
Trattandosi di un metodo che misura in modo diretto il valore normale è meno soggetto alle tematiche relative alla classificazione dei costi di conto economico.
Il metodo CUP è certamente quello preferibile per le analisi di transfer price in quanto si presta in particolare ad essere utilizzato in transazioni che comportano l’addebito di royalties ed in quelle che comportano l’applicazione di tassi di interesse, ambiti nei quali è più complesso l’impiego dei restanti metodi. Un altro tipico contesto di applicazione del CUP è quello che comporta lo scambio di materie prime e di beni con quotazioni ufficiali.
L’impiego del CUP è sempre da valutare quando vi è la disponibilità di comparabili interni, ovvero quando l’impresa del Gruppo effettua scambi di beni e servizi anche con imprese terze al gruppo, verificati i fattori di comparabilità.
Tutti i fattori di comparabilità sono importanti nello stabilire la possibilità di applicare un CUP ed alcune delle eventuali differenze sono neutralizzabili con adeguati aggiustamenti: tra queste la qualità del prodotto, i termini di spedizione e trasporto, i volumi di vendita e i correlati sconti, i termini di pagamento.

4.4 Le principali metodologie di calcolo secondo l’OIV

Il discussion paper diffuso in data 4 dicembre 2015 dall’Organismo italiano di valutazione (OIV) ha offerto un utile contributo in ordine alle metodologie di determinazione del reddito agevolabile nel caso in cui il bene immateriale sia utilizzato direttamente (22).
Come osservato nel paragrafo che precede la normativa interna sul patent box richiama i metodi ed i criteri previsti dalle linee guida OCSE in materia di transfer price.
È necessario premettere che lo stesso OIV ha opportunamente evidenziato nelle premesse del discussion paper che lo stesso non intende affatto «interpretare o integrare gli standard internazionali elaborati dall’OCSE» e che, ad ogni modo, andrà garantita la coerenza tra i metodi di valutazione proposti e le raccomandazioni OCSE in materia di transfer pricing.
Sulla base di queste e di altre regole applicative, l’OIV ha redatto un documento che suggerisce ed illustra quattro criteri alternativi.
Nelle pagine che seguono andremo ad analizzare i criteri individuati dall’OIV, tenendo sempre presente che l’Agenzia delle entrate, nella circolare n. 11/E, ha chiarito come i metodi preferibili restano sempre il CUP ed il profit split.

Relief from royalty
Il primo e più diffuso metodo è quello della stima delle royalties risparmiate (relief from royalty).
Il contributo economico del bene immateriale coincide, secondo questo criterio, con il flusso di royalty che l’impresa, qualora non avesse la proprietà del bene immateriale, avrebbe dovuto riconoscere ad un terzo per poterlo ottenere in licenza, al netto di tutti i costi diretti e indiretti se non già dedotti dalla royalty figurativa.
In pratica, il sistema prevede di confrontare la (reale) situazione di utilizzo diretto del bene (che comporta: nessuna royalty passiva, ma sostenimento dei costi di ricerca) con quella (teorica) che si avrebbe in caso di licenza d’uso (che comporta: pagamento di una royalty “lorda” e nessun costo di ricerca, in quanto sostenuto interamente dal concedente, ovvero pagamento di una royalty “netta” e sostenimento di costi di ricerca da parte dell’utilizzatore come nel caso di possesso diretto). Il vantaggio economico (che coincide con il reddito ascrivibile all’intangibile, cioè con la grandezza che si vuole determinare) è dato dall’eccedenza della royalty figurativa passiva lorda che si sarebbe pagata, rispetto ai costi di ricerca effettivamente sostenuti (23).
Per applicare questo criterio, occorre svolgere tre passaggi:
i) selezione della percentuale di royalty lorda (RRL), cioè una royalty che misura un contratto in cui è il concedente che sostiene i costi di ricerca;
ii) individuazione dei flussi di ricavo (RV); e infine
iii) selezione dei costi legati allo sfruttamento dell’intangible, diretti (CD) e indiretti (CI).
Il Royalty Rate lordo deve essere estratto da una base di contratti di licenza rilevati sul mercato aventi ad oggetto intangibles comparabili con quello oggetto di patent box. Per l’analisi di comparabilità occorre adottare metodologie previste dalle linee guida OCSE in materia di transfer price, tenendo conto della natura del bene immateriale (vita utile, livello di sviluppo, obsolescenza, ecc.), delle condizioni contrattuali (esclusività, estensione e durata della protezione legale, ecc.) e della tipologia – lorda o netta – (rispetto ai costi necessari per il sostegno e lo sviluppo del bene) della royalty (con RRL si ipotizza una royalty lorda in cui il concedente sostiene i costi).
Una volta individuato l’RRL (%), si passa a quantificare i ricavi cui applicare la percentuale. Solo se il bene è utilizzato per tutte le linee di business o di prodotto, il volume dei ricavi coincide con quello totale della società. Diversamente, occorre selezionare i proventi interessati, distinguendo le singole business unit. I ricavi moltiplicati per l’RRL portano al reddito lordo figurativo.
L’ultimo step consiste nella quantificazione dei costi diretti e indiretti rilevanti fiscalmente da sottrarre dalle royalty lorde figurative. L’operazione è necessaria, secondo quanto indicato nella relazione al decreto 30 luglio 2015, per equiparare, ai fini del beneficio fiscale, la posizione degli utilizzatori diretti con quella delle patent company che concedono in licenza i beni.
Qualora invece si stimasse in comparazione una royalty netta (contratto in cui i costi di ricerca sono a carico del licenziatario), il reddito figurativo dell’intangible sarebbe il risultato della seguente formula: RF = (RV x RRN). Ciò in quanto, essendo anche nel caso di licenza i costi di ricerca a carico dell’impresa utilizzatrice, il vantaggio derivante dall’utilizzo diretto è semplicemente la Royalty netta risparmiata.

With or Without
Un secondo metodo è quello del with or without. Il criterio non è però sempre attuabile per carenza di informazioni sui comparabili.
Si tratta di calcolare il maggiore reddito prodotto dall’impresa dotata dell’intangibile, attraverso il cosiddetto premium price (intangibile di marketing), ovvero attraverso minori costi (in caso di intangibile di produzione), rispetto a una impresa con struttura e beni comparabili ma non dotata di quel bene immateriale (marchio, brevetto, know how, etc.).
Il cosiddetto premium price è dato dalla differenza tra il prezzo del prodotto ottenuto o venduto con il supporto del bene immateriale e il prezzo praticabile con un prodotto similare ma ottenuto o venduto senza l’ausilio del bene immateriale oggetto di valutazione.
Marchi, brevetti e altri intangibili sono spesso all’origine della capacità dell’impresa di praticare prezzi di vendita che incorporano un “premio” rispetto a prodotti/servizi concorrenti che rispondono ai medesimi bisogni, ma offerti da imprese che non dispongono di intangible o di un intangible equivalente.
Non basta però stimare il premium price, ma occorre passare a quantificare il margine effettivo dato dall’uso del bene immateriale, in quanto il reddito dell’intangibile, pur in presenza di prezzi più elevati, potrebbe essere zero o negativo, se vi sono associati, rispetto alla posizione del comparabile che non ha il bene immateriale, maggiori costi di produzione o di vendita.
Il metodo trova maggiore applicazione nel campo della stima di valore dei marchi attraverso il confronto tra un prodotto “marcato” con uno senza marchio (unbranded), con le stesse caratteristiche del prodotto da testare.
Nello specifico:
La formula è la seguente: RF = [(PP x Q) – Cd] dove “PP” è il premium price, “Q” le quantità vendute e “Cd” sono i costi differenziali della società dotata dell’intangibile:
• il primo passaggio è la quantificazione del premium price che rappresenta la differenza dei prezzi di vendita unitari tra l’azienda con marchio e quella senza (si pensi a una bibita gassata dotata di un famoso marchio e una bibita del tutto analoga ma venduta come private label);
• in secondo luogo si moltiplica il premium price per le quantità vendute dall’impresa, ottenendo una differenziale (margine lordo) in valore assoluto ascrivibile al marchio;
• si procede infine a quantificare i costi differenziali tra le società con e senza marchio.

Excess earning
Un ulteriore metodo di quantificazione del reddito di un bene intangibile è il cosiddetto excess earning, che si basa sul calcolo dell’utile che l’impresa otterrebbe se non avesse la proprietà di alcuno dei beni strumentali e delle altre attività (anche del circolante), diversi dall’intangibile stesso.
In sostanza si effettua una simulazione di quale reddito residuerebbe se l’impresa dovesse pagare un canone di locazione o di noleggio per l’uso di tutti i beni di cui dispone. Questo reddito residuale (o reddito in eccesso) è, secondo questa impostazione, attribuibile all’unico bene di cui si dispone cioè all’intangibile oggetto di valutazione.
Il calcolo del contributo economico dell’intangibile con l’excess earning presuppone che l’attività oggetto di valutazione svolga un ruolo primario nella produzione dell’utile complessivo dell’impresa; è inoltre necessario stimare il reddito di pertinenza di eventuali altri intangibili con criteri alternativi, dato che l’excess earning può utilizzarsi per un solo intangible (“primario”).
Infine il costo di utilizzo degli altri beni materiali deve essere ricavato sulla base del loro valore corrente e di un tasso di remunerazione appropriato.
Sotto il profilo contabile, dal reddito operativo (Ebit) dell’impresa si deducono tutti i costi di disponibilità dei beni, relativi sia ai beni tangibili, come il capitale circolante netto e le immobilizzazioni, sia degli altri beni immateriali specificamente identificati. Per ogni asset si calcola il fair value e lo si moltiplica per un adeguato tasso di rendimento. L’importo così determinato si sottrae dall’Ebit e ciò che residua è il reddito eccedentario da attribuire al bene immateriale primario.

Reddito implicito
L’ultimo dei quattro criteri per la quantificazione del reddito ascrivibile al bene immateriale è costituito dalla stima del reddito implicito.
Qualora l’impresa sia a conoscenza del valore corrente del bene intangibile quale risulta dal mercato (e dunque non attraverso una valutazione interna basata sulla capitalizzazione dello stesso reddito del bene, che è l’incognita che si vuole trovare), si potrà quantificare il reddito sottostante a tale valore, utilizzando un adeguato tasso di remunerazione.
Il valore del bene può, ad esempio, essere conosciuto perché lo stesso è stato oggetto di una recente transazione, oppure perché tale valore è stato identificato a seguito dell’acquisizione recente di un’altra impresa, o più semplicemente perché il valore del bene viene stimato sulla base del criterio del costo.
Una volta individuato il valore di mercato del bene immateriale, il passaggio successivo è costituito dalla individuazione di un congruo tasso di rendimento, cioè di una percentuale che esprima la reddittività che un operatore del mercato richiederebbe per investire in tale bene.
Il tasso deve essere stimato in funzione della rischiosità associata ai flussi di reddito ascrivibili all’intangibile oggetto di analisi.
Il terzo passaggio è la stima della vita utile del bene, che in diversi casi potrà essere indefinita.
Si procede infine alla determinazione del reddito implicito, moltiplicando il valore per il rendimento, sulla base della vita utile.
Nel caso di un intangible a vita indefinita, la formula di calcolo del reddito figurativo sarà la seguente: R = [V x (r-g)]. Nella formula “V” è il valore corrente del bene, “r” il tasso di rendimento e “g” il tasso di crescita del reddito.
Ad esempio, ipotizzando un marchio con valore corrente pari a 1.000, con un tasso di rendimento di mercato pari al 12% e un tasso costante di crescita del reddito pari al 2%, si avrà:
R = [1.000 x (12%-2%)] = [1.000 x 10%] = 100.
I redditi impliciti agevolabili da patent box nei cinque anni interessati, tenendo conto del tasso di crescita, saranno: 100, 102, 104, 106, 108.

4.5 Individuazione e rappresentazione del conto economico figurativo

Il reddito agevolabile nell’ipotesi in cui il bene immateriale sia utilizzato direttamente è frutto di una stima più complessa rispetto al caso in cui il bene sia concesso in uso a terzi, in quanto non esiste un ricavo dal quale dedurre i costi fiscalmente rilevanti (diretti ed indiretti) per determinare il contributo economico del bene immateriale alla formazione del risultato d’impresa.
Occorre dunque stimare un ricavo ed un reddito figurativo.
Le stime dei ricavi e del reddito figurativo presuppongono innanzitutto l’identificazione del bene immateriale. Infatti, mentre nel caso di concessione in uso a terzi del bene è proprio l’esistenza di un soggetto terzo disposto a corrispondere un canone per il suo utilizzo a dare evidenza del bene stesso, nel caso di beni utilizzati internamente è necessario verificare l’esistenza del bene immateriale, ovvero l’esistenza di benefici economici attribuibili all’uso del bene.
L’art. 7 del decreto chiarisce che il reddito agevolabile per i beni utilizzati direttamente è rappresentato dal contributo economico derivante dal bene che ha concorso algebricamente a formare il reddito d’impresa o la perdita.
Il reddito agevolabile è dunque una misura ottenuta per differenza fra ricavi e costi del bene immateriale.
I ricavi possono essere effettivi (e quindi pari ai canoni derivanti dalla concessione in uso a terzi del bene) o figurativi (nel caso di uso diretto del bene) mentre i costi sono invece sempre e solo i costi effettivi fiscalmente rilevanti e di competenza del periodo di imposta (non rilevano quindi i costi figurativi).
La relazione illustrativa del decreto chiarisce che nel calcolo del reddito figurativo derivante dal bene usato direttamente:
α) occorre adottare un approccio che di fatto assume l’esistenza di un ramo d’azienda autonomo deputato alla concessione in uso dei beni immateriali allo stesso contribuente;
β) è necessario isolare le componenti positive e negative di reddito ascrivibili allo sfruttamento del bene intangibile al fine di identificare la quota di reddito agevolabile;
χ) occorre garantire lo stesso beneficio che si otterrebbe laddove il bene fosse licenziato ad altri soggetti (24).
Nel caso di uso diretto del bene, il reddito agevolabile non equivale necessariamente al reddito che si genera in capo alla specifica entità, ma piuttosto al reddito che la specifica entità potrebbe ritrarre concedendo in uso a terzi (partecipanti al mercato) lo stesso bene e sostenendo in proprio tutti i costi (che la specifica entità ha effettivamente sostenuto).
Esistono dunque due profili da considerare nella stima del reddito figurativo agevolabile:
a) i ricavi figurativi sono quelli propri che l’entità otterrebbe licenziando i beni a terzi (e corrispondono dunque al costo che un partecipante al mercato riconoscerebbe per il bene, considerato il suo valore), assumendo in proprio tutti i relativi costi (dunque i ricavi corrispondono ad un ipotetico canone di concessione in licenza lordo dei costi di manutenzione, di sviluppo e di accrescimento del bene). Il canone così definito non è il reddito ricavabile dall’intangibile, ma il ricavo che un’ipotetica divisione aziendale potrebbe ricavare dalla concessione in uso a terzi del bene immateriale da essa stessa mantenuto, sviluppato ed accresciuto;
b) i costi (diretti ed indiretti) sono quelli fiscalmente rilevanti della specifica entità per l’esercizio di riferimento.
Tale per cui vale la relazione di conto economico:
Reddito figurativo = Ricavi figurativi – Costi fiscalmente rilevanti (effettivi) legati da un nesso economico dimostrabile ai ricavi figurativi.
I costi effettivi da considerare, diretti ed indiretti, riferibili al bene immateriale oggetto di analisi sono sempre e solo quelli fiscalmente rilevanti della specifica entità. Tali costi devono essere, oltre che di competenza del periodo di imposta, legati da un nesso economico dimostrabile ai ricavi figurativi del predetto bene.
I costi diretti ammissibili sono quelli considerati esplicitamente relativi allo sfruttamento del bene, posto che siano riconosciuti da un punto di vista fiscale. I costi indiretti ammissibili devono in ogni caso presentare un ragionevole grado di correlazione con il bene, rispettando il requisito di essere fiscalmente rilevanti.
Va tenuto in considerazione che i costi considerati ai fini del calcolo del reddito di pertinenza del patent box per essere fiscalmente rilevanti devono essere opportunamente mappati dalla specifica entità secondo uno schema di “tracking and tracing”.

5. CONCLUSIONI

La normativa qui brevemente esaminata, ancorché intervenga con un sensibile ritardo rispetto ad atri Paesi, rappresenta una disciplina importantissima di innegabile carattere strategico che rende fiscalmente competitiva e certamente limita la fuga di quelle imprese che, soprattutto nell’ambito delle opere dell’ingegno, spiccano per capacità e investimenti, nonostante una perdurante crisi di mercato: un importante freno alla delocalizzazione di beni immateriali che per natura si prestano facilmente ad essere delocalizzati in Paesi fiscalmente più attraenti del nostro determinando un impoverimento della nostra economia nazionale. È purtroppo noto che importanti imprese italiane di fama mondiale che operano con risultati eccellenti nei campi più disparati abbiano deciso di trasferire la propria sede in altri Paesi dove la ricerca è maggiormente supportata i termini di costo fiscale. In tal senso è innegabile che un Paese come il nostro, conosciuto in tutto il mondo per invenzioni e innovazione in ambito della moda, del design, delle automobili ed anche nella tecnologia avanzata in vari settori, avesse necessità di una normativa quale è quella cosiddetta del patent box, una opportunità fiscale che determina un importante elemento competitivo per le nostre imprese.

Dott. Filippo Varazi

(1) La regolamentazione è stata, successivamente, oggetto di un decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, emesso in data 30 luglio 2015 (d’ora innanzi il decreto), che ne ha spiegato i diversi aspetti applicativi. Da ultimo, la circ. 7 aprile 2016, n. 11/E, in Boll. Trib., 2016, 536, ha fornito importanti chiarimenti in merito alla normativa generale del patent box. Si tratta di una disciplina di defiscalizzazione dei ricavi derivanti dallo sfruttamento delle immobilizzazioni immateriali che Europa è stata adottata da diversi Paesi con una aliquota impositiva compresa tra lo 0% e il 15%. Si veda in merito F. MANG, The (In)Compatibility of IP Box Regimes with EU Law, the code of conduct and the BEPS Initiatives, in European taxation, february/march 2015, 78-85; L. EVERS – H. MILLER – C. SPENGEL, Intellectual Property Box Regimes: effective Tax Rates and Tax Policy Considerations, in ZEW Discussion paper, n. 13-070, november 2013; S. DIKMANS, New Netherlands Corporate Income Tax Provisions for 2007, in European taxation, april 2007, 158; M. SCHELLEKENS, The Netherlands as an Innovation Hub: an Appraisal of the Innovation Box Regime, ivi, October 2013, 525; E. WARSON – M. FORIERS, The Belgian Patent Income Deduction, ivi, february 2008, 70; P. VAN DER BERGHE – P.L. KELLEY, New Patent Deduction in Belgium: a Powerful Incentive, in Bulletin for International Taxation, august/september 2008, 374; F. VAN KUIJK, An Overview of Luxembourg’s Intellectual Property Regime, 69, in Tax notes, 21 Gennaio 2013, 291; J. WITTENDORFF, Taxation of Intangibles in the Nordic Countries, ivi, august 2011, 348; A. GREGORY – A. CASLEY – K. NAISH, The Patent Box Regime, in Intl. Transfer pricing J. 2, 2013, 111.
(2) Si veda L. EVERS – H. MILLER – C. SPENGEL, Intellectual property box regimes: effective tax rates and tax policy considerations, in International Tax and Public Finance, 2015, 504; Å. HANSSON – C. BROKELIND, Tax Incentives, Tax Expenditures Theories in R&D: The Case of Sweden, in World Tax Journal, 2014, 178; e P. ARGINELLI, Innovation through R&D Tax Incentives: Some Ideas for a Fair and Transparent Tax Policy, ivi, 2015, 23.
(3) Cfr. D. AVOLIO – B. SANTACROCE, Arrivano i primi chiarimenti dell’Agenzia delle entrate sul “patent box”, in Corr. trib., 2016, 276.
(4) Cfr. P. ARGINELLI – F. PEDACCINI, Prime riflessioni sul regime italiano di patent box in chiave comparata ed alla luce dei lavori dell’OCSE in materia di contrasto alle pratiche fiscali dannose, in Riv. dir. trib., 2014, V, 60; e G.M. COMMITTERI, “Patent box”: il regime opzionale per gli “intangibles”, in Corr. trib., 2014, 3396.
(5) Cfr. L. MIELE – L. ROSSI, Patent box anche nelle fusioni, in Il Sole 24Ore, 10 novembre 2015; e L. ROSSI – F. ZECCA, Il “Patent box” nelle operazioni straordinarie tra regole italiane e indicazioni OCSE, in Corr. trib., 2016, 1054.
(6) Cfr. D. AVOLIO – E. DE ANGELIS, “Patent box”, gruppi di imprese e contributi economico degli “Intangibles”, in Corr. trib., 2015, 4279.
(7) Ved. M. PENNESI, Patent box, bonus anche per il passato. La ricerca può essere effettuata nell’anno del beneficio e in quelli precedenti, in Norme e Tributi de Il Sole 24 Ore del 18 agosto 2015; e L. MIELE – G. MONTEDURO, Premiata la ricerca all’estero. L’assenza di limiti garantisce libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi, in Norme e Tributi de Il Sole 24 Ore del 25 agosto 2015.
(8) In particolare, le categorie che potrebbero essere escluse sono soprattutto quelle relative ai marchi ed alle formule e ai disegni industriali, in merito alle quali già nella prossima legge di stabilità erano state presentate proposte di modifica in tal senso, che non sono però ad oggi state confermate. Ove questo dovesse accadere, l’opzione, già esercitata per un’attività relativa ad un intangible successivamente escluso, rimarrebbe circoscritta nel tempo e non potrebbe essere rinnovata; cfr. L. MIELE, Patent box a maglie larghe per le spese legate ai marchi, in Norme e Tributi de Il Sole 24 Ore del 31 luglio 2015.
(9) Sul punto cfr. ris. 9 marzo 2017, n. 28/E, in Boll. Trib., 2017, 638.
(10) In senso critico verso tale formulazione normativa, fonte di numerose problematiche L.M. PAPPALARDO, Alcuni commenti a caldo sul nuovo patent box, in Dir. prat. trib., 2015, I, 571.
(11) Cfr. L. MIELE – R. VIO, Patent box e Pmi, ruling semplificato. La procedura “facile” riguarderà la documentazione ma non i criteri di calcolo, in Norme e Tributi de Il Sole 24 Ore del 29 agosto 2015.
(12) Cfr. M. LEO, Patent box alla ricerca di regole certe, in il fisco, 2016, 10; ed E. FUSA, Determinazione del reddito Agevolabile con il Patent box secondo le indicazioni dell’organismo italiano di valutazione, ibidem, 818.
(13) I costi qualificati sono, infatti, costituiti da: tutte le spese di ricerca e di sviluppo sostenute a norma dell’art. 8 del decreto; i costi afferenti alle attività di sviluppo e di ricerca, derivanti da operazioni intercorse con società del gruppo, per la quota costituita dal riaddebito di costi sostenuti da queste ultime nei confronti di soggetti terzi; i costi afferenti alle attività di ricerca e di sviluppo sostenuti dal soggetto beneficiario nell’ambito di un accordo per la ripartizione dei costi, nel limite dei proventi costituiti dal riaddebito ai partecipanti dei costi stessi. Si veda anche L. MIELE – R. VIO, “Patent box”: spunti di riflessione alla luce delle linee guida OCSE, in Corr. trib., 2015, 1667; e L. MIELE, I costi qualificati e costi complessivi nel calcolo del “nexus ratio” del Patent box, ivi, 2016, 1361.
(14) Regole analoghe in presenza di utilizzo indiretto, sostituendo però la royalty “implicita” con il canone effettivamente conseguito attraverso la concessione dell’intangibile in uso a terzi.
(15) Linee guida OCSE sui metodi di transfer pricing, cap. VI, da ultimo sostituito dal documento Beps, azioni 8-10, diffuso nell’ottobre 2015. I documenti OCSE hanno riconosciuto, anche alle operazioni commerciali aventi ad oggetto beni intangibles, un’astratta applicabilità di tutti i metodi previsti in materia di definizione di prezzi di trasferimento (quindi sia i metodi tradizionali, sia quelli valutari) a seconda delle circostanze e dei casi concreti. Sul punto hanno tuttavia realizzato una sorta di scala di preferenza dei metodi da utilizzare, che costituisce una differente gerarchia rispetto a quella normalmente utilizzata, nell’ambito della quale al primo posto vi è il metodo del CUP (Comparable Uncontrolled Price) ed al secondo posto quello del profit split. Il metodo privilegiato è stato valutato quello del confronto del prezzo (CUP), che prevede la comparazione con i prezzi ed i canoni corrisposti da terzi indipendenti, in analoghe transazioni, in una situazione di libero mercato. Tale metodo, per le fattispecie in esame, deve essere anche integrato attraverso una valutazione specifica del tipo di intangible. In altre parole, il confronto con i prezzi o canoni corrisposti nel libero mercato in transazioni comparabili deve essere contestualizzato con la valutazione di un intangible che abbia caratteristiche affini a quello in esame. Qualora il suddetto metodo del CUP non sia utilizzabile, si consiglia l’adozione del profit split, che impone una suddivisione dei profitti delle transazioni tra le parti in misura pari a come sarebbe avvenuto tra soggetti indipendenti in situazioni comparabili, elidendo gli effetti e le condizioni particolari che la specifica transazione ha sui profitti. In ultima analisi, laddove i due suddetti metodi non fossero utilizzabili nel caso specifico, si consiglia l’adozione dei metodi valutari. Si ritiene, invece, non possano essere utilizzati nei casi in esame gli altri metodi di valutazione, quali: il metodo del prezzo di rivendita (RPM), il metodo del costo maggiorato (CPM), i metodi che utilizzano indici sintetici, i metodi basati sui costi di sviluppo del bene immateriale, sul costo di produzione o di sostituzione.
(16) Cfr. circ. 22 settembre 1980, n. 32, in Boll. Trib., 1980, 1644.
(17) Concetto alla base del metodo valutativo del with or without illustrato dall’OIV nel documento 4 dicembre 2015.
(18) Ad esempio, se taluni costi indirettamente ascrivibili al ramo aziendale bene immateriale (si pensi ad esempio alle spese telefoniche o quelle delle auto utilizzate da personale addetto alla ricerca o alla comunicazione, ovvero ancora a spese di sostegno del marchio qualificate come spese di rappresentanza) sono in tutto o in parte indeducibili, analogamente ci si dovrà comportare nella quantificazione del reddito risultante dal conto economico virtuale.
(19) In questo modo si lavora generalmente su risultati economici dell’impresa e delle sue funzioni aziendali interne (margine, Ebit o utile lordo) e non sulle singole componenti di ricavo e di costo da portare poi in diminuzione le une dalle altre. Se si opera invece in modo analitico, occorrerà costruire i due conti economici virtuali delle funzioni routinarie e per differenza, voce per voce, stabilire ricavi e costi del ramo di azienda bene immateriale.
(20) L’art. 9 della Convenzione dell’OCSE stabilisce infatti che qualora esistano «condizioni convenute o imposte tra due imprese [associate] nelle loro relazioni commerciali o finanziarie, diverse da quelle che sarebbero state convenute tra imprese indipendenti, gli utili che, in mancanza di tali condizioni sarebbero stati realizzati da una delle imprese, ma che a causa di dette condizioni non lo sono stati, possono essere inclusi negli utili di questa impresa e tassati di conseguenza».
(21) Le linee guida OCSE stabiliscono che «gli Stati membri dell’OCSE continuano a ritenere che dovrebbe essere il principio di libera concorrenza a guidare la valutazione dei prezzi di trasferimento tra le imprese associate. Il principio di libera concorrenza è teoricamente valido in quanto assicura l’approssimazione più esatta possibile dei meccanismi di libero mercato nel caso in cui vengano trasferiti beni e servizi tra le imprese associate. Sebbene, in pratica, non possa essere sempre applicato correttamente, generalmente esso produce degli adeguati livelli di reddito tra i membri della multinazionale, accettabili dalle Amministrazioni fiscali».
(22) Organismo Italiano di Valutazione (OIV), La stima del contributo economico dei beni immateriali usati direttamente ai fini del regime di Patent box: riflessioni per gli esperti di valutazione, Bozza di discussion paper del 4 dicembre 2015.
(23) Più in particolare, l’impresa che utilizza il proprio intangible non ha costi di licenza, ma sostiene ad esempio costi di ricerca pari a 100. Per stimare il vantaggio dell’uso diretto si supponga che si prenda in licenza il bene immateriale pagando una royalty lorda di 150 (con costi di ricerca a carico del concedente. L’utile del bene direttamente utilizzato è dato da 50, cioè dai costi risparmiati (royalty di 150) meno i costi che non si sosterrebbero in caso di licenza “lorda” (spese di ricerca di 100).
(24) Quest’ultimo chiarimento (sub c) parrebbe in contraddizione con il primo (sub a), laddove il contributo economico del bene immateriale sembrerebbe riferirsi nel primo caso all’uso dell’intangible presso la specifica impresa (dunque ad un reddito entity specific) e nel secondo caso all’uso dell’intangible da parte di terzi (dunque un reddito normale ottenibile dall’uso del bene da parte di un partecipante al mercato). La distinzione non è di poco conto se si conviene sul fatto che nel caso di concessione di un bene immateriale a terzi, si è in presenza normalmente di due attività: la licenza attiva (del licenziante, ovvero il soggetto che concede in uso il bene) e la licenza passiva (del licenziatario, ovvero il soggetto che ottiene il diritto d’uso). Entrambe le licenze normalmente hanno valore, in quanto nessun licenziatario sarebbe disposto a riconoscere al licenziante tutti i benefici che è in grado di ricavare dall’uso del bene. Qualsiasi contratto di licenza suddivide i benefici economici del bene immateriale fra licenziante e licenziatario. È proprio questa evidenza alla base della c.d. bundle of right theory secondo cui il valore di un bene intangibile concesso in licenza corrisponde alla somma del valore della licenza attiva e della licenza passiva. Questa è la stessa teoria alla base dei principi contabili internazionali (IFRS 3) che fanno obbligo al licenziante, nel caso in cui acquisisca il controllo di un suo licenziatario, di evidenziare il valore del diritto (la licenza passiva) riacquistato. Ciò significa che in caso di uso diretto del bene immateriale, il soggetto proprietario del bene goda contemporaneamente dei benefici che avrebbe in qualità sia di ipotetico licenziante sia di ipotetico licenziatario. Normalmente accade che un’impresa conceda in uso un bene intangibile quando non è in grado direttamente di garantire il massimo e miglior uso (highest and best use) al bene immateriale (ad esempio perché non è in grado di sfruttarlo appieno in tutti i mercati o per tutti i prodotti). Quando l’impresa usa direttamente il bene è perché l’uso diretto è più vantaggioso della concessione in uso a terzi del bene stesso e ciò accade quando il beneficio che l’impresa trae dall’uso diretto è superiore al beneficio che trae dall’uso indiretto (perché l’impresa internalizza anche il margine di reddito del licenziatario).

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