16 Ottobre, 2018

SOMMARIO: 1. AMBITO APPLICATIVO DEL NUOVO ART. 27; 1.1 L’ambito oggettivo; 1.2 L’ambito soggettivo; 1.3 Limiti temporali e procedurali – 2. RICHIESTE DI INFORMAZIONI NOMINATIVE; 2.1 Il criterio della verosimile rilevanza; 2.2 Modalità di individuazione dei soggetti; 2.3 Richiesta di gruppo nominativa relativa ai soggetti iscritti all’AIRE – 3. RICHIESTE DI INFORMAZIONI TRAMITE “MODELLI DI COMPORTAMENTO”; 3.1 Criteri di individuazione di un “modello di comportamento”; 3.2 I titolari di conto recalcitranti; 3.3 Domanda raggruppata su Trust “esterovestiti”; 3.4 I soggetti con permesso di dimora in Svizzera non iscritti all’AIRE.

1. AMBITO APPLICATIVO DEL NUOVO ART. 27

Il 23 febbraio 2015 il Governo italiano e il Consiglio federale svizzero siglavano il Protocollo che modificava la Convenzione tra Italia e Svizzera per evitare le doppie imposizioni sul reddito e sul patrimonio (i.e. Protocollo modificativo).
Il suddetto Protocollo, entrato in vigore il 13 luglio 2016 a seguito della ratifica avvenuta con la legge 4 maggio 2016, n. 69, ha sostituito il previgente art. 27 della Convenzione e ha inserito nel Protocollo aggiuntivo allegato alla Convenzione la lett. e-bis, accogliendo i più recenti standard OCSE in tema di scambio di informazioni e ponendo le condizioni per una più ampia collaborazione in materia fiscale tra i due Paesi. Il fatto che il wording del nuovo art. 27 sia, nella sostanza, identico al testo dell’art. 26 del Modello di Convenzione OCSE rende il Commentario al Modello OCSE un utile strumento interpretativo per l’analisi del nuovo art. 27 della Convenzione Italia – Svizzera.

1.1 L’ambito oggettivo

Il paragrafo 1 del nuovo art. 27 della Convenzione Italia – Svizzera prevede che “le autorità competenti degli Stati contraenti si scambiano le informazioni verosimilmente rilevanti per applicare le disposizioni della presente Convenzione oppure per l’amministrazione o l’applicazione del diritto interno relativo alle imposte di qualsiasi natura o denominazione … Lo scambio di informazioni non è limitato dagli articoli 1 e 2”. L’ambito oggettivo di applicazione del nuovo art. 27 della Convenzione risulta, dunque, più ampio rispetto alla precedente versione, potendo oggi gli Stati contraenti scambiarsi “informazioni verosimilmente rilevanti” anche per l’applicazione “del diritto interno relativo alle imposte di qualsiasi natura o denominazione”.
Come si ricorderà, il previgente art. 27 permetteva alle Autorità degli Stati contraenti di scambiarsi solo le “informazioni (che le legislazioni fiscali dei due Stati permettono di ottenere nel quadro della prassi amministrativa normale) necessarie per regolare l’applicazione della presente Convenzione”. Era quindi preclusa la possibilità di ottenere informazioni che non fossero strettamente inerenti l’applicazione della Convenzione. In buona sostanza veniva negata alle Autorità fiscali italiane ogni forma di assistenza volta all’applicazione delle norme di diritto tributario interno che fossero finalizzate alla prevenzione e al contrasto di fenomeni di evasione fiscale e fattispecie similari (1).
Con la nuova formulazione dell’art. 27 recata dal Protocollo modificativo l’Amministrazione fiscale italiana può ora richiedere informazioni relative a un determinato contribuente nei confronti del quale vi siano ragionevoli dubbi o indizi, conseguenti ad un’attività istruttoria svolta in Italia, circa il mancato adempimento di obblighi dichiarativi in tema di imposte sul reddito connessi alla detenzione di attività finanziarie o patrimoniali in Svizzera. Ad esempio, potrebbero essere avanzate richieste di informazioni a valle di una verifica fiscale in cui è stata rinvenuta della documentazione bancaria estera intestata a un determinato contribuente, piuttosto che sulla base di un’attività istruttoria effettuata nei confronti di altri contribuenti ove siano emersi flussi finanziari di cui l’Amministrazione italiana vuole conoscere le informazioni di dettaglio (2).
Come detto, il nuovo art. 27 prevede che la richiesta di informazioni possa riguardare anche imposte diverse rispetto a quelle indicate nell’art. 2 della Convenzione (“imposte di qualsiasi natura o denominazione”, espressione rafforzata dalla seconda parte del paragrafo 1 secondo cui “Lo scambio di informazioni non è limitato dagli articoli 1 e 2”).
Al riguardo ci si chiede se sia esperibile una richiesta di informazioni anche in merito alle imposte indirette, come ad esempio l’imposta di successione e donazione regolata dal D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346.
Sembrerebbe confermare tale possibilità il tenore del Messaggio del Consiglio Federale elvetico espresso all’assemblea del 25 agosto 2010 in occasione della modifica della Convenzione contro le doppie imposizioni fra Svizzera e Paesi Bassi per l’adeguamento ai nuovi standard OCSE di assistenza amministrativa. Con tale Messaggio il Consiglio Federale ha infatti precisato che “senza l’estensione alle altre imposte del campo di applicazione dello scambio di informazioni, i Paesi Bassi avrebbero chiesto la revisione della Convenzione intesa ad evitare i casi di doppia imposizione in materia di imposte sulle successioni per includerci in particolare una disposizione sullo scambio di informazioni”. L’interpretazione fornita dall’organo svizzero – che riconduce, evidentemente, nel concetto di “imposte di qualsiasi natura o denominazione” l’imposta di successione olandese – induce a ritenere ricompresa tale imposta (per identità del dato letterale) anche nell’ambito dello scambio di informazioni fra Italia e Svizzera (3).

1.2 L’ambito soggettivo

Per quanto riguarda i soggetti con riferimento ai quali è possibile attuare lo scambio di informazioni, il nuovo art. 27 prevede che tale scambio non sia limitato dall’art. 1 della Convenzione (che restringerebbe il focus sulle sole persone residenti di uno o di entrambi gli Stati contraenti), cosicché la richiesta di informazioni può essere inoltrata anche in relazione a soggetti residenti in Stati terzi. In pratica, mentre ai sensi della precedente versione dell’art. 27 l’Amministrazione fiscale italiana poteva ottenere informazioni solo in merito a soggetti residenti in Italia o in Svizzera, ora può richiedere informazioni all’Autorità svizzera anche su di un soggetto residente in uno Stato terzo in relazione al quale l’Autorità italiana ritiene possano essere fornite dalla Svizzera informazioni (verosimilmente) rilevanti per l’accertamento di imposte italiane.
Si pensi a un soggetto italiano su cui pende un’attività istruttoria dell’Agenzia delle entrate a motivo della sua residenza che, dopo una lunga permanenza in Svizzera, si trasferisce dal 2015 in un paradiso fiscale. In questo caso la richiesta di informazioni sarebbe finalizzata a conoscere la consistenza e gli eventuali trasferimenti che hanno interessato il patrimonio del soggetto sottoposto a verifica.

1.3 Limiti temporali e procedurali

Occorre precisare, infine, che le nuove regole sono “applicabili alle domande di informazioni … che si riferiscono a fatti e, o, circostanze esistenti o realizzate” a partire dal 23 febbraio 2015: ad esempio, una richiesta di informazioni riguardante i saldi dei conti correnti o dei depositi titoli detenuti alla data dal 23 febbraio 2015 da residenti italiani presso istituzioni bancarie svizzere e le relative movimentazioni avvenute a partire dalla medesima data.
Ci si può domandare se oggetto della richiesta possano essere anche dichiarazioni fiscali presentate alle Autorità svizzere successivamente a tale data, sebbene relative ad annualità precedenti (ad esempio il 2014). Da un lato, una simile richiesta potrebbe essere ritenuta legittima in quanto relativa a un fatto (i.e. la presentazione della dichiarazione dei redditi) verificatosi dopo la data di conclusione dell’Accordo; dall’altro lato, tale richiesta potrebbe essere ritenuta, invece, non esperibile, in quanto potrebbe avere indirettamente ad oggetto fatti o circostanze (i.e. la detenzione di un patrimonio estero o il conseguimento di redditi all’estero) già esistenti o realizzate precedentemente alla data concordata nel Protocollo modificativo (23 febbraio 2015).
Infine, occorre rilevare che tra le altre condizioni previste per lo scambio, la nuova lett. e-bis del Protocollo aggiuntivo prevede che “lo Stato richiedente deve sfruttare tutte le fonti di informazioni abituali previste dalla sua procedura fiscale interna prima di richiedere informazioni”. A seconda della richiesta di informazioni occorrerà, quindi, comprendere quali siano le fonti di informazioni abituali che lo Stato richiedente deve utilizzare prima di effettuare la richiesta all’altro Stato. Tale condizione potrebbe rivelarsi particolarmente importante nel caso delle domande raggruppate.

2. RICHIESTE DI INFORMAZIONI NOMINATIVE

2.1 Il criterio della verosimile rilevanza

Come sopra accennato, affinché la richiesta di informazioni da parte di uno Stato contraente sia ammissibile, è necessario che le informazioni oggetto della richiesta siano “verosimilmente rilevanti” per accertare la compliance (o la non-compliance) fiscale di un contribuente nei confronti dello Stato richiedente. A tale riguardo l’art. II, par. 3, del Protocollo modificativo, precisa che «il riferimento a informazioni “verosimilmente rilevanti”» preclude agli Stati contraenti la possibilità «di intraprendere una ricerca generalizzata e indiscriminata di informazioni (“fishing expedition”) o di domandare informazioni la cui rilevanza fiscale in merito agli affari fiscali di un determinato contribuente non è verosimile».
Al fine di ridurre il rischio che una richiesta di informazioni assuma le caratteristiche di una “fishing expedition”, l’art. II, par. 2, del medesimo Protocollo, dispone che le Autorità fiscali dello Stato richiedente forniscano alle autorità fiscali dello Stato richiesto le seguenti informazioni: (i) l’identità della persona oggetto del controllo o dell’inchiesta, (ii) il periodo di tempo oggetto della domanda, (iii) la descrizione delle informazioni richieste, nonché le indicazioni sulla forma nella quale lo Stato richiedente desidera ricevere tali informazioni dallo Stato richiesto, (iv) lo scopo fiscale per cui le informazioni sono richieste, (v) se sono noti, il nome e l’indirizzo del detentore presunto delle informazioni richieste. Viene tuttavia precisato, al successivo par. 3, che le predette disposizioni non devono essere interpretate “in modo da ostacolare uno scambio effettivo di informazioni”.
Va ricordato, in proposito, che il Tribunale Federale elvetico ha già avuto modo di fornire una lettura dell’espressione “verosimilmente rilevanti”. Il caso riguardava la richiesta delle Autorità fiscali francesi di ottenere informazioni relative a rapporti bancari intrattenuti presso istituti elvetici riconducibili a cittadini francesi (individuati nominativamente) che avevano trasferito la propria residenza in Svizzera. Nella relativa sentenza del 24 settembre 2015 n. 2 C-1174/2014 i giudici osservano che “la valutazione del criterio della verosimile rilevanza delle informazioni richieste è, in primo luogo, una responsabilità dello Stato richiedente. Il margine di manovra a disposizione dello Stato richiesto è relativamente ristretto, poiché esso deve limitarsi a un controllo della plausibilità. Lo Stato richiesto deve quindi limitarsi a considerare se i documenti richiesti hanno una relazione con lo stato dei fatti presentati nella domanda e se questi sono potenzialmente idonei per essere utilizzati nella procedura estera … lo Stato richiesto non può rifiutarsi di trasmettere le informazioni solo perché presume che queste non siano rilevanti per lo Stato richiedente” (4).
Il criterio della verosimile rilevanza non potrà considerarsi rispettato quando la richiesta di informazioni sia priva di una chiara attinenza con un determinato contribuente o gruppo di contribuenti nei confronti dei quali ci siano degli indizi o circostanze di fatto che possano giustificare un’attività istruttoria dell’Autorità fiscale. In tal caso, ci si troverebbe di fronte a una fishing expedition e lo Stato richiesto non avrebbe l’obbligo di fornire l’informazione richiesta (5).

2.2 Modalità di individuazione dei soggetti

Il Protocollo modificativo chiarisce espressamente che non è necessario identificare nominativamente il singolo contribuente indicandone il nome, ma che si può procedere all’individuazione anche con modalità alternative.
Potrebbe essere l’ipotesi, ad esempio, di richieste relative a rapporti bancari svizzeri di cui non è noto il beneficiario effettivo (in quanto conti cifrati o intestati a un’entità giuridica interposta) che sono stati interessati da flussi finanziari di cui l’Amministrazione fiscale italiana è venuta a conoscenza durante un’attività di verifica compiuta in relazione ad altri contribuenti. In questo caso la richiesta di informazioni sarebbe finalizzata a svelare l’identità del contribuente che si cela dietro il rapporto bancario che ha ricevuto fondi da (o trasferito fondi a favore di) un altro contribuente già oggetto dell’attività istruttoria dell’Autorità fiscale.
Nel Protocollo modificativo, all’art. II, par. 3, viene specificato che la condizione “verosimilmente rilevanti” (qualificante le informazioni richieste) va soddisfatta non soltanto nelle richieste relative a un “singolo contribuente”, ma anche in relazione alle richieste concernenti una “pluralità di contribuenti”. Pertanto, così come nelle richieste individuali, anche per le richieste di gruppo si dispone che l’identificazione possa avvenire “con il nome oppure altrimenti”.

2.3 Richiesta di gruppo nominativa relativa ai soggetti iscritti all’AIRE

Una richiesta di gruppo nominativa potrebbe essere, ad esempio, quella finalizzata ad ottenere informazioni sulle relazioni bancarie detenute presso banche svizzere, alla data del 23 febbraio 2015, da cittadini italiani che si sono iscritti all’AIRE a partire dal 2010 (6) e che usufruiscono di un permesso di dimora o di domicilio in Svizzera (7).
La legittimità di tale domanda – che potrebbe fondarsi sugli esiti di verifiche svolte sulla residenza fiscale dei soggetti inclusi nelle liste selettive formate a seguito del Provvedimento dell’Agenzia delle entrate del 3 marzo 2017, e sulla necessità di raccogliere informazioni finalizzate a completare l’attività istruttoria su tali soggetti nei confronti dei quali sono stati riscontrati indizi circa la non effettività del trasferimento di residenza – trova già una conferma nella giurisprudenza svizzera.
Il riferimento è alla sentenza del 24 settembre 2015, n. 2 C-1174/2014, con la quale il Tribunale Federale elvetico, a fronte della richiesta delle Autorità fiscali francesi di avere informazioni in merito a cittadini francesi che avevano trasferito la residenza fiscale in Svizzera, ha ordinato di dare seguito allo scambio di informazioni che concerneva i rapporti bancari intrattenuti da tali soggetti con alcune banche svizzere affermando, tra l’altro, che “Lo Stato richiedente non è … tenuto ad attendere l’esito della vertenza sul principio della residenza fiscale per formulare la sua domanda di assistenza amministrativa, tanto più se la domanda può anche perseguire l’obiettivo di consolidare la posizione riferita alla residenza fiscale del contribuente interessato. Inoltre, lo Stato richiedente deve essere in grado di formulare una domanda di assistenza amministrativa anche in caso di conflitti di residenza effettivi, al fine di ottenere dallo Stato richiesto dei documenti che gli permettano di sostenere la sua pretesa concorrente rispetto a quella dell’altro Stato”.
In particolare, il Tribunale Federale svizzero ha ritenuto che l’individuazione da parte delle Autorità estere di un elemento di collegamento nel proprio territorio (ad esempio, la presenza di un’abitazione permanente o il soggiorno abituale), che sulla base della Convenzione contro le doppie imposizioni fosse quanto meno idoneo a creare un conflitto di residenza, giustificasse lo scambio di informazioni.
Le liste selettive previste dal Provvedimento dell’Agenzia delle entrate del 3 marzo 2017 dovrebbero avere proprio tale finalità, ossia l’individuazione di un elenco di soggetti iscritti all’AIRE per i quali vi siano indici di radicamento nel territorio italiano (atti del registro, utenze, disponibilità di veicoli e unità da diporto, rilevanti partecipazioni societarie, cariche sociali, informazioni da spesometro, etc.) idonei a far quanto meno ipotizzare la configurabilità in Italia di un domicilio (inteso come centro di affari e interessi di natura personale o economica), piuttosto che di un soggiorno abituale. L’individuazione di tali elementi di collegamento farebbe sorgere un conflitto di residenza, la cui risoluzione potrebbe giustificare lo scambio di informazioni tra Autorità (8).
Con riferimento a un’eventuale domanda raggruppata relativa ai soggetti iscritti all’AIRE, va ancora osservato che la nuova lett. e-bis del Protocollo aggiuntivo della Convenzione prevede che “lo Stato richiedente deve sfruttare tutte le fonti di informazioni abituali previste dalla sua procedura fiscale interna prima di richiedere informazioni”.
Ci si chiede, al riguardo, se l’invio di questionari da parte dell’Agenzia delle entrate ai soggetti contenuti nella lista selettiva – con i quali venga richiesto di produrre indicazioni circa la situazione patrimoniale estera, proprio con la finalità di valutare il centro principale degli interessi del contribuente – sia da considerare un’azione necessariamente propedeutica all’inoltro della richiesta di informazioni all’Amministrazione svizzera. In verità, l’invio di questionari, più che lo sfruttamento di una fonte di informazione abituale a disposizione dell’Autorità fiscale da cui ricavare informazioni già disponibili (come potrebbe essere l’anagrafe tributaria), si palesa come un mezzo per l’espletamento di un’attività di verifica nei confronti di specifici contribuenti (peraltro con la conseguenza che l’invio del questionario rappresenti, allo stato attuale, una causa ostativa alla procedura di voluntary disclosure).

3. RICHIESTE DI INFORMAZIONI TRAMITE “MODELLI DI COMPORTAMENTO”

3.1 Criteri di individuazione di un “modello di comportamento”

Il Commentario OCSE specifica che nell’ipotesi in cui la richiesta di informazioni riguardi un gruppo di contribuenti che non siano individualmente identificati è necessario, affinché la richiesta di informazioni non venga considerata come una fishing expedition, che lo Stato richiedente fornisca una descrizione dettagliata in riferimento al gruppo oggetto di richiesta, degli specifici fatti e delle circostanze che hanno portato alla richiesta di informazioni, della normativa applicabile e del motivo per il quale sussiste il sospetto, fondato su chiare circostanze di fatto (“clear factual basis”), che i contribuenti del gruppo in questione abbiano violato i propri obblighi fiscali (9).
Nell’ipotesi di domande raggruppate (non nominative), generalmente lo Stato richiedente non è in grado di riferirsi a una specifica verifica in corso nei confronti di determinati contribuenti (che, in linea di principio, porterebbe di per sé ad escludere la natura generica e speculativa della richiesta), ma deve necessariamente riferirsi a “modelli di comportamento”, ossia a situazioni caratterizzate da fatti e circostanze comuni al gruppo di contribuenti in parola, che siano idonee a rivelare presunte violazioni fiscali e, quindi, a giustificare lo scambio di informazioni.
In sostanza, in alternativa all’identificazione nominativa da parte dell’Autorità richiedente, occorre che i contribuenti siano “identificabili” tramite la loro riconducibilità a un “modello di comportamento” che sia adeguatamente circostanziato. Resta inteso che il “modello di comportamento” e il sospetto di un comportamento illecito devono essere basati su precise circostanze fattuali che giustifichino la domanda raggruppata, la quale non può fondarsi su una mera ipotesi teorica o sulla possibile esistenza di uno “schema di evasione”. Resterà, naturalmente, da comprendere quali possano essere, di volta in volta, le circostanze di fatto (“clear factual basis”) sulle quali si potranno innestare le domande raggruppate.

3.2 I titolari di conto recalcitranti

Una prima richiesta di gruppo (non nominativa) che potrà interessare i contribuenti italiani è quella relativa ai c.d. “titolari di conto recalcitranti”, che è stata oggetto dell’Accordo stipulato dalle Autorità fiscali svizzere e italiane in data 27 febbraio e 2 marzo 2017 (10).
Con il predetto Accordo le Autorità firmatarie hanno inteso esprimere un intendimento condiviso circa questa specifica richiesta di gruppo, ritenuta, da entrambe, ammissibile ai sensi del nuovo art. 27 della Convenzione (11). In particolare, le Autorità fiscali di Italia e Svizzera hanno convenuto che una certa situazione, relativa a conti bancari svizzeri esistenti tra il 23 febbraio 2015 e il 31 dicembre 2016, configuri un “modello di comportamento” sulla base del quale l’Italia è legittimata a proporre una richiesta di informazioni.
Tale situazione è così caratterizzata:
(i) esiste un soggetto che è (o era) titolare di una o più relazioni bancarie con un’istituzione finanziaria svizzera (12);
(ii) il titolare del rapporto bancario ha (o aveva) il domicilio o un indirizzo di residenza in Italia (secondo le risultanze della documentazione in possesso dell’istituzione finanziaria elvetica);
(iii) il titolare aveva ricevuto una lettera da parte dell’istituzione finanziaria elvetica dove si preannunciava la chiusura forzata della relazione qualora non avesse provveduto a sottoscrivere un’autorizzazione allo scambio di informazioni o non avesse fornito altra evidenza della regolarità fiscale del rapporto bancario nel Paese di residenza;
(iv) nonostante il ricevimento della lettera della banca, il titolare del conto non ha fornito adeguata dimostrazione circa la regolarità del rapporto bancario (13).
Si noti come l’art. 4 dell’Accordo preveda una serie di elementi e informazioni che dovranno essere indicati nella domanda raggruppata, a garanzia del fatto che l’Amministrazione fiscale italiana abbia svolto un’adeguata e preventiva istruttoria soddisfacendo così la condizione posta dall’art. II, par. 1, del Protocollo di modifica, a mente del quale “lo Stato richiedente deve sfruttare tutte le fonti d’informazione abituali previste dalla sua procedura fiscale interna prima di richiedere informazioni”.
A tale riguardo ci si sofferma, in particolare, sulla richiesta di produrre una copia delle missive indirizzate dalle istituzioni svizzere ai propri clienti. Una simile richiesta va oltre la mera descrizione di un “modello di comportamento”, ma prevede un preciso elemento documentale, ossia la lettera dell’istituto svizzero. La previsione di includere nella richiesta un simile documento sembra, in effetti, rispondere all’esigenza di esporre i “fatti e le circostanze” che hanno indotto l’Autorità italiana a elaborare la richiesta di informazioni di gruppo e soprattutto a indicare gli indizi concreti (clear factual basis) su cui si fonda la domanda. Pertanto, sulla base dell’Accordo, dovrebbero essere accettate solo le domande indirizzate alle banche svizzere le cui missive sono entrate nella disponibilità dell’Autorità italiana, mentre dovrebbe essere esclusa una richiesta generalizzata che presuppone il medesimo “modello di comportamento” anche per altre banche le cui (eventuali) missive non siano entrate nella disponibilità delle Autorità italiane.

3.3 Domanda raggruppata su Trust “esterovestiti”

Una diversa domanda raggruppata (non nominativa) che potrebbe essere avanzata dall’Amministrazione italiana potrebbe avere ad oggetto i rapporti bancari svizzeri che alla data del 23 febbraio 2015 erano intestati a trust “in cui almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari” fossero soggetti residenti in Italia.
La finalità alla base di una simile domanda raggruppata sarebbe quella di verificare l’effettiva residenza estera di trust che abbiano specifici elementi di collegamento con il territorio italiano. In particolare, la richiesta di informazioni si fonderebbe sulla disposizione di cui all’art. 73, terzo comma, del TUIR, che pone una presunzione relativa di residenza fiscale in Italia per “i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Stati o territori diversi da quelli di cui al Decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis, in cui almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari del trust siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato” (14).
Si osserva che le informazioni che potrebbero essere richieste dalle Autorità italiane nella domanda di gruppo sono ordinariamente in possesso degli istituti elvetici che in presenza di relazioni bancarie intestate a trust dispongono di documentazione (c.d. “Formulario T”) dove vengono identificati il settlor e i beneficiari del trust oltre, ovviamente, al trustee.
Gli indizi concreti dell’esistenza delle situazioni oggetto della domanda raggruppata potrebbero derivare dall’esperienza empirica sviluppata nel corso della voluntary disclosure, grazie alla quale l’Agenzia delle entrate ha più volte riscontrato l’esistenza di casi analoghi a quelli descritti. D’altronde lo stesso Accordo relativo ai “contribuenti recalcitranti” pone riferimento a “evidenze statistiche (incluso quanto desumibile dalla voluntary disclosure)” come elemento che consente di considerare circostanziata la domanda di gruppo.

3.4 I soggetti con permesso di dimora in Svizzera non iscritti all’AIRE

Un’ulteriore domanda raggruppata (non nominativa) potrebbe riguardare il caso dei cittadini italiani che hanno ottenuto un permesso di dimora in Svizzera pur rimanendo iscritti all’Anagrafe della popolazione residente (“APR”). In questo caso, infatti, i cittadini italiani che hanno ottenuto in Svizzera il permesso di dimora (c.d. di tipo “B”) (15), e che successivamente non si sono iscritti all’AIRE, potrebbero essere stati “anagrafati” dalle banche estere come soggetti fiscalmente domiciliati in Svizzera in ragione del predetto permesso. Tale comportamento potrebbe aver indotto le banche elvetiche a ritenere regolarmente detenuti i capitali ivi depositati, senza che fosse richiesta una dimostrazione della liceità degli stessi dal punto di vista italiano, anche per gli anni precedenti all’ottenimento del permesso di dimora in Svizzera.
Il possesso del permesso di tipo B senza la contestuale iscrizione all’AIRE, in alcuni casi, potrebbe essere proprio finalizzato all’occultamento al fisco italiano di patrimoni detenuti in Svizzera e giustificherebbe l’interesse di promuovere una richiesta di scambio di informazioni avente ad oggetto un gruppo di contribuenti non specificatamente identificati. In particolare, la predetta richiesta potrebbe riguardare le informazioni relative alle relazioni bancarie esistenti al 23 febbraio 2015 presso istituti svizzeri i cui beneficiari effettivi siano cittadini italiani che a quella data usufruivano di un permesso di dimora in Svizzera senza aver prodotto alla banca depositaria un certificato di iscrizione all’AIRE.
Si osserva, tuttavia, che in mancanza di indizi circa l’effettiva esistenza del comportamento ipotizzato una simile domanda rischierebbe di essere considerata una c.d. “fishing expedition”, ossia un’indagine finalizzata a raccogliere prove relative a una determinata condotta ipotetica. Pertanto, qualora l’Agenzia delle entrate volesse intraprendere tale iniziativa, dovrebbe preliminarmente disporre di indizi idonei a fare ritenere che il comportamento descritto sia stato posto in essere.

Dott. Pierpaolo Angelucci – Dott. Rossella Mangieri

(1) Sul punto era significativo il Messaggio del Consiglio Federale svizzero all’Assemblea del 5 maggio 1976, ove si affermava che “È chiaro che se un contribuente di uno Stato contraente chiede di poter beneficiare della convenzione riguardo a un punto o a un altro, le autorità competenti devono poter scambiare le informazioni indispensabili al rispetto delle clausole convenzionali. Ma è anche altrettanto evidente che non si potranno scambiare informazioni relative a un contribuente che non avrebbe mai chiesto di poter beneficiare dei vantaggi della convenzione. Queste osservazioni valgono in particolare per la procedura di sgravio delle imposte alla fonte, per la composizione amichevole, ma anche se si tratta di prevenire una pretesa senza causa legittima alla convenzione. L’articolo 27 non obbliga la Svizzera a un’assistenza più estesa: segnatamente essa non deve dare informazioni semplicemente necessarie all’applicazione delle prescrizioni interne italiane relative alle imposte toccate dalla convenzione (come consiglia l’OCSE) o alla prevenzione della frode fiscale o di altri delitti simili (come previsto dalla convenzione con gli Stati Uniti)”. Sul tema si veda, inoltre, A. CONTRINO, La Convenzione fra l’Italia e la Svizzera contro le doppie imposizioni, in C. GARBARINO, Le Convenzioni dell’Italia in materia di imposte su reddito e patrimonio, 2002, 883 ss.; M. BERNASCONI, Lo scambio di informazioni nell’ambito della convenzione italo-svizzera e l’assistenza giudiziaria in caso di frode, in Dir. prat. trib., 1984, I, 515; nonché ID., Gli accordi bilaterali II e lo scambio di informazioni fiscali, SUPSI, 2005.
(2) Circa l’oggetto delle richieste di informazioni derivanti dall’applicazione delle norme di diritto interno può essere utile richiamare quanto riportato in merito dal Manual on the implementation of exchange of information provisions for tax purposes – General Module, OECD par. 8, n. 26, ove si afferma che si possono chiedere informazioni, ad esempio, in merito alla residenza fiscale di una persona fisica o di una persona giuridica, alla posizione fiscale di un’entità giuridica, alla natura dei redditi nello Stato della fonte, agli utili e alle perdite indicati in una dichiarazione dei redditi, ai documenti societari, bancari e contabili, ai bilanci di una società, alle situazioni societarie triangolari, ai prezzi di trasferimento.
(3) A tale riguardo si ricorda che il recentissimo Accordo fra Italia e Principato di Monaco del 4 febbraio 2017 contempla espressamente, nell’ambito oggettivo di applicazione della Convenzione, anche le imposte di successione e donazione (cfr. art. 3, par. 1, dell’Accordo tra l’Italia e il Principato di Monaco).
(4) Sul punto il Commentario al Modello OCSE precisa che, affinché la richiesta di informazioni sia considerata ammissibile, deve esserci una ragionevole possibilità che la predetta informazione sia utile nel momento in cui la richiesta di informazioni viene effettuata, a nulla rilevando la circostanza che l’informazione si riveli effettivamente di interesse una volta fornita. Inoltre, secondo il Commentario, il criterio della verosimile rilevanza deve essere interpretato nella maniera più ampia possibile e mira ad assicurare che una determinata richiesta di informazioni non sia rifiutata nei casi in cui la valutazione circa la rilevanza dell’informazione ai fini dell’accertamento in corso possa essere operata esclusivamente in seguito all’ottenimento dell’informazione stessa (cfr. Commentario OCSE, art. 26, paragrafo 1, n. 5).
(5) Il paragrafo 1 del Commentario OCSE all’art. 26 precisa che le fishing expedition sono, ad esempio, “speculative requests that have no apparent nexus to an open inquiry or investigation”. Sul concetto di fishing expedition si veda P. BERNASCONI – S. SCHURCH, Fishing Expedition e rogatorie di gruppo nella cooperazione internazionale con la Svizzera in materia fiscale. Norme e prassi recenti ed imminenti, in Riv. dir. trib., 2015, 110 ss., ove si legge che “Con il termine fishing expedition si designa un metodo di indagine, ossia la misura ordinata da parte di un’autorità per raccogliere mezzi di prova riguardanti una determinata condotta punibile, senza che esista (ancora) un indizio sufficientemente obiettivo e concreto riguardante l’esistenza di tale condotta”. Inoltre, dall’analisi della giurisprudenza federale gli autori evincono una serie di criteri identificativi di una fishing expedition, ossia la mancanza di indizi concreti e, quindi, di sospetti sufficienti a sostegno della richiesta di informazioni, la ricerca senza limiti, ossia la ricerca indiscriminata di prove, la mancanza del criterio della pertinenza prevedibile nonché della utilità potenziale dell’informazione oggetto di richiesta.
(6) Il 2010 è il primo periodo d’imposta in relazione al quale vige l’obbligo per i Comuni di trasmettere automaticamente all’Agenzia delle entrate i dati dei soggetti che hanno richiesto l’iscrizione all’AIRE (cfr. D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225).
(7) Sul punto si veda S. MASSAROTTO – V. MAIESE, Lo scambio di informazioni tra Italia e Svizzera: il caso delle group request, in Corr. trib., 2016, 3575, ove si afferma che le richieste di assistenza amministrativa alla Svizzera potrebbero riguardare anche i trasferimenti di residenza avvenuti prima della firma del Protocollo di modifica. Ciò in quanto “i fatti e, o, circostanze che si vogliono accertare – e per i quali vale il limite temporale del 23 febbraio 2015 – sono l’esistenza di attività detenute in Svizzera dal contribuente emigrato, e non (o non esclusivamente) il trasferimento della residenza in sé”. Nello stesso senso si esprimono G. MOLO – S. VORPE, Ammissibilità delle domande raggruppate in materia di assistenza amministrativa, in corso di pubblicazione su Riv. ticinese di diritto, secondo i quali: “Ancorché la clausola di scambio delle informazioni secondo il protocollo di modifica tra Italia e Svizzera del 23 febbraio 2015 può riferirsi soltanto a fatti e circostanze realizzate successivamente a tale data, il trasferimento, quand’anche precedente, della residenza, può non di meno costituire un elemento indiziante”. In ogni caso, la circostanza che il trasferimento di residenza sia avvenuto prima del 2015 (rectius, dal 2010 in avanti) è solamente un dato su cui si basa la selezione dei nominativi da parte dell’Agenzia delle entrate. Tale circostanza non impatta sulla domanda nominativa di gruppo con cui l’Autorità italiana chiede informazioni all’Autorità svizzera relative al 2015 riguardanti una serie di nominativi individuati tramite un’attività istruttoria svolta nel proprio ordinamento.
(8) In tale prospettiva non si può escludere che oltre ad informazioni di natura bancaria siano oggetto della richiesta di informazioni anche le dichiarazioni fiscali presentate all’Autorità elvetica, da cui si potrebbero trarre ulteriori indicazioni idonee per la valutazione della residenza fiscale del soggetto verificato.
(9) Cfr. Commentario OCSE, art. 26, par. 1, n. 5.2, “where the request relates to a group of taxpayers not individually identified, it will often be more difficult to establish that the request is not a fishing expedition, as the requesting State cannot point to an ongoing investigation into the affairs of a particular taxpayer which in most cases would by itself dispel the notion of the request being random or speculative. In such cases it is therefore necessary that the requesting State provide a detailed description of the group and the specific facts and circumstances that have led to the request, an explanation of the applicable law and why there is reason to believe that the taxpayers in the group for whom information is requested have been non-compliant with that law supported by a clear factual basis” … Sul punto si veda anche S. MAYR – G. FORT, “L’accordo del 27 febbraio – 2 marzo 2017 tra Italia e Svizzera sulle richieste di gruppo”, in Boll. Trib., 2017, 664, ove si afferma che “Ai fini dell’ammissibilità della richiesta di gruppo rileva, quindi, il comportamento proattivo delle autorità fiscali dello Stato richiedente che, nell’ambito di indagini o accertamenti in corso, ritengano ragionevolmente che le informazioni disponibili nello Stato interpellato possano essere utili perché hanno un nesso logico con gli elementi già raccolti sul piano domestico”.
(10) Si osserva che il citato Accordo non è stato oggetto di ratifica da parte degli organi parlamentari dei due Stati contraenti e, pertanto, in linea di principio, non può considerarsi fonte di diritto vincolante nell’ordinamento giuridico dei due Paesi. Peraltro, si rileva che la fattispecie oggetto dell’Accordo è del tutto analoga al caso trattato dal Tribunale Federale Svizzero nella sentenza n. 2 C-276/2016 (menzionata nelle stesse Premesse dell’Accordo), che ha ritenuto ammissibile una richiesta di informazioni avanzata dalle Autorità olandesi nei confronti di un gruppo di persone che non era nominativamente identificato. Per un commento approfondito alla sentenza citata, si rinvia a di G. MOLO – S. VORPE, op. cit.
(11) In dottrina è stato evidenziato che “il quinto “Whereas” restringe l’oggetto dell’Accordo in questione alle sole richieste di gruppo concernenti quei contribuenti che hanno dato risposta negativa (o rifiutato di dare risposta) alle richieste degli intermediari svizzeri in merito al corretto assoggettamento fiscale in Italia delle attività finanziarie detenute in Svizzera (contribuenti definiti come “recalcitrant account holders”). L’Accordo non concerne, pertanto, le richieste di gruppo per i contribuenti che hanno chiuso (o ridotto sostanzialmente) le loro relazioni finanziarie in Svizzera dopo il 23 febbraio 2015 (per i quali le parti continueranno le discussioni) (cfr. S. MAYR – G. FORT, op. cit., 665). È prevedibile, peraltro, che vi saranno altre richieste di gruppo, che potranno essere precedute o meno da un Accordo preliminare riguardante (anche) le modalità operative in base alle quali saranno processate le relative richieste di informazioni.
(12) Si noti che l’Accordo pone riferimento al soggetto che sia “account holder” del rapporto bancario, ossia al soggetto che si qualifica come intestatario del conto. Si tratterà, quindi, di vedere come sarà interpretata tale espressione nei casi in cui i titolari dei rapporti bancari siano formalmente entità terze (società off-shore, trust, fondazioni), ma il beneficiario effettivo del rapporto sia nei fatti individuabile in una persona fisica residente in Italia. A nostro parere, sarebbe una irragionevole limitazione, priva di sistematicità, restringere lo scambio di informazioni ai soli rapporti bancari detenuti direttamente da persone fisiche, ed escludere invece i conti intestati ad entità interposte laddove il beneficiario economico risulti – dalle informazioni in possesso della banca (c.d. “Formulario A”) – una persona fisica residente in Italia. In senso conforme A. DELLA CARITÀ – D. ANTONACCI, La collaborazione con la Svizzera e le nuove richieste di gruppo, in Corr. trib., 2017, 1532.
(13) Per un ampio commento, in particolare all’art. 3 dell’Accordo che contempla una serie di ipotesi “out of scope” (ossia situazioni che non saranno oggetto di scambio di informazioni in quanto sostanzialmente accomunate dalla caratteristica di essere già note all’Autorità italiana, o comunque di poter essere conosciute in virtù di altri strumenti di scambio di informazioni), si rinvia a S. MAYR – G. FORT, op. cit., 666 ss.
(14) Si ricorda che per luogo di “istituzione” del trust si deve intendere il luogo in cui il trust abbia formalmente fissato la propria residenza (in concreto, il luogo di istituzione del trust tenderà a coincidere con il domicilio del trustee: cfr. circ. 6 agosto 2007, n. 48/E, in Boll. Trib., 2007, 1304). Si ricorda, inoltre, che ai fini dell’individuazione degli Stati non white-list in relazione ai quali opera la presunzione di residenza in Italia, fino al 31 dicembre 2014 occorreva fare riferimento agli Stati non inclusi nella c.d. white list di cui al D.M. 4 settembre 1996. Con il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147 (c.d. “Decreto Internazionalizzazione”) è stato abrogato, a partire dal 2015, l’art. 168-bis del TUIR e per l’individuazione degli Stati non white-list occorreva riferirsi agli Stati o territori di cui al Decreto e al Provvedimento da emanarsi ai sensi dell’art. 167, quarto comma, del TUIR. In mancanza di tale nuova lista (mai pubblicata), il riferimento era al D.M. 21 novembre 2001 (c.d. black list), in cui era inclusa la Svizzera, che pertanto nel 2015, anno interessato dallo scambio di informazioni, si annoverava tra i c.d. “paradisi fiscali”. Infine, resta ancora da ricordare che a decorrere dal 1° gennaio 2016, a seguito della legge di Stabilità 2016, ai fini dell’individuazione degli Stati per i quali opera la presunzione, non rileva più la black list di cui al D.M. 21 novembre 2001, bensì il fatto che lo Stato estero preveda un regime di tassazione nominale inferiore al 50% di quello applicabile in Italia.
(15) Il permesso di dimora di tipo “B” viene rilasciato alla persona che ha la nazionalità di un Paese UE che intende stabilirsi in Svizzera per esercitare un’attività lucrativa (dipendente o indipendente) o anche per soggiornare senza esercitare un’attività lucrativa.

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