24 Novembre, 2015

 

 

 

SOMMARIO: 1. Premessa e quadro normativo generale2. La c.d. “sanatoria” delle liti fiscali pendenti introdotta con il d.l. n. 98/2011 3. Il fenomeno del contenzioso sui maggiori contributi previdenziali derivati da accertamenti dell’agenzia delle entrate, prima impugnati e poi definiti ex D.L. n. 98/2011 4. I vari orientamenti della giurisprudenza di merito; 4.1 La tesi dell’illegittimità degli avvisi di addebito derivati da accertamenti coinvolti da lite fiscale e sanatoria; 4.2 La tesi dell’estraneità, alla sanatoria, della pretesa contenuta negli avvisi di addebito; 4.3 La tesi “adeguatrice” 5. Osservazioni.

 

 

1. Premessa e quadro normativo generale

In base al disposto dell’art. 1 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, e dell’art. 10 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, l’Amministrazione finanziaria, a partire dall’anno di imposta 1998 (dichiarazione redditi 1999), provvede ogni anno, entro il termine del 31 dicembre, a verificare la correttezza delle dichiarazioni dei redditi di cui al “Modello Unico” presentato dai contribuenti (1). Al controllo della correttezza delle dichiarazione dei redditi sono sottoposti anche i lavoratori autonomi e cioè i titolari di imprese artigiane e commerciali e i soci titolari di una propria posizione assicurativa, tant’è che tali soggetti sono tenuti a compilare il quadro RR del suddetto Modello indicando i redditi percepiti dall’attività svolta sui quali vengono poi calcolati i contributi a percentuale dovuti all’Inps. A tal proposito, appare opportuno ricordare che i lavoratori autonomi sono tenuti al pagamento:

i) del c.d. “contributo minimo obbligatorio”, da effettuarsi in quote fisse e in quattro rate annuali; tale versamento è comunque dovuto, anche nel caso in cui quello effettivo accertato ai fini fiscali si mantenga al di sotto di tale soglia;

ii) dei contributi eccedenti il minimale (c.d. contributi a percentuale), calcolati sul reddito d’impresa che supera il reddito minimale. Il versamento, per questa fattispecie, avviene invece in due acconti di pari importo (calcolati sul reddito d’impresa dell’anno precedente), con eventuale saldo (nel caso in cui il versato non corrisponda al dovuto) nell’anno successivo, quando è definitivamente noto il reddito conseguito (2).

Una volta effettuati i controlli, l’Agenzia delle entrate trasmette all’Inps i maggiori contributi dovuti sulla base del reddito effettivamente accertato e tale trasmissione dei dati – per espressa previsione di legge – avviene a livello telematico direttamente alla Direzione Centrale Inps, cosicché una volta poi riscontrato il mancato pagamento della contribuzione accertata, si dispone l’iscrizione a ruolo del debito contributivo.

In base al sistema delle tutele predisposte dal legislatore, all’esito delle verifiche effettuate dall’Agenzia delle entrate – e quindi all’atto della notifica del verbale o dell’accertamento fiscale – il contribuente può decidere per l’acquiescenza o l’adesione all’accertamento o può decidere di impugnare lo stesso con ricorso innanzi le competenti Commissioni tributarie provinciali, entro sessanta giorni dalla notifica dell’avviso; in tal modo, la determinazione della contribuzione previdenziale calcolata in base al reddito accertato risente del tipo di tutela attivata dal contribuente e, quindi, in caso di impugnativa giudiziaria dell’accertamento fiscale, la contribuzione viene diversamente determinata solo se il giudizio tributario si conclude con una sentenza di merito che annulla o ridetermina l’accertamento.

L’art. 30 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), stabilisce che – a decorrere dal 1° gennaio 2011 – l’Inps provvede al recupero dei crediti contributivi di propria competenza attraverso la notifica al contribuente di un “avviso di addebito” con valore di titolo esecutivo, mentre il comma 14 del medesimo art. 30 dispone che tutti i riferimenti – contenuti in norme vigenti – al ruolo, alle somme iscritte a ruolo e alla cartella di pagamento devono intendersi effettuati all’avviso di addebito emesso dall’Istituto con valore di titolo esecutivo (3).

L’art. 24 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, regolamenta poi la possibilità di proporre opposizione, entro il perentorio termine di quaranta giorni dalla notifica (4), al ruolo/cartella (ed oggi, ex D.L. n. 78/2010, allo stesso avviso di addebito) innanzi al Tribunale, in funzione di Giudice del lavoro, nella cui circoscrizione ricade la Sede Inps che ha emesso l’avviso stesso.

[-protetto-]

2. La c.d. “sanatoria” delle liti fiscali pendenti introdotta con il D.L. n. 98/2011

Nel 2011, in un’ottica intesa alla deflazione del contenzioso tributario, appariva nel nostro ordinamento tributario l’istituto della c.d. “definizione delle liti fiscali pendenti”, introdotto con il D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (“Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), e rintracciabile nell’art. 39, comma 12 (“Disposizioni in materia di riordino della giustizia tributaria”), della predetta fonte normativa; tramite tale disposizione, il legislatore disponeva che le liti fiscali, in cui era parte l’Agenzia delle entrate, di valore non superiore a 20.000 euro, pendenti alla data del 1° maggio 2011, potevano essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio, con il pagamento delle somme determinate ai sensi dell’art. 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.

Ai fini dell’adozione di tale strumento nei singoli casi concreti, è stato – all’epoca – fondamentale delineare il concetto di “pendenza della lite”, esso individuabile dal momento di notifica del ricorso alla pubblica controparte sino alla formazione del giudicato, stante il fatto che – più precisamente – l’art. 39, comma 12, del D.L. n. 98/2011, faceva riferimento alle liti fiscali «pendenti dinanzi alle Commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio»; così individuata la «pendenza della lite» in funzione della mera notifica del ricorso all’Agenzia delle entrate, veniva considerata irrilevante non solo l’infondatezza del ricorso ma anche gli eventuali vizi di inammissibilità o di improcedibilità rinvenibili a seguito dello stesso, tant’è che al riguardo la circolare 21 febbraio 2003, n. 12/E (§ 11.2) (5), già sin dalla sanatoria del 2002, aveva indicato come fosse sufficiente la proposizione del ricorso tributario (6) ancorché alla stessa data non fosse stato effettuato il deposito presso la Commissione tributaria adita ma a condizione che non fosse già decorso il termine di trenta giorni per costituirsi in giudizio.

3. Il fenomeno del contenzioso sui maggiori contributi previdenziali derivati da accertamenti dell’agenzia delle entrate, prima impugnati e poi definiti ex D.L. n. 98/2011

Sebbene l’art. 39 del D.L. n. 98/2011 abbia cessato di svolgere i propri effetti operativi sulle circoscritte liti definibili, deve annotarsi che tale tipo di sanatoria sta fornendo spunto a diversi contribuenti per instaurare un contenzioso incidentale nei confronti delle pretese di carattere contributivo-previdenziale, manifestate dall’Inps ma nascenti dalle attività svolte dall’Agenzia delle entrate. Capita infatti che numerosi contribuenti propongano ricorso al Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, impugnando gli avvisi di addebito, derivati sostanzialmente da atti impositivi e contenenti ingiunzioni di pagamento di somme per contributi previdenziali, oltre relative sanzioni civili e compensi di riscossione; con tali azioni, chiamandosi in causa l’Inps quale soggetto interessato, si contesta l’illegittimità dell’avviso di addebito conseguente ad accertamento unificato dell’Agenzia delle entrate, originariamente comprensivo di una pretesa tributaria, sortita da un reddito accertato maggiore rispetto a quello dichiarato, poi successivamente composto tramite la definizione della lite fiscale ad esso conseguente e la contestuale sentenza di cessata materia del contendere.

In buona sostanza, in questi casi i contribuenti, ritenendo che la somma richiesta a titolo di definizione delle liti pendenti dovrebbe essere intesa (ri)comprensiva anche dei contributi previdenziali, invocano – in base ad una asserita duplicazione del titolo costituente la pretesa ed innanzi il Tribunale territorialmente competente – l’illegittimità dell’atto notificato dall’Inps, soggetto che ha effettuato il calcolo dell’addebito, sulla base del predetto maggiore reddito, della contribuzione a percentuale dovuta e non pagata.

4. I vari orientamenti della giurisprudenza di merito

Allo stato, sulla descritta questione, si è formato un panorama giurisprudenziale estremamente eterogeneo. Quello minoritario “associa” l’intervenuta sanatoria delle liti fiscali pendenti all’illegittimità dei maggiori contributi previdenziali “derivati”, quello maggioritario, invece, ritenendo non definitivi questi ultimi – subordinandone la legittimità alla verifica della legittimità dell’accertamento fiscale – apre la strada ad un esame incidentale dell’atto impositivo ad un giudice non funzionalmente preposto a tale compito quale il Tribunale; un terzo orientamento riduce il quantum dell’avviso di addebito applicando analogicamente i criteri fissati ex lege dal D.L. n. 98/2011. In siffatto quadro fa la sua comparsa anche qualche indirizzo giurisprudenziale che ritiene incontestabile l’avviso di addebito emesso proprio in virtù dell’avvenuta definizione della lite sull’accertamento propedeutico.

A questo punto, per una più corretta esposizione del tema del presente scritto, occorre esporre brevemente i profili giurisprudenziali appena accennati.

4.1 La tesi dell’illegittimità degli avvisi di addebito derivati da accertamenti coinvolti da lite fiscale e sanatoria

Secondo un certo orientamento giurisprudenziale, deve ritenersi che, con il versamento delle somme stabilite per la definizione delle liti fiscali, sia preclusa la richiesta di pagamento di una contribuzione previdenziale ricalcolata con riferimento ai maggiori redditi (contestati con l’atto impositivo dell’Agenzia delle entrate e definiti con la sanatoria); questa soluzione si basa sul teorema che la contribuzione che interessa l’Inps, dovendosi parametrare sul reddito dichiarato IRPEF, deve attestarsi fuori dall’accertamento emesso dall’Ufficio finanziario, in quanto quest’ultimo – non diventando definitivo – non è corroborato da alcuna certezza intorno i maggiori redditi accertati, restando (al contrario) formalmente fermi i redditi dichiarati dal contribuente. Sempre ad avviso di tale pensiero, non vale invocare l’assimilazione tra risoluzione del contenzioso ex art. 39 del più volte citato D.L. n. 98/2011 e accertamento con adesione ex art. 6 del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, poiché quest’ultimo postulerebbe la determinazione della base imponibile con la partecipazione (e il consenso) dell’interessato, mentre la sanatoria delle liti pendenti si correla(va) al pagamento di somme individuate con criteri fissati ex lege e così la pretesa contributiva, non poggiandosi su una base imponibile (riconosciuta) diversa da quella denunciata dal contribuente, non può trovare fondamento.

Da notare che il Tribunale di Milano, partendo dalla medesima premessa dell’intangibilità “estesa” dell’atto di definizione della lite tributaria, perviene ad una soluzione diametralmente opposta a quella esposta in rassegna, attribuibile al Tribunale di Asti (7); infatti il giudice meneghino (8) – proprio sulla scorta (sostanziale) della definitività dell’accertamento tributario e dell’abbandono del giudizio da parte del contribuente, soddisfatto dal premiale minore pagamento delle somme originariamente dovute – ha ritenuto immodificabile il calcolo automatico (e a percentuale della contribuzione) effettuato dall’Agenzia delle entrate rispetto alla totalità dei redditi (9).

4.2 La tesi dell’estraneità, alla sanatoria, della pretesa contenuta negli avvisi di addebito

In base ad un’altra conclusione resa dalla giurisprudenza di merito, la lettura in combinato disposto delle disposizioni di cui agli artt. 39, comma 12, del D.L. n. 98/2011 (10), e 16 della legge n. 289/2002 (11), e in particolare la constatazione che la somma da versare per la definizione della lite pendente dinanzi al giudice tributario deve essere calcolata in una percentuale dell’imposta contestata, induce inevitabilmente a ritenere che l’oggetto della definizione sia costituito esclusivamente dall’imposta. Dall’ambito oggettivo della transazione, cioè, restano estranei i contributi previdenziali, benché gli stessi, com’è noto, vengano calcolati in percentuale all’esito dell’accertamento e quindi alla maggiore imposta individuata dall’Agenzia delle entrate che, infatti, provvede a determinare il debito contributivo facendo riferimento alla nuova e più alta base imponibile. La considerazione del coinvolgimento della sanatoria soltanto sull’imposta, tra l’altro, non esclude dall’ambito oggettivo della transazione solo i contributi previdenziali, ma anche la base imponibile e ciò comporta – sempre ad avviso di questo pensiero – una ulteriore importante conseguenza: i contributi previdenziali calcolati a percentuale non devono essere rideterminati proprio perché la base imponibile non è in alcun modo interessata dall’accordo intervenuto tra contribuente e Amministrazione finanziaria (12).

Alla luce di queste considerazioni, la descritta giurisprudenza – attesa, in via pregiudiziale, l’estraneità della sanatoria delle liti fiscali pendenti ai contributi previdenziali – si occupa di scrutinare la legittimità di questi ultimi attraverso la strada della valutazione della fondatezza dell’originario (propedeutico) avviso di accertamento dell’Agenzia delle entrate, laddove questo vaglio comporta indubbiamente oneri processuali per le parti, cioè quelli di impugnazione del contribuente e quelli probatori per l’Inps (ravvisandosi così un sostanziale e incidentale slittamento del contraddittorio “tributario” innanzi un’altra giurisdizione).

Il Tribunale di Firenze (13), tra i primi ad aderire alla tesi appena esposta – cioè alla possibilità concessa ai contributi previdenziali nascenti dall’accertamento fiscale di produrre, oltre la intervenuta sanatoria “fiscale”, effetti giuridicamente rilevanti – ha rammentato che la definizione agevolata era prevista per premiare il contribuente che rinunciava al contenzioso tributario avvalendosi di una facoltà di pagamento ridotto rispetto all’importo originario, senza che tale definizione avesse effetto sulla connessa pretesa contributiva, che risultava invece definitivamente riconosciuta nell’accertamento senza modifica del reddito posto a favore della contribuzione pretesa.

4.3 La tesi “adeguatrice”

Ad una soluzione intermedia pervengono invece altre pronunce. Esse traggono spunto dal “dato positivo” della sanatoria e, rilevando come l’esistenza e l’ammontare del debito contributivo possano ritenersi provati soltanto nei limiti dell’importo fiscale oggetto di sanatoria, accolgono parzialmente la domanda adeguando i maggiori contributi previdenziali mediante un’applicazione analogica dei criteri fissati, per la definizione della lite, dal combinato disposto di cui agli artt. 39, comma 12, del D.L. n. 98/2011, e 16 della legge n. 289/2002 (14).

5. Osservazioni

Non si ritiene di poter condividere la conclusione giurisprudenziale sull’illegittimità degli avvisi di addebito derivati da atti impugnati e oggetto di sanatoria perché la definizione della lite tributaria non può, in alcun modo, incidere né sull’an né sul quantum della pretesa consacrata nell’avviso di addebito emesso dall’Inps, in quanto – oltre alla già argomentata circostanza dell’esclusione dei contributi previdenziali dall’ambito oggettivo della sanatoria – rispetto alla conclusione della contesa tra il contribuente e l’Agenzia delle entrate, l’Inps appare inequivocabilmente come un soggetto terzo e, pertanto, non può procedersi ad una rideterminazione della base imponibile sulla quale sono stati calcolati i contributi a percentuale.

La conferma della predetta inopponibilità della sanatoria fiscale all’Ente previdenziale si rinviene – come testualmente individuato dal citato art. 39 – anche nell’oggetto della stessa: la norma, infatti, prevedeva che il beneficio de quo fosse applicabile solo ed esclusivamente alle liti fiscali pendenti nelle quali sia parte l’Agenzia delle entrate e che abbiano ad oggetto «atti impositivi» e di «irrogazioni delle sanzioni», il cui valore non superi i 20.000 euro.

È di palmare evidenza quindi la riferibilità di tale quadro solo ed esclusivamente alle controversie di natura tributaria e deve aggiungersi come, del resto, sin da subito fosse stato chiarito che i contributi previdenziali, accertati e quantificati a seguito della verifica fiscale, dovessero essere esclusi dal calcolo del valore della causa, poiché estranei alla pretesa tributaria impugnata (quindi anche alla sanatoria): infatti era stata la circolare dell’Agenzia delle entrate 24 ottobre 2011, n. 48/E (15), ad argomentare espressamente, al punto 4.9 (rubricato “Contributi e premi previdenziali ed assistenziali”) di tale documento, che «nonostante gli avvisi di accertamento relativi alle dichiarazioni dei redditi presentate a partire dal 1° gennaio 1999 rechino, oltre alle imposte accertate, anche l’indicazione dei contributi e premi previdenziali e assistenziali liquidati in base al maggior imponibile accertato, le controversie relative a tali contributi e premi, instaurate nei confronti degli enti previdenziali rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario. I contributi in esame non hanno, infatti, la natura di “tributi di ogni genere e specie”, che l’art. 2 del d.lgs. n. 546/1992, fa ricadere nella giurisdizione degli organi di giustizia tributaria. I contributi previdenziali, in sintesi, non costituiscono oggetto di liti fiscali e non rientrano, peraltro, nella giurisdizione delle Commissioni tributarie né tanto meno è configurabile, in relazione alle relative controversie, la legittimazione passiva dell’Agenzia delle Entrate. Ne consegue che le controversie riguardanti i contributi non sono definibili ai sensi dell’articolo 39 D.L. n. 98/2011. Ai fini della determinazione del valore della lite fiscale definibile non vanno considerati i maggiori contributi contestati con l’avviso di accertamento».

Tra l’altro, la medesima circolare si impegnava di rilevare come la definizione delle liti c.d. “minori” del 2011, ricalcando quella introdotta in passato con l’art. 16 della legge n. 289/2002, operasse un ampio rinvio a quest’ultima norma riaffermando espressamente come, ai fini della definibilità della lite, dovessero sussistere contemporaneamente le condizioni di riferibilità dell’oggetto della controversia a rapporti di natura tributaria e di legittimazione passiva a stare in giudizio da parte dell’Agenzia delle entrate, tant’è che – alla luce di tali premesse – la descritta prassi rammentava che, essendo definibili soltanto le controversie nelle quali sia parte l’Agenzia delle entrate, doveva essere esclusa la definizione di quelle liti che vedessero come parti legittimate passive in primo grado altre Amministrazioni pubbliche ovvero come enti impositori altre Amministrazioni pubbliche, quali le Regioni, gli Enti locali, le altre Agenzie fiscali, ecc.

Va peraltro osservato che in talune regolarizzazioni (o, se si preferisce, in taluni c.d. “condoni”) del passato, erano stati espressamente inclusi i contributi e premi previdenziali e assistenziali (vedasi, ad esempio la “Regolarizzazione contributivaex art. 2 del D.L. 23 ottobre 1996, n. 538, non convertito) e questo è (16) un segno che il legislatore non rimanda ad interpretazioni estensive o analogiche quando tratta tale materia; così, considerato che gli artt. 39, comma 12, del D.L. n. 98/2011, e 16 della legge n. 289/2002, fanno espresso riferimento all’imposta e nulla dicono sulla maggiore contribuzione previdenziale dovuta, deve – a fortiori – dedursi l’assoluta incidenza, nella specie, del principio interpretativo della legge «ubi lex voluit, ubi noluit tacuit» e quindi concludersi per l’estraneità di una estensione della definizione delle liti fiscali anche ai contributi previdenziali riferibili agli accertamenti, oggetto di precedente contraddittorio giudiziale.

Né si ritiene di potere condividere le argomentazioni rappresentate dal Tribunale di Asti, né quelle “adeguatrici” del Tribunale di Bergamo, sulle comparazioni interpretative intercorrenti – ad avviso di tali giudici – tra sanatoria e accertamento con adesione ex art. 6 del D.Lgs. n. 218/1997.

Quest’ultimo istituto non sembra, infatti, connotarsi con l’identità individuata dal Tribunale piemontese che sostanzialmente ha “gemellato” il quantum definito in concordato ad una forma di giustizia sostanziale, formata per effetto di un assenso del contribuente ad una rideterminazione dell’accertamento. L’adesione deve invece ricondursi alla figura della “transazione conservativa”, come sostanzialmente affermato dalla Corte di Cassazione (17), stante l’osservazione che l’atto di concordato resta a garanzia del fisco fino al momento del predetto “perfezionamento”, evento che si verifica solo mediante il successivo versamento delle somme oggetto di concordato o, in alternativa, attraverso la prestazione di idonea garanzia. Detta statuizione richiamava espressamente, e ripercorreva, un principio già espresso dagli Ermellini (18), ove il giudice di ultima istanza aveva rappresentato come una procedura rigidamente e inderogabilmente regolata dalla legge non ammette che l’obbligazione tributaria sia viceversa regolata dalla volontà del contribuente, che rileva soltanto ove inequivocabilmente lo stesso contribuente abbia accettato il quantum debeatur, mentre la rinuncia all’an debeatur, anche in termini di rinuncia ad avvalersi di un più ampio termine di impugnazione previsto per un dato tipo di rapporti tributari, deve essere espressa o risultare in termini assolutamente inequivoci.

Con riferimento più specifico alla pronuncia emessa invece dal Tribunale di Bergamo, va osservato – con motivazioni, per certi versi, analoghe a quanto detto in relazione al richiamato responso astigiano – che il reddito nemmeno può essere cristallizzato intorno alla misura evincibile dall’applicazione dei criteri indicati ex lege dalla sanatoria.

Ben vero, a proposito della sanatoria ex lege n. 289/2002 (analoga a quella del 2011), la Suprema Corte (19) aveva avuto modo di argomentare come la stessa avesse lo scopo di definire “transattivamente” la controversia.

Ora, se è vero (come è vero) che la transazione, fondante sia l’accertamento con adesione (20) sia il condono, prescinde da un requisito di intervenuta certezza del reddito (attribuibile al contribuente) avendo essa il mero scopo di rimuovere antecedentemente o successivamente una controversia sull’atto impositivo, deve conseguentemente e, parallelamente, criticarsi sia la conclusione del Tribunale di Asti sia quella prospettata dal Tribunale di Bergamo.

A sommesso avviso dello scrivente, “sopravvive” la conclusione (maggioritaria) espressa dai giudici di Firenze, di Milano, di Ivrea e di Cuneo che – pur sortendo una valutazione della effettiva debenza dei contributi previdenziali (già normalmente devoluta al Tribunale, in funzione di giudice del lavoro) – deve sostenere il “prezzo” giudiziale di un esame incidentale del “titolo-accertamento” che trova normalmente sede presso altra giurisdizione; non può peraltro escludersi, in questa eccezionale attività del Tribunale, l’adozione di mezzi istruttori espressamente vietati al giudice tributario, quali l’ammissione di prova testimoniale e il giuramento (21), o di dubbia applicabilità, quale l’interrogatorio formale del contribuente.

Questa ipotesi potrebbe costituire un utile banco di prova per le ventilate riforme del processo tributario.

Avv. Antonino Russo

 

(1) Lo stesso art. 1 del D.Lgs. n. 462/1997 precisa che «Per la liquidazione, l’accertamento e la riscossione dei contributi e dei premi previdenziali ed assistenziali che … devono essere determinati nelle dichiarazioni dei redditi, si applicano le disposizioni previste in materia di imposte sui redditi».

(2) Tali contributi, ai sensi del D.L. 15 aprile 2002, n. 63 (convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112), devono essere versati alle scadenze previste per il pagamento delle imposte sui redditi.

(3) Secondo l’abrogato art. 32-bis del D.L. 29 novembre 2008, n. 185 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2008, n. 2), l’iscrizione a ruolo era effettuata direttamente dall’Agenzia delle entrate a decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2006; per i periodi precedenti il 31 dicembre 2006, l’iscrizione a ruolo era disposta direttamente dall’ente Direzione Centrale Sistemi Informativi e Telecomunicazioni (D.C.S.I.T.) a cui l’Agenzia delle entrate comunicava telematicamente gli esiti delle verifiche reddituali.

(4) Giusta quanto disposto al comma 5 del citato art. 24.

(5) In Boll. Trib., 2003, 265.

(6) Ex art. 20 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

(7) Cfr. Trib. Asti 17 giugno 2014, in Boll. Trib. On-line.

(8) Cfr. Trib. Milano 31 ottobre 2013, n. 3400, in Boll. Trib. On-line.

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(9) Contra Trib. Milano 18 settembre 2013, inedita.

(10) Art. 39, comma 12, del D.L. n. 98/2011: «Al fine di ridurre il numero delle pendenze giudiziarie e quindi concentrare gli impegni amministrativi e le risorse sulla proficua e spedita gestione del procedimento di cui al comma 9 le liti fiscali di valore non superiore a 20.000 euro in cui è parte l’Agenzia delle entrate, pendenti alla data del 31 dicembre 2011 dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio, con il pagamento delle somme determinate ai sensi dell’articolo 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289. A tale fine, si applicano le disposizioni di cui al citato articolo 16, con le seguenti specificazioni: a) le somme dovute ai sensi del presente comma sono versate entro il 31 marzo 2012 in unica soluzione; b) la domanda di definizione è presentata entro il 31 marzo 2012; c) le liti fiscali che possono essere definite ai sensi del presente comma sono sospese fino al 30 giugno 2012. Per le stesse sono altresì sospesi, sino al 30 giugno 2012 i termini per la proposizione di ricorsi, appelli, controdeduzioni, ricorsi per cassazione, controricorsi e ricorsi in riassunzione, compresi i termini per la costituzione in giudizio; d) gli uffici competenti trasmettono alle commissioni tributarie, ai tribunali e alle corti di appello nonché alla Corte di cassazione, entro il 15 luglio 2012, un elenco delle liti pendenti per le quali è stata presentata domanda di definizione. Tali liti sono sospese fino al 30 settembre 2012. La comunicazione degli uffici attestante la regolarità della domanda di definizione ed il pagamento integrale di quanto dovuto deve essere depositata entro il 30 settembre 2012. Entro la stessa data deve essere comunicato e notificato l’eventuale diniego della definizione; e) restano comunque dovute per intero le somme relative al recupero di aiuti di Stato illegittimi; f) con uno o più provvedimenti del direttore dell’agenzia delle entrate sono stabilite le modalità di versamento, di presentazione della domanda di definizione ed ogni altra disposizione applicativa del presente comma.

(11) Art. 16, comma 1, della legge n. 289/2002: «Le liti fiscali pendenti, ai sensi del comma 3, dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio, con il pagamento delle seguenti somme: a) se il valore della lite è di importo fino a 2.000 euro: 150 euro; b) se il valore della lite è di importo superiore a 2.000 euro: 1) il 10 per cento del valore della lite in caso di soccombenza dell’Amministrazione finanziaria dello Stato nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare resa, sul merito ovvero sull’ammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio, alla data di presentazione della domanda di definizione della lite; 2) il 50 per cento del valore della lite, in caso di soccombenza del contribuente nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare resa, sul merito ovvero sull’ammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio, alla predetta data; 3) il 30 per cento del valore della lite nel caso in cui, alla medesima data, la lite penda ancora nel primo grado di giudizio e non sia stata già resa alcuna pronuncia giurisdizionale non cautelare sul merito ovvero sull’ammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio».

(12) Cfr. Trib. Ivrea 30 gennaio 2014, in Boll. Trib. On-line; su linee similari ved. Trib. Cuneo 15 ottobre 2013, ivi.

(13) Cfr. Trib. Firenze 2 ottobre 2013, inedita.

(14) Cfr. Trib. Bergamo 3 ottobre 2013, in Boll. Trib. On-line.

(15) In Boll. Trib., 2011, 1619.

(16) Tale norma prevedeva che «I soggetti tenuti al versamento dei contributi e dei premi previdenziali ed assistenziali, debitori per contributi omessi o pagati tardivamente relativi a periodi contributivi maturati fino a tutto il mese di luglio 1996, possono regolarizzare la loro posizione debitoria nei confronti degli enti stessi presso … mediante il versamento, entro il 16 dicembre 1996, di quanto dovuto a titolo di contributi e premi stessi maggiorati, in luogo delle sanzioni civili, degli interessi nella misura del 17 per cento annuo nel limite massimo del 50 per cento dei contributi e dei premi complessivamente dovuti».

(17) Cfr. Cass., sez. trib., 30 ottobre 2009, n. 10086, in Boll. Trib. On-line.

(18) Cfr. Cass., sez. trib., 30 giugno 2006, n. 15170, in Boll. Trib. On-line.

(19) Cfr. Cass., sez. trib., 16 febbraio 2007, n. 3682, in Boll. Trib., 2007, 492, con nota di F. Brighenti, La Cassazione sull’IRAP dei professionisti non organizzati: certezze e dubbi.

(20) Sulla natura transattiva dell’accertamento con adesione pare conforme la giurisprudenza di merito: cfr. Comm. trib. prov. di Latina, sez. III, 9 novembre 2010, n. 564, in Boll. Trib., 2012, 371, con nota di M. Proietti, Patologie dell’accertamento con adesione: spunti critici attorno a una decisione che ha statuito l’inesistenza del relativo provvedimento sottoscritto dall’ultimo liquidatore di una societa di capitali gia cancellata dal Registro delle Imprese; Comm. trib. reg. del Piemonte, sez. XXXIV, 17 giugno 2010, n. 44, ivi, 2011, 1553, con nota di V. Ficari, Sul ‘’tramonto’’ del dogma dell’’’intangibilità’’ dell’accertamento con adesione e sull’’’alba’’ di una natura pienamente contrattuale dell’accordo; Comm. trib. prov. di Vercelli, sez. I, 9 marzo 2009, n. 14, in Boll. Trib. On-line; e Comm. trib. reg. della Toscana, sez. XXXIII, 25 febbraio 2002, n. 11, in Boll. Trib., 2004, 539.

(21) Ved. art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546/1992.

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