30 Giugno, 2017

La circolare 30 marzo 2016, n. 6/E (1), con una lettura equitativa delle norme sistemiche, ha ex se rassicurato, ved. infra sulla deduzione degli oneri finanziari nei limiti di quanto previsto dall’art. 96 del TUIR, i vari stakeholders (fondi istituzionali specializzati di private equity) e finanziatori, impegnati nelle operazioni di LBO/MLBO o più volgarmente “acquisizione con indebitamento”. Trattasi di operazioni caratterizzate dall’esistenza di un’unica causa, ovvero finalizzate all’acquisizione di un’azienda o di una partecipazione totalitaria in una società “bersaglio” o obiettivo o target company o target group, attraverso la creazione di una società dedicata “veicolo” SPV che viene finanziata in parte con equity (capitale di rischio) e in parte mediante prestiti onerosi (debit). La società de qua dopo l’acquisizione si unisce per incorporazione o fusione inversa con la target company, trasferendo de facto il finanziamento sugli assets e sui flussi di cassa generati dall’attività della target l’onere dell’indebitamento. Invero, con la fusione i finanziatori (impongono) hanno la possibilità di sostituire il pegno su azioni con una garanzia diretta sul patrimonio della società Merger Co: per tale via i creditori rientrano dell’esposizione debitoria. In altri termini il debito contratto per l’acquisizione della società bersaglio viene pagato successivamente all’acquisizione della stessa con il cash flow della società acquisita (un effetto circolare), il cui patrimonio funge da garanzia e appunto fonte di rimborso dell’indebitamento contratto. Le obbligazioni nascenti dall’indebitamento vengono poste a carico della società target (accollo) e non sull’acquirente SPV.
Sulla fiscalità diretta e indiretta i tentativi di dequalificazione e destrutturazione della struttura finanziaria servente il merger sono stati plurimi, avendo l’Agenzia delle entrate sistematicamente neutralizzato i benefits da LBO “abusato” al fine della mera e sterile massimizzazione del dividendo accertativo. Difatti, l’Agenzia delle entrate a più riprese ha disconosciuto la deduzione degli oneri finanziari (2) sulla base di causali plurime ovvero evocando quella madre di difetto di inerenza nella misura in cui i predetti costi non sarebbero imputabili all’attività di chi li ha sostenuti, ma de facto riferibili ad attività altrui (socio). L’assenza di ricavi a fronte di un ipotetico servizio reso alla controllante non residente, ved. la raccolti fondi, ricerca banche per realizzare l’operazione di acquisizione, o la sua verosimile incongruenza, non adeguatamente remunerato, sottostimati ex art. 110 del TUIR. Ancora sulle dequalificazioni fiscali del passato delle operazioni di LBO, diffusa è stata la contestazione di abusività dell’operazione di leverage per via dell’assenza di valide concorrenti ragioni extrafiscali diverse dal risparmio fiscale (deduzioni e detrazioni vietate). Invero l’esistenza di una successione nella compagine sociale della società target, il cui controllo viene riperimetrato, con subingresso di nuovi soci non controllanti indirettamente la target (discontinuità e vere alterità) senza ledere gli interessi di terzi (dipendenti, creditori e soci di minoranza) è stata ritenuta dai giudici di legittimità una robusta ragione extrafiscale – una via d’uscita da quelle fuorvianti contestazioni di elusività dello strumento. L’operazione che ha generato questo ricambio negli assetti proprietari della società obiettivo con permanenza dei vecchi soci divenuti di minoranza risponde a coerenti dinamiche di mercato (sostanza economica delle operazioni realizzate, conformi alle normali logiche di mercato, non violando la ratio delle norme o dei principi generali dell’ordinamento).
Vedremo le importanti “aperture” su questo profilo di aspra litigiosità ed asperità nel rapporto amministrazione/contribuente (enunciati interpretativi e ricognitivi del sistema positivo che influenzano i giudizi in corso) laddove l’Agenzia delle entrate, ved. par. 2.1 della citata circolare n. 6/E/2016, riconosce e conferma, con soluzione equitativa, la deduzione ex se degli oneri finanziari, ritenuti inerenti ex se e quindi deducibili nei limiti di quanto previsto dal criterio forfetario di cui all’art. 96 del TUIR, in quanto funzionali e serventi all’acquisizione della target company sia nell’ipotesi di fusione (ved. infra il superamento delle norme antielusive analitiche ex art. 172, comma 7, del TUIR), e sia nella fattispecie di compensazione intrasoggettiva (ved. regime opzionale per il consolidato fiscale). Trattasi di operazioni tipizzate e regolamentate, ovvero codificate dal sistema positivo, de facto non destrutturabili sul piano fiscale in quanto “coperte” da non secondarie ragioni extrafiscali, ad esempio l’acquisizione del controllo della società obiettivo. Sulla retroattività di questi enunciati ricognitivi ed interpretativi di prassi, l’invito rivolto agli Uffici periferici a riconsiderare la fondatezza di tali rilievi. Ancora sulle conclusioni rassicuranti dell’Agenzia, laddove il prefato disconoscimento degli oneri finanziari sostenuti per effetto del debt push veicoli attraverso la contestazione madre di presunta abusività (elusione non tipizzata, immanente, ved. abuso di diritto, o elusione tipizzata ex art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, oggi confluita in quella generica, sistemica di cui all’art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212), il diritto alla loro deduzione sistemica dovrebbe essere preservato nella misura in cui le operazioni di MLBO rispondono a finalità extrafiscali riconosciute dal codice civile, laddove non ricorrono profili di artificiosità dell’operazione. Si vuole dire che, anche per tale via, le contestazioni di indeducibilità degli oneri finanziari attraverso lo strumento dell’abuso/elusione dovrebbero cadere laddove non vi è stata una strumentalizzazione della “struttura finanziaria”, ved. SPV, svolgente funzioni strumentali alla realizzazione dell’operazione di MLBO. Valorizzata nella più volte citata circolare n. 6/E/2016 l’effettiva causa negoziale ossia l’acquisizione di una partecipazione di controllo nella società target. Difatti, si è assistito di recente al proliferare di queste contestazioni di presunta abusività delle operazioni di MLBO al punto da considerare ex se indeducibili gli oneri finanziari sull’indebitamento, riqualificato in “abusivo” o “abusato” per il solo fatto di essere concesso nell’ambito di queste operazioni. Dunque, la conferma sulla deducibilità degli oneri finanziari (3) avrà una sicura positiva interferenza sui contenziosi in atto (si auspicano provvedimenti di autotutela) quale che sia l’origine della litigiosità, ovvero difetto di inerenza o presunta abusività delle MLOB.
Sulle componenti exit ovvero le plusvalenze realizzate al momento del disinvestimento dalle strutture estere (società di private equity), verificata la transnazionalità del merger, si osserva che l’utilizzo di veicoli intermedi residenti o intra Unione europea, conduit, nella verticalizzazione dell’operazione di MLBO – quando l’exit avviene a livello di un veicolo interposto Italia/UE – consente di minimizzare il carico fiscale delle prefate componenti (profili riallocativi delle risorse), con il portato che ad esempio la cessione della newco da parte della società intermedia residente in Italia, a sua volta controllata dall’investitore non residente, consentirà a quest’ultimo di rimpatriare le plusvalenze realizzate dalla prima attraverso dividendi esenti. Una permutazione qualitativa dei plusvalori in dividendi in “uscita” esenti, ved. art. 27-bis del D.P.R. n. 600/1973, o parzialmente detassati, ved. art. 27, comma 3, del medesimo decreto. Ancora attraverso la cessione diretta da parte dell’investitore non residente Holding Co (estero) delle partecipazioni in Merger Co (ITA) è possibile quella massimizzazione del benefit fiscale nella misura in cui la tassazione dei plusvalori realizzati dall’investitore estero è de facto traslata nel Paese di residenza del beneficiario non residente. Si vuole dire che questa cessione plusvalente non sarà de facto tassata in Italia, prevalendo sulla norma sistemica del Paese fonte (Italia) – art. 23, comma 1, lett. f), del TUIR – quella sovraordinata da regime convenzionale (laddove esistente) che appunto la esenta da imposizione nel Paese fonte. Dunque, combinando l’utilizzo di strumenti normativi di origine comunitaria o convenzionale, ved. regime dei dividendi intracomunitari o le norme sull’extraterritorialità dei gains nelle convenzioni contro le doppie imposizioni, è possibile eliminare ogni scoria dichiarativa sul rendimento dell’investimento: ossia mettere in atto pratiche abusive al fine di defiscalizzare e riallocare in giurisdizioni “coperte” da trattato i componenti, flussi (dividendi e plus) generati al momento del disinvestimento di competenza della società estera. È altrettanto evidente che le entità, strutture intermedie qui residenti, utilizzate dai fondi di private equity devono essere effettivamente insediate nel paese di formale radicamento, ovvero non devono essere strutture di credito passante o conduit, diversamente destinate ad essere destrutturate, azzerate, con l’effetto deteriore che i relativi profili reddituali devono imputarsi direttamente al fondo estero nell’ipotesi di investimento diretto (evasione interpretativa). Su questo profilo di verticalizzazione dell’investimento in LBO da parte delle società estere di private equity, alludo all’utilizzo di una pluralità di strutture intermedie italiane o europee, cui veicolano i componenti da exit, gli enunciati dell’Agenzia delle entrate, retro illustrati, non sono rassicuranti (turbamenti da dequalificazione della “verticale” implementata dal fondo estero, con tassazione diretta su di esso, per via dell’azzeramento delle strutture interposte). Difatti, nella più volte citata circolare n. 6/E/2016, l’Agenzia osserva che la struttura finanziaria “passante”, intermedia implementata dal fondo estero, va disconosciuta (negandogli i benefici previsti dai trattati, dalle Direttive e dalle norme interne) quando non ha sostanza economica, ossia trattasi di una struttura “leggera”, ved. personale e locali, priva di effettiva attività e di una reale consistenza – insediamento artificioso conduit. Invero le indicazioni provenienti della Corte di Giustizia europea (4) per valutare l’artificiosità dell’insediamento ai fini della libertà di stabilimento e di circolazione dei capitali devono relazionarsi con la particolare natura delle holding, le quali non richiedono una struttura organizzativa “pesante”. Si vuole dire che vi sono ragioni extrafiscali ovvero legali e finanziarie che impongono la costituzione di veicoli intermedi al fine di segregare, blindare e perimetrare l’investimento effettuato dal fondo, evitando azioni da parte di creditori di un investimento, i quali possono inquinare gli altri assets del fondo estero. È evidente che ai fondi esteri localizzati in un Paese collaborativo non potranno valere quelle interpretazioni restrittive sulla dequalificazione delle reali interposizioni, esercitando in condizioni equivalenti a quelle relative ai fondi di investimento stabiliti in Italia – diversamente sarebbe una restrizione alle libertà fondamentali obliterate dal Trattato.
Seguendo le soluzioni interpretative dell’Agenzia delle entrate, la verticalizzazione della struttura a servizio del deal viene de facto azzerata nei suoi anelli intermedi qui residenti (ritenuti interposti fittiziamente, carenti di sostanza economica ed autonomia decisionale). Così nel caso di fondo extra UE, Paese non collaborativo, abbia costituito una società intermedia Holding Co in ambito UE, è verosimile il suo azzeramento laddove fosse dimostrata l’artificiosità e fittizietà, con il portato che i plusvalori si considerano realizzati in Italia. Ancora sull’extraterritorialità dell’investimento effettuato dal fondo estero, si osserva che vi è un tema interessante sulle ritenute gravanti sui flussi in uscita (interessi) maturati sull’indebitamento, le quali non saranno operate laddove la banca italiana che si interfaccia con il mutuatario sia “opaca”, diversamente laddove “trasparente”, con finanziatori de facto non residenti (le risorse affluiscono dall’estero attraverso accordi con la banca Italia), il mutuatario applicherà le ritenute sugli interessi ex se spettanti a soggetti non residenti. Si vuole dire che questi flussi reddituali saranno imponibili in Italia (tassazione fonte) attraverso tassazioni definitive, con ritenute operate dal mutuatario (deroghe per i regimi convenzionali o le esclusioni previste da norme interne, ved. art. 26, comma 5-bis, del D.P.R. n. 600/1973) laddove la banca è qualificabile come un soggetto meramente interposto. Sulla riqualificazione dei finanziamenti effettuati dai soci in equity, si osserva che indice di tale permutazione qualitativa dei mezzi di “terzi” in mezzi “propri” è la postergazione del debito rispetto a quello verso i terzi finanziatori, con l’effetto deteriore dell’indeducibilità degli oneri finanziari su quei finanziamenti soci riconvertiti in equity.
Sul versante IVA le censure riguardavano una presunta carenza di soggettività impositiva della SPV, attività ex se statica di mera detenzione di asset senza interferenza nella gestione delle società controllate. Un possesso statico di assets strategico non accessorio e funzionale ad altre eventuali attività esercitate dalla target, causa madre del disconoscimento delle detrazioni IVA sulle other fee (fatturate non in regime di esenzione), verificata l’equiparazione de facto della SPV ad un consumatore privato (il diritto alla detrazione dell’imposta è eziologicamente connaturato alla qualificazione dell’operatore come soggetto passivo d’imposta). Invero, vedremo diffusamente oltre che nella circolare n. 6/E/2016 l’Agenzia delle entrate “apre” su questo profilo di fiscalità indiretta controverso delle LBO nella misura in cui consolida e riconosce quelle detrazioni IVA, laddove la SPV sia “vitale” effettivamente servente un’operazione di LBO funzionale alla sua realizzazione, un ruolo dinamico e non statico di mero detentore delle partecipazioni.
Gli oneri finanziari, per effetto del debt push down, sull’indebitamento servente il deal vengono traslati sulla target attraverso l’opzione per il consolidato fiscale, ved. gli artt. 117 e segg. del TUIR, o in alternativa sulla società incorporante che ha inglobato la target company (il contrario nella fusione inversa). Vedremo che la circolare n. 6/E contiene un’importante “apertura” sulla compensazione intrasoggettiva degli oneri finanziari nell’ambito della fusione, verificato il verosimile superamento (interpello probatorio) delle ben note disposizioni antielusive analitiche, ved. art. 172, comma 7, del TUIR (limiti alla riportabilità degli interessi in fusioni/scissioni), attraverso il profilo dimostrativo della genuinità nella società veicolo, special purpose vehicle SPV. Difatti, quest’ultima è vitale, svolgendo funzioni strumentali alla realizzazione dell’operazione di MLBO, con il portato che potranno trovare accoglimento le istanze di disapplicazione della disposizione di cui all’art. 172, comma 7, del TUIR. Per tale via endoprocedimentale gli oneri finanziari post fusione rigenerano, restando attratti nella norma sistemica sulla tassazione endosocietaria dell’art. 96 del TUIR ed essendo dedotti quasi integralmente (con il limite forfetario del ROL). Il contribuente, per ottenere questa rigenerazione delle posizioni soggettive (riportabilità interessi e perdite fiscali ante fusione) aliunde precluse dall’art. 172, deve interpellare l’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 11, comma 2, della legge n. 212/2000, e dimostrare che tali effetti elusivi nella fattispecie de qua non possono verificarsi, ved. la “vitalità” del veicolo dedicato, ovvero servente l’operazione di MLBO (non vi è un recupero artificioso di queste posizioni soggettive). Pertanto il veicolo SPV incorporante potrà continuare a dedurre tel quel gli oneri finanziari sull’indebitamento a servizio del deal, dimostrando nell’ambito della procedura de qua che il mancato superamento degli indici di vitalità di cui all’art. 172, comma 7, del TUIR, è dovuto a fattori meramente contingenti, endogeni in linea con il core dell’operazione o ancora, come meglio riassunto nella circolare n. 6/E, sarà sufficiente dimostrare che la SPV svolge funzioni strumentali alla realizzazione dell’operazione. Sulle detrazioni IVA delle fee addebitate alla SPV, laddove le stesse non rientrino nell’alternativo regime esentativo di cui all’art. 10 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, la circolare n. 6/E opera una ricognizione della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea sulla soggettività impositiva della SPV. Si vuole dire che la mera detenzione dell’asset non oblitera il prefato presupposto soggettivo, laddove la SPV si limita ad una gestione statica dell’asset medesimo senza interferenza e ingerenza nella gestione delle proprie controllate. La norma nazionale, ved. art. 4, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972, mutua queste raccomandazioni sovraordinate nella misura in cui assimila la società de qua al consumatore privato, con indetraibilità dell’imposta a monte, quando non esistono i presupposti per essere considerati soggetti passivi di imposta. Dunque l’IVA gravante sulle other fee sarà indetraibile per la SPV mera detentrice delle partecipazioni totalitarie. Anche laddove dovesse essere riconosciuta la soggettività impositiva della SPV (gestione dinamica virtuosa degli assets) la detrazione sarebbe ugualmente preclusa, per difetto di inerenza, limitatamente alla parte di other fees riferibile ad un servizio reso nell’esclusivo interesse del fondo e dei relativi investitori e non nei confronti della SPV cui formalmente viene imputata la commissione medesima, ved. par. 3.1 della solita circolare n. 6/E. Alle stesse conclusioni si perviene anche ai fini delle imposte sui redditi, per le other fee prive di correlazione alcuna con i benefici ritratti dalle prestazioni medesime. È evidente che superata l’inerenza, il costo se sostenuto a favore di un non residente dovrà superare il filtro di inerenza “quantitativa” di cui all’art. 109, comma 5, del TUIR. Il riferimento è alla congruità del corrispettivo addebitato da entità non residenti, ved. private equity firm, verificato il controllo di fatto che queste operano nei confronti della SPV (transfer pricing).
Ancora la verosimile extraterritorialità dell’operazione di LBO che vede coinvolti investitori e finanziatori esteri pone tematiche di tassazione in “uscita” sui flussi reddituali (dividendi, capital gains derivanti dall’exit dell’operazione di investimento ed interessi). Il riferimento è all’applicazione di regimi di esonero, ved. “Direttiva 2003/49/CE interessi e canoni” (anche di origine convenzionale) sui flussi finanziari – recte, reddituali – dall’Italia verso l’estero o estero su estero, nella loro verticalizzazione infragruppo, combinando l’utilizzo di disposizioni di origine comunitaria e/o convenzionale. In questo “scorrimento” dei flussi reddituali attraverso livelli intermedi emergono problemi di interposizione, di credito “passante” ovvero società conduit, di mancata corrispondenza tra la forma giuridica dell’operazione e la sua sostanza economica (non conformità) di abuso delle forme endosocietarie (interposizione nelle costruzioni di puro artificio), di mancata imposizione della tassazione nello Stato (il nostro) fonte dell’exit dall’investimento, ved. art. 23, comma 1, lett. f), del TUIR, di invocati regimi di esonero da ritenute sui dividendi (azzerate) in uscita dall’Italia, ved. gli artt. 27 e 27-bis del D.P.R. n. 600/1973.

Avv. Fabio Ciani
Università Roma Tre

(1) In Boll. Trib., 2016, 616.
(2) Sulla destrutturazione dell’operazione di LBO ovvero sulla neutralizzazione dei benefit fiscali, interessi e perdite fiscali da riversare nel consolidato fiscale o in compensazione intrasoggettiva ovvero per fusione, ved. ANTONINI – DI DIO, Legittimità fiscale delle operazioni di merger leveraged buyout per modifica dell’assetto proprietario, in Corr. trib., 2016, 1091 ss., i quali osservano che l’operazione di cui trattasi è spesso guardata con diffidenza dall’Amministrazione finanziaria che la considera tendenzialmente volta a conseguire (quando non una vera e propria macchinazione elusiva) quantomeno un risparmio fiscale (c.d. fiscal buyout). In particolare le contestazioni nel tempo formalizzate dall’Agenzia delle entrate sono state per la gran parte focalizzate su un’asserita indeducibilità degli interessi passivi, sia dedotti post fusione (direttamente dalla società risultante da tale operazione straordinaria) sia ante fusione (in presenza di consolidato fiscale tra la società veicolo e la società target). Molteplici le argomentazioni impiegate, qui di seguito le più frequenti: 1) indeducibilità degli interessi passivi è stata talvolta sostenuta per carenza del requisito d’inerenza; 2) l’indeducibilità dei predetti interessi passivi è stata fondata ipotizzando l’elusività – o più in generale l’abuso del diritto – in caso di realizzazione dell’operazione di merger leveraged buyout; 3) è stata ipotizzata la necessità che a fronte del sostenimento del costo rappresentato dagli interessi passivi la società veicolo italiana debba registrare un ricavo pari al costo dell’indebitamento a titolo di corrispettivo per un ipotetico servizio reso a favore della controllante non residente (consistente, ad esempio, nell’effettuazione della raccolta fondi per realizzare l’operazione di acquisizione).
(3) Sulla deducibilità degli oneri finanziari post incorporazione della società target, ovvero sulla possibilità di travasare sulla società de qua questo esubero di interessi maturati sull’indebitamento d’acquisizione e sulla disapplicazione della norma antielusiva analitica di cui all’art. 172, comma 7, del TUIR, ved. ROSSI – PRIVITERA, Riporto di perdite fiscali e interessi passivi nelle fusioni alla luce del nuovo abuso di diritto, in Corr. trib., 2016, 731 ss., i quali osservano che disposizioni antielusive previste dal sopracitato art. 172 preordinate a contrastare il c.d. “commercio delle bare fiscali”, vale a dire società, prive di capacità produttiva, la cui unica dote è rappresentata proprio dalle perdite fiscali e/o dalle eccedenze di interessi passivi che la società risultante dalla fusione, a seguito dell’integrazione, può utilizzare al fine di abbattere i propri eventuali redditi imponibili futuri, per effetto delle modifiche introdotte nell’ordinamento tributario nazionale dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156: la disposizione recata dal medesimo art. 1, comma 3, del D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, attualmente prevede che, al fine di ottenere la disapplicazione di disposizioni limitative di deduzioni detrazioni, crediti d’imposta o altra posizione soggettiva, il contribuente interpella l’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 11, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (come modificato dall’art. 1 del medesimo decreto n. 156); più in particolare la norma da ultimo richiamata per quanto qui interessa prevede che il contribuente interpelli l’Amministrazione finanziaria per la disapplicazione di norme tributarie che allo scopo di contrastare comportamenti elusivi limitano la deduzione, detrazione, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse dall’ordinamento, fornendo la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non possono verificarsi (cfr. art. 7, comma 14, del D.Lgs. n. 156/2015), al fine di disapplicare le disposizioni elusive contenute nell’art. 172, comma 7, del TUIR, il contribuente interpella l’Amministrazione ai sensi del predetto art. 11, comma 2, della legge n. 212/2000.
(4) Ved. Corte Giust. CEE, sez. grande, 12 settembre 2006, causa C-196/04, in Boll. Trib. On-line.

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