11 Novembre, 2016

SOMMARIO: 1. PREMESSA – 2. L’ONERE DELLA PROVA – 3. L’ESENZIONE DELLE ATTIVITÀ DIVERSE DA QUELLE DI CULTO: L’ORIENTAMENTO DELLA CORTE EUROPEA IN TEMA DI AIUTI DI STATO – 4. L’ESENZIONE (AI FINI IRES E AI FINI ICI) DELLE ATTIVITÀ DIVERSE DA QUELLE DI CULTO SECONDO LA GIURISPRUDENZA NAZIONALE; 4.1 Attività di accoglienza e ricettive; 4.2 Attività sanitarie; 4.3 Attività di istruzione – 5. L’ESENZIONE (AI FINI ICI) DEGLI IMMOBILI DESTINATI ALL’ATTIVITÀ DI CULTO ED ALLE LORO PERTINENZE; 5.1. Attività di culto; 5.2. Pertinenze – 6. ATTIVITÀ SVOLTA DA SOGGETTO DIVERSO DALL’ENTE ECCLESIASTICO.

1. PREMESSA

Gli enti ecclesiastici (attualmente, in Italia, circa 30 mila) godono, nei confronti della tassazione imposta dallo Stato, di trattamenti particolari ed agevolativi sia in riferimento alle imposte dirette sia in relazione alla tassazione del patrimonio immobiliare che ad altre imposte minori, come l’imposta sulle pubblicità e sull’occupazione del suolo pubblico.
Evidenti i motivi che hanno nel tempo indotto il legislatore a concedere all’ente ecclesiastico, così come pure ad altri enti ritenuti meritevoli di tutela (Onlus, associazioni con particolari finalità ecc.) tali agevolazioni, utilizzando il sistema impositivo non solo per finalità di gettito ma altresì per scopi extra fiscali, introducendo una sorta di regime “premiale” per il soggetto che svolge determinate attività considerate lodevoli dall’ordinamento.
Importante, a mio parere, è proprio questa considerazione: l’esenzione o l’agevolazione non è un beneficio soggettivo che spetta all’ente “di diritto”, ma è un beneficio concesso all’ente che esercita determinate attività considerate, come testé precisato, di utilità sociale e di conseguenza meritevoli e degne di tutela.
Nello stesso senso, già con una risalente sentenza i Giudici della Corte di Cassazione hanno affermato che, per poter usufruire dell’esenzione ICI «occorre … che si verifichino contemporaneamente entrambe le condizioni, quella soggettiva dell’appartenenza dell’immobile ad uno dei soggetti di cui all’art. 87 comma 1 lettera c) del TUIR, e quella oggettiva della destinazione esclusiva dell’immobile allo svolgimento di una delle attività – ritenute dal legislatore meritevoli di un trattamento fiscale di favore – elencate nella lettera i) dell’art. 7, e, tra esse, una di quelle previste nella lettera a) dell’art. 16 della legge 222 del 1985» (1).
Mentre nel caso di enti di tipo privato l’agevolazione spetta previo riconoscimento civile da parte dell’Autorità pubblica, per gli enti ecclesiastici soccorre una sorta di “equiparazione concordataria” (2), ma ciò non esclude che anche questi enti possano – o meglio, debbano – nel caso di svolgimento di attività con finalità commerciali, essere chiamati a corrispondere le imposte che gravano sui proventi percepiti, o le imposte patrimoniali legate agli immobili all’interno dei quali tali attività, di natura o con finalità commerciali, sono svolte.
La legge 20 maggio 1985, n. 222 (3), descrive le attività che l’ente ecclesiastico può esercitare, suddividendole in due categorie: da un lato le attività di culto dirette e, dall’altro lato, le attività diverse, previste rispettivamente dalla lett. a) e dalla lett. b) dell’art. 16.
Nella prima categoria (attività di culto dirette) rientrano l’esercizio di culto, la formazione del clero, la catechesi, la cura delle anime, la missione e l’educazione cristiana; nella seconda categoria (attività diverse) rientrano l’attività di assistenza, di istruzione, le attività culturali e le attività ricettive e ricreative.
Mentre le attività di culto dirette non sono mai qualificabili come commerciali, perché, mutuando un importante cardine posto dalla giurisprudenza della Corte europea (che sarà sinteticamente illustrato in seguito) non si pongono mai su un piano di concorrenza sul mercato, le altre attività potrebbero anche essere svolte con caratteristiche proprie di un’attività commerciale “pura”.
L’attività di assistenza può realizzarsi con la prestazione di servizi nelle case di riposo, nelle mense per i poveri o nelle case di accoglienza e di recupero; l’attività di istruzione con la fondazione di scuole; le altre attività possono essere realizzate tramite l’offerta di spettacoli teatrali, di eventi culturali, di alloggio in case per ferie od ostelli per la gioventù, o nell’organizzazione di corsi sportivi: risulta evidente che l’agevolazione fiscale spetta all’ente se ed in quanto l’esercizio di queste attività venga svolto secondo determinati criteri di fatto non sovrapponibili a criteri puramente economici e commerciali, indipendentemente dalle finalità o dagli scopi meritevoli che sottostanno allo svolgimento delle attività stesse.
Così, ad esempio, se è vero che lo Stato tutela l’attività di accoglienza e l’offerta di soggiorno svolta dall’ente ecclesiastico tramite case per ferie o per pellegrini, si può dubitare che debba essere esente un’attività di tipo alberghiero svolta con tutte le caratteristiche proprie di un’attività commerciale, e, nello stesso senso, evidentemente, diversa è l’attività di vendita a prezzo simbolico di pubblicazioni a carattere religioso all’interno della chiesa rispetto alla medesima attività di vendita di libri svolta però in un negozio organizzato come una tipica libreria.
In diverse occasioni la Corte di Cassazione ha confermato che «un ente ecclesiastico può svolgere liberamente – nel rispetto delle leggi dello Stato – anche un’attività di carattere commerciale, ma non per questo si modifica la natura dell’attività stessa e, soprattutto, le norme applicabili al suo svolgimento rimangono – anche agli effetti tributari – quelle previste per le attività commerciali, senza che rilevi che l’ente la svolga, oppure no, in via esclusiva o prevalente» (4).
In caso di eventuali controversie tra la pubblica Amministrazione (Agenzie delle entrate o Comuni) e gli enti ecclesiastici, il compito cui è chiamato il giudice tributario è proprio quello di tracciare la sottile linea di confine tra l’attività che può considerarsi in regime agevolativo e l’attività che invece si ritiene di dover tassare in maniera ordinaria per le sue intrinseche modalità di esecuzione.
Scopo del presente lavoro è quello di offrire, anche a supporto dell’attività dei difensori e dei giudici, una rassegna della giurisprudenza, con particolare interesse per le decisioni in tema di imposte sul patrimonio immobiliare.

2. L’ONERE DELLA PROVA

Trattandosi di questione da risolversi nell’ambito di un processo, la prima domanda che dobbiamo porci concerne l’onere della prova, ossia, detto in termini molto semplici “chi deve dimostrare che cosa?”
Secondo un chiaro orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, ribadito da ultimo con la recente sentenza 29 aprile 2015, n. 8649 (5), la norma di esenzione è norma agevolativa e, quindi, incombe sul contribuente l’onere di dimostrare la concreta sussistenza dei requisiti per godere dell’esenzione stessa: secondo i Supremi Giudici, infatti, «la prova della sussistenza del requisito oggettivo spetta al soggetto che pretende l’applicazione dell’esenzione, secondo quanto già riconosciuto da questa Corte: “La sussistenza del requisito oggettivo – che in base ai principi generali è onere del contribuente dimostrare – non può essere desunta esclusivamente sulla base di documenti che attestino a priori il tipo di attività cui l’immobile è destinato, occorrendo invece verificare che tale attività, pur rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con le modalità di un’attività commerciale” (Cass. n. 5845 del 2008; sull’onere della prova gravante sul contribuente v. anche Cass. n. 27165 del 2011)».
Anche per tutte le controversie in tema di ICI, IMU, imposta sulla pubblicità, e via dicendo, dovrebbe quindi gravare sull’ente l’onere della prova: in tal senso, si sono pronunciate sia la Commissione tributaria regionale della Liguria (6) in tema di ICI nonché la Commissione tributaria regionale dell’Umbria (7), anch’essa ai fini ICI, la quale peraltro, in relazione all’attività svolta da una “casa vacanze” gestita da un Istituto religioso di Assisi, ha precisato che è l’ente che deve dimostrare oggettivamente ed inconfutabilmente con fatti e documentazione certa che l’attività è destinata esclusivamente ai fini di accoglienza di gruppi di pellegrini o di altri soggetti per incontri di preghiera.
In senso diametralmente opposto la Commissione tributaria provinciale di Rieti (8) che, sempre sul tema di una “casa vacanze” gestita dal Pontificio Collegio Armeno (ente ecclesiastico non commerciale) ha stabilito invece che è il Comune – che lamenta il pagamento dell’ICI – sul quale incombe la prova della commercialità dell’attività svolta.
Nel caso, invece, di controversia relativa al diverso regime tributario adottato nei confronti di alcune entrate dell’ente no profit ai fini dell’IRES, l’impostazione potrebbe essere opposta.
Si pensi, ad esempio, alla diversa qualificazione di un’entrata nelle casse di un ente ecclesiastico: questa, se considerata offerta da parte di un fedele rientra nell’alveo delle attività di culto e di conseguenza è irrilevante ai fini fiscali, mentre, se considerata corrispettivo per l’utilizzo di un servizio, rientra nelle componenti – anche occasionali – reddituali. L’ipotesi non è astratta, ma ad esempio potrebbe verificarsi nei casi di concessione a titolo gratuito di una o più sale parrocchiali per attività di un singolo (per feste, riunioni condominiali, esposizione di quadri e quant’altro) e di contestuale dazione di una somma alla parrocchia da parte del soggetto utilizzatore sotto le spoglie di una “offerta” volontaria.
In queste ipotesi, se l’Agenzia volesse contestare la natura dell’offerta considerandola quale corrispettivo per l’utilizzo delle sale, non trattandosi di lite relativa ad un’esenzione in senso tecnico ma di una ricognizione sul corretto regime impositivo di una entrata, l’onere della prova dovrebbe gravare sull’Ufficio finanziario e non sull’ente, cui solo spetterebbe l’onere di contrastare le affermazioni della parte pubblica.
Sul tema invero non si conoscono precedenti della giurisprudenza o del giudice di legittimità.

3. L’ESENZIONE DELLE ATTIVITÀ DIVERSE DA QUELLE DI CULTO: L’ORIENTAMENTO DELLA CORTE EUROPEA IN TEMA DI AIUTI DI STATO

L’esenzione da ICI per i locali ove l’ente ecclesiastico o no profit svolge attività diverse da quelle di culto, è stata oggetto di “verifica” da parte della Comunità europea che, con la decisione C(2012) 9461 del 19 dicembre 2012 della Commissione europea (9), ha valutato la incompatibilità tra il divieto di aiuti di Stato e tale esenzione prevista per i locali dove vengono svolte attività di natura commerciale.
Ai sensi dell’art. 107, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) del 26 ottobre 2012, C-326/49, «sono incompatibili con il mercato comune nella misura in cui incidano sugli scambi tra gli Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati ovvero mediante risorse statali sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza».
Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (10), per qualificare una misura nazionale come aiuto di Stato non è necessario dimostrare un’incidenza effettiva di tale aiuto sugli scambi tra Stati membri né un’effettiva distorsione della concorrenza, ma è sufficiente esaminare se l’aiuto sia idoneo ad incidere su tali scambi e se sia idoneo a falsare la concorrenza, per il tramite di uno sgravio di costi (in capo ad un impresa) cui questa avrebbe normalmente dovuto far fronte nell’ambito di una gestione ordinaria e non facilitata (11).
Per verificare la realizzazione di un aiuto di Stato, è necessario valutare la sussistenza – cumulativa – di quattro elementi, secondo il criterio c.d. “VIST”: vantaggio, incidenza, selettività, trasferimento (12).
In pratica, devono ricorrere cumulativamente i suddetti requisiti:
(V-vantaggio) deve trattarsi di vantaggi economici concessi ad un beneficiario mediante erogazione senza contropartita di risorse statali – sovvenzioni – oppure tramite la rinuncia ad entrate – esoneri o agevolazioni fiscali;
(I-incidenza) il vantaggio assicurato ad un’impresa deve provocare un pregiudizio alle imprese concorrenti che sopportano costi invece evitati alla prima;
(S-selettività) le misure adottate non devono rappresentare strumenti di politica economica generale per il miglior sviluppo del sistema, ma misure specifiche rivolte solo a determinati settori;
(T-trasferimento) le misure devono consistere in trasferimenti di risorse pubbliche, concesse dallo Stato membro.
Ove ricorrano detti requisiti, la misura sarà da considerarsi incompatibile con la norma europea che, appunto, vieta la concessione di aiuti di Stato con effetti discorsivi sulla concorrenza (13).
La Corte di Giustizia UE ha più volte ribadito (14) l’irrilevanza dello scopo che sottende alla misura agevolativa e, quindi, il fine sociale del provvedimento, poiché l’unico elemento che caratterizza l’aiuto di Stato illegittimo è costituito dall’effetto da esso prodotto in capo al beneficiario che, in ragione dell’intervento statale, consegue un rafforzamento della propria posizione sul mercato, risultando falsata, in termini effettivi o potenziali, la concorrenza con le altre imprese.
Nella fattispecie dell’esenzione da ICI concessa dallo Stato italiano nei confronti degli enti ecclesiastici, la Commissione europea (15), nella decisione sopra citata, al punto 134 osserva che «perlomeno alcuni dei settori che hanno beneficiato dell’esenzione ICI, quali i servizi ricettivi e sanitari, erano e sono effettivamente aperti alla concorrenza ed agli scambi all’interno dell’Unione» sottolineando che l’esenzione «apporta un vantaggio in termini di finanziamento delle attività svolte dagli enti interessati, sgravandoli di costi che avrebbe dovuto normalmente sostenere».
Alla luce di quanto sopra la Commissione europea ha concluso che l’esenzione ICI in esame è atta ad incidere sugli scambi tra Stati e a falsare la concorrenza ai sensi del citato art. 107 del Trattato e, pertanto, ha considerato illegittima (16) la medesima, e il regime fiscale connesso incompatibile con il mercato europeo (17).
La decisione della Commissione europea, ovviamente, non potrà non essere tenuta in considerazione dal giudice interno, chiamato a valutare le eventuali controversie tra Comuni ed enti ecclesiastici.

4. L’ESENZIONE (AI FINI IRES E AI FINI ICI) DELLE ATTIVITÀ DIVERSE DA QUELLE DI CULTO SECONDO LA GIURISPRUDENZA NAZIONALE

Come anticipato, per valutare o meno la spettanza dell’esenzione dalle imposte – dirette o sul patrimonio immobiliare – il giudice di merito deve svolgere un’attenta analisi sul concetto di attività commerciale ed economica, considerando altresì i principi emersi in ambito europeo.
Nei seguenti paragrafi viene offerta una rassegna delle pronunce dei giudici nazionali in relazione alle attività diverse da quelle di culto svolte dagli enti ecclesiastici.

4.1 Attività di accoglienza e ricettive

Gli elementi maggiormente tenuti in considerazione dalle Commissioni tributarie sono da un lato le finalità sociali delle case di accoglienza destinate ad un pubblico con particolari situazioni di disagio o di difficoltà, e la destinazione della casa come luogo di preghiera o di sosta per i pellegrini (elementi a favore dell’esenzione) mentre, dall’altro, la presenza di quote di pagamento analoghe a quelle praticate da strutture alberghiere similari e l’accoglimento di un pubblico indistinto (elementi a sfavore).
Così, hanno deciso per la non concessione dell’esenzione ICI
– la Commissione tributaria regionale della Liguria (18) nella controversia relativa all’attività ricettiva di un Seminario Vescovile che offriva i propri servizi all’interno di un compendio immobiliare in Varazze ad un pubblico indistinto ed utilizzando attività di promozione e propaganda su internet;
– la Commissione tributaria regionale dell’Umbria (19) nella controversia relativa ad una struttura di Assisi con 150 posti letto, che accoglieva gruppi indistinti, con all’interno un ristorante e con angolo per vendita accessori per turisti (quali le mappe della città) senza riferimenti religiosi;
– la Commissione tributaria provinciale di Torino (20) che ha considerato turistica e di conseguenza commerciale l’attività sulla scorta del diverso prezzo applicato in alta o in bassa stagione, e la Commissione tributaria di II grado di Trento (21).
Hanno, al contrario, deciso per la conferma dell’esenzione ICI la Commissione tributaria regionale del Lazio che, in una pronuncia (22), ha assunto quale elemento discriminante la retta giornaliera modesta e inferiore a quella di mercato, mentre in un’altra sentenza (23) ha enfatizzato l’arricchimento o il mancato arricchimento dell’ente.

4.2 Attività sanitarie

Anche al fine del riconoscimento dell’attività sanitaria svolta con soli scopi di cura e di assistenza (esente) o con scopi anche di natura commerciale (non esente) i principali elementi presi in considerazione sono quello dell’entità del corrispettivo richiesto al paziente o al degente e quello relativo all’organizzazione della struttura.
La Commissione tributaria regionale della Liguria (24) e la Commissione tributaria provinciale di Pavia (25) hanno sottolineato l’importanza della valutazione dell’entità della retta richiesta agli ospiti; sempre la Commissione tributaria provinciale di Pavia in un’altra pronuncia (26) ha considerato esente l’attività sanitaria ed anche quella di ristorazione offerta a prezzi calmierati per i degenti di un ospedale convenzionato con la ASL.
Interessante una sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia (27) che – in tema di imposte dirette – ha negato l’esenzione a tre note strutture sanitarie lombarde sulla base della comprovata e articolata organizzazione e sui rilevanti interessi economici correlati all’attività sanitaria svolta.
L’ente ecclesiastico che gestiva le strutture, a sua difesa, aveva sottolineato il rapporto di strumentalità diretta ed immediata con il proprio fine istituzionale di praticare l’assistenza corporale e spirituale degli infermi, ma la tesi è stata respinta dai giudici lombardi che hanno precisato che non poteva ritenersi strumentale al fine perseguito «un’attività volta al procacciamento di mezzi economici da impiegare in un’ulteriore attività, fosse anche quest’ultima direttamente finalizzata al culto o alla religione».
Tale pronuncia è stata confermata in sede di legittimità dalla Corte di Cassazione (28) che ha ribadito che l’attività economica svolta dalle tre case di cura non poteva essere considerata esente da imposizione in quanto l’attività commerciale di gestione delle predette svolta dall’Ente ecclesiastico non fosse in rapporto di strumentalità diretta con il fine di religione e culto.
Sempre in tema di attività sanitaria, la Corte di Cassazione ha di recente negato il diritto all’esenzione ICI a un istituto religioso che gestisce una struttura di ricovero per malati di mente; con la sentenza n. 8649/2015 (29), infatti, i Supremi Giudici hanno ribadito che la sussistenza del requisito oggettivo (presupposto per l’esenzione) deve essere accertata in concreto, verificando che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità tipiche di un’attività commerciale. Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha negato il diritto all’esenzione poiché è stato accertato che l’ente religioso percepiva corrispettivi sia per le attività svolte nel quadro del Servizio Sanitario Nazionale, sia per le attività svolte (anch’esse presenti) al di fuori di tale contesto.

4.3 Attività di istruzione

Anche il tema dell’esenzione ICI per le scuole cattoliche paritarie è stato – ed è tutt’ora – molto dibattuto. Si segnala la recente sentenza 8 luglio 2015, n. 14225 della Corte di Cassazione (30) che prende le mosse da un accertamento ICI emesso dal comune di Livorno nei confronti di un istituto scolastico cattolico.
I Supremi Giudici, richiamando anche la disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato di cui abbiamo già riferito, hanno confermato, dapprima, che spetta al soggetto che pretende l’applicazione dell’esenzione fornire la prova che possiede i requisiti oggettivi e, in secondo luogo, ha offerto delle precise “linee guida” volte all’identificazione del requisito della commercialità.
Innanzi tutto i Supremi Giudici hanno ribadito che la sussistenza del requisito oggettivo non può essere desunta solo sulla base di documenti che attestano a priori il tipo di attività cui è destinato l’immobile, ma che è necessario ed indispensabile verificare, in concreto, le modalità di svolgimento dell’attività, ed anche che non rileva e non deve rilevare il fatto che la gestione operi in perdita e nemmeno che l’ente si proponga finalità diverse dalla produzione di reddito (31).
Secondo la Suprema Corte si deve riconoscere «il carattere imprenditoriale all’attività economica organizzata che sia ricollegabile ad un dato obiettivo inerente all’attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro … per integrare il fine di lucro è sufficiente l’idoneità, almeno tendenziale, dei ricavi a perseguire il pareggio di bilancio; né ad escludere tale finalità è sufficiente la qualità di congregazione religiosa dell’ente».
I giudici di legittimità hanno pertanto concluso escludendo l’esenzione per tale scuola paritaria anche sulla scorta dell’elemento di merito (emerso nei precedenti gradi di giudizio), del pagamento della retta di iscrizione alla scuola da parte degli utenti, elemento considerato caratteristico dell’attività commerciale, affermando che può considerarsi «escluso il … carattere imprenditoriale dell’attività nel caso in cui essa sia svolta in modo del tutto gratuito dato che non può essere considerata imprenditoriale l’erogazione gratuita dei beni o servizi prodotti».
Analogamente, con una precedente decisione (32) i Supremi Giudici hanno ritenuto di escludere dall’esenzione ICI i locali adibiti da parte di un ente morale a scuola materna poiché nel corso del giudizio di merito non era stata raggiunta la prova che l’attività venisse svolta in favore di soggetti non abbienti «o la destinazione dei ricavi eccedenti i costi ad attività assistenziali direttamente o indirettamente svolte».
Anche i giudici di merito hanno spesso valutato l’esenzione ICI per gli immobili destinati a edifici scolastici, in rapporto alla quantificazione della retta scolastica pagata.
La Commissione tributaria regionale della Toscana (33), per esempio, ha confermato l’esenzione sulla base del fatto che l’entità della quota di iscrizione alla scuola risultava necessaria e sufficiente solo per la copertura delle spese, e la Commissione tributaria regionale della Lombardia (34) ha confermato l’esenzione per un asilo con educatori solo religiosi che riceveva contributi esterni dal Comune per sostenere le spese.
Sulla base dello stesso principio, ha deciso in senso opposto la Commissione tributaria regionale della Sardegna (35) che ha considerato la presenza di una retta di iscrizione non simbolica ma pari a quelle “di mercato” come chiaro indice della natura oggettivamente commerciale dell’attività svolta.

5. L’ESENZIONE (AI FINI ICI) DEGLI IMMOBILI DESTINATI ALL’ATTIVITÀ DI CULTO ED ALLE LORO PERTINENZE

5.1. Attività di culto

Come evidenziato nella premessa, l’art. 16, lett. a), della legge 20 maggio 1985, n. 222, individua le attività di culto dirette, ossia l’esercizio di culto, la formazione del clero, la catechesi, la cura delle anime, la missione e l’educazione cristiana.
L’ordinamento considera irrilevanti tali attività ai fini delle imposte dirette, e anche ai fini ICI ed IMU sono considerati esenti gli immobili destinati all’esercizio del culto così inteso.
Sul tema dell’individuazione di detti immobili, alcune Commissioni tributarie hanno fatto esclusivamente riferimento solo alla classificazione catastale, mentre altre hanno valutato sia la classificazione catastale che l’effettivo utilizzo per le attività di culto.
Nel primo senso la Commissione tributaria provinciale di Firenze (36) ha considerato esente una chiesa sconsacrata (ove evidentemente non veniva svolta alcuna attività di culto) perché rientrante nella categoria catastale B/7 – cappelle.
Hanno dato rilievo e importanza all’attività concretamente svolta negli immobili la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna (37) che ha concesso l’esenzione per il convitto (categoria B/1) utilizzato per attività destinata alla cura delle anime come pure la Commissione tributaria provinciale di Verbania (38) che però ha negato l’esenzione per il convitto (B/1) da anni non utilizzato dalle suore per alcuna attività.
Interessante sul tema una sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia (39) che ha sottolineato l’irrilevanza della classificazione catastale di fronte all’effettivo utilizzo dell’attività, considerando edificio di culto (quindi esente da ICI) un’unità immobiliare classificata come D/1 (opificio) ma destinata a moschea nella quale però veniva svolta, come dimostrato da fotografie e altra documentazione versata nel giudizio di merito, attività di culto della religione islamica.
Si segnala un contrasto nella giurisprudenza di merito anche in relazione all’esenzione degli immobili di residenza del Vescovo: secondo la Commissione tributaria provinciale di Chieti (40), mancando lo svolgimento di attività religiosa nell’immobile lo stesso non dovrebbe essere esentato da ICI, mentre, secondo la Commissione tributaria regionale della Toscana (41) l’esenzione spetterebbe comunque perché la residenza del Vescovo deve essere considerata quale sede della Diocesi e di conseguenza destinata all’attività di religione della Chiesa.
L’orientamento che prevede l’esenzione dell’immobile di residenza del Vescovo perché sede istituzionale della Diocesi è stato poi confermato dalla Corte di Cassazione la quale, con la sentenza n. 6316/2005 (42) che ha riformato la pronuncia della citata Commissione tributaria provinciale abruzzese, ha espressamente affermato che l’edificio in cui risiede il Vescovo, ancorché si tratti di immobile non avente finalità dirette di culto, deve comunque ritenersi esente dall’ICI in quanto tale residenza non ha finalità private, essendo collegata allo svolgimento delle funzioni pastorali.

5.2. Pertinenze

La norma considera esenti non solo gli immobili destinati all’esercizio del culto, ma anche le loro pertinenze: il legislatore tributario non offre una specifica definizione di pertinenza ed è, pertanto, necessario riferirsi alla previsione dell’art. 817 c.c., che individua la pertinenza come «la cosa destinata in modo durevole a servizio di un’altra cosa».
Anche in relazione a questo tema la giurisprudenza più significativa si discosta da una semplice valutazione catastale, considerando invece la situazione effettiva della destinazione di un locale al servizio di quello ove si svolge l’attività di culto diretta.
Così la Commissione tributaria regionale della Liguria (43) ha ritenuto esente l’abitazione del parroco sulla base di bollette delle utenze e di fotografie portate a dimostrazione delle attività complementari svolte all’interno dell’immobile stesso e la Commissione tributaria regionale della Lombardia (44) ha deciso nello stesso senso considerando l’abitazione anche sede dell’ufficio parrocchiale.
La Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna (45) ha confermato l’esenzione dell’immobile – accatastato come magazzino – cui un decreto arcivescovile aveva attribuito il vincolo di destinazione con la chiesa, non sulla base di tale destinazione, ma solo a seguito della prova fornita dal parroco che in detto magazzino conservava gli archivi della parrocchia (registri battesimi, matrimoni, ecc.).
Ha concesso l’esenzione sulla base dell’utilizzo effettivo da parte del parroco la Commissione tributaria di I grado di Trento (46), mentre l’esenzione è stata negata dalla Commissione tributaria regionale della Sardegna (47) perché il parroco risiedeva in un immobile non adiacente alla chiesa nel quale non veniva svolta alcuna attività religiosa con i parrocchiani.

6. ATTIVITÀ SVOLTA DA SOGGETTO DIVERSO DALL’ENTE ECCLESIASTICO

Secondo il chiaro indirizzo della Corte di Cassazione (48) l’attività considerata meritevole di tutela (e quindi esente) deve essere svolta direttamente dall’ente ecclesiastico e non da un altro ente.
Non è prevista l’agevolazione per i beni locati anche se il provento della locazione viene poi destinato alle finalità istituzionali dell’ente, e nemmeno nel caso di beni concessi in comodato ad altri enti senza finalità di lucro che a loro volta svolgano attività non commerciali.
In linea con l’orientamento della Suprema Corte la Commissione tributaria provinciale di Genova (49), la Commissione tributaria regionale del Lazio (50), e la Commissione tributaria regionale dell’Umbria (51) che hanno affermato la spettanza dell’esenzione solo in caso di utilizzo diretto dell’immobile da parte dell’ente ecclesiastico proprietario.

Avv. Fabiola Del Torchio

(1) Cass., sez. trib., 8 marzo 2004, n. 4645, in Boll. Trib., 2005, 1512.
(2) A. LOVISOLO, Considerazioni in merito alle agevolazioni fiscali ai fini delle imposte dirette degli enti ecclesiastici, Relazione convegno AMT Liguria e AMT Lombardia, Milano 24 ottobre 2015.
(3) Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi.
(4) Cass. n. 4645/2004, cit.
(5) In Boll. Trib. On-line.
(6) Comm. trib. reg. della Liguria, sez. VII, 31 gennaio 2013, n. 22, in Boll. Trib. On-line.
(7) Comm. trib. reg. dell’Umbria, sez. III, 16 marzo 2012, n. 30, in Boll. Trib. On-line.
(8) Comm. trib. prov. di Rieti, sez. II, 26 gennaio 2012, n. 10, in Boll. Trib. On-line.
(9) Si tratta di una decisione assunta in sede europea a seguito di «numerose denunce [pervenute nel 2006] relative sostanzialmente a due regimi, concernenti rispettivamente l’esenzione dall’imposta comunale sugli immobili e la riduzione dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche e più precisamente: (a) l’esenzione dall’imposta comunale sugli immobili (in appresso “ICI”) per gli immobili utilizzati da enti non commerciali e destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive, nonché attività di religione e di culto (articolo 7, primo comma, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504), e (b) la riduzione alla metà dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche per gli enti elencati all’articolo 6 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, ossia principalmente enti di assistenza sociale, istituti di istruzione e di ricerca senza fine di lucro ed enti con fini di beneficenza ed istruzione (compresi gli enti ecclesiastici). Tale disposizione comprende anche gli istituti autonomi per le case popolari nonché le fondazioni e le associazioni aventi scopi esclusivamente culturali». Al termine della fase istruttoria (che ha visto numerosi interventi delle Autorità italiane nonché l’invio di osservazioni da parte di 80 Parrocchie sparse sul territorio nazionale) la Commissione europea ha adottato la seguente testuale decisione: «Articolo 1 – L’aiuto di Stato accordato sotto forma di esenzione dall’ICI, concesso a enti non commerciali che svolgevano negli immobili esclusivamente le attività elencate all’articolo 7, primo comma, lettera i), del decreto legislativo n. 504/92, illecitamente posto in essere dall’Italia in violazione dell’articolo 108, paragrafo 3, del trattato, è incompatibile con il mercato interno. Articolo 2 – L’articolo 149, quarto comma, del TUIR non costituisce un aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del trattato. Articolo 3 – L’esenzione dall’IMU, concessa ad enti non commerciali che svolgono negli immobili esclusivamente le attività elencate all’articolo 7, primo comma, lettera i), del decreto legislativo n. 504/92, non costituisce un aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del trattato. Articolo 4 – La Repubblica italiana è destinataria della presente decisione».
(10) Corte Giust. CE, sez. II, 15 dicembre 2005, causa C-148/04, Unicredito Italiano; Corte Giust. CE, sez. II, 10 gennaio 2006, causa C-222/04, Cassa di Risparmio di Firenze; Corte Giust. UE, sez. I, 8 settembre 2011, cause riunite da C-78/08 a C-80/08, Paint Graphos; Tribunale UE, sez. V, 27 settembre 2012, causa T-303/10, Wam Industriale spa/Commissione, tutte in Boll. Trib. On-line.
(11) Cfr. Corte Giust. CE, sez. I, 31 gennaio 2001, causa C-156/98, Germania/Commissione, in Boll. Trib. On-line.
(12) M. SCUFFI, Aiuti di Stato e misure fiscali: i contributi della giurisprudenza tributaria italiana, in Riv. dir. trib., 2012, 925, e ID., Gli sviluppi della giurisprudenza nazionale in materia di aiuti di Stato – Relazione al XXVIII Convegno di studio su Unione europea: concorrenza tra imprese e concorrenza tra Stati, Courmayeur, 19-20 settembre 2014.
(13) L’art. 107 del citato Trattato prevede delle deroghe al principio generale di divieto, come quelle relative alle misure adottate da uno Stato per rimediare a danni causati da calamità naturali (c.d. aiuti accidentali); altre deroghe sono rimesse alla valutazione discrezionale della Commissione, tra cui gli aiuti legati a particolari zone in difficoltà o particolari settori bisognevoli di sostegno (ad esempio i settori cantieristici navali o siderurgici oppure gli aiuti c.d. de minimis) o per gli aiuti destinati alla promozione della cultura e della conservazione del patrimonio.
(14) Corte Giust. CE, sez. V, 13 giugno 2002, causa C-382/99; Corte Giust. CE, sez. VI, 12 ottobre 2000, causa C-480/98, Megefesa; Corte Giust. CE 26 settembre 1996, causa C-241/94; Corte Giust. CE, sez. V, 29 febbraio 1996, causa C-56/93; Corte Giust. CEE 13 luglio 1988, causa C-102/87; Corte Giust. CEE, sez. VI, 24 febbraio 1987, causa C-310/85, Deufil; Corte Giust. CE 17 settembre 1980, causa C-730/79, Philip Morris; Corte Giust. CEE 2 luglio 1974, causa C-173/73, tutte in Boll. Trib. On-line.
(15) Decisione del 19 dicembre 2012.
(16) Al punto 199.
(17) Solo per problematiche procedurali, e alla luce delle particolari circostanze invocate dallo Stato italiano la Commissione europea – punto 200 – ha valutato di non disporre il recupero dell’aiuto, avendo l’Italia dimostrato l’impossibilità assoluta di darvi esecuzione.
(18) Comm. trib. reg. della Liguria, sez. V, 2 febbraio 2015, n. 152, in Boll. Trib. On-line.
(19) Comm. trib. reg. dell’Umbria, sez. IV, 20 marzo 2012, n. 47, in Boll. Trib. On-line.
(20) Comm. trib. prov. di Torino, sez. XVII, 5 marzo 2012, n. 18, in Boll. Trib. On-line.
(21) Comm. trib. di II grado di Trento, sez. II, 4 aprile 2013, n. 26, e Comm. trib. di II grado di Trento, sez. I, 1° dicembre 2014, n. 87, entrambe in Boll. Trib. On-line.
(22) Comm. trib. reg. del Lazio, sez. I, 14 marzo 2014, n. 1596, in Boll. Trib. On-line.
(23) Comm. trib. reg. del Lazio, sez. X, 1° febbraio 2011, n. 37, in Boll. Trib. On-line.
(24) Comm. trib. reg. della Liguria, sez. VIII, 7 novembre 2011, n. 20, in Boll. Trib. On-line.
(25) Comm. trib. prov. di Pavia, sez. III, 14 gennaio 2014, n. 17, in Boll. Trib. On-line.
(26). Comm. trib. prov. di Pavia, sez. III, 30 settembre 2013, n. 253, in Boll. Trib. On-line.
(27) Comm. trib. reg. della Lombardia, sez. XI, 17 giugno 2008, n. 65, in Boll. Trib. On-line.
(28) Cfr. Cass., sez. trib., 2 ottobre 2013, n. 22493, in Boll. Trib. On-line.
(29) Cfr. Cass., sez. trib., 29 aprile 2015, n. 8649, in Boll. Trib. On-line.
(30) In Boll. Trib. On-line.
(31) Nel caso specifico erano proprio la mancata finalità di lucro e la gestione chiusa in perdita gli elementi sulla cui base l’ente ecclesiastico pretendeva di considerare esente da ICI gli immobili ove veniva svolta l’attività scolastica.
(32) Cfr. Cass., sez. trib., 26 ottobre 2005, n. 20776, in Boll. Trib. On-line.
(33) Comm. trib. reg. della Toscana, sez. X, 23 ottobre 2012, n. 109, inedita.
(34) Comm. trib. reg. della Lombardia, sede staccata di Brescia, sez. LXIV, 31 luglio 2014, n. 4199, in Boll. Trib. On-line.
(35) Comm. trib. reg. della Sardegna, sez. I, 23 giugno 2015, n. 230, e Comm. trib. reg. della Sardegna, sez. I, 15 luglio 2015, n. 244, entrambe in Boll. Trib. On-line.
(36) Comm. trib. prov. di Firenze, sez. IX, 26 maggio 2011, n. 81, in Boll. Trib. On-line.
(37) Comm. trib. reg. dell’Emilia Romagna, sez. V, 15 dicembre 2008, n. 91, in Boll. Trib. On-line.
(38) Comm. trib. prov. di Verbania, sez. II, 28 giugno 2010, n. 41, in Boll. Trib. On-line.
(39) Comm. trib. reg. della Lombardia, sez. XIII, 28 dicembre 2012, n. 176, in Boll. Trib. On-line.
(40) Comm. trib. prov. di Chieti, sez. IV, n. 52/2001, inedita.
(41) Comm. trib. reg. della Toscana, sez. XXXV, 17 febbraio 2006, n. 94, in Boll. Trib. On-line.
(42) Cass., sez. trib., 23 marzo 2005, n. 6316, in Boll. Trib., 2006, 797.
(43) Comm. trib. reg. della Liguria, sez. VIII, 16 gennaio 2012, n. 19, in Boll. Trib. On-line.
(44) Comm. trib. reg. della Lombardia, sez. VII, 28 dicembre 2004, n. 53, in Boll. Trib. On-line.
(45) Comm. trib. reg. dell’Emilia Romagna, sez. IX, 10 maggio 2005, n. 51, in Boll. Trib. On-line.
(46) Comm. trib. di I grado di Trento, sez. II, 19 maggio 2014, nn. 177 e 178, in Boll. Trib. On-line.
(47) Comm. trib. reg. della Sardegna, sez. I, 12 gennaio 2008, n. 64, in Boll. Trib. On-line.
(48) Cfr. Cass., sez. un., 26 novembre 2008, n. 28160, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. trib., 11 maggio 2012, n. 7385, ivi; e di recente Cass. n. 8649/2015, cit.
(49) Comm. trib. prov. di Genova, sez. IV, n. 16/2012, inedita.
(50) Comm. trib. reg. del Lazio, sez. XXIX, 3 settembre 2012, n. 186, in Boll. Trib. On-line.
(51) Comm. trib. reg. dell’Umbria, sez. IV, 14 maggio 2012, n. 102, in Boll. Trib. On-line.

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