5 Febbraio, 2016

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Gli ambiti applicativi, “oggettivi” e “soggettivi”, dello split payment – 3. Gli adempimenti connessi allo split payment – 4. Obbligo della fatturazione elettronica nei confronti degli enti appartenenti alla pubblica Amministrazione – 5. La particolare situazione degli intermediari finanziari.

 

 

1. Premessa

L’istituto dello split payment è stato introdotto dal 1° gennaio del corrente anno dalla Legge di stabilità 2015 (1) e si affianca alle nuove fattispecie applicative del c.d. “reverse charge” con il medesimo intento di contrastare le frodi in materia IVA, soprattutto del settore della riscossione di tale imposta.

Le relative modalità applicative sono state dettate con D.M. 23 gennaio 2015 (2) e l’Agenzia delle entrate ha impartito le prime istruzioni in merito con la circolare 9 febbraio 2015, n. 1/E (3).

La complessità della materia ha comunque indotto la stessa Agenzia ad intervenire dopo breve tempo, emanando la nuova, organica, circolare 13 aprile 2015, n. 15/E (4).

Il meccanismo comporta – in stretta sintesi – che nei rapporti fra gli organi e gli enti della pubblica Amministrazione e i propri fornitori di beni e servizi il versamento dell’IVA relativa sia posta a carico del “cliente” (Stato, ente pubblico, ecc.) e non – come normalmente avviene in sede di applicazione dell’IVA – da parte del cedente dei beni/prestatore dei servizi, nella sua qualità di “soggetto passivo” del tributo.

Avviene così una “scissione” fra il pagamento (ecco appunto l’origine del termine adottato di “split-payment”) del corrispettivo e dell’IVA ad esso applicabile, con una evidente deroga alla relativa Direttiva comunitaria (n. 2006/112/CE, cfr. art. 395), tanto è vero che le misure che si andranno ad illustrare, pur essendo in vigore dal 1° gennaio 2015, necessitano ancora della prescritta autorizzazione dei competenti organi comunitari.

La stessa Legge di stabilità prevede addirittura un termine, il 30 giugno 2015, per l’ottenimento di detta autorizzazione, in mancanza della quale già si indica la possibilità (c.d. “clausola di salvaguardia”) di un aumento delle accise applicabili ai carburanti per coprire la corrispondente mancanza di gettito.

È pur vero che del sistema dello split payment si parla anche nel c.d. “Libro bianco per un sistema dell’IVA più semplice, solido ed efficiente” della Commissione UE (COM 2010-695 del 1° dicembre 2010), ma in quella sede si suggeriva un sistema di applicazione dell’IVA generalizzato a tutti gli operatori economici e non solo nei rapporti con la pubblica Amministrazione, mediante l’istituzione dei c.d. “conti bloccati IVA” destinati – con il coinvolgimento del sistema bancario – alle esclusive movimentazioni a debito/credito del tributo da parte dei soggetti passivi. Peraltro, nel successivo analogo “Libro bianco 2011” (COM 2011-851), la stessa Commissione CE registrava le numerose perplessità manifestate nei vari Stati membri (5).

Il rischio che evidentemente il legislatore ha voluto evitare con tali misure è quello di impedire che i fornitori omettano di versare all’erario quanto ricevono a titolo di IVA dagli stessi soggetti della pubblica Amministrazione ma, nondimeno, l’adozione della cennata misura antielusiva presenta una serie di criticità correlate sia alle difficoltà sulla corretta individuazione dei soggetti interessati dal meccanismo sia alla posizione di possibile, costante credito che si verificherà in capo ai fornitori abituali della pubblica Amministrazione.

[-protetto-]

L’argomento è ovviamente correlato all’altro, altrettanto importante, dell’obbligo di fatturazione elettronica nei confronti dei soggetti della pubblica Amministrazione – anche se, purtroppo, come vedremo, l’individuazione dei soggetti pubblici interessati ai due diversi provvedimenti non risulta perfettamente coincidente – di cui all’art. 1, commi da 209 a 214, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nonché alle successive modifiche intervenute.

2. Gli ambiti applicativi, “oggettivi” e “soggettivi”, dello split payment

Con la legge di stabilità 2015 è stato introdotto un nuovo art. 17-ter nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, del seguente tenore:

1. “Per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi effettuate nei confronti dello Stato, degli organi dello Stato, ancorché dotati di personalità giuridica, degli enti pubblici territoriali e dei consorzi tra essi costituiti ai sensi dell’articolo 31 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, degli istituti universitari, delle aziende sanitarie locali, degli enti ospedalieri, degli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, degli enti pubblici di assistenza e beneficienza e di quelli di previdenza, per i quali i suddetti cessionari o committenti non sono debitori di imposta ai sensi delle disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto, l’imposta è in ogni caso versata dai medesimi secondo modalità e termini fissati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano ai compensi per prestazioni di servizi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo di imposta sul reddito.”.

Come accennato, con l’introduzione di detto meccanismo, dal 1° gennaio 2015, l’ente pubblico cessionario o committente eroga nei confronti del proprio fornitore del bene o del servizio solamente il corrispettivo, al netto dell’IVA applicata e indicata in fattura, la quale dovrà essere versata dallo stesso ente pubblico direttamente all’erario secondo le modalità previste dai decreti ministeriali di attuazione.

Come è stato precisato (6), tale meccanismo si applica alle operazioni fatturate a partire dalla data del 1° gennaio 2015, per le quali l’esigibilità dell’imposta si verifichi successivamente a detta data.

Conseguentemente viene previsto, in merito all’esigibilità dell’imposta, che questa si realizzi al momento del pagamento della fattura ovvero, su opzione dell’Amministrazione acquirente, al momento della ricezione della fattura, secondo la particolare regola già contemplata (7) dall’art. 6, secondo periodo, del D.P.R. n. 633/1972, principalmente per le operazioni effettuate nei confronti delle pubbliche Amministrazioni (8).

In ogni caso, come ha anche chiarito la citata circolare n. 1/E/2015, lo split payment non è applicabile alle fatture emesse prima del 31 dicembre 2014, per quanto il pagamento delle stesse sia avvenuto successivamente al 1° gennaio 2015 (9).

Viene altresì stabilito che il versamento dell’imposta possa essere effettuato, a scelta della pubblica Amministrazione acquirente, con le seguenti modalità (10):

a) utilizzando un distinto versamento dell’IVA per ciascuna fattura la cui imposta è divenuta esigibile;

b) in ciascun giorno del mese, con un distinto versamento dell’IVA dovuta secondo tutte le fatture per le quali l’imposta è divenuta esigibile in tal giorno;

c) entro il giorno 16 di ciascun mese, con versamento cumulativo dell’IVA dovuta considerando tutte le fatture per le quali l’imposta è divenuta esigibile nel mese precedente.

Tuttavia, viene previsto che, in considerazione del necessario adeguamento dei sistemi relativi alla gestione amministrativo-contabile delle pubbliche Amministrazioni interessate e, in ogni caso, non oltre il 31 marzo 2015, le stesse Amministrazioni accantonino le somme occorrenti per il successivo versamento dell’imposta, che deve comunque essere effettuato entro il 16 aprile 2015.

Inoltre, ai fornitori che intrattengono prevalentemente rapporti con gli enti pubblici coinvolti nell’applicazione dello split payment in parola, non potendo recuperare l’IVA assolta “a monte” per il mancato incasso del relativo tributo e trovandosi, conseguentemente, in costante eccedenza di credito IVA, è concesso il diritto ad ottenere il rimborso delle eccedenze IVA in via prioritaria in relazione a quanto imputabile a dette operazioni, ai sensi del comma 9 dell’art. 38-bis del D.P.R. n. 633/1972.

Nei confronti degli enti pubblici cessionari/committenti inadempienti, ossia che omettono o ritardano il versamento dell’imposta trattenuta, sono applicabili le ordinarie sanzioni amministrative previste per gli omessi o tardivi versamenti dell’IVA (pari al 30% dell’importo non versato, salvo mitigazioni in considerazione della misura del ritardo), ai sensi del combinato disposto dell’art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, e dell’art. 1, comma 633, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.

Lo split payment non si applica in due casi espressamente previsti dalla norma:

se l’ente pubblico risulta “in proprio” debitore d’imposta, in quanto ha acquistato i beni o i servizi individuati dall’art. 17 del D.P.R. n. 633/1972 (come, ad esempio, le prestazioni di servizi di pulizia, di installazione di impianti o di completamento di edifici, la cessione di fabbricati), per i quali si applica il meccanismo dell’inversione contabile nell’emissione e registrazione delle relative fatture (c.d. reverse charge). Deve ritenersi – affinché la norma abbia un senso – che in questi casi l’ente pubblico agisca nella veste di effettivo “soggetto passivo IVA”, ossia nello svolgimento di una propria attività “imprenditoriale” e non nell’espletamento delle sue funzioni “istituzionali” (11). Tuttavia come ha chiarito la già citata circolare n. 15/E/2015, paragrafo 2, rientrano nel meccanismo applicativo analogo al reverse charge c.d. “interno” – e sono quindi escluse dallo split payment – anche i c.d. “acquisti intra-UE” di valore superiore alla soglia dei 10.000 euro, anche se effettuate da un soggetto della pubblica Amministrazione che agisce nella sua veste “istituzionale”, in quanto agli effetti dell’IVA è: “… identificato agli effetti della stessa imposta, ai sensi degli articoli 47, comma 3, e 49 del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito con modificazioni dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427”;

se la prestazione di servizio è fornita all’ente pubblico è assoggettata a ritenuta alla fonte “a titolo di imposta sul reddito”. In tal senso si esprime, come abbiamo riportato, la norma in esame, ma quest’ultima formulazione è da intendersi come imprecisa: come è noto, le ritenute sul reddito imponibile si distinguono tra quelle di “acconto”, e quelle a titolo di “imposta”, ossia applicate a titolo definitivo in capo al percipiente del reddito che, in relazione ad esse, è pure esentato dall’indicazione dei relativi compensi nella sua dichiarazione dei redditi. Invero, queste ultime non sono addirittura configurabili fra i corrispettivi assoggettabili ad IVA. Quindi, più correttamente, deve ritenersi che l’esclusione debba essere riferita, ad esempio, a tutti compensi imponibili ad IVA erogati a professionisti o artisti, come tali assoggettati alla ritenuta a titolo d’acconto IRPEF. Il dubbio è stato comunque definitivamente chiarito in tal senso con le già citate circolari n. 6/E/2015, paragrafo 8.7, e n. 15/E/2015, paragrafo 2.

Un’ulteriore ipotesi di esclusione di applicazione dello split payment è riferibile – almeno a livello interpretativo – in tutti i casi di ricorrenza dei c.d. “regimi speciali IVA” che, per l’effettuazione di determinate operazioni (ad esempio, soggetti al c.d. “regime del margine” per i beni usati, quelli per cui si applica il regime di franchigia delle piccole imprese, le prestazioni delle agenzie di viaggio, ecc.) (12), che non prevedono l’indicazione in fattura della relativa IVA.

Inoltre, come già notava la circolare n. 1/E/2015, sono escluse dal predetto meccanismo le operazioni per le quali non risulta obbligatoria l’emissione della fattura (13) ma sono comunque certificate dal fornitore – non distinguendo fra imponibile e IVA applicata – mediante il rilascio della ricevuta o dello scontrino fiscale (ivi compreso lo scontrino “non” fiscale, perché emesso da un soggetto che si avvale della trasmissione telematica dei corrispettivi di cui all’art. 1, commi 429 e segg., della legge 30 dicembre 2004, n. 311). Ciò in quanto – seppure in riferimento a spese di importo non rilevante – la mancata evidenziazione in fattura non consentirebbe all’ente di poter individuare, da un lato, l’ammontare dell’imposta da versare direttamente all’erario e, dall’altro, l’ammontare del corrispettivo da pagare al fornitore (14).

A questi regimi c.d. “speciali” esclusi dallo split payment, la più volte citata circolare n. 15/E/2015 aggiunge i c.d. “regime monofase” contemplati dall’art. 74 del D.P.R. n. 633/1972, nonché quei regimi che, pur prevedendo l’addebito dell’imposta in fattura, stabiliscono un particolare sistema di liquidazione del tributo e di determinazione della detrazione spettante come, ad esempio, quelli disciplinati da:

artt. 34 e 34-bis del D.P.R. n. 633/1972 (attività agricole e connesse);

legge 16 dicembre 1991, n. 398 (enti associativi e società non lucrative) (15);

D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640 (attività di intrattenimento);

Tab. C all. al D.P.R. n. 633/1972 (spettacoli viaggianti ed altro).

Degna di particolare nota è, poi, l’osservazione contenuta sempre nella circolare n. 15/E/2015, paragrafo 2, secondo cui: «In considerazione della ratio e delle caratteristiche del meccanismo di scissione dei pagamenti, si è dell’avviso che il predetto meccanismo non sia applicabile alle fattispecie nelle quali la PA non effettua alcun pagamento del corrispettivo nei confronti del fornitore. Trattasi, in particolare, delle operazioni rese alla PA (ad esempio servizi di riscossione delle entrate e altri proventi) in relazione alle quali il fornitore ha già nella propria disponibilità il corrispettivo spettantegli e – in forza di una disciplina speciale contenuta in una norma primaria o secondaria – trattiene lo stesso riversando alla PA committente un importo netto. In tali casi, appare coerente alla ratio dell’art. 17-ter del DPR n. 633 del 1972 escludere le predette fattispecie dal meccanismo della scissione dei pagamenti, in quanto l’imponibile e la relativa imposta sono già nella disponibilità del fornitore».

Fuori, però, dalle indicate fattispecie, la disciplina in esame «… riguarda tutti gli acquisti effettuati dalle pubbliche amministrazioni individuate dalla norma, sia quelli effettuati in ambito non commerciale, ossia nella veste istituzionale, che quelli effettuati nell’esercizio di attività d’impresa», come si esprime la stessa circolare n. 1/E/2015. Risulta quindi irrilevante se l’ente pubblico acquirente agisca o meno in veste di “soggetto passivo IVA” e, di conseguenza, l’applicazione dello split payment opera indipendentemente dal possesso di un numero di partita IVA da parte dell’ente pubblico interessato.

Per quanto ovvio, il descritto regime non si applica ai rapporti intrattenuti con gli enti, già c.d. “pubblici economici”, che – per quanto di titolarità, anche assoluta, dello Stato – hanno attualmente una veste giuridica ed una imprenditorialità del tutto “privata” (come, ad esempio, E.N.I., E.N.E.L., R.A.I., ecc.).

Comunque, un tema particolarmente delicato connesso alla corretta applicazione del sistema riguarda proprio l’individuazione dei soggetti appartenenti alla pubblica Amministrazione tenuti ad assolvere direttamente l’imposta attraverso la scissione dei pagamenti.

Va innanzitutto osservato che la formulazione utilizzata dal legislatore sembra coincidere con quella contenuta nel comma 5 dell’art. 6 del D.P.R. n. 633/1972 che, come è noto, con la diversa finalità di differire il momento imponibile delle operazioni effettuate nei confronti di soggetti “cronicamente” in ritardo nel pagamento di quanto dovuto, posticipa l’esigibilità dell’imposta, in capo al soggetto fornitore degli enti prevalentemente pubblici ivi considerati, solamente all’atto dell’effettivo pagamento del corrispettivo, anche se la relativa fattura è stata precedentemente emessa.

Conseguentemente, come prima individuazione, il nuovo art. 17-bis del D.P.R. n. 633/1972 fa riferimento alle cessione dei beni e alle prestazioni di servizi effettuate nei confronti:

dello Stato;

degli organi dello Stato, anche se dotati di propria personalità giuridica (16);

degli enti pubblici territoriali (Regioni, Province, Comuni) e dei loro consorzi, ai sensi dell’art. 321 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267;

delle Camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura;

degli istituti universitari;

delle aziende sanitarie locali; degli enti ospedalieri; degli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalentemente carattere scientifico (c.d. I.R.C.C.S.);

degli enti pubblici di assistenza e beneficenza (come le cc.dd. I.P.A.B. e A.S.P.);

degli enti pubblici di previdenza (17).

In considerazione della complessità dell’organizzazione della stessa pubblica Amministrazione l’Agenzia delle entrate è abbastanza celermente intervenuta per fornire i necessari chiarimenti con la già ricordata circolare n. 1/E/2015 (18) anche se, come noteremo, in considerazione di alcune delle fattispecie ivi esaminate ha suscitato ulteriori perplessità.

Innanzitutto, viene chiarito opportunatamente che fra gli organi dello Stato vadano annoverate le istituzioni scolastiche pubbliche di ogni ordine e grado (invero non considerate nel citato art. 6 del D.P.R. n. 633/1972) e le istituzioni per l’alta formazione artistica, musicale e coreutica (c.d. A.F.A.M.), trattandosi di organismi: «del tutto compenetrati nella organizzazione dello Stato in ragione di specifici elementi distintivi» (19).

Fra gli “Enti pubblici territoriali” vanno altresì compresi le recenti istituzioni delle c.d. “Città metropolitane”, le “Comunità montane”, le “Comunità isolane” e le “Unioni di Comuni” di cui all’art. 2 del citato D.Lgs. n. 267/2000.

Devono inoltre rientrare, in riferimento alle attività sanitarie, anche quegli enti pubblici che sono subentrati ai soggetti del Servizio sanitario nazionale (c.d. S.N.N.) nell’esercizio di una pluralità di funzioni di carattere più propriamente amministrativo-tecnico, in quanto svolgono un’attività “servente” a quella delle A.S.L. e degli enti ospedalieri, consistente appunto nell’approvvigionamento di beni e servizi destinati esclusivamente all’attività dei suddetti enti.

La stessa circolare n. 1/E/2015 enumera poi, con carattere meramente esemplificativo, tutta una serie di entità che comunque rientrano nell’applicazione dello split payment (e se ne rinvia pertanto la lettura) (20).

Inoltre, per rendere più agevole l’individuazione della natura pubblica dell’ente con cui si entra commercialmente in contatto, la stessa declaratoria invita a consultare un “Archivio ufficiale” contenente i riferimenti delle pubbliche Amministrazioni e dei Gestori di pubblici servizi (c.d. I.P.A. – Indice delle pubbliche Amministrazioni) (21), presso cui gli enti pubblici si devono accreditare, dichiarando la categoria di appartenenza.

La più volte citata circolare n. 1/E/2015 lascia, invero, sussistere alcune perplessità quando enumera alcuni esempi di “organismi pubblici” in ogni caso esclusi dall’applicazione dello split payment (22). Non si comprendono del tutto, invero, le ragioni (e come debbano essere rapportate ad altre ipotesi simili) per cui si devono applicare, a questo punto, le regole di fatturazione “ordinarie” nei confronti della stessa Agenzia delle entrate e le altre Agenzie fiscali (23) o l’INAIL.

In merito, però, la successiva circolare n. 15/E/2015, paragrafo 1.1, offre, come ulteriore elemento di discrimine, la seguente annotazione: «… devono ritenersi esclusi, in linea generale, gli enti pubblici non economici, autonomi rispetto alla struttura statale, che perseguono fini propri, ancorché di interesse generale, e quindi non riconducibili in alcuna delle tipologie soggettive annoverate dalla norma in commento». Conseguentemente, viene espressamente riconosciuta l’esclusione dal meccanismo dello split payment, in aggiunta agli altri enti già allo stesso scopo individuati dalla circolare n. 1/E/2015, per la Banca d’Italia e per il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI).

Non si sa, inoltre, quanto possa essere efficace il suggerimento finale per cui: «Considerato che il richiamo alle anzidette categorie IPA non può ritenersi esaustivo, si evidenzia che laddove, in relazione a taluni enti, dovessero permanere dubbi sull’applicabilità del meccanismo della scissione dei pagamenti, l’operatore interessato potrà inoltrare specifica istanza di interpello all’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’art. 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212». Non appare, invero, di facile utilizzabilità dello strumento del c.d. “interpello ordinario” in relazione ad adempimenti, quali le modalità di fatturazione di un’operazione commerciale, che rivestono una necessaria “immediatezza”.

A tale proposito va riconosciuto lo sforzo di semplificazione contenuto nel paragrafo 1.2 della circolare n. 15/E/2015, ove si afferma: «In caso di incertezza si è dell’avviso che per i fornitori sia sufficiente attenersi alle indicazioni fornite dalla PA committente o cessionaria, nel presupposto che la predetta PA abbia tutti gli elementi per valutare i propri profili soggettivi in ordine alla riconducibilità della stessa nell’ambito applicativo della scissione dei pagamenti». Conseguentemente, qualora dovessero sussistere ulteriori perplessità, sarà cura della stessa pubblica Amministrazione (e non quindi del fornitore) attivarsi per inoltrare specifico interpello all’Agenzia delle entrate.

3. Gli adempimenti connessi allo split payment

Per quanto riguarda gli adempimenti di documentazione e contabili connessi all’applicazione delle nuove disposizioni, possono essere sintetizzati come di seguito, ricordando che l’argomento è particolarmente disciplinato dal D.M. 23 gennaio 2015 (24). Importanti precisazioni in merito sono poi contenute nella circolare n. 15/E/2015.

Dal punto di vista del soggetto fornitore, la nuova modalità di riscossione dell’IVA incide ovviamente anche sulle connesse modalità di emissione e di contabilizzazione delle fatture.

In particolare la fattura, oltre agli elementi già prescritti dall’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972 (fra cui l’aliquota applicata e l’ammontare dell’IVA, che ordinariamente viene addebitata per rivalsa), dovrà riportare la dicitura: “scissione dei pagamenti ex art. 17-ter del DPR n. 633/1972” ovvero, più semplicemente, l’annotazione: “scissione dei pagamenti” (25).

Pertanto:

per consentire la corretta contabilizzazione dell’operazione, il conto “Credito v/clienti” dovrà includere l’importo della fattura al netto dell’IVA relativa che non sarà effettivamente incassata. Al riguardo, si ritiene possibile riportare in “diminuzione” l’importo dell’imposta rimasta a carico dell’ente pubblico cessionario/committente (26);

come precisato anche dall’art. 2, comma 2, del citato D.M. 23 gennaio 2015, le fatture in esame vanno annotate nel registro delle fatture emesse o dei corrispettivi, «senza computare l’imposta ivi indicata nella liquidazione periodica»;

pertanto, l’IVA relativa non dovrà essere considerata dal fornitore in sede di determinazione del saldo della liquidazione periodica IVA;

di fatto (come del resto dispone il comma 3 dell’art. 3 del D.M. 23 gennaio 2015) non risulta più applicabile il c.d. meccanismo dell’“esigibilità differita”, di cui all’art. 6, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972, ossia l’esigibilità differita dell’IVA addebitata dal fornitore agli enti della pubblica Amministrazione, in quanto al suo versamento devono provvedere – come più volte ripetuto – questi ultimi enti (27);

dovrà provvedere comunque alla registrazione della propria fattura nel registro delle vendite (o corrispettivi), in maniera distinta (ad esempio, in un’apposita colonna ovvero mediante appositi codici) in modo da evidenziare la relativa IVA, seppur non incassata, e riportando, altresì, l’aliquota applicata.

In considerazione del fatto che – come già accennato – le imprese che svolgono la propria attività in misura prevalente con la pubblica Amministrazione, non incassando l’IVA dal cliente, si troveranno in situazione “cronica” di creditori verso l’erario per l’impossibilità di compensare l’IVA a sua volta addebitata dai propri fornitori, il legislatore ha contemporaneamente dettato le seguenti disposizioni:

a seguito della modifica dell’art. 30, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, le operazioni in esame sono incluse fra quelle che consentono il rimborso del credito IVA (annuale/trimestrale) in base al requisito della c.d. “aliquota media” (28);

sul punto, l’art. 8, comma 2, del D.M. 23 gennaio 2015, dispone che il rimborso del credito IVA venga erogato in via prioritaria: «per un ammontare non superiore all’ammontare complessivo dell’imposta applicata alle operazione di cui all’articolo 17-ter …, effettuate nel periodo in cui si è avuta l’eccedenza d’imposta detraibile oggetto della richiesta di rimborso». Al fine di ampliare la platea dei rimborsi prioritari da split payment, il D.M. 20 febbraio 2015 ha poi eliminato, al comma 1 del precedente D.M. attuativo, il riferimento alle condizioni previste dall’art. 2 del D.M. 22 marzo 2007, che rimangono tuttavia in vigore per le altre categorie di rimborsi “prioritari” (riservati, ad esempio, ai soggetti che esercitano esclusivamente o prevalentemente attività che comportano l’effettuazione di operazioni soggette ad imposta con aliquote inferiori rispetto agli acquisti, ovvero importazioni). La complessa materia del riconoscimento di tali rimborsi è diffusamente affrontata dalla circolare n. 15/E/2015, paragrafo 11.

In tema delle possibili “compensazioni”, da effettuare in sede di versamento tramite modello F24, rispetto a quanto differentemente dovuto dallo stesso soggetto IVA per le altre operazioni compiute nel periodo, vanno comunque tenuti presenti la c.d. “asseverazione”, per gli importi superiori a 15.000 euro, ed il limite annuale previsto di 700.000 euro.

Per quanto riguarda gli adempimenti che rimangono in capo agli enti pubblici cessionari/committenti delle operazioni in commento, la situazione appare diversificata, a seconda della inerenza dell’operazione al “ruolo” assunto dall’ente nel riceverla.

Comunque, in ogni caso, per le operazioni in esame l’IVA è versata dall’ente pubblico «con effetto dalla data in cui l’imposta diventa esigibile», ovvero – ordinariamente – al momento in cui il corrispettivo è pagato.

Tuttavia, l’ente pubblico può optare per l’esigibilità “anticipata” dell’imposta, ossia al momento della ricezione della relativa fattura (cfr. commi 1 e 2 dell’art. 3 del D.M. 23 gennaio 2015).

Pertanto, come già precedentemente notato, l’ente della pubblica Amministrazione, qualora l’acquisto sia avvenuto nella sua veste “istituzionale” e non come “soggetto passivo IVA” (29), può eseguire il versamento del tributo, a sua scelta, secondo una delle seguenti modalità:

1) entro il giorno 16 di ciascun mese, cumulativamente per tutte le fatture per le quali l’imposta è divenuta esigibile nel mese precedente, ovvero

2) con versamenti distinti dell’IVA, entro la medesima scadenza del 16 del mese successivo al momento dell’esigibilità:

a) in ciascun giorno del mese, per il complesso delle fatture per le quali l’imposta è divenuta esigibile in tale giorno;

b) per ciascuna fattura la cui imposta è divenuta esigibile (30).

Secondo l’art. 4, comma 1, del decreto attuativo, il versamento dell’imposta deve avvenire, senza possibilità di compensazione (31), osservando le seguenti modalità:

a) Modello F24 “Enti pubblici” – se l’ente è titolare di un c/c presso la Banca d’Italia (codice tributo: 620E);

b) Modello F24 “ordinario” – se l’ente non è titolare del predetto c/c ma è autorizzato a detenere un c/c presso una banca convenzionata con l’Agenzia delle entrate, ovvero presso le Poste italiane S.p.a. (codice tributo: 6040);

c) direttamente in Bilancio dello Stato «con imputazione ad un articolo di nuova istituzione del capitolo 1203», se l’ente è diverso da quelli di cui ai punti precedenti (imputazione in Bilancio: capo 8, capitolo 1203, articolo 12) (32).

In ogni caso, si ripete, l’ente pubblico “istituzionale” può anche optare per l’effettuazione di distinti versamenti dell’IVA:

in ciascun giorno del mese (fermo restando il termine di cui sopra del giorno 16 del mese successivo al momento dell’esigibilità dell’imposta), con riferimento al complesso delle fatture ricevute per le quali l’IVA è divenuta esigibile lo stesso giorno;

relativamente a ciascuna fattura la cui IVA è divenuta esigibile.

In via transitoria, fino all’adeguamento dei sistemi informativi relativi alla gestione amministrativo-contabile, ma in ogni caso entro il 31 marzo 2015, gli enti pubblici possono accantonare le somme occorrenti per il successivo versamento dell’imposta, che deve essere comunque effettuato entro il 16 aprile 2015.

Per gli enti pubblici, dotati del numero di partita IVA, che invece effettuano i propri acquisti nell’esercizio di un’attività commerciale (33), valgono in sostanza gli obblighi e gli adempimenti comuni con gli altri soggetti passivi IVA compresi, fra l’altro, gli ordinari termini per il versamento del tributo (anche se con il possibile utilizzo dello speciale modello F24EP) e la possibile compensazione dell’imposta con altri crediti IVA vantati dalla medesima pubblica Amministrazione(34).

In tali casi le fatture devono essere annotate nei registri delle fatture emesse o dei corrispettivi (anche se in realtà le fatture sono “ricevute”, ma ciò è dovuto proprio al fatto che “debitore” dell’imposta risulta lo stesso ente acquirente, in analogia a quanto avviene per il regime contabile del reverse charge (35), tanto è vero che, ovviamente, le stesse fatture devono essere annotate anche nel registro degli acquisti) entro il giorno 15 del mese successivo a quello in cui l’imposta è divenuta esigibile, con riferimento al mese precedente.

Conseguentemente, l’imposta dovuta confluisce nella liquidazione periodica IVA del mese/trimestre dell’esigibilità.

Per quanto riguarda gli aspetti sanzionatori, in capo all’ente pubblico che omette o ritarda il versamento dell’imposta dovuta si dovrebbe applicare la sanzione amministrativa ordinaria prevista in materia dall’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997 (pari al 30% di quanto dovuto).

Suscita, semmai, una certa perplessità l’affermazione contenuta nella circolare n. 15/E/2015, paragrafo 5 – peraltro fatta nella parte illustrativa degli adempimenti a cui è tenuto l’ente pubblico che riveste l’effettivo ruolo di “soggetto passivo IVA” – secondo cui: «… si precisa che il meccanismo della scissione dei pagamenti non fa venir meno in capo al fornitore la qualifica di debitore di imposta in relazione all’operazione effettuata nei confronti dell’ente pubblico. Quest’ultimo, infatti, ha solo l’onere di versare l’IVA relativa agli acquisti. Ne consegue che le modalità di cui all’art. 5 del D.M., secondo cui la fattura emessa dal fornitore e ricevuta dalla PA è annotata da quest’ultima nel registro di cui agli artt. 23 o 24 del DPR n. 633 del 1972 sono, pertanto, finalizzate esclusivamente a semplificare gli adempimenti consentendo al soggetto pubblico di operare il versamento nel quadro della ordinaria liquidazione IVA, evitando così di dover gestire modalità diverse e speciali per l’effettuazione dell’adempimento».

Proprio il fatto, poi, che – come ripetutamente afferma la circolare n. 15/E/2015 – il meccanismo dello split payment non fa venir meno in capo al fornitore la qualifica di “debitore di imposta”, può portare al riferimento allo stesso anche della conclusione che si legge al paragrafo 13 della stessa declaratoria, secondo cui: «L’omesso o ritardato versamento all’erario (per conto del fornitore) da parte delle PA è sanzionato ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n. 471 del 1997 e le somme che l’ente pubblico avrebbe dovuto versare saranno riscosse mediante atto di recupero di cui all’art. 1, comma 421, della legge 30 dicembre 2004, n. 311» (per quanto si ricordi la sussistenza della c.d. “clausola di salvaguardia”, secondo cui non saranno contestate sanzioni commesse anteriormente alla pubblicazione della stessa circolare n. 15/E/2015) (36).

Inoltre, si pone giustamente il quesito sul fatto se il sistema dello split payment attribuisca o meno la soggettività passiva in materia IVA all’ente pubblico, qualora questo agisca esclusivamente nella sua veste “istituzionale”, specialmente in riferimento alla possibile responsabilità del cessionario/committente nei casi di errori nella fatturazione operati dal suo fornitore.

Del resto sulla questione è intervenuta, almeno apparentemente, la citata circolare n. 6/E/2015, paragrafo 8.6, chiarendo che, nel caso in cui all’ente pubblico sia pervenuta una fattura con una IVA esposta inferiore a quella che sarebbe correttamente dovuta per l’operazione, è compito dello stesso ente operare la procedura c.d. di “regolarizzazione”, di cui all’art. 6, comma 8, del D.Lgs. n. 471/1997, e provvedere direttamente al versamento della relativa differenza.

Anche in quella sede, però, viene tuttavia specificato che detta procedura è limitata all’ipotesi in cui l’operazione riguardi l’ente nella sua eventuale veste “commerciale” (come vero “soggetto passivo IVA”), lasciando in ogni caso irrisolta la questione quando l’acquisto rientri nell’attività “istituzionale” dell’ente.

Inoltre, sembrerebbe rimanere in ogni caso in capo al fornitore la responsabilità circa la violazione relativa alla non corretta fatturazione, sanzionata dall’art. 6, comma 1, dello stesso D.Lgs. n. 471/1997 (37).

Comunque, con la più volte citata circolare n. 1/E/2015 – in considerazione delle difficoltà operative connesse al nuovo sistema, almeno in sede di prima applicazione – è stato riconosciuto che con riguardo a tutte le violazioni commesse a tutto il 9 febbraio 2015 (data di emanazione, appunto, della stessa circolare) non saranno sanzionate, a condizione che il fornitore abbia correttamente tenuto conto – nelle proprie liquidazioni periodiche – dell’IVA a debito erroneamente corrisposta dall’ente cliente (38).

Se il fornitore, da parte sua, ha erroneamente emesso una fattura con l’annotazione “scissione dei pagamenti” a carico della pubblica Amministrazione (o di altro soggetto diverso da quest’ultima o comunque escluso dalla disciplina dello split payment), lo stesso dovrà correggere il proprio operato con una nuova fattura ed esercitare la rivalsa dell’IVA nei modi ordinari. Non sembra, però, che per altre ipotesi di violazioni in materia, eventualmente commesse dal fornitore, valga l’analogo periodo di tolleranza fino al 16 aprile 2015, riconosciuto a favore degli enti clienti (39), ma con esclusivo riferimento alle modalità di riversamento del tributo dovuto in sede di prima applicazione delle nuove disposizioni.

In merito agli adempimenti contabili, la circolare n. 15/E/2015, paragrafo 6, esamina poi, con particolare attenzione, le problematiche connesse alle possibili necessità di “regolarizzazione”, ex art. 6, comma 8, del D.Lgs. n. 471/1997, o di emissione delle c.d. “note di variazione”, di cui all’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, in relazione alle fatture emesse in maniera irregolare o comunque bisognose di correzione. Ciò appare oltremodo opportuno, in considerazione delle rilevanti novità introdotte con la normativa in commento e delle conseguenti difficoltà che gli operatori stanno incontrando in sede di sua prima applicazione.

4. Obbligo della fatturazione elettronica nei confronti degli enti appartenenti alla pubblica Amministrazione

Come è noto, dal 31 marzo 2015 (40) si rende applicabile l’obbligo generalizzato di fatturazione elettronica nei confronti di tutte le Amministrazioni pubbliche, con la relativa operatività delle regole e dei meccanismi di emissione, trasmissione e conservazione delle c.d. “fatturePA” (41).

Detto meccanismo fu originariamente previsto dall’art. 1, commi da 209 a 214, della legge n. 244/2007, e il relativo provvedimento attuativo è intervenuto con il D.M. 3 aprile 2013, n. 55 (42).

Ora preme informare degli ulteriori chiarimenti nel frattempo intervenuti, soprattutto con riferimento ai contenuti della circolare 9 marzo 2015, n. 1/DF (43), con cui sono stati meglio definiti l’ambito soggettivo e le date di decorrenza dell’obbligo in commento.

Riguardo al primo aspetto, si fa riferimento – come destinatari delle fatturePA – a tutti i soggetti, dotati o meno di personalità giuridica, facenti parte della pubblica Amministrazione ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (44), e dell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, nonché alle c.d. “Amministrazioni autonome” contemplate dall’art. 1, comma 209, della legge n. 244/2007.

Si ricorda che la legge n. 196/2009 già prevede un “elenco” delle pubbliche Amministrazioni inserite nel Conto economico consolidato dello Stato e tale elenco è compilato e aggiornato a cura dell’ISTAT e pubblicato annualmente nella Gazzetta Ufficiale, entro il 30 settembre. Ciò rappresenta un primo strumento per l’individuazione dei soggetti coinvolti negli adempimenti in esame, che va comunque integrato mediante le indicazioni di seguito riportate.

In ogni modo, va da subito sottolineato che i soggetti così ricompresi negli adempimenti della fatturaPA risultano più numerosi di quelli interessati all’applicazione del meccanismo dello split payment appena illustrato (45), atteso che fra i primi rientrano senz’altro le Agenzie fiscali o l’INAIL che, invece, secondo la circolare n. 1/E/2015, sono esclusi dal metodo della “scissione contabile” applicabile alle fatture (comunque elettroniche) che sono destinati a ricevere. È evidente come questo introduca ulteriori problematiche applicative.

Data comunque l’ampiezza dei possibili destinatari della fatturaPA (46) si suggerisce altresì la consultazione del c.d. “Sito IPA” (Indice della Pubblica Amministrazione), ove è possibile individuare, per ogni Ufficio pubblico destinatario della fatturazione elettronica – anche secondo le indicazioni del Ministero dell’economia e delle finanze e della Presidenza del consiglio (47) – la data a partire dalla quale è attivo il servizio di invio telematico della fatturazione.

Per l’indicazione delle date di decorrenza dell’obbligo di fatturazione elettronica, si propone il seguente sintetico elenco:

6 dicembre 2013 – Tutte le pubbliche Amministrazioni che hanno adottato detto metodo su base volontaria e in seguito a specifici accordi con tutti i propri fornitori;

6 giugno 2014 – Enti centrali dello Stato, come Ministeri, Agenzie fiscali ed Enti nazionali di previdenza ed assistenza sociale, identificati come tali nell’elenco ISTAT di cui all’art. 6 del D.M. n. 55/2013;

31 marzo 2015 – Tutte le rimanenti pubbliche Amministrazioni, incluse quelle individuate come enti pubblici locali nello stesso elenco ISTAT.

Si richiama, in particolare, l’attenzione sul contenuto dell’art. 6, comma 6, del D.M. n. 55/2013, secondo cui – a partire dalle suddette date – i fornitori non potranno più emettere fatture in forma cartacea e le pubbliche Amministrazioni non potranno accettare fatture che non siano trasmesse in forma elettronica.

Inoltre, trascorsi tre mesi da tali date, le pubbliche Amministrazioni non potranno procedere al pagamento, nemmeno parziale, del fornitore fino all’invio delle fatture in formato elettronico, come precisato.

Tuttavia, in tale periodo di transizione, le pubbliche Amministrazioni potranno ancora accettare e pagare le fatture emesse in forma cartacea emesse entro le (rectius: prima delle) suddette date, come riconosciuto dall’apposita circolare esplicativa (48), in considerazione dei tempi normalmente necessari per il materiale inoltro di una fattura cartacea e il suo effettivo pagamento da parte delle pubbliche Amministrazioni.

Rimane comunque più volte ribadito che, dai suddetti termini, i fornitori delle pubbliche Amministrazioni non potranno più emettere fatture in forma cartacea, pena la loro irricevibilità.

Conseguentemente, gli operatori si dovranno opportunamente attrezzare, ove non già fatto in precedenza in relazione ai rapporti intrattenuti con soggetti pubblici già coinvolti nel descritto procedimento, per adattare i propri sistemi contabili/informatici per l’emissione delle fatturePA.

La questione, ovviamente, si intreccia con quanto precedentemente esposto per la contemporanea applicazione dello split payment alle fatture destinate alle pubbliche Amministrazioni interessate (49). A questo proposito, il 2 febbraio scorso è stato pubblicato sul sito wwwfatturapa.gov.it il nuovo formato (versione 1.1) per la redazione delle fatture elettroniche, sicché è stato aggiunto un nuovo campo, relativo appunto alla c.d. “scissione dei pagamenti” – rispetto a quelli precedenti relativi alle cc.dd. “IVA a esigibilità immediata” e “IVA a esigibilità differita” – contrassegnato dalla lettera [S], nella sezione attinente l’esigibilità dell’IVA.

Purtuttavia, proprio in questi giorni si leggono sulla stampa specializzata numerosi interventi che segnalano diverse perplessità operative, in attesa che vengano definitivamente chiarite (50).

Comunque, l’introduzione della fatturazione elettronica rappresenta, per il legislatore, lo strumento più rilevante di un più ampio disegno di informatizzazione e tracciatura delle attività della pubblica Amministrazione, sia centrale che locale, con la finalità di ottenere una riduzione dei costi di gestione amministrativa e contabile e di abbattimento del “cronico” ritardo che si registra nel pagamento dei debiti commerciali (51).

A questo scopo, lo stesso art. 6, comma 1, del D.M. 23 gennaio 2015, prevede un’attività di monitoraggio a carico dell’Agenzia delle entrate, di intesa con il Dipartimento della ragioneria generale dello Stato, al fine di elaborare, in maniera automatizzata, i versamenti dell’IVA relativa all’applicazione dello split payment e il flusso delle fatture elettroniche pervenute alle pubbliche Amministrazioni.

5. La particolare situazione degli intermediari finanziari

Siamo consapevoli che quanto appena esposto, in particolare in riferimento alle notevoli novità introdotte con la generalizzata applicazione delle fatture elettroniche nei rapporti con la pubblica Amministrazione, rappresenta solo in minima parte il dibattito che sul tema si sta svolgendo sulla stampa specializzata.

Alla stessa Agenzia delle entrate va senz’altro riconosciuto lo sforzo di intervenire il più tempestivamente possibile per fornire i necessari chiarimenti applicativi sulla complessa materia dello split payment, così connessa a quella della fatturaPA, e con la più volte citata circolare n. 1/E/2015 si offre un ulteriore e approfondito esame della materia(52).

Ci sia permesso, tuttavia, di fare un cenno anche alla particolare situazione in cui si sono venute a trovare le banche e gli altri intermediari finanziari per i necessari adeguamenti in vista di questi adempimenti.

Va innanzitutto osservato che le descritte nuove modalità di assolvimento degli obblighi di fatturazione attiva nei confronti degli organi e degli enti della pubblica Amministrazione, come sopra individuati e secondo le riportate scadenze, riguarda – in via generale – tutti i soggetti passivi IVA, quindi anche gli intermediari finanziari (banche, SGR, SIM e società assicurative e fiduciarie).

Tuttavia, per quanto attiene innanzitutto le disposizioni relative allo split payment, si è posto fin da subito il quesito su come l’applicazione del nuovo meccanismo risultasse obbligatorio anche agli intermediari finanziari che – come è noto – in relazione ai servizi resi (e, quindi, non solo per quelli esenti di cui all’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972) osservano il principio della non obbligatorietà dell’emissione della fattura, a meno che questa non venga espressamente richiesta dal cliente al momento dell’effettuazione dell’operazione (cfr. artt. 22, comma 1, nn. 5 e 6, e 36-bis, comma 1, dello stesso D.P.R. n. 633/1972, nonché – per quanto riguarda specificatamente le banche – la normativa speciale concernente la tenuta della contabilità ai fini IVA, di cui al D.M. 12 febbraio 2004, n. 75, c.d. “Decreto IVA banche”).

In sostanza, ci si è chiesti se, in particolare, le banche debbano necessariamente emettere la fattura per i servizi resi ad organismi della pubblica Amministrazione, con la separata evidenziazione dell’IVA (quando, ovviamente, si tratta di servizi imponibili al tributo, come la custodia e amministrazione titoli e i complessi servizi di tesoreria e cassa) (53) e – in caso di assenza della fattura – se ciò comporti il mancato incasso del relativo corrispettivo, anche qualora l’ente pubblico committente abbia omesso di richiederla esplicitamente.

Faceva propendere per una risposta negativa anche quanto espresso dalla stessa già ricordata circolare n. 6/E/2015, quando – in risposta al quesito n. 8.5 – fra l’altro, si precisa: «Conseguentemente, il predetto meccanismo non trova applicazione in relazione alle operazioni assoggettate a regimi speciali che non prevedono l’evidenza dell’imposta in fattura e che ne dispongono l’assolvimento secondo regole proprie» (54).

È pur vero che tali considerazioni perdono gran parte della loro efficacia ove si tenga presente che, già in passato, i soggetti della pubblica Amministrazione richiedevano ordinariamente l’emissione di formali fatture alle banche per i servizi resi, per evidenti esigenze di documentazione contabile ed ora – soprattutto – il pagamento di tali servizi sarà condizionato, in forza della nuova normativa appena esaminata nel paragrafo che precede, al ricevimento della fattura in formato elettronico (che dovrà essere redatta, ovviamente, con l’evidenziazione della “scissione dei pagamenti”).

A questo proposito, sembra però opportuno riportare quanto espresso dall’ABI con il parere n. 1312/2014, in merito all’applicazione della fatturazione elettronica nei rapporti fra le banche e la pubblica Amministrazione (seppur in un tempo in cui non erano ancora note le determinazioni relative allo “split payment”).

In tale occasione, dopo un’ampia disamina su come si possano coordinare le disposizioni che prevedono l’obbligo della c.d. fatturaPA (ed, in particolare, il divieto posto dal già citato comma 210 dell’art. 1 della legge n. 244/2007, secondo cui gli enti pubblici: «non possono accettare le fatture emesse o trasmesse in forma cartacea né possono procedere ad alcun pagamento, nemmeno parziale, sino all’invio in forma elettronica»), e la speciale disciplina di cui al “Decreto IVA banche”, si arriva alla conclusione:

«Tale impostazione non dovrebbe risultare compromessa dalla nuova normativa in materia di fatturazione elettronica nei confronti delle Pubbliche amministrazioni, nel senso cioè che l’obbligo di fatturazione in forma elettronica dovrebbe trovare applicazione in tutti i casi in cui le Banche e le imprese finanziarie ricevano dalla Pubblica amministrazione (o gli altri enti obbligati) esplicita richiesta di fattura ex art. 21 del DPR n. 633/1972. Per converso, quindi, se in mancanza di richiesta la fattura non è emessa, la Pubblica amministrazione controparte dovrebbe comunque poter adempiere al pagamento secondo le modalità ordinarie, senza ricorrere alla complessa procedura della fattura telematica e senza incorrere quindi nel divieto di pagamento previsto, come detto, dalla normativa di riferimento».

«… Ciò dovrebbe valere indipendentemente dalle modalità con le quali è materialmente effettuato il pagamento da parte della Pubblica amministrazione a favore della Banca, a prescindere quindi dal fatto che si trovi in una ipotesi per la quale la Pubblica amministrazione deve attivarsi in modo “diretto”, secondo le proprie procedure (es.: emissione di un ordinativo), per l’effettuazione di un pagamento, oppure si sia in presenza di prestazioni di servizi il cui regolamento avviene direttamente mediante addebito da parte della Banca in un conto aperto presso di essa a nome della Pubblica amministrazione, senza quindi necessità da parte di quest’ultima di “attivarsi” per il pagamento stesso (es.: operazioni di finanziamento). Oltretutto, si tratterebbe di ipotesi che mal si concilierebbero con il “divieto” di procedere al pagamento previsto dal citato comma 210, che difficilmente appare applicabile a situazioni di addebito diretto “automatico” in conto».

Il riportato parere, però, doverosamente auspicava che l’esposta ricostruzione risultasse validata nell’ambito di istruzioni ufficiali, dirette a dirimere dubbi interpretativi per rendere più agevole l’operatività sia delle banche che della stessa pubblica Amministrazione. Va altresì posto il quesito se quanto rappresentato mantenga la propria validità in seguito alle successive disposizioni sullo split payment che sono nel frattempo intervenute.

La recente circolare n. 15/E/2015 non si esprime in maniera esplicita su questo specifico tema anzi, quando pur estende le ipotesi di discipline IVA c.d. “speciali”, al fine di escluderle dal meccanismo della scissione dei pagamenti, non richiama il particolare regime contabile che le banche, o anche le società di assicurazione, possono seguire.

A onor del vero, in senso contrario, la stessa circolare riporta, al paragrafo 2, un inciso che invece fa propendere per la piena applicabilità (ovviamente in relazione alle operazioni imponibili ad IVA) dello split payment anche nei confronti dei richiamati soggetti: «Rientrano, altresì, le operazioni per le quali trovano applicazione le modalità di fatturazione e i termini di registrazione speciali di cui all’art. 73 del citato DPR n. 633».

Orbene, come è a tutti noto, proprio il citato art. 73 del DP.R. n. 633/1972 rappresenta la norma primaria in virtù della quale è stata riconosciuta – parimenti ad altri operatori economici – una particolare disciplina contabile in materia IVA alle banche, in considerazione della specifica attività svolta.

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Cionondimeno, abbiamo già avuto occasione di porre in rilievo un altro passo interpretativo contenuto nella stessa circolare quando, nel medesimo paragrafo 2, si osserva che: «In considerazione della ratio e delle caratteristiche del meccanismo di scissione dei pagamenti, si è dell’avviso che il predetto meccanismo non sia applicabile alle fattispecie nelle quali la PA non effettua alcun pagamento del corrispettivo nei confronti del fornitore. Trattasi, in particolare, delle operazioni rese alla PA (ad esempio servizi di riscossione delle entrate e altri proventi) in relazione alle quali il fornitore ha già nella propria disponibilità il corrispettivo spettantegli e – in forza di una disciplina speciale contenuta in una norma primaria o secondaria – trattiene lo stesso riversando alla PA committente un importo netto. In tali casi, appare coerente alla ratio dell’art. 17-ter del DPR n. 633 del 1972, escludere le predette fattispecie dal meccanismo della scissione dei pagamenti, in quanto l’imponibile e la relativa imposta sono già nella disponibilità del fornitore».

È ben facile rinvenire numerosi esempi in cui si realizza questo accadimento negli ordinari rapporti banche/pubblica Amministrazione: si pensi, ad esempio, ai c.d. “aggi” che sono riconosciuti alle banche per il servizio di tesoreria e cassa, fornito agli enti pubblici territoriali o meno, per la riscossione dei tributi o per i compensi per l’incasso di altri tipi di pagamenti.

Lo stesso parere ABI riporta, del resto, altri esempi del tipo, quando fa riferimento alle: «… prestazioni di servizi il cui regolamento avviene direttamente mediante addebito da parte della Banca in un conto aperto presso di essa a nome della Pubblica amministrazione, senza quindi necessità da parte di quest’ultima di “attivarsi” per il pagamento stesso (ad es.: operazioni di finanziamento)». Riteniamo quindi che dette considerazioni possano mantenere la loro validità, anche alla luce del recente documento di prassi.

Peraltro, per inciso, si osserva – volendo fornire un ulteriore esempio di quanto questa materia, così complessa e soggetta a numerose modifiche prima ancora della sua entrata in vigore, necessiti di più precise indicazioni, per quanto “annunciate” – che non ha trovato ancora attuazione quanto previsto dall’art. 6, comma 4, del D.M. n. 55/2013, secondo cui: «Con successivo decreto verranno determinate le modalità di applicazione degli obblighi stabiliti dall’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni, al momento escluse dal presente regolamento, alle fatture emesse da parte di soggetti non residenti in Italia e alle fatture, già trasmesse in modalità telematica, relative al servizio di pagamento delle entrate oggetto del versamento unificato di cui al decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nonché al servizio di trasmissione delle dichiarazioni di cui all’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322» (55).

Valga infine, un’ultima osservazione, sempre tratta dal contenuto della circolare n. 15/E/2015. Al paragrafo 13, in relazione alla corretta redazione delle fatture in split payment, si osserva che: «Per le forniture di beni e servizi effettuate nei confronti delle pubbliche amministrazioni i fornitori – sempre che non ne siano esonerati, salvo richiesta della PA – devono emettere fattura …».

Sembra quindi che la stessa Agenzia delle entrate ammetta la perdurante possibilità che le banche, per la natura prevalentemente “esente da IVA” dei servizi svolti (per i quali, per “definizione”, il regime dello split payment non ha ragion d’essere) e per la specifica disciplina contabile ad esse riservata, non debbano emettere fattura se non espressamente richiesta dalla pubblica Amministrazione committente, e ciò nonostante i richiamati obblighi connessi alla fatturazione elettronica.

Comunque, a prescindere da queste considerazioni che, ammettiamo, possono pure lasciare il tempo che trovano, sembra oltremodo opportuno che le banche si attrezzino tempestivamente (ove non l’abbiano già fatto) per l’osservanza delle nuove procedure.

Del resto, indipendentemente da come il legislatore nazionale ha inteso attuare il principio dello split payment, per perseguire le finalità esaminate nei precedenti paragrafi, va tuttavia ricordato che, secondo l’originario disegno comunitario, illustrato nel già citato “Libro verde sul futuro dell’IVA”, viene ipotizzata la seguente struttura di split payment: per tutte le operazioni soggette ad IVA il cliente (cessionario/committente) incarica la propria banca di effettuare il pagamento dei beni e servizi al fornitore. Dal canto suo, la banca scinde l’importo imponibile, che viene versato al fornitore o al prestatore, mentre l’importo dell’IVA viene trasferito direttamente all’Autorità fiscale.

Secondo un modello ancora più “evoluto”, l’ammontare dell’imposta viene trasferito in un “conto corrente bloccato” dello stesso fornitore: tale “blocco” consentirebbe al soggetto interessato l’utilizzo dei fondi ivi presenti solo per pagare a sua volta l’IVA ai propri fornitori. Quanto residua da tali pagamenti dovrebbe poi essere trasferito, alle previste scadenze, alle Autorità fiscali.

Risulta evidente, ammesso che si arrivi all’attuazione di quanto qui sinteticamente descritto, come le banche risultino ancor più coinvolte in merito agli adempimenti fiscali, specificamente in materia IVA, da eseguirsi necessariamente attraverso canali telematici.

Ma le banche, ancor più che nella loro veste “commerciale” di fornitori di servizi finanziari alle pubbliche Amministrazioni, risultano interessate alle notevoli modifiche intervenute in materia nel diverso ruolo, eventualmente assunto, di incaricate del servizio c.d. di “tesoreria e cassa” a favore degli stessi enti pubblici, in osservanza delle vigenti disposizioni sulla contabilità pubblica.

Questi aspetti dovranno essere necessariamente approfonditi e per quanto non si sia attualmente in grado di individuare e risolvere tutte le problematiche connesse agli esaminati adempimenti (56), già da subito si segnala che è stato stimato – da parte degli operatori incaricati di questo servizio – un aumento di circa il 40% dell’impegno documentale e contabile conseguente all’applicazione delle nuove disposizioni.

Avv. Gianni Polo

 

(1) Cfr. art. 1, commi 629, lett. b) e c), 630, 632 e 633, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.

(2) Si avverte che detto decreto è stato integrato con l’analogo D.M. 20 febbraio 2015.

(3) In Boll. Trib., 2015, 295; altri chiarimenti in merito all’applicazione dello split payment sono altresì contenuti fra gli altri quesiti posti nella circ. 19 febbraio 2015, n. 6/E, parr. 8.5 ss., ibidem, 271.

(4) In Boll. Trib., 2015, 615. Sull’argomento cfr. A. Garzon – T. Bersignani, Split payment senza rettifiche, in Il Sole 24 Ore del 14 aprile 2015, pag. 33; e F. Ricca, Split payment con le esenzioni, in ItaliaOggi del 14 aprile 2015, pag. 33. Si veda anche il comunicato-stampa 13 aprile 2015 con cui la stessa Agenzia delle entrate ha presentato la sua circolare.

(5) Cfr., ad esempio, parere Confindustria 31 maggio 2011; sull’argomento ved. anche circ. Fondazione nazionale dei commercialisti 31 marzo 2015, IVA: Lo split payment; M. Spera, L’applicazione dello split payment nell’ordinamento nazionale tra criticità e dubbi interpretativi, in Corr. trib., 2015, 925; e R. Rizzardi, Split payment ed estensione del reverse charge già operativi ma in cerca di autorizzazione CE, ibidem, 275. Sulle prime perplessità manifestate in merito all’efficacia della soluzione adottata dal legislatore nazionale cfr. S. Mogorovich, Split payment e grande distribuzione: doppia penalizzazione per l’agricoltura, in il fisco, 2015, 1054; R. Rizzardi, Lo split payment IVA nei rapporti con la Pubblica amministrazione trova regolamento, in Corr. trib., 2015, 639; e G.P. Tosoni, Lo split payment punisce i non profit, in Il Sole 24 Ore del 10 marzo 2015, pag. 39.

(6) Cfr. comunicato stampa del Ministero dell’economia e delle finanze 9 gennaio 2015, n. 7, come sarà poi confermato dall’art. 9 del D.M. 28 gennaio 2015.

(7) Ma con riferimento e a beneficio dei fornitori, regola che – come vedremo – da questo punto di vista risulta ora superata.

 (8) A questo proposito va, sin da ora, osservato che detta disposizione deve essere necessariamente coordinata con quanto già previsto in tema di fatturazione elettronica obbligatoria nei confronti delle Amministrazioni pubbliche dalla legge n. 244/2007 attualmente in corso di generale applicazione, secondo cui gli enti pubblici committenti/cessionari non potranno procedere al pagamento, nemmeno parziale, al fornitore fino all’invio delle fatture in formato elettronico (cfr. D.M. 3 aprile 2013, n. 55).

(9) Come ribadito con circ. n. 15/E/2015, par. 12, cit., ove peraltro si precisa che: «Risulta, pertanto, irrilevante, a tal fine, che la fattura, emessa nel 2014, sia stata acquisita al protocollo della PA acquirente nel 2015».

(10) Come previsto dall’art. 4 del D.M. 28 gennaio 2015. Deve ritenersi che tali particolari modalità di versamento del tributo siano riservate agli enti delle Amministrazioni pubbliche che abbiano effettuato i propri acquisti nella loro veste “istituzionale”, atteso che il successivo art. 5 dello stesso decreto – con cui va necessariamente coordinato – disciplina il medesimo adempimento qualora detti enti agiscano come “soggetti passivi IVA”, per i quali valgono gli ordinari termini e modalità di versamento di cui al D.P.R. n. 633/1972. Se ne trae di ciò conferma espressa nel par. 6 della circ. n. 15/E/2015, cit., come vedremo più diffusamente in seguito.

(11) Ciò trova peraltro conferma in quanto affermato nella circ. 27 marzo 2015, n. 14/E, par. 4, in Boll. Trib., 2015, 528, emanata proprio a commento delle nuove disposizioni, contenute nella stessa Legge di stabilità per il 2015, che hanno esteso le fattispecie applicative del regime del reverse charge.

(12) In tal senso, cfr. circ. n. 6/E/2015, par. 8.5, cit.

(13) Vedremo meglio in seguito come tale indicazione possa avere importanti riflessi proprio in riferimento all’attività svolta dalle banche.

(14) Secondo circ. n. 15/E/2015, cit., rientrano fra queste ipotesi di esclusione dal meccanismo dello split payment anche le operazioni certificate mediante fattura c.d. “semplificata” di cui all’art. 21-bis del D.P.R. n. 633/1972, ossia quelle relative ad operazioni inferiori a 100 euro per le quali è consentita l’“incorporazione” dell’imposta. Per la stessa circolare, al contrario, soggiacciono al meccanismo dello split payment quelle operazioni per le quali siano previsti, ai sensi dell’art. 73 del D.P.R. n. 633/1972 ed in seguito all’emanazione di appositi decreti applicativi, “Modalità e termini speciali” di fatturazione e di registrazione, in considerazione della particolare natura dell’attività esercitata. Vedremo, in seguito, come questo ulteriore chiarimento sembra risolvere diversi dubbi che sono sorti in sede di prima applicazione della normativa in esame in relazione all’attività svolta, tra gli altri, dalle banche e dagli altri intermediari finanziari.

 (15) Sulle perplessità che derivavano dall’inclusione nel meccanismo della scissione contabile anche agli enti del tipo, cfr. N. Forte, Enti associativi in regime forfetario: rischio di penalizzazioni con lo split payment, in Corr. trib., 2015, 813.

(16) Secondo i principi esplicitati nella circ. del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della ragioneria generale dello Stato 20 marzo 2003, n. 16; nonché nel parere Avv. Stato 5 febbraio 2001, n. 14720.

(17) A testimonianza delle diffuse perplessità riscontrate in sede di prima applicazione delle norme in commento, si segnala che abbiamo avuto occasione di imbatterci in una fattura con evidenziazione dello split payment emessa nei confronti di un Fondo di previdenza avente chiaramente carattere privato, perché riservato ai dipendenti di una specifica società. Probabilmente il fornitore aveva fatto confusione per il solo fatto che la norma fariferimento agli enti di “previdenza”, senza alcuna ulteriore specificazione del loro carattere “pubblico”. Non a caso sull’argomento è intervenuta la stessa circ. n. 15/E/2015, par. 1.1, cit., che ha così suggerito: «Circa l’individuazione della natura pubblica o privata dell’ente previdenziale, occorre innanzitutto, fare riferimento alla qualificazione dell’ente eventualmente operata con legge istitutiva. In assenza di una qualificazione operata dal legislatore, si reputa necessario effettuare un’indagine specifica, intesa ad accertare la sussistenza degli elementi sostanziali e formali che costituiscono indici distintivi dell’ente pubblico e che devono essere oggetto di un giudizio complessivo, quali, ad esempio: la titolarità di poteri autoritativi ed amministrativi (che possono esplicarsi in poteri certificativi e disciplinari), la potestà di autotutela, l’ingerenza statale».

(18) Sul punto cfr. G. Mingione, Split payment: passa per internet la verifica dei soggetti obbligati, in FiscoOggi del 9 febbraio 2015.

(19) Alle medesime conclusioni – anche se, ovviamente, per altri fini – era arrivato, invero, anche il Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della ragioneria generale dello Stato con circ. n. 16/2003, cit.

 (20) La circ. n. 15/E/2015, cit., individua ulteriori soggetti, qualificabili come organi dello Stato, destinatari della nuova disciplina dello split payment, come i Consorzi di Bacino imbrifero montani e i consorzi interuniversitari costituiti ai sensi dell’art. 91 del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382.

(21) Consultabile alla pagina Internet:http://indicepa.gov.it/documentale/ricerca.php. Va tuttavia segnalato – a dimostrazione di quanto la materia sia tuttora in corso di elaborazione – come appena il 15 marzo scorso l’Agenzia per l’Italia Digitale abbia ritenuto necessario riportare sul proprio sito Internet un lungo elenco di soggetti che, pur rientranti nella pubblica Amministrazione, non sono ancora registrati nel suddetto “Archivio ufficiale”.

(22) Cfr. circ. n. 1/E/2015, par. 1.2, cit.

 (23) Nei confronti di queste Agenzie, peraltro, la stessa Ragioneria dello Stato, nella già citata circ. n. 16/2013, notava che la relativa dotazione finanziaria non trovava specifica imputazione nei capitoli del bilancio dello Stato nella categoria “funzionamento” (ma nella diversa categoria dei c.d. “interventi”). Tuttavia, la stessa osservazione veniva fatta nei confronti delle Università statali (diversamente dagli altri istituti di istruzione statale) che, come abbiamo appena visto, sono invece coinvolte nel meccanismo dello split payment.

 (24) Per un commento, cfr. G. Liberatore, Split payment: le indicazioni operative, in Prat. fisc. prof., n. 8/2015, 23.

 (25) In caso di mancata indicazione, la circ. n. 15/E/2015, cit., richiama l’applicazione della sanzione amministrativa di cui all’art. 9, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997, anche se: «Resta salva la non applicazione della predetta sanzione nell’ipotesi in cui il fornitore, come sopra precisato, si sia attenuto alle indicazioni fornite dalla PA in merito alla riconducibilità della medesima nell’ambito soggettivo di applicazione della scissione dei pagamenti, sempre che l’imposta sia stata assolta, ancorché in modo irregolare».

(26) Per maggiori indicazioni contabili, cfr. Documento del 15 gennaio 2015 della Fondazione Nazionale Commercialisti (a cura di A. Gigliotti).

(27) Il cennato meccanismo della “esigibilità differita dell’IVA” trova, pertanto, residua applicazione per le altre fattispecie prevista dallo stesso comma del citato art. 6 del D.P.R. n. 633/1972, ossia per le cessioni dei prodotti farmaceutici effettuate dai farmacisti (ovviamente a cessionari “privati”) e per le cessioni dei beni e le prestazioni dei servizi ai soci, associati o partecipanti da parte degli enti (solo parzialmente commerciali) di appartenenza, oltre la particolare situazione delle cessioni di cui all’art. 21, comma 4, lett. b), dello stesso D.P.R. n. 633/1972. Si noti, peraltro, che il differimento dell’esigibilità del tributo (per quanto attiene il concreto riversamento dell’IVA trattenuta) è comunque mantenuto a favore dell’ente pubblico cessionario/committente, ai sensi dei precedenti commi 1 e 2 dello stesso art. 3 del D.M. 23 gennaio 2015.

 (28) Le conseguenti modifiche al modello di dichiarazione IVA sono state introdotte con provv. 20 marzo 2015, n. 39968.

 (29) Come definitivamente chiarito da circ. n. 15/E/2015, par. 6, cit.

 (30) Su queste diverse opportunità, cfr. M. Magrini – B. Santacroce, Split payment mese per mese, in Il Sole 24 Ore del 9 aprile 2015, pag. 36.

 (31) La stessa circ. n. 15/E/2015, cit., ribadisce espressamente che «è esclusa la possibilità per l’amministrazione acquirente di utilizzare l’importo dell’IVA dovuta per le operazioni in regime di scissione contabile in compensazione orizzontale con altri crediti d’imposta vantati dalla stessa».

 (32) I suddetti riferimenti sono stati istituiti con ris. 12 febbraio 2015, n. 15/E, in Boll. Trib. On-line, ove sono specificate le altre modalità necessarie per la compilazione dei modelli di versamento. La circ. n. 15/E/2015, par. 6, cit., fornisce poi ulteriori precisazioni in merito alle diverse modalità di utilizzo dei modelli F24 “ordinario” e F24EP.

 (33) In merito, però, alcune perplessità sono state manifestate, in relazione all’acquisto di beni o servizi destinati ad un uso “promiscuo” fra l’attività istituzionale e quella commerciale dello stesso ente, da A. Garzon, Lo split payment complica i controlli fiscali sui creditori, in Il Sole 24 Ore del 16 febbraio 2015, pag. 26. A tale proposito, però, nella circ. n. 15/E/2015, par. 6, cit., si legge: «Con riferimento agli acquisti di beni e servizi destinati ad essere utilizzati promiscuamente sia nell’ambito di attività non commerciali sia nell’esercizio d’impresa, la PA, non debitore d’imposta, dovrà preventivamente individuare, con criteri oggettivi, la parte della relativa imposta da imputare rispettivamente alle due differenti attività, per le quali l’ente è tenuto ad eseguire separatamente i relativi adempimenti». A prima vista, invero, non sembra che la soluzione sia di facile realizzazione.

(34) Si ricorda, però, che il provv. 31 marzo 2015, n. 44922, ha esonerato gli enti pubblici di cui alla legge n. 196/2009, nonché le Amministrazioni autonome, dalla presentazione del c.d. “spesometro” in relazione ai dati IVA 2014.

 (35) Ciò spiega la facoltà riconosciuta all’ente pubblico di optare per l’anticipo dell’esigibilità dell’IVA al ricevimento della fattura: così agendo si anticipa non solo il debito del versamento dell’IVA dovuta, ma anche la nascita del diritto della sua detrazione, per cui la relativa operazione risulta economicamente neutra.

 (36) Per una puntuale critica a tale possibile conclusione, cfr. R. Rizzardi, Il fornitore non può essere debitore IVA, in Il Sole 24 Ore del 16 aprile 2015, pag. 43.

 (37) Cfr., in tal senso, M. Magrini – P. Parodi – B. Santacroce, L’errore IVA non ricade sulla PA, in Il Sole 24 Ore del 6 febbraio 2015, pag. 37.

(38) Circostanza confermata dalla circ. n. 15/E/2015, parr. 7 e 13, cit., ove si precisa che: «In tali casi, infatti, l’imposta deve ritenersi, ancorché irregolarmente, assolta».

 (39) In tal senso si esprimono M. Magrini – B. Santacroce, Da ieri lo split payment non perdona più, in Il Sole 24 Ore del 11 febbraio 2015, pag. 37. Si ricorda, tuttavia, il riconoscimento della c.d. “clausola di salvaguardia”, richiamata da entrambi i recenti documenti di prassi, ai sensi dell’art. 10, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente).

 (40) Termine anticipato (rispetto a quello originariamente previsto del 6 giugno 2015) dall’art. 25, comma 1, del D.L. 24 aprile 2014, n. 66 (convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 69).

(41) Per i più recenti approfondimenti in materia, cfr. A. Mastromatteo – B. Santacroce, Obbligo di Fattura PA: comunicazioni e iniziative di AgID e delle Pubbliche amministrazioni, in Corr. trib., 2015, 1049; ID., Conservazione allineata in due anni, in Il Sole 24 Ore dell’8 aprile 2015, pag. 34; e AA.VV., Focus: La Fatturazione elettronica, ivi del 10 marzo 2015.

 (42) Sul punto cfr. A. Mastromatteo – B. Santacroce, L’avvio della FatturaPA, in il fisco, 2015, 1543.

 (43) In Boll. Trib., 2015, 528.

 (44) Trattasi, in sostanza, di tutti i soggetti indicati, ai fini statistici e del bilancio dello Stato, dall’ISTAT nell’elenco pubblicato sulla G.U. entro il 30 settembre di ogni anno.

 (45) Come è riconosciuto nella stessa circ. n. 15/E/2015, par. 3, cit.

 (46) Ad esempio, con nota Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della ragioneria generale dello Stato 27 ottobre 2014, n. 1858, si è precisato che fra i destinatari delle fatturePA rientrano anche le Federazioni e gli Ordini professionali in quanto intesi come “enti pubblici non economici”. Ne sembrerebbero, al contrario, esclusi – nei rapporti intrattenuti con la pubblica Amministrazione – i c.d. Enti non profit, secondo le risultanze della risposta del 13 marzo 2015 del Sottosegretario del MEF, E. Zanetti ad una specifica interrogazione parlamentare, commentata da M. Sirri – R. Zavatta, Gli enti non profit non fanno fattura elettronica alla PA, in Il Sole 24 Ore del 15 marzo 2015, pag. 40; e C. Bartelli, Non profit con note di debito, in ItaliaOggi del 13 marzo 2015, pag. 30.

 (47) Cfr. circ. 31 marzo 2014, n. 1/DF, in Boll. Trib., 2014, 942; trattasi dello stesso Indice richiamato anche da circ. n. 1/DF/2015, cit.

 (48) Cfr. circ. n. 1/DF/2014, par. 4, cit., di concerto dal Ministero delle finanze e dalla Presidenza del consiglio – Dipartimento della funzione pubblica.

 (49) Cfr. G. Silipigni, Sistema FatturaPA e split payment: intersezione di nuove procedure, in FiscoOggi del 5 febbraio 2015.

 (50) Del resto, la stessa direttrice dell’Agenzia delle entrate, R. Orlandi, nel corso dell’audizione innanzi la Commissione Parlamentare di Vigilanza sull’Anagrafe tributaria dell’11 marzo 2015, ha ammesso che tuttora si registrano “blocchi” e “scarti” di una certa rilevanza nei flussi di trasmissione telematica delle fatturePA.

(51) Sul problema, cfr. D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33; e circ. Assonime 9 febbraio 2015, n. 2.

 (52) Dove si affrontano, peraltro, anche i temi della c.d. “verifica telematica dei pagamenti”, di cui all’art. 48-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, per l’esecuzione dei pagamenti dovuti ai fornitori della pubblica Amministrazione, problema connesso a quello alla verifica della regolarità degli obblighi previdenziali degli stessi fornitori (da certificare con il c.d. DURC), di cui agli artt. 4 e 6 del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207.

 (53) Per il loro trattamento, ai fini dell’IVA, cfr. più diffusamente G. Polo, IVA e servizi finanziari e bancari, Roma, 2012, 278. Si ricorda, peraltro, la fondamentale modifica intervenuta al n. 5 del comma 1 dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972, sostituito dall’art. 38, comma 2, lett. b), del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221), per cui rimangono esenti da IVA: «le operazioni relative ai versamenti di imposte effettuati per conto dei contribuenti, a norma di specifiche disposizione di legge, da aziende ed istituti di credito», rendendo così implicitamente imponibili ad IVA le generiche operazioni di “riscossione dei tributi”, che invece precedentemente non scontavano detta imposta.

 (54) A tale conclusione si è giunti anche nel corso del Convegno “Split payment e fatturazione elettronica: due temi che rivoluzionano i rapporti con la Pubblica amministrazione” organizzato dallo Studio Crowe Horwath, Roma, 11 febbraio 2015.

 (55) Forse, per quanto attiene il riconoscimento del corrispettivo dovuto alle banche per il servizio di accoglimento delle deleghe di pagamento dei tributi (come i noti modelli F24), la soluzione del problema potrebbe essere individuata proprio nel passo della circ. n. 15/E/2015, cit., appena riportato, atteso che i tributi pagati presso gli sportelli bancari mediante le previste deleghe di versamento vengono appunto successivamente riversati all’erario al netto delle “commissioni” riconosciute alla banca per il servizio svolto (in esenzione da IVA, ai sensi dell’art. 10, comma 1, n. 5, del D.P.R. n. 633/1972).

(56) Si trova un primo cenno a queste problematiche e la segnalazione di diversi dubbi applicativi in materia in M. Barbero, Split payment a portata ridotta, in ItaliaOggi del 10 febbraio 2015, pag. 23; ID., Allo split payment è applicabile la disciplina del reverse charge, in ItaliaOggi del 20 marzo 2015, pag. 29; T. Bersignani – A. Garzon, La liquidazione periodica raddoppia la contabilità, in Il Sole 24 Ore del 3 febbraio 2015, pag. 44; A. Garzon, Lo split payment complica i controlli fiscali sui creditori, in Il Sole 24 Ore del 16 febbraio 2015, pag. 26; ID., Split, doppia via per le fatture, in Il Sole 24 Ore del 9 marzo 2015, pag. 30; e P. Ruffini – G. Trovati, Cosa avviene in relazione ai crediti nei confronti della PA incorporati in fatture ad esigibilità differita ceduti anteriormente al 1° gennaio 2015, in Il Sole 24 Ore del 9 gennaio 2015, pag. 39.

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