5 Marzo, 2019

SOMMARIO: 1. Premessa e definizioni – 2. La lenta evoluzione in materia di sospensione dell’esecuzione tributaria – 3. (Breve sintetica) evidenza delle novità apportate dalla riforma – 4. La disciplina della sospensione dell’atto impugnato in primo grado – 5. La tutela cautelare in grado di appello – 6. La tutela cautelare in pendenza di giudizio di cassazione – 7. Riflessioni ulteriori sul regime degli “atti sospendibili” – 8. Conclusioni e “nuove” prospettive de jure condendo.

1. Premessa e definizioni

In attuazione di quanto stabilito dall’art. 10 della legge delega 11 marzo 2014, n. 23, la nuova versione del contenzioso tributario, contenuta nel D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, definita quale “revisione” del testo precedente, si è estesa a gran parte degli articoli del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, anche se – ma a confermarlo sarà solo la prassi operativa concreta – con ogni probabilità non ha fatto ancora assurgere quello tributario, fra le altre tipologie giurisdizionali, a rango di vero e proprio processo come, invece, gli competerebbe.
Ad ogni buon fine, in attesa di capire se davvero, prima o poi, verranno istituiti Tribunali e Corti di Appello tributarie, se si arriverà a giudici tributari togati, ad un’organizzazione delle Commissioni separata da quella dell’Amministrazione finanziaria che è pur sempre parte del giudizio, con il presente lavoro ci si prefigge lo scopo di (provare ad) approfondire una delle più rilevanti novità introdotte dalla riforma che ha avuto il merito quantomeno di determinare una generalizzata disciplina della c.d. “tutela cautelare” nel processo tributario, in tutte le sue fasi e gradi.
In linea di principio, la funzione cautelare ha lo scopo di consentire una anticipazione, anche se solo a titolo provvisorio, dell’effetto tipico del provvedimento finale che sarà reso dal giudice, consentendo che questo intervenga re adhuc integra, affinché si possa – sin da subito – realizzare in concreto la soddisfazione dell’interesse sostanziale che risulti meritevole di tutela (1).
Come è noto, la tutela cautelare (che è stata estesa a tutte le fasi del processo tributario, mentre nella formulazione ante D.Lgs. n. 156/2015 era disciplinata per il solo primo grado di giudizio) rappresenta la tutela che il ricorrente può chiedere al giudice e che deriva dal fatto che gli atti tributari sono provvedimenti esecutivi e, di conseguenza, in mancanza di sospensiva, le somme pretese dall’ente creditore possono essere immediatamente riscosse.
La tutela cautelare può, dunque, essere richiesta qualora vi sia una potenziale fondatezza del ricorso sulla base di una valutazione di carattere sommario e qualora sussista un danno grave e irreparabile che conseguirebbe all’esecutorietà o all’esecuzione dell’atto impugnato (2).

2. La lenta evoluzione in materia di sospensione dell’esecuzione tributaria

La tutela cautelare, con decorrenza dallo scorso 1° gennaio 2016, ha subito sostanziali modifiche a seguito degli interventi normativi attuati con il D.Lgs. n. 156/2015 sopra citato.
Infatti, la possibilità di richiedere la sospensione giudiziale, prima della richiamata riforma, sancita nell’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992, era concessa solo davanti all’Organo giudicante in primo grado (3).
Ciò in ragione dell’espressa esclusione, in fase di appello, del potere del giudice tributario di sospendere l’esecuzione della sentenza gravata, in forza del mancato richiamo nel processo tributario della disposizione di cui all’art. 337 c.p.c. che, al primo comma, prevede che «l’esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell’impugnazione di essa, salve le disposizioni degli articoli 283, 373, 401 e 407».
Pertanto, in considerazione del fatto che l’art. 49 del D.Lgs. n. 546/1992, nella formulazione antecedente alle modifiche apportate dal più volte citato D.Lgs. n. 156/2015, disponeva che «Alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, escluso l’art. 337 e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto» prevedendo, appunto, l’inapplicabilità dell’art. 337 c.p.c., si ritenevano altrettanto inapplicabili – al processo tributario – anche i correlati artt. 283 e 373 c.p.c., in tema di sospensione dell’esecutività delle sentenze di primo e di secondo grado (4).
È, invero, solo con l’intervento della Corte Costituzionale che l’orientamento sopra delineato si evolve in senso favorevole all’applicazione dell’art. 337 c.p.c. nel processo tributario: si giunge, in tal modo, ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 49 del D.Lgs. n. 546/1992, con l’estensione a tale processo tributario dell’applicazione della sospensione cautelare, anche nelle fasi successive al primo grado di giudizio (5).
Nonostante, però, le suddette pronunce della Corte Costituzionale, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità e di merito non è mai stato univoco sul punto; infatti, a sentenze favorevoli alla sospensione dell’esecutività delle sentenze impugnate in primo e secondo grado (6) si sono contrapposte sentenze di segno opposto (7).
Solo da ultimo, pertanto, con le modifiche apportate dal decreto di riforma del contenzioso tributario (di cui si dirà nel prosieguo), il contribuente/ricorrente può non solo richiedere la sospensione della sentenza (di primo e di secondo grado) impugnata, ai sensi degli artt. 283 e 373 c.p.c., ma anche la sospensione dell’atto impugnato per evitare le iscrizioni a ruolo da parte dell’Ufficio finanziario (8).

3. (Breve sintetica) evidenza delle novità apportate dalla riforma (9)

Le novità della riforma in parte qua afferiscono a principi che le disposizioni modificative estendono ai diversi gradi di giudizio e ai vari mezzi di impugnazione.
In particolare, per effetto di queste:
a) il contribuente può in ogni caso chiedere la sospensione dell’atto impugnato in presenza di un danno grave ed irreparabile;
b) le parti possono chiedere la sospensione degli effetti della sentenza sia di primo grado sia di appello, analogamente a quanto previsto secondo il rito del processo civile;
c) il giudice può subordinare i provvedimenti cautelari ad un’idonea garanzia, la cui disciplina di dettaglio è rimessa ad un emanando decreto di attuazione, così da prestabilire il contenuto, la durata della garanzia e il termine entro il quale essa può essere escussa evitando, di conseguenza, le eventuali divergenze tra le parti in merito all’idoneità della garanzia stessa.
Meritano, infine, un richiamo le disposizioni dell’art. 15, comma 2-quater, del D.Lgs. n. 546/1992, che disciplinano il regime delle spese di lite della fase cautelare, prevedendo che la Commissione provveda a queste ultime con l’ordinanza che decide sull’istanza e che la pronuncia sulle spese conservi efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio (tanto, salva diversa statuizione espressa nella stessa sentenza emessa sul giudizio) (10).

4. La disciplina della sospensione dell’atto impugnato in primo grado

Passiamo, ora, ad una più puntuale disamina delle modifiche normative.
Come è noto, nel processo tributario la proposizione del ricorso non sospende gli effetti dell’atto impugnato; tuttavia, per i principali tributi erariali (ad esempio, imposte dirette, IVA, imposta di registro), la relativa normativa prevede la riscossione frazionata del tributo in pendenza del ricorso di primo grado, attraverso una progressiva iscrizione a ruolo della maggiore imposta accertata, senza applicazione delle sanzioni.
Laddove dall’esecuzione dell’atto impugnato derivi «un danno grave ed irreparabile», il ricorrente può, ai sensi dell’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992, presentare un’istanza motivata di sospensione che sia contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio ovvero con separato e autonomo atto (istanza di sospensione), da notificare alle altre parti (quale atto di vocatio in ius) e da depositare successivamente nella segreteria della Commissione tributaria adita (quale editio actionis), solo a seguito della costituzione in giudizio effettuata dal ricorrente ai sensi dell’art. 22 del D.Lgs. n. 546/1992 (11).
Quindi, nell’immutato primo comma viene confermato che la proposizione del ricorso non ha di per sé effetto sospensivo dell’atto impugnato, ma va a tal fine integrato da un’apposita istanza (come detto, contenuta nel medesimo atto introduttivo del giudizio o presentata con atto separato) e che la funzione essenziale della sospensione dell’atto impugnato è quella di paralizzare temporaneamente gli effetti pregiudizievoli dello stesso atto, in attesa della sentenza di primo grado (12).
A decidere sull’istanza è la competente Commissione tributaria, ovverosia, quella correttamente individuata per essere stati rispettati i criteri di ripartizione territoriale fissati all’art. 4 del D.Lgs. n. 546/1992; pertanto, qualora il giudice investito della domanda cautelare ritenga di non essere competente per il merito del ricorso, deve dichiarare l’istanza inammissibile (13).
La domanda cautelare è trattata dal Collegio, sentite le parti, alla prima camera di consiglio utile, comunque non oltre centottanta giorni dalla sua presentazione. In particolare, per effetto del successivo secondo comma dell’art. 47 in esame anch’esso immutato, il presidente della sezione alla quale la causa è stata assegnata (o il presidente della Commissione tributaria, qualora l’assegnazione non abbia ancora avuto luogo), fissa con proprio decreto la trattazione dell’istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile, disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima.
Per ragioni di eccezionale urgenza, il presidente della Commissione tributaria può, con decreto motivato, disporre la provvisoria sospensione dell’esecuzione fino alla definitiva pronuncia cautelare del Collegio.
Sul punto, il successivo terzo comma ha subito talune modifiche nella parte relativa alla facoltà del presidente di disporre, in caso di eccezionale urgenza e previa delibazione del merito, la provvisoria sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, inaudita altera parte.
In particolare, mentre nel precedente testo della disposizione tale facoltà andava esercitata con lo stesso decreto di fissazione dell’udienza per la trattazione dell’istanza di sospensione, la riforma consente di disporre la sospensione “con decreto motivato” e, quindi, anche con un provvedimento diverso da quello di fissazione dell’udienza ed eventualmente anteriore a questo (14).
La domanda cautelare è, come noto, decisa sulla base di due elementi dei quali il giudice deve riscontrare la sussistenza all’esito di pur sommaria delibazione (15):
– il fumus boni iuris, ossia la “delibazione del merito” della controversia, prescritta dal terzo e quarto comma dell’art. 47 e da cui potere trarre prima facie un giudizio prognostico di fondatezza del ricorso;
– il periculum in mora, ossia il pregiudizio “grave ed irreparabile” che la posizione del ricorrente verrebbe a subire, ove rimanesse senza tutela giuridica fino alla pronuncia di merito (anche in presenza di una futura sentenza definitiva favorevole) a seguito della esecuzione dell’atto impugnato (16).
Ai fini della più sollecita definizione del giudizio (anche per la parte relativa al merito della controversia), in caso di accoglimento, anche parziale, della domanda cautelare, la trattazione del merito deve tenersi non oltre novanta giorni (17).
Una volta emessa, l’ordinanza è comunicata alle parti dalla segreteria della Commissione: in particolare, nel quarto comma è introdotto un secondo periodo ove è previsto che il dispositivo dell’ordinanza motivata non impugnabile, con cui il Collegio (sentite le parti in Camera di consiglio e delibato il merito) provvede sull’istanza di sospensione – anche adottando la decisione definitiva sull’eventuale sospensione provvisoria di cui sopra – «deve essere immediatamente comunicato alle parti in udienza» (18).
Infine, si precisa che gli effetti giuridici del provvedimento cautelare cessano con la pubblicazione della sentenza di primo grado, la quale si sostituisce in toto all’ordinanza cautelare, dando luogo alla produzione di effetti giuridici suoi propri.

5. La tutela cautelare in grado di appello

In sostituzione del precedente, il nuovo art. 52 del D.Lgs. n. 546/1992, rubricato «Giudice competente e provvedimenti sull’esecuzione provvisoria in appello», dopo le modifiche apportate dall’art. 9, primo comma, lett. v), del D.Lgs. n. 156/2015, stabilisce, al primo comma, che: «1. La sentenza della commissione provinciale può essere appellata alla commissione regionale competente a norma dell’articolo 4, comma 2» (19).
Nei successivi cinque commi (dal secondo al sesto), l’art. 52 del decreto n. 546/1992 pone delle disposizioni specificamente dedicate alla disciplina della fase cautelare, cui direttamente si ricollega la nuova rubrica dell’articolo che, come detto, nella sua seconda parte, fa riferimento ai «provvedimenti sull’esecuzione provvisoria in appello», riconducibili proprio alla disciplina della sospensione.
In particolare, il nuovo secondo comma consente all’appellante di chiedere alla Commissione regionale di sospendere in tutto o in parte (quindi limitatamente ai capi ad esso sfavorevoli) l’esecutività della sentenza impugnata, “se sussistono gravi e fondati motivi”, analogamente a quanto disposto dall’art. 283 c.p.c. (20).
Tale locuzione fa riferimento, secondo l’orientamento prevalente in giurisprudenza, ai consueti presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora; tuttavia, sotto il secondo profilo, è richiesta una considerevole rilevanza del pregiudizio che l’esecuzione della sentenza potrebbe arrecare al ricorrente.
In un’ottica di rafforzamento della tutela della parte, al contribuente è accordata la possibilità di chiedere in ogni caso la sospensione dell’esecuzione dell’atto «se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile», e ciò sulla base «degli stessi presupposti previsti dall’art. 47 per la sospensione in primo grado» (21) (22).
Al contribuente è, quindi, consentito ottenere la sospensione degli effetti dell’atto impugnato anche quando questo sia confermato da una sentenza di merito (23).
Quanto alle forme di proposizione dell’istanza, si ritiene che, sulla falsariga dell’art. 47, l’appellante possa presentare l’istanza di sospensione (della sentenza o dell’atto), tanto unitamente allo stesso ricorso ex art. 53 o, se appellato, a seguito del ricorso incidentale di cui all’art. 54, quanto con atto separato.
I successivi commi dal terzo al sesto ricalcano le disposizioni dell’art. 47, prevedendo, in particolare, che:
1) il presidente fissa con decreto la trattazione dell’istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile, disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima;
2) in caso di eccezionale urgenza il presidente, previa delibazione del merito, può disporre con decreto motivato la sospensione dell’esecutività della sentenza fino alla pronuncia del Collegio;
3) il Collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile (24);
4) analogamente a quanto previsto dall’art. 47, la sospensione può essere subordinata alla prestazione della garanzia di cui al nuovo art. 69, secondo comma;
5) per effetto del richiamo al comma 8-bis dell’art. 47, contenuto nel secondo periodo del sesto comma, durante il periodo di sospensione si applicano gli interessi al tasso previsto per la sospensione amministrativa.
La citata norma, infine, tace in ordine all’obbligo, per il Collegio, di decidere il merito entro un certo numero di giorni dall’adozione di una (eventuale) pronuncia positiva (25).
In termini di diretta conseguenza sull’operatività della norma de qua, vale precisare che l’accoglimento dell’istanza di sospensione di una sentenza sfavorevole al contribuente preclude l’applicazione degli artt. 68 del decreto n. 546 e 19 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (concernenti la riscossione in pendenza di giudizio rispettivamente dell’imposta e delle sanzioni), fino alla conclusione del giudizio di impugnazione, rendendo necessaria la conseguente sospensione anche delle attività esecutive relative all’atto impugnato: in particolare, se la pronuncia che dispone la sospensione interviene prima che sia stata notificata al contribuente l’intimazione ad adempiere all’obbligo di pagare gli importi rideterminati in base alla suddetta sentenza, l’Ufficio fiscale dovrà astenersi dall’emettere tale intimazione (26).
Di converso, nel caso in cui sia concessa, a richiesta dell’Ufficio finanziario, la sospensione di una sentenza favorevole al contribuente, viene inibita l’operatività delle norme che ne disciplinano l’immediata esecutività e l’Ufficio è legittimato a non effettuare lo sgravio o il rimborso delle somme riconosciute non dovute in forza della stessa sentenza.

6. La tutela cautelare in pendenza di giudizio di cassazione

Venendo, poi, all’ultimo grado di giudizio, in pendenza di giudizio di cassazione, l’art. 62-bis del più volte citato D.Lgs. n. 546/1992 riserva la decisione sull’istanza cautelare alla stessa Commissione regionale che ha adottato la sentenza, sentite le parti in camera di consiglio e con ordinanza motivata non impugnabile e senza delibazione del fumus.
Inoltre, la possibilità di chiedere la sospensione dell’atto nei gradi successivi al primo offre tutela al contribuente nelle ipotesi di sentenza di cassazione con rinvio, tenuto conto che, per consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, il giudizio di rinvio costituisce una fase nuova e autonoma, funzionale ad una sentenza che non si sostituisce ad alcuna precedente pronuncia, riformandola, ma statuisce direttamente sulle domande proposte dalle parti (27).

7. Riflessioni ulteriori sul regime degli “atti sospendibili”

In definitiva, dunque, per entrambi i gradi d’impugnazione sono previsti due possibili modelli (28):
– la sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata, che può essere chiesta dall’appellante, in caso di sussistenza di gravi e fondati motivi;
– la sospensione dell’esecuzione dell’atto tributario impugnato in primo grado, che può essere chiesta dal contribuente, sussistendo un danno grave e irreparabile.
In particolare, in caso di sentenza di rigetto totale o parziale della domanda, l’Amministrazione finanziaria procederà ad iscrivere a ruolo il tributo, per l’intero ammontare o in forma frazionata, ai sensi dell’art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992: in tal caso, il contribuente appellante, se vuole tentare di “fermare” l’esecuzione, deve necessariamente chiedere la sospensione dell’atto impositivo, dimostrando l’esistenza di un danno grave e irreparabile (29).
Quando, invece, la sentenza reca la condanna dell’Amministrazione finanziaria al pagamento di somme in favore del contribuente (anche, ad esempio, a solo titolo di condanna al rimborso delle spese legali), ovvero quando essa riguarda operazioni catastali, l’art. 69 del ripetuto D.Lgs. n. 546/1992 (30) prescrive che essa sia immediatamente esecutiva, di modo che la sua mancata esecuzione consente al contribuente di ricorrere al giudizio di ottemperanza.
Può infine accadere che, in uno stesso processo di impugnazione, il contribuente, che appella in via principale un capo di sentenza che gli ha dato torto, chieda la sospensione cautelare dell’atto impositivo, mentre l’Amministrazione, che appella in via incidentale un capo ad essa sfavorevole, chieda la sospensione del capo impugnato: si può dunque verificare che, nel simultaneus processus contro la stessa sentenza, il giudizio cautelare abbia contemporaneamente ad oggetto l’atto (su richiesta dell’appellante principale) e la sentenza (su richiesta dell’appellante incidentale) (31).

8. Conclusioni e “nuove” prospettive de jure condendo

Come abbiamo avuto modo di verificare, dopo la sentenza di primo grado, in base alle nuove disposizioni, l’appellante (e anche l’Ufficio impositore) può chiedere alla Commissione tributaria regionale di sospendere in tutto o in parte l’esecutività della sentenza impugnata. A questo fine devono sussistere gravi e fondati motivi. Viene, poi, previsto che il contribuente possa comunque chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto, se da questa gli derivi un danno grave e irreparabile.
Invece, dopo la sentenza di secondo grado, la parte che ha proposto ricorso per cassazione può chiedere alla Commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza di sospenderne in tutto o in parte l’esecutività; tuttavia, a differenza di quella di primo grado, in questa ipotesi occorre provare il danno grave e irreparabile e non i gravi e fondati motivi. Resta ferma, invece, come per la fase precedente, la possibilità per il contribuente di chiedere comunque la sospensione dell’esecuzione dell’atto, se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile.
Tutto questo è, sotto la lente processuale, un “bene”, ma certamente con la recente riforma si è persa l’occasione di fornire un definitivo chiarimento in relazione a quelle vaste “zone d’ombra” che sussistono nella materia cautelare.
Ci si riferisce, in particolare, al superamento della tesi (per lo più di derivazione “lato” Agenzia delle entrate), secondo cui l’istituto della sospensione può riguardare soltanto atti immediatamente esecutivi, cioè produttivi di effetti suscettibili di essere paralizzati da una pronuncia favorevole (32), secondo cui, in sostanza, sarebbero sfornite di tutela cautelare, ad esempio, le domande di rimborso, spiegate attraverso il ricorso contro il silenzio-rifiuto di cui all’art. 21 del D.Lgs. n. 546/1992 ovvero le domande di annullamento di atti “non immediatamente esecutivi”, quali quelle spiegate avverso i c.d. “avvisi bonari”, le risposte negative alle istanze di interpello, le revoche di un’agevolazione o i dinieghi alla definizione agevolata della lite (33).
Quel che si vuole qui sostenere, in definitiva, per dirla con uno dei Padri del processo tributario è, anche a sommesso avviso di chi scrive, un prossimo traguardo da raggiungere, afferente la generale “sospendibilità” degli atti suscettibili di impugnazione dinanzi al giudice tributario. Dal momento che «la sospensione impatta sull’esecuzione dell’atto, che è una caratteristica propria di tutti gli atti tributari, consistendo nella possibilità che essi siano portati a realizzazione unilateralmente dall’amministrazione fiscale» sarebbero, quindi, suscettibili di tutela anche atti quali i dinieghi di rimborso, posto che, ad essere sospesi, sarebbero «gli effetti preclusivi dell’attività di rimborso, ripristinando quindi l’obbligo di rimborso da parte dell’ufficio» (34).
Si vuole, dunque, traguardare l’“effettività” della tutela cautelare nel processo tributario, anche attraverso strumenti diversi da quelli fin qui consentiti o adottati: orbene, l’“effettività” della tutela cautelare, principio necessario per tutti gli atti della pubblica Amministrazione, inclusi quelli tributari, ritrae le sue fondamenta da quanto stabilito dall’art. 113, secondo comma, Cost., secondo cui, come ben noto, «la tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti» (35).
Anzi, tale principio assume qui una ben maggiore valenza, dal momento che il “contenzioso” tributario si occupa di posizioni di diritto soggettivo (e non di “mero” interesse legittimo), per cui la tutela cautelare, stante la maggiore ampiezza e consistenza della situazione giuridica ad esso sottesa, deve essere certamente la più ampia possibile.
Non pare giusto, corretto e orientato al rispetto dei principi della nostra Carta Costituzionale un pronunciamento del giudice di rigetto della tutela cautelare, per assenza di rimedio, di una richiesta, avanzata da parte di un cittadino/contribuente, che alleghi un danno grave e irreparabile, conseguente alla impossibilità di continuazione dell’esercizio di una propria attività economica o di una sua azienda, a causa del mancato riconoscimento di un credito di imposta o di un rimborso a lui spettante: il non liquet, per tale caso, non pare potersi sussumere quale atto legittimo, a causa dell’assenza di previsione di un rimedio ad hoc da parte del legislatore.
Già, il legislatore che, a ben vedere, con la presente riforma ha perso davvero anche una ulteriore “storica” occasione, quella cioè di eliminare una incomprensibile disparità di tutela esistente tra il processo civile e amministrativo con il processo tributario, in cui difetta l’istituto del reclamo cautelare, dal momento che, come detto, l’ordinanza adottata dal giudice tributario, sia essa positiva o negativa, non è suscettibile di impugnazione alcuna (36).
Né, peraltro, si porrebbero problemi circa la possibile configurazione in capo alla decisione cautelare di alcun effetto vincolante: la decisione de qua, infatti, non assume affatto la veste di “giudicato cautelare”, dal momento che non preclude al giudice del merito la possibilità di decidere la causa in senso diverso, finanche opposto rispetto a quanto deciso in sede cautelare (37).
L’unico limite riguarda, come visto, l’impossibilità per le parti di riproporre un’istanza già decisa, essendo ammissibile – in caso di mutamento delle circostanze – la richiesta di revoca o di modifica dell’ordinanza (38).
Per tutte queste ipotesi, allo stato orfane di norme specifiche, ancora una volta, occorrerà attendere il “soccorso” della Giurisprudenza (non a caso con la “G” maiuscola), con l’auspicio che questa possa concorrere al conseguimento di una definitiva soluzione di tali significativi e rilevanti aspetti, ancora aperti, in ordine alla disciplina di un istituto, quale la tutela cautelare del contribuente in sede processuale, così delicato e importante.

Avv. Sergio La Rocca

(1) Secondo Corte Cost. 24 luglio 1998, n. 336, in Boll. Trib., 1998, 1511, «La disponibilità delle misure cautelari è strumentale all’effettività della tutela giurisdizionale e costituisce espressione del principio per cui la durata del processo non deve andare a danno dell’attore che ha ragione, in attuazione dell’art. 24 della Costituzione»: da qui la sua eminente natura strumentale e non finale.
(2) La proposizione di una domanda cautelare dà, quindi, luogo ad una sorta di procedimento incidentale che si innesta nell’ambito del processo relativo all’atto impugnato che è oggetto di sospensiva.
(3) Si veda Corte Cost. 31 maggio 2000, n. 165, in Boll. Trib., 2000, 1196, con nota di I. SUSANNA, La tutela cautelare in grado di appello tra dinieghi italiani e tentazioni comunitarie.
(4) Infatti è proprio in attuazione del principio di delega enunciato nell’art. 10, primo comma, lett. b), n. 9, della legge n. 23/2014, ossia «l’uniformazione e la generalizzazione della tutela cautelare», che sono state apportate modifiche al D.Lgs. n. 546/1992, e in primis all’art. 47, che mirano a disciplinare in maniera più dettagliata e organica rispetto al passato l’istituto della sospensione, tanto degli atti quanto delle sentenze, estendendolo nel contempo a tutte le fasi del processo, in conformità con gli indirizzi progressivamente elaborati dalla giurisprudenza. Cfr. circ. 29 dicembre 2015, n. 38/E, in Boll. Trib., 2016, 58, recante «Riforma del processo tributario. Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156».
(5) In particolare si vedano, sul punto, le seguenti pronunce della Consulta: Corte Cost. 17 giugno 2010, n. 217, in Boll. Trib., 2010, 1150, con nota di V. AZZONI, Un passo avanti verso la completa tutela del contribuente anche in fase cautelare; Corte Cost. 26 aprile 2012, n. 109, ivi, 2012, 1035, con nota di V. AZZONI, La Consulta ribadisce l’ammissibilità della tutela cautelare nei giudizi tributari d’impugnazione; nonché del medesimo Organo le successive ordinanze: Corte Cost. 11 luglio 2012, ord. n. 181; e Corte Cost. 15 novembre 2012, ord. n. 254; entrambe in Boll. Trib. On-line.
(6) Cfr., ex multis, Cass., sez. trib., 24 febbraio 2012, n. 2845, in Boll. Trib. On-line.
(7) Cfr., ex multis, Cass., sez. trib., 13 ottobre 2010, n. 21121, in Boll. Trib. On-line.
(8) Tanto, in particolare, ai sensi dell’art. 68, primo comma, lett. a), b) e c), del D.Lgs. n. 546/1992.
(9) Sia per un (ipotetico) lettore “frettoloso” che allo scopo di fornire una rapida evidenza delle principali novità apportate dalla riforma si è cercato di sintetizzare le stesse nel paragrafo che segue: le stesse saranno, invero, oggetto di ulteriore approfondimento nel prosieguo dell’articolo.
(10) Come pure indicato nella circ. n. 38/E/2015, cit., la relazione illustrativa al decreto di riforma attribuisce a tale disposizione la funzione di evitare un abuso delle richieste di sospensione, analogamente a quanto previsto per il processo amministrativo dall’art. 57 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (Codice del processo amministrativo).
(11) Per completezza, si segnala che per gli atti di recupero di aiuti di Stato in materia tributaria il successivo art. 47-bis prevede una particolare disciplina.
(12) Tale sospensione, in base al quinto comma della norma citata, può essere totale o anche parziale, nonché subordinata alla presentazione di idonea garanzia mediante cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa, prestata ai sensi dell’art. 69, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992 (che rimette ad un apposito decreto ministeriale la disciplina di tale garanzia).
(13) Analoga pronuncia di inammissibilità deve essere resa dal giudice adito che non si consideri munito di giurisdizione.
(14) A tale condivisibile conclusione giunge l’Agenzia delle entrate, con la richiamata circ. n. 38/E/2015, cit., secondo cui, in sostanza, la ratio della norma, letta alla luce del criterio di delega relativo al rafforzamento dell’istituto, è identificabile nell’esigenza di non vanificare gli effetti della tutela cautelare a causa di una concessione tardiva della stessa.
(15) La concessione della misura de qua dipende dalla positiva valutazione della sussistenza di entrambi i presupposti (laddove il criterio del fumus assume una valenza peculiare, dovendo essere esaminato in via preliminare rispetto al danno). Alla luce di ciò, non pare condivisibile la tesi in virtù della quale il giudice può effettuare una valutazione combinata e bilanciata dei due elementi (fumus e periculum), accordando la tutela cautelare in situazioni di danno particolarmente grave, pur in difetto di un’adeguata prognosi di fondatezza dell’azione. Tale teoria – i c.d. “vasi comunicanti” – è oggetto di disamina da parte di R. CENICCOLA, La tutela cautelare nel processo tributario alla luce delle recenti modifiche normative, in www.giustizia-tributaria.it.
(16) Nella valutazione dei presupposti della sospensione, l’interesse del ricorrente va bilanciato con quello dell’ente impositore alla tutela del credito erariale: anche con riferimento all’esito di tale ponderazione va letta la previsione, invariata nell’attuale formulazione del quinto comma, secondo cui «la sospensione può anche essere parziale». In tal senso si veda circ. n. 38/E/2015, cit.
(17) Così dispone il sesto comma della norma in esame che introduce, tuttavia, un termine meramente acceleratorio, ma privo di effetti in capo all’organo giudicante in caso di suo mancato rispetto.
(18) Ovviamente, stante l’assenza della possibilità di proporre reclamo e, quindi, la carenza dell’interesse del vincitore a fare decorrere il termine breve d’impugnazione, non è prevista la notificazione a cura della parte vittoriosa, ma la sola comunicazione da parte della competente segreteria/cancelleria della adita Commissione. Nella prassi l’esito dell’udienza di sospensione viene comunicato dal Presidente alle parti direttamente al termine dell’udienza dopo una breve consultazione del Collegio in camera di consiglio senza la presenza delle parti.
(19) Viene così individuato, quale giudice d’appello, la Commissione tributaria regionale, rinviandosi – per la determinazione della competenza territoriale – all’art. 4, secondo comma, ai sensi del quale «Le Commissioni tributarie regionali sono competenti per le impugnazioni avverso le decisioni delle Commissioni tributarie provinciali, che hanno sede nella loro circoscrizione».
(20) In realtà l’esperibilità della tutela cautelare anche in grado d’appello e in pendenza di giudizio di cassazione, pure in assenza di una disciplina testuale in proposito, era un dato acquisito anche prima della riforma in esame: cfr. Corte Cost. n. 217/2010, cit.; Cass. n. 2845/2012, cit.; e Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053, in Boll. Trib., 2014, 1648, con nota di A. RUSSO, Filtro al ricorso in cassazione avverso le sentenze del giudice tributario: i principi di diritto.
(21) Così la relazione illustrativa al decreto di riforma.
(22) In realtà il secondo comma dell’art. 52 del D.Lgs. n. 546/1992 contiene due ipotesi distinte: 1) «L’appellante può chiedere alla commissione regionale di sospendere in tutto o in parte l’esecutività della sentenza impugnata, se sussistono gravi e fondati motivi» e, prosegue la norma, 2) «Il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile», di talché si può ritenere che la richiesta di sospensione a norma della seconda parte del secondo comma citato prescinda dalla sussistenza del fumus essendo sufficiente la prova di un evento dannoso irreparabile connesso all’esecuzione coattiva dell’atto impugnato (pignoramento dei conti della ditta individuale che impedirebbe la prosecuzione dell’attività pregiudicando la vita dell’impresa stessa, oppure, il pignoramento del conto personale sul quale è appoggiato il mutuo che porterebbe ad uno stato di morosità tale da scatenare la reazione della banca con conseguente rischio di perdita dell’abitazione).
(23) In tal senso circ. n. 38/E/2015, cit., secondo cui, inoltre, la facoltà riconosciuta al contribuente di chiedere la sospensione dell’atto oppure della sentenza consente la tutela cautelare in diverse ipotesi; viene qui riportato, quale esempio, il caso di una sentenza di rigetto del ricorso introduttivo, la cui sospensione lascerebbe comunque in piedi gli effetti dell’atto.
(24) Analogamente a quanto accade per il primo grado, anche se non viene prevista espressamente la possibilità di revoca o modifica dell’ordinanza a seguito di mutamenti delle circostanze, come contemplato dall’ottavo comma dell’art. 47, si ritiene che la presentazione di un’istanza di parte in tal senso non sia preclusa.
(25) Tanto, diversamente dal primo grado in cui, come visto, in caso di accoglimento anche parziale della domanda cautelare la trattazione del merito deve tenersi non oltre novanta giorni (termine, questo, comunque meramente acceleratorio).
(26) Sul punto l’Agenzia delle entrate (cfr. circ. n. 38/E/2015, cit.) precisa che l’obbligo di non emettere l’intimazione vale anche in presenza di fondato pericolo per la riscossione. Diversamente, se al momento della pronuncia di sospensione è già stata notificata l’intimazione, l’Ufficio finanziario procede all’affidamento del carico all’agente della riscossione, dando contestuale comunicazione a quest’ultimo dell’intervenuta sospensione. La sospensione impedisce anche la prosecuzione delle attività esecutive sulle somme dovute in via provvisoria nei precedenti gradi di giudizio e già affidate all’agente della riscossione. Per tale motivo, la comunicazione che l’Ufficio indirizza all’agente della riscossione per richiedere la sospensione dell’attività esecutiva dovrà avere ad oggetto la totalità dei carichi affidati, relativi alla controversia interessata dalla sospensione.
(27) Cfr. Cass., sez. I, 17 novembre 2000, n. 14892, in Rep. foro it., 2000, Rinvio civile [5950], n. 25; Cass., sez. I, 23 settembre 2002, n. 13833, ivi, 2002, Cassazione civile [1140], n. 196; Cass., sez. I, 28 gennaio 2005, n. 1824, ivi, 2005, Matrimonio [4130], n. 159; Cass., sez. III, 27 marzo 2009, n. 7536, ivi, 2009, Rinvio civile [5950], n. 7; e Cass., sez. VI, 5 aprile 2011, ord. n. 7781, ivi, 2011, Rinvio civile [5950], n. 13. Dunque, «dopo la cassazione con rinvio la sentenza di primo grado e la sentenza di appello cassata si trovano sempre esattamente nella stessa condizione di inefficacia, di impossibilità di reviviscenza e di insuscettibilità di passaggio in giudicato» (così Cass., sez. trib., 11 novembre 2011, n. 23596, in Boll. Trib. On-line): ciò comporta, come rilevato dalla più volte citata circ. n. 38/E/2015, che l’Amministrazione finanziaria è legittimata a riscuotere la pretesa erariale secondo le regole vigenti nella fase di impugnazione dell’atto impositivo.
(28) Ciò dipende dal fatto che, anche nel processo tributario, l’oggetto del giudizio cautelare in sede d’impugnazione può consistere sia nella sentenza appellata (cfr. Corte Cost. n. 217/2010, cit.), sia nell’atto impugnato (cfr. Corte Cost. 5 aprile 2007, ord. n. 119, in Boll. Trib., 2007, 1245).
(29) L’impugnazione avrà, quindi, come oggetto specifico la sentenza di prime cure, ma la domanda cautelare avrà come oggetto l’atto impugnato col ricorso introduttivo. La sentenza, tuttavia, continuerà a giocare un ruolo determinante nel giudizio cautelare sotto il profilo del fumus, dovendo l’appellante dimostrarne la probabile sua erroneità.
(30) Per tale ipotesi, la decorrenza è stata differita allo scorso 1° giugno 2016. In tal caso, per evitare di eseguire la sentenza nelle more dell’impugnazione, all’Amministrazione finanziaria appellante non resterà che chiederne la sospensione.
(31) In tutti i casi, comunque, ad avere interesse alla sospensione dell’atto è sempre e soltanto il contribuente, mentre ad avere interesse alla sospensione della sentenza è sempre e soltanto l’ente impositore.
(32) La tutela cautelare sarebbe dunque riservata esclusivamente agli atti della riscossione: a partire dalla cartella di pagamento fino agli accertamenti impo-esattivi, di cui all’art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 giugno 2010, n. 122), che fungono anche da cartella di pagamento. Infatti, oltre a quanto sostenuto da ultimo con la più volte citata circ. n. 38/E/2015, il Ministero delle finanze, già con circ. 23 aprile 1996, n. 98/E, in Boll. Trib., 1996, 687; e circ. 31 luglio 2001, n. 73/E, ivi, 2001, 1233, affermava che «non sono suscettibili di essere sospesi il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi od altri accessori non dovuti o il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari».
(33) Per tali casi, infatti, un’ipotetica richiesta di sospensiva non potrebbe che proporsi solo a seguito dell’iscrizione a ruolo del tributo, operata dall’Ufficio impositore: per cui la richiesta di inibitoria dell’efficacia dell’atto impositivo, potrebbe – implicitamente – estendere i propri effetti all’atto presupposto, ex se non suscettibile di sospensione.
(34) Cfr. C. GLENDI, La tutela cautelare del contribuente nel processo tributario riformato, in Dir. prat. trib., 1999, I, 58.
(35) In tal senso N. DURANTE, La tutela cautelare nel processo tributario, in www.giustizia-amministrativa.it.
(36) Magari vorrà il giudice delle leggi provvedere a sanare questa evidente “lacuna”!
(37) Sul “giudicato cautelare tributario” si richiama Cass., sez. trib., 26 febbraio 2016, n. 3852, in Boll. Trib. On-line, che in tema di giudicato esterno ha chiarito che il rigetto da parte della Commissione tributaria di un provvedimento cautelare ante causam (nella specie, istanza di iscrizione di ipoteca e di sequestro conservativo dei beni della società contribuente, per essere stato ritenuto insussistente il fumus boni juris, anche se non impugnato dall’Ufficio fiscale, con conseguente definitività del medesimo, in quanto non attinente “al merito”), non è idoneo ad assumere la veste di giudicato cautelare vincolante nel successivo giudizio, con conseguente impossibilità per la parte contribuente di fondare sul medesimo un’eccezione di giudicato.
(38) Manca, peraltro, anche l’individuazione di uno strumento utilizzabile dal contribuente in caso di mancata esecuzione dell’ordinanza cautelare da parte dell’Amministrazione finanziaria o dell’agente della riscossione: per tale caso, infatti, non potendosi adottare il giudizio di ottemperanza che, a mente dell’art. 70 del D.Lgs. n. 546/1992, riguarda le sole sentenze e non le ordinanze, rimarrebbe la sola possibilità di impugnare (nei prescritti termini di decadenza) gli eventuali atti sopravvenuti in contrasto con il dispositivo cautelare: con ricorso dinanzi al giudice tributario, se essi attengono alla fase dell’accertamento o della riscossione; con opposizione all’esecuzione od agli atti esecutivi dinanzi al giudice ordinario, se essi attengono alla fase dell’esecuzione forzata (quanto meno fino alle sentenze rese da Cass., sez. trib., 5 giugno 2017, nn. 13913 e 13916, in Boll. Trib., 2017, 1437, con nota di D. CARNIMEO, È devoluta al giudice tributario la cognizione dell’opposizione avverso un atto di pignoramento non preceduto dalla notifica della presupposta cartella di pagamento; si veda altresì Comm. trib. prov. di Latina, sez. III, 16 gennaio 2014, n. 123, ivi, 2015, 541, con nota di D. CARNIMEO, Impugnabile dinanzi al giudice tributario il pignoramento dei crediti verso terzi di cui all’art. 72-bis del D.P.R. n. 602/1973, ma soltanto ove si contestino l’an e il quantum del tributo); sempre, in ogni caso, con salvezza di azione, dinanzi al giudice ordinario, per il risarcimento del danno. In tal senso N. DURANTE, op. cit.

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