22 Ottobre, 2012

sommario: 1.Premessa – 2.Il problema dei finanziamenti stipulati all’estero da banche italiane – 3.La sentenza della Commissione tributaria provinciale di Brescia del 10 aprile 2012, n. 27 – 4.Considerazioni generali sulla compatibilità del concetto di “abuso del diritto” e il sistema dell’imposta di registro e delle altre imposte d’atto.

1.Premessa

 

L’imposta sostitutiva sui finanziamenti bancari a medio e lungo termine (e, quindi, di durata superiore ai 18 mesi) fu introdotta nel sistema tributario con gli artt. 15 e segg. del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 (“Disciplina delle agevolazioni tributarie”), come misura di agevolazione fiscale rivolta al settore del credito e si concretizza nell’esenzione dei predetti finanziamenti e delle eventuali operazioni accessorie dall’applicazione delle ordinarie imposte c.d. “d’atto” (ossia delle imposte di registro, di bollo, ipotecaria e catastale e della tassa sulle concessioni governative).

Per effetto delle richiamate disposizioni si applica alle operazioni della specie, in luogo delle nominate imposte d’atto, un’imposta sostitutiva pari allo 0,25%, dovuta dagli enti finanziatori sull’ammontare complessivo dei finanziamenti erogati o messi a disposizione in ciascun esercizio.

Per quanto l’intento manifesto del regime sostitutivo sia quello agevolativo (cosa che indubbiamente si riscontra nell’applicazione concreta del tributo, per “massa” di operazioni e non per singolo “atto” o contratto stipulato) non sempre esso realizza una imposizione effettivamente meno gravosa.

Tenendo infatti presente il noto principio di alternatività tra IVA e imposta di registro (i finanziamenti sono comunque attratti nell’ambito applicativo del primo tributo, per di più in regime di esenzione, a sensi dell’art. 10, n. 1, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), sancito dagli artt. 5 e 40 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, di fatto l’applicazione della cennata aliquota dello 0,25% risulta conveniente nei soli casi in cui il finanziamento non sia assistito da garanzie personali o reali, in special modo quella ipotecaria, per la cui costituzione è applicabile lo specifico tributo del 2% della somma garantita.

Questo è, in termini estremamente sintetici, la disciplina contenuta nei richiamati articoli del D.P.R. n. 601/1973 [1] che, per il resto – e, in specie, per quanto attiene alla rettifica dell’imponibile, all’irrogazione delle sanzioni per omissione o infedeltà della dichiarazione, alla riscossione del tributo sostitutivo, al contenzioso e per tutto quanto riguarda l’applicazione dell’imposta sostitutiva – rinvia alla disciplina dell’imposta di registro di cui al già citato D.P.R. n. 131/1986.

Tale ultimo rinvio riguarda anche il profilo della c.d. “territorialità” del tributo, posto che la disciplina dell’imposta sostitutiva contenuta nel D.P.R. n. 601/1973 non fa alcun riferimento al luogo nel quale l’operazione di finanziamento e gli altri atti e operazioni accessorie debbono essere conclusi e formati perché il medesimo tributo possa trovare applicazione.

Si deve, quindi, avere riguardo a quanto previsto dalla normativa in materia di imposta di registro e, precisamente, dall’art. 2, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 131/1986. In base a tale ultima disposizione, infatti, sono soggetti a imposta gli atti formati nel territorio dello Stato, mentre per la successiva lett. d) dello stesso articolo, gli atti formati all’estero sono assoggettati all’imposta di registro solo se comportanti il trasferimento della proprietà o la costituzione di altri diritti reali, anche di garanzia, su beni immobili o aziende ricadenti nel territorio dello Stato e quelli che hanno oggetto la locazione o l’affitto di tali beni.

In base all’art. 11 della Tariffa, parte II, allegata allo stesso D.P.R. n. 131/1986, inoltre, gli atti formati all’estero diversi da quelli sopra indicati non sono immediatamente assoggettabili a tassazione in quanto sono registrabili solamente in “caso d’uso”.

Per quanto attiene, poi, il quesito relativo all’applicabilità del regime sostitutivo alla “nazionalità” del soggetto passivo, essendo le banche le destinatarie fondamentali di tale particolare regime fiscale, risulterebbe in particolare in contrasto con i principi comunitari – fondati, tra l’altro, sul concetto di libertà di effettuazione delle prestazioni economiche, di stabilimento e di circolazione dei capitali, in regime di parità concorrenziale nello spazio comunitario [2] – un’interpretazione che limitasse tale trattamento (almeno “tendenzialmente”) agevolativo esclusivamente alle banche nazionali, per le operazioni di finanziamento stipulate nel territorio italiano.

Consapevole di ciò, la stessa Amministrazione finanziaria ha ammesso espressamente [3] al trattamento sostitutivo anche le banche stabilite nel territorio degli Stati membri della Comunità europea per le eventuali attività di finanziamento effettuate direttamente nel nostro territorio, a prescindere dal fatto che la banca comunitaria mantenga o meno una stabile organizzazione, sede secondaria o filiale in Italia.

Già vigeva, del resto, una specifica Direttiva [4] in tal senso che imponeva un’assoluta equiparazione, anche agli effetti tributari, tra le banche italiane e quelle comunitarie.

Dalla richiamata declaratoria ministeriale pare che sia stato riconosciuto in tal senso un’agevolazione esclusivamente a favore della banche comunitarie, escludendo dal trattamento di favore, invece, le banche aventi sede fuori dal territorio comunitario, anche in relazione ai finanziamenti dalle stesse stipulati in Italia.

Ragione a sostegno di tale conclusione sarebbe la constatazione delle indubbie difficoltà operative e di controllo derivanti dall’applicazione del D.P.R. n. 601/1973 anche nei confronti delle banche extracomunitarie. In senso opposto potrebbe richiamarsi invece l’affermazione formulata dallo stesso Ministero [5] circa: «(…) la mancanza di alcun riferimento alla residenza dei soggetti passivi [ossia, le banche; N.d.a.] nella disciplina dell’imposta in esame».

Appare maggiormente concludente, in proposito, verificare se anche la banca extra-UE, quando opera nel nostro territorio, sia tenuta a osservare la legge bancaria italiana in tutti i suoi aspetti e, in caso positivo, riconoscere l’applicazione del cennato regime sostitutivo per i finanziamenti stipulati in Italia.

La soluzione di tale problema interpretativo assume rilievo con particolare riferimento ai finanziamenti concessi in pool strutturato nella forma del mandato con rappresentanza ai quali partecipino anche banche non comunitarie, sussistendo il dubbio se queste ultime siano tenute o meno a dichiarare e versare l’imposta relativa alla propria quota di detti finanziamenti.

In ogni caso, il requisito della territorialità ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva assume rilevanza, ai sensi del richiamato disposto dell’art. 2, lett. d), del D.P.R. n. 131/1986, più che in relazione alla localizzazione della sede della banca erogante, soprattutto in considerazione della stipula o meno in Italia dei relativi atti.

Si ricorda, infatti, che il sistema dell’imposta “sostituisce” le tipiche imposte “d’atto” che rilevano ai fini impositivi solo se poste in relazione a contratti o documenti formati in Italia.

Il fatto che gli atti di finanziamento non sono contemplati nella citata norma, porta ad escludere, come prima osservazione, che rientrano nell’ambito impositivo nazionale (e non solo dell’imposta sostitutiva) i finanziamenti stipulati all’estero, per quanto siano “utilizzati” o materialmente erogati in Italia, e ciò indipendentemente dalla circostanza che la banca erogante sia estera o anche italiana [6].

Dovrebbe, d’altro canto, rimanere fermo che, ai fini di determinare i requisiti richiesti per l’applicazione dell’imposta sostitutiva, nessun rilievo esplichi la residenza del soggetto beneficiario del finanziamento, non essendo questo elemento preso in considerazione né dalle disposizioni regolanti l’imposta sostitutiva né da quelle sussidiariamente richiamate, disciplinanti l’imposta di registro.

Occorre anche ricordare che il Ministero ha dovuto chiarire [7] che rientrano nel regime sostitutivo gli atti non contestuali ad atti di finanziamento stipulati in Italia con filiali nazionali di banche estere, censurando il comportamento di taluni uffici finanziari locali che avevano preteso il recupero delle imposte ordinarie sostenendo che in tali casi era necessario dare prova che la banca estera eserciti in Italia il credito a medio e lungo termine e abbia quindi pagato l’imposta sostitutiva in relazione al finanziamento effettuato.

Invero: «la tesi dell’Ufficio secondo la quale la parte doveva dare la prova che la Banca aveva provveduto al pagamento dell’imposta sostitutiva non ha fondamento in alcuna norma di legge, non essendo possibile far gravare tale indagine, dato il sistema di versamento dell’imposta sostitutiva, sui clienti delle banche. Infine, sembra corretta la tesi dell’Istituto istante, secondo la quale ogni organizzazione bancaria estera che operi in Italia è soggetta alla normativa bancaria italiana e di conseguenza possa godere anche del trattamento tributario riservato alle banche italiane che esercitano il credito a medio e lungo termine, come non è possibile obiettare che anche le aziende che esercitano il credito ordinario possano effettuare operazioni a medio e lungo termine».

Sempre secondo l’Amministrazione finanziaria [8], che ha esaminato la fattispecie di un finanziamento stipulato all’estero da una banca italiana (ma i principi espressi possono valere anche nei confronti di una banca estera), il requisito di territorialità sopra descritto comporta necessariamente che l’operazione è fuori dall’ambito dell’imposta sostitutiva (scontando, semmai, i tributi vigenti presso lo Stato estero in cui avviene la stipula) ma gli atti conseguenti stipulati nel nostro territorio, tra cui (pur non richiamandole espressamente) la concessione di eventuali garanzie su beni esistenti nel nostro Stato sconterebbero il trattamento fiscale ordinario.

Ciò riguarda il rilascio di garanzie personali o pegni rilasciati da terzi, per le cessioni di crediti (salvo verificare nel caso specifico se sia necessario, ai fini della registrazione dell’atto, il realizzarsi del c.d. “caso d’uso”, potendo le predette operazioni rientrare nell’ambito dell’applicazione dell’IVA) ovvero per il rilascio di cambiali in Italia (o di negoziazione di effetti provenienti dall’estero).

Per quanto attiene l’iscrizione di garanzie ipotecarie su beni immobili esistenti in Italia, il cui tributo ordinario sarebbe pari al 2% dell’importo del credito garantito, ai sensi dell’art. 3, comma 1, del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, va ricordato [9] che proprio la richiamata norma di cui alla lett. d) dell’art. 2 del D.P.R. n. 131/1986 ricorda che rientrano nel trattamento fiscale nazionale gli atti formati all’estero che comportano la costituzione di diritti reali di garanzia su beni esistenti in Italia.

Appare comunque imprescindibile un atto scritto di concessione dell’ipoteca che, seppur proveniente dall’estero (anche se autenticato nelle firme in sede consolare), sia idoneo per la presentazione alla Conservatoria dei registri immobiliari affinché si possa iscrivere regolarmente l’ipoteca sul bene immobile sito in Italia.

A tale proposito si può ricordare che, secondo l’art. 106, n. 4, della legge 16 febbraio 1913, n. 89, gli originali e le copie degli atti ricevuti o autenticati da notai in un Paese estero debbono essere depositati in un archivio notarile distrettuale italiano, prima che le parti ne facciano uso nel territorio dello Stato e qualora non siano stati depositati presso un notaio italiano esercente (deposito attestato da apposito verbale annotato sul proprio repertorio).

Su questa problematica è stato altresì osservato, a nostro parere giustamente: «(…) l’attrazione nell’ambito territoriale di tali operazioni presuppone, in via di principio, che l’atto di finanziamento sia anche costitutivo della garanzia ipotecaria, nel senso che l’atto deve essere attratto nell’ambito territoriale italiano nella sua interezza, ancorché stipulato all’estero, non essendo possibile ipotizzare, ai fini dell’imposta di registro, una registrazione che non riguardi l’atto nella sua integrità» [10].

Tenuto però conto il chiaro pronunciamento dell’Amministrazione finanziaria contenuto nella citata risoluzione n. 45/E/2000 (o, quantomeno, considerando che la stessa non è ulteriormente intervenuta sull’argomento specifico delle garanzie ipotecarie): «(…) è opportuna la massima cautela sul punto, e comunque sicuramente il principio [della “sostituzione” del tributo ipotecario: N.d.a.] non si può estendere alle concessioni di ipoteca stipulate in Italia che enuncino semplicemente il finanziamento estero e, a parere di chi scrive, nemmeno ai finanziamenti esteri con ipoteca su immobile italiano concessa mediante atto estero separato ed autonomo» [11].

 

2. Il problema dei finanziamenti stipulati all’estero da banche italiane

 

Ma quello che ha ulteriormente allarmato gli operatori è il fatto che la medesima declaratoria ministeriale è stata richiamata, evidentemente travisando le sue conclusioni, a fondamento di una Nota emanata da un importante Ufficio locale dell’Agenzia delle entrate [12] che ha considerato come comportamento elusivo degli obblighi di cui all’art. 15 del D.P.R. n. 601/1973, pretendendo comunque l’applicazione dell’imposta sostitutiva, nel caso in cui venga stipulato all’estero un atto redatto in italiano e sottoscritto da soggetti residenti e il finanziamento venga erogato in Italia, sotto la disciplina della legge nazionale.

Si ricorda brevemente che, ai sensi dell’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1972, n. 600 (a parte la perplessità se quanto ivi disposto sia applicabile anche all’imposta sostitutiva, attesa la sua collocazione fra le norme che riguardano l’accertamento delle “imposte sui redditi”, come vedremo meglio in seguito), per elusione fiscale – o come correntemente si usa dire, per “abuso di diritto” – si intende il comportamento diretto a conseguire:

– una riduzione delle imposte dovute (o rimborsi non spettanti);

– attraverso l’aggiramento di “obblighi e divieti previsti dall’ordinamento tributario”;

– in assenza di valide ragioni economiche.

In altri termini, con tali comportamenti si intende perseguire un risparmio di imposta “patologico”, non vietato da specifiche disposizioni di legge, ma disapprovate dal sistema tributario, attraverso “alchimie finanziarie” o “architetture giuridiche”, quali lo sfruttamento di lacune legislative, la strumentalizzazione di istituti giuridici e l’abuso dell’autonomia negoziale, senza che tutto ciò sia giustificato da altro se non dall’intento di evitare fraudolentemente l’applicazione delle imposte realmente dovute [13].

Non sembra che tali riserve siano riscontrabili nel caso che ci occupa, atteso che dalla stipula all’estero di un finanziamento a medio/termine deriva comunque che:

– l’atto soggiace alla tassazione vigente nel luogo della stipula;

– non si applica l’imposta sostitutiva in relazione alle somme resesi disponibili, per i principi di territorialità sopra esposti;

– tutti gli atti futuri che saranno eventualmente stipulati in Italia saranno comunque assoggettati all’imposizione ordinaria.

Si tratta, in sostanza, di una legittima scelta, nel rispetto dell’autonomia negoziale delle parti, fra due regimi tributari astrattamente applicabili a seconda del luogo della stipula, volta ad ottenere un immediato e riconosciuto risparmio fiscale ma che, se si considera l’intera vita dell’operazione finanziaria, non è certo assicurato.

Riportare, come si è fatto nel caso descritto, le più svariate operazioni in “odore di risparmio d’imposta” all’“abuso di diritto” appare ingiusto e può determinare un clima di incertezza e di disagio a scapito del principio dell’autonomia negoziale, costituzionalmente garantita.

Come è stato giustamente osservato, con riguardo alla possibilità dell’Amministrazione finanziaria e dei giudici di considerare anche gli effetti economici per riqualificare un atto ai fini dell’imposta di registro, onde disapplicare le scelte negoziali delle parti perché ritenute “elusive”: «(…) si rileva da più parti, non senza fondamento, che le posizioni assunte dall’Amministrazione e dalla giurisprudenza andrebbero meglio calibrate perché, altrimenti, vengono ad incidere sul principio della predeterminazione ex lege dell’obbligazione tributaria e, di conseguenza, sulla certezza del diritto …» [14].

 

 

 

3. La sentenza della Commissione tributaria provinciale di Brescia del 10 aprile 2012, n. 27

 

 

Comunque, la descritta fattispecie è stata recentemente esaminata nella sentenza della Commissione tributaria provinciale di Brescia [15] che – per quanto emessa da giudici di primo grado – si segnala per l’importanza dei punti trattati [16].

Nello specifico, nel corso di una verifica fiscale presso una società era stato reperito un atto di finanziamento a lungo termine concesso da una banca italiana e stipulato in Svizzera.

Su segnalazione degli organi verificatori, il locale Ufficio finanziario ha contestato questa singola operazione alla banca e alla società finanziata – ferma restando la prosecuzione della originaria verifica fiscale per altri eventuali rilievi nei confronti di quest’ultima – per il mancato assolvimento dell’imposta sostitutiva sui finanziamenti, rilevando l’intento elusivo dell’operazione, evidentemente dimostrato dalle circostanze che:

– il finanziamento era stato stipulato tra soggetti aventi sede in Italia, iscritte presso il registro delle imprese in Italia;

– la durata del finanziamento era di 60 mesi;

– l’atto era completamente redatto in lingua italiana;

– il contratto era regolato dalla legge italiana;

– il Foro competente era quello di Brescia;

– la somma concessa in finanziamento era espressa in euro ed era confluita interamente nel conto corrente nazionale della società italiana mutuataria, intrattenuto presso la locale filiale della banca finanziatrice;

– conseguentemente, tutti gli effetti giuridici dell’operazione si erano prodotti interamente in Italia.

La norma richiamata è stata anche quella dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 che, come noto, al primo e secondo comma, statuisce:

«Sono inopponibili all’Amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati fra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti. L’amministrazione finanziaria disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi di cui al comma 1, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all’amministrazione».

Il richiamo a questa disposizione offre al ricorrente un primo motivo pregiudiziale di lamentela, in quanto detto articolo, al comma 4, stabilisce che: «l’avviso di accertamento è emanato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente anche per lettera raccomandata, di chiarimenti da inviare entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta nella quale devono essere indicati i motivi di cui si reputano applicabili i commi 1 e 2».

Orbene, nel caso di specie, nonostante si sia in presenza di un provvedimento impositivo in cui si accusa il contribuente di aver posto in essere un’operazione elusiva, si lamenta che l’Ufficio ha omesso di inviare al contribuente il predetto invito e ciò, come inequivocabilmente affermato dalla disposizione testé citata, comporta l’illegittimità assoluta dell’atto impositivo.

Altro motivo pregiudiziale posto in rilievo nel ricorso richiama il contenuto della citata circolare n. 45/E/2000, in cui si afferma, tra l’altro: «per chiara connessione operata dal legislatore tra imposta sostitutiva e di registro ed in considerazione che quest’ultima colpisce gli atti formati nello Stato italiano, alle operazioni di finanziamento poste in essere dagli istituti di credito italiani fuori dal territorio nazionale non torna applicabile il regime fiscale dell’imposta sostitutiva ma quello in vigore nello Stato estero interessato» mentre nessuna considerazione, invece, viene svolta con riguardo all’asserita rilevanza degli elementi valorizzati dall’Ufficio nell’atto impugnato.

In sostanza, osserva il contribuente, l’operazione conclusa è stata assoggettata al trattamento fiscale previsto dal legislatore e confermato dalla stessa Agenzia delle entrate, sicché la citata declaratoria – oltre a dimostrare la legittimità del comportamento tenuto – rileva sotto il profilo della tutela del legittimo affidamento riposto dalla ricorrente nel contenuto della pronuncia.

A tale proposito si ricorda che l’art. 10, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente), conferma che il principio del legittimo affidamento del contribuente nelle pronunce dell’Amministrazione finanziaria costituisce un principio fondamentale dell’ordinamento, rilevabile negli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost. E la violazione dell’affidamento riposto dal contribuente in una pronuncia dell’Amministrazione finanziaria comporta l’impossibilità di richiedere allo stesso imposte e sanzioni [17].

A fronte di queste prime contestazioni l’Ufficio nelle sue “Controdeduzioni” (peraltro molto circostanziate e ricche di richiami a precedenti giurisprudenziali) fa rilevare che la Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite, ha riconosciuto valenza generale della figura dell’abuso di diritto, ritenendola immanente all’ordinamento tributario e preesistente alla norma antielusiva di cui all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973. Di conseguenza è possibile affermare che non vi è alcun obbligo di seguire uno specifico procedimento “aggravato” in sede di contestazione di una fattispecie abusiva.

A parere dell’Ufficio, una norma speciale, quale quella contenuta nell’art. 37-bis, infatti non può individuare i presupposti procedimentali per l’applicazione di un principio generale. Il legislatore, con la previsione in questione, ha introdotto una procedura complessa per le particolari fattispecie descritte tassativamente, quali sintomatologiche dell’esistenza di un intento elusivo, dalla stessa norma; solo nei casi in cui si contesti l’accadimento di dette fattispecie, quindi, occorre seguire le regole procedimentali contemplate dalla medesima disposizione.

Inoltre – e tale considerazione appare di per sé incontrovertibile – la stessa Corte di Cassazione ha affermato la medesima rilevabilità d’ufficio da parte del giudice dell’abuso di diritto, trattandosi di eccezione posta a vantaggio dell’Amministrazione finanziaria e quindi indisponibile [18].

Più singolare appare la replica riguardo al rilievo riferito al mancato rispetto del diritto di affidamento del contribuente: l’Ufficio fa notare che la richiamata pronuncia n. 45/E/2000 non è una circolare, avente una portata “generale”, ma una mera risoluzione che, con riferimento al caso specifico e a quel contesto temporale, aveva riguardo agli istituti di credito comunitari non aventi stabile organizzazione in Italia, che non corrisponde al caso in esame.

Ma così si dimenticano gli altri importanti contenuti interpretativi affrontati in quella risoluzione, del resto sollecitati dall’Associazione Bancaria Italiana istante, quasi a sottolineare il particolare interesse generale che la categoria degli istituti di credito riponevano nell’intera questione.

La sentenza in commento non affronta queste questioni pregiudiziali, che forse meritavano un maggiore approfondimento [19], rilevando, in particolare, con riguardo alla lamentata mancata contestazione preventiva del carattere elusivo dell’operazione (funzionale anche al fine di evitare un oneroso contenzioso), che, quand’anche i contribuenti avessero avuto la possibilità di controdedurre in sede procedimentale, non avrebbero potuto illustrare ragioni diverse da quelle ben sottolineate nelle svolte motivazioni del ricorso. Il che avrebbe condotto alla loro non dubitabile reiezione da parte dell’Ufficio finanziario sulla base delle plurime argomentazioni contrarie illustrate nella memoria prodotta in giudizio da quest’ultimo.

Si passa quindi direttamente all’esame del merito della questione.

Sotto questo aspetto principale il contribuente sviluppa in vari punti del suo ricorso che gli atti formati all’estero sono stati espressamente disciplinati dal legislatore, il quale ha statuito chiaramente che per l’imposta sostitutiva del registro e delle altre imposte d’atto essi devono essere tassati solamente se hanno per oggetto beni immobili o aziende ubicate nel territorio dello Stato. Negli altri casi scontano la tassazione solo eventualmente, poiché debbono essere registrati solamente in caso d’uso, al fine di consentire i successivi adempimenti previsti dalla legislazione nazionale (aggiornamento dei libri fondiari, nel registro delle imprese, ecc.).

Ciò pertanto non esclude che il contratto concluso all’estero possa poi scontare imposte in Italia. È possibile, infatti, che tale contratto debba essere assoggettato a tassazione in futuro: come detto, infatti, trattandosi di atto formato all’estero esso dovrà essere registrato in caso d’uso e, in tale evenienza, sconterà tassazione.

O, ancora, vi potrà essere applicazione dell’imposta di registro in caso di rilascio di garanzie da parte di terzi (0,5% dell’importo garantito, ex art. 6 della Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. n. 131/1986) nonché dell’imposta ipotecaria, qualora la garanzia del finanziamento sia costituita dall’iscrizione di ipoteca su un immobile sito in Italia (2% dell’importo garantito, ex art. 1 della Tariffa allegata al D.Lgs. n. 347/1990).

Posto questo, va altresì respinta la pretesa dell’Ufficio di contestare l’accadimento nella specie di un intento elusivo posto in essere dal contribuente, nondimeno ponendo in dubbio che, addirittura, si possa far richiamo alla norma di cui all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 con riguardo all’applicazione dell’imposta sostitutiva di imposte d’atto, anche a prescindere della sua collocazione nella normativa relativa all’accertamento delle imposte dirette.

Prima di ogni altra cosa si rileva, infatti, che il divieto dell’abuso di diritto non si adatta alla materia dell’imposta di registro e della relativa imposta sostitutiva che, proprio per la loro natura di imposte d’atto [«l’imposta di registro, anche nella vigente formulazione, non ha perduto la sua originaria caratteristica di imposta d’atto» [20]], colpiscono la stipulazione di determinati atti, indipendentemente dai motivi che hanno mosso le parti, dagli eventi intervenuti successivamente, dagli effetti economici correlati, ecc.

Inoltre, nel concreto, ammesso e non concesso che la prefata disposizione in materia di elusione e di divieto di abuso di diritto possa essere applicata anche ai fini delle imposte d’atto, resta fermo che l’operazione conclusa non può considerarsi abusiva o elusiva. Si ricorda che, secondo l’insegnamento della Cassazione [21], si ha elusione quando il contribuente, architettando complesse catene di operazioni e sfruttando le asimmetrie e le imperfezioni del sistema ordinamentale, riesce a sottrarsi al trattamento fiscale originariamente previsto per una determinata fattispecie (quello coerente rispetto al sistema) e ad accedere ad un diverso e più favorevole trattamento fiscale (che è quindi incoerente rispetto al sistema).

Ma nel caso di specie, si conferma, non è stata aggirata la normativa italiana, architettando complesse catene di operazioni finalizzate ad accedere ad un trattamento di favore in dissintonia con il sistema.

Il contribuente, infatti, si è limitato a scegliere una delle opzioni offerte dall’ordinamento tributario, concludendo un’operazione singola, espressamente disciplinata dal legislatore.

Talché, le minori imposte eventualmente versate seguendo la strada dell’atto formato all’estero in luogo dell’atto formato in Italia, a tutto concedere, possono rappresentare un “legittimo risparmio d’imposta”, fattispecie meritevole di tutela da parte del legislatore: «si può fornire così un criterio tendenziale per distinguere l’elusione rispetto al mero risparmio d’imposta: quest’ultimo si verifica quando, tra vari comportamenti posti dal sistema fiscale su un piano di pari dignità, il contribuente adotta quello fiscalmente meno oneroso. Non c’è aggiramento fintanto che il contribuente si limita a scegliere tra le due alternative che in modo strutturale e fisiologico l’ordinamento gli mette a disposizione. Una diversa soluzione finirebbe per contrastare con il principio diffuso in tutti gli ordinamenti tributari dei paesi sviluppati, che consentono al contribuente di regolare i propri affari nel modo fiscalmente meno oneroso» [22].

Di converso, muovendo dall’errato presupposto secondo cui qualunque vantaggio tributario sarebbe elusivo pur in assenza, come si è visto, di qualsiasi regola che imponga al contribuente l’obbligo di scegliere la strada fiscalmente più onerosa, è paradossalmente l’Ufficio finanziario a porre in essere una pretesa abusiva, aggirando le chiare previsioni normative che escludono da imposizione i contratti stipulati all’estero ed invocando fatti irrilevanti, al fine di tassare pesantemente un contratto che il legislatore ha escluso da tassazione.

A fronte di queste puntuali considerazioni, l’Ufficio, da parte sua, si limita nelle sue controdeduzioni, a ripercorre l’evoluzione dell’imposta di registro, da mera “tassa” per il servizio di registrazione svolto dall’Amministrazione finanziaria, a vera e propria “imposta” sempre più commisurata ai corrispettivi contrattuali, come oggetto di una manifestazione economica e di capacità contributiva. Insiste, poi, brevemente, sulla valenza generale del disposto dell’art. 37-bis contestato, atteso che il principio antiabuso risulta ormai così immanente nel nostro ordinamento e in quello comunitario, tanto da espandersi in settori diversi da quelli coperti dalla norma antielusiva codificata.

A fronte di queste motivazioni, la citata Commissione tributaria provinciale di Brescia n. 27/2012 sottolinea che l’esistenza stessa di una disposizione, l’art. 2 del D.P.R. n. 131/1986, che non esclude la conclusione di contratti fra soggetti italiani sia stipulata all’estero, ove si prospetti meno onerosa, dimostra di per sé che tale opzione, quale tipica espressione dell’autonomia privata, non può essere ritenuta strumento di elusione: «la circostanza che la vicenda sia stata espressamente prevista dal Legislatore esclude, infatti, che la sua applicazione possa integrare l’abuso contestato ai ricorrenti».

Non è richiesto quindi che, una volta osservata la norma, le parti debbano anche fornire le ragioni per cui abbiano adottato questa scelta per la stipula del loro contratto di finanziamento all’estero, al di là del legittimo risparmio d’imposta (e delle spese notarili) che da ciò ne è derivato, senza che sia possibile riscontrare un artificioso collegamento di più negozi al solo fine di conseguire quale unico risultato quello di non corrispondere l’imposta sostitutiva.

 

4. Considerazioni generali sulla compatibilità del concetto di “abuso del diritto” e il sistema dell’imposta di registro e delle altre imposte d’atto

 

Pur tenendo nel debito conto le fondate considerazioni prima esaminate sulla ormai consolidata costruzione giurisprudenziale, nazionale e comunitaria, del concetto di abuso di diritto, è altrettanto indubbio che per il diritto tributario, al pari di quello penale, vige la ferrea regola della “riserva di legge” (art. 23 Cost.) per cui nessuno può essere tenuto a una prestazione economica se ciò non è stato espressamente statuito da una norma primaria entrata in vigore prima del suo accadimento.

Va tuttavia considerato che spesso la giurisprudenza [23] ha individuato in altri principi costituzionali di altrettanta valenza, come quello della capacità contributiva e della progressività del’imposizione (art. 53 Cost.), le fonti di un principio generale antielusivo che non sembra configgere con l’altro principio costituzionale della libertà di iniziativa economica privata (di cui all’art. 41 Cost.) [24].

Allo stesso modo, è sempre stato ribadito, nelle medesime occasioni, che il ricorso al concetto dell’abuso di diritto non deve avvenire con troppa disinvoltura, atteso che: «l’applicazione del principio deve essere guidata da una particolare cautela, essendo necessario trovare una giusta linea di confine tra pianificazione fiscale eccessivamente aggressiva e libertà di scelta delle forme giuridiche, soprattutto quando si tratta di attività di impresa» [25].

Tanto premesso, sono state sottoposte al giudizio della giurisprudenza alcune fattispecie – in quanto anch’esse non espressamente normativizzate – in cui, proprio in materia di imposta di registro, è stato comunque individuato l’intento elusivo perseguito dalle parti contraenti, sicché sono state disconosciute le agevolazioni e i trattamenti fiscali più favorevoli astrattamente applicabili.

Facciamo riferimento alle ipotesi di conferimenti in società di immobili gravati da passività e successiva cessione di quote [26], di conferimenti di aziende in società e successiva cessione di quote [27] e in materia di applicazione delle agevolazioni previste per l’acquisto della prima casa [28].

In particolare, in materia di imposta di registro (e per le altre imposte d’atto, quali l’imposta sostitutiva sui finanziamenti) la giurisprudenza ha richiamato a sostegno delle sue sentenze anche il disposto dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986, in base al quale: «l’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo e la forma apparente».

In base alla predetta disposizione normativa, per l’applicazione dell’imposta di registro si prescinde dal nomen juris attribuito all’atto dalle parti contraenti, mentre si deve tener conto dei concreti effetti giuridici che derivano dalle pattuizioni contrattuali.

La verifica della causa reale perseguita dal negozio soggetto a tassazione va effettuata anche con riferimento alle operazioni che si sviluppano mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali [29].

Va però segnalato che non manca chi, sia in giurisprudenza [30] che in dottrina [31], afferma l’impossibilità di far assurgere il citato art.20 a clausola antielusiva idonea a riqualificare operazioni soggette a trattamento agevolato in operazioni soggette al tributo con modalità proporzionale.

Come visto, la ratio della norma è quella di consentire all’Amministrazione finanziaria di non fermarsi al nomen juris attribuito dalle parti all’atto e di esigere l’applicazione delle imposte in conformità all’effettivo contenuto giuridico.

Stante il tenore letterale della disposizione, l’opera di interpretazione riguarda gli effetti giuridici dell’atto e non quelli economici: ciò significa che per stabilire il regime tributario di un determinato atto deve ritenersi: «sufficiente e necessario ricercare quale è il negozio giuridico in esso consacrato», poiché, «per quanto l’imposta di registro sia diretta a colpire certi particolari atteggiamenti della ricchezza e quindi sia un fenomeno essenzialmente economico, pure il procedimento di imposizione è disciplinato in modo che si svolge e che si attua sopra atti giuridici» [32].

Pertanto, in tale ambito, l’Amministrazione finanziaria deve pur sempre limitarsi alla qualificazione giuridica dell’atto, senza attribuire rilievo agli effetti economici che ne derivano e alle vicende che ne sono eventualmente sottese, senza la possibilità di estendere la ricerca a elementi extratestuali e al teorico possibile collegamento con successivi e differenti atti sottoposti a registrazione.

«Diversamente da altri ambiti impositivi, quale tipicamente quello delle imposte su reddito, ove il presupposto imponibile non è il singolo atto, bensì il risultato economico che il contribuente realizza dall’insieme degli atti, fatti e operazioni posti in essere, un’applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale (e dell’imposta sostitutiva sui finanziamenti: N.d.A.) fondata sull’effetto economico che si realizza mediante la concatenazione di una serie di atti tra di loro correlati, anziché sulla base del contenuto giuridico di ciascun singolo atto, è inconciliabile con la natura stessa di tali imposte, per le quali il presupposto imponibile non è mai il frutto di un risultato complessivo, ma sempre e soltanto l’oggetto di ciascun singolo atto presentato per la registrazione, scontando un carico fiscale per l’appunto commisurato all’effettivo contenuto giuridico di ognuno» [33].

Vedremo se, nell’ottica dell’annunciato intervento del legislatore per la riforma dell’intero ordinamento tributario, questa mancata regolamentazione della fattispecie dell’abuso di diritto nel sistema dell’imposta di registro e delle altre imposte d’atto sarà definitivamente sanata, con le opportune cautele procedimentali, ovvero questo principio sarà ritenuto effettivamente incompatibile con dette imposte, destinate a colpire il singolo atto [34].

 

Avv. Gianni Polo


[1] Per una più ampia disamina del tributo cfr. g. polo, L’imposta sostitutiva sui finanziamenti. Il costo fiscale delle operazioni di finanziamento, in Ecra, 2012, e l’ampia bibliografia ivi contenuta.

[2] Sanciti dal Trattato istitutivo della UE del 25 marzo 1957 e successive modifiche e integrazioni.

[3] Cfr. circ. 8 ottobre 1996, n. 246/E, in Boll. Trib., 1997, 286.

[4] Direttiva n. 89/646/CEE del 15 dicembre 1989, relativa al “Coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l’accesso all’attività degli enti creditizi e recante modifiche alla Direttiva n. 77/780/CEE”, formalmente recepita nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 14 dicembre 1992, n. 481, e successivamente confermata con lo stesso T.U.B.

 

[5] Cfr. circ. n. 246/E/1996, cit.; si veda anche ris. 30 giugno 1980, n. 250745, in Boll. Trib., 1980, 1741.

[6] Cfr. Comm. trib. centr., sez. XIII, 19 marzo 1996, n. 1245, in Riv. giur. trib., 1997, 460.

[7] Cfr. ris. n. 250745/1980, cit.

[8] Cfr. ris. 10 aprile 2000, n. 45/E, in Boll. Trib., 2000, 682.

[9] Sull’argomento cfr. circ. ABI, serie trib., 5 giugno 2000, n. 18; e circ. ABI 16 dicembre 1996, n. 40. Cfr., altresì, parere ABI 18 settembre 2002, n. 781.

 

[10] Cfr. circ. n. 17/2000 del Consorzio Studi e Ricerche Fiscali Gruppo IMI-San Paolo, 7.

[11] Facciamo quindi proprio, riportandolo fedelmente, il suggerimento formulato da m. pulcini, Territorialità dell’imposta sostitutiva sui finanziamenti, in Boll. Trib., 2010, 408.

[12] Nota della Direzione regionale delle entrate della Lombardia 24 aprile 2008, prot. n. 2008/25064/DA3. Queste indicazioni agli Uffici dipendenti non sono state pubblicate ma sono state oggetto di diversi spunti critici sulla stampa specializzata. Cfr. ad esempio m. pulcini, op. cit.; e a. busani – a. tomassini, Finanziamenti alle imprese con l’incognita del prelievo, in Il Sole 24 OreNorme e Tributi del 22 febbraio 2010, 1.

[13] Sul tema complesso e controverso dell’“elusione” e del c.d. “abuso del diritto” cfr. relazione governativa di accompagnamento al D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358 (che ha introdotto l’art. 37-bis sopra citato); artt. 394 e 395 della Direttiva comunitaria n. 2006/112/CE del 28 novembre 2006, e ris. 28 febbraio 2002, n. 62/E, in Boll. Trib. On-line, nonché la copiosa giurisprudenza, sia comunitaria che nazionale, che si sta pronunciando sulla materia: Corte Giust. UE 21 febbraio 2006, causa C-255/02, ivi; Corte Giust. UE 21 febbraio 2008, causa C-425/06, ivi; Cass., sez. trib., 14 gennaio 2003, n. 398, in Boll. Trib., 2004, 138; Cass., sez. trib., 11 aprile 2008, n. 9497, ivi, 2008, 1369; e Cass., sez. trib., 15 settembre 2008, n. 23634, in Boll. Trib. On-line. Interessanti sono in proposito anche i contenuti dei disegni di legge di modifica del citato art. 37-bis presentati dall’On.le m. leo e dalla Sen. a.c. bonfrisco.

[14] Cfr. Assonime, Imposta di registro – Interpretazioni e riqualificazione degli atti, approfondimento n. 5 del 2009.

 

[15] Così Comm. trib. prov. di Brescia, sez. X, 10 aprile 2012, n. 27, in Boll. Trib. On-line.

[16] Per un primo commento, cfr. m. bellinazzo, In salvo il mutuo estero, in Il Sole 24 Ore del 26 aprile 2012, 22.

[17] Cfr. Cass., sez. trib., 10 dicembre 2002, n. 17576, in Boll. Trib., 2003, 778; e Cass., sez. trib., 6 ottobre 2006, n. 21513, ivi, 2007, 296, con nota di m.v. serranò, Il principio dell’affidamento del contribuente nell’evoluzione giurisprudenziale.

 

[18] Cfr. Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30055, in Boll. Trib., 2009, 484.

[19] Non sono mancati invero esempi in cui il non rispetto delle tutele procedimentali ex art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 ha indotto alcuni giudici ad annullare pregiudizialmente le pretese erariali avanzate anche in materia di imposta di registro. Cfr. Comm. trib. prov. di Milano, sez. XLVII, 21 febbraio 2011, n. 54, in Boll. Trib. On-line; e la stessa Comm. trib. prov. di Brescia, sez. VII, 18 febbraio 2011, n. 14, ivi.

[20] Cfr. Cass., sez. un., 8 agosto 1990, n. 8062, in Boll. Trib., 1990, 1418.

[21] Cfr. Cass. n. 30057/2008, cit.

[22] Cosìla Relazione accompagnatoria all’art. 7 del D.Lgs. n. 358/1997, che ha introdotto la normativa antielusiva nel nostro ordinamento.

 

name=”nota23″>[23] Cfr., da ultimo, Cass., sez. trib., 21 gennaio 2011, n. 1372, in Boll. Trib., 2011, 301; e Cass., sez. trib., 9 marzo 2011, n. 5583, ivi, 2012, 69.

[24] Cfr. Cass., sez. trib., 8 aprile 2009, n. 8487, in Boll. Trib., 2009, 888.

[25] Cfr. Cass. n. 1372/2011, cit.

[26] Cfr. Cass., sez. trib., 23 novembre 2001, n. 14900, in Boll. Trib., 2002, 798; e Cass., sez. trib., 25 febbraio 2002, n. 2713, in Boll. Trib. On-line.

[27] Cfr. Comm. trib. reg. della Lombardia, sez. XXII, 3 marzo 2011, n. 36, in Boll. Trib. On-line.

[28] Cfr. Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13291, in Boll. Trib. On-line. Su questi argomenti, vedi più diffusamente m. maiorino, Abuso del diritto. Riflessioni su alcune fattispecie in materia di imposta di registro, in il fisco, 2012, 2261.

[29] Cfr. Cass., sez. trib., 11 giugno 2007, n. 13580, in Boll. Trib. On-line.

[30] Cfr. Comm. trib. di 2° grado di Bolzano, sez. II, 5 agosto 2011, n. 59, in Boll. Trib. On-line.

 

[31] Cfr. a. tomassini, Elusione ed abuso del diritto nel sistema dell’imposta di registro, in Corr. trib., 2012, 1031, con i ricchi riferimenti giurisprudenziali ivi contenuti.

[32] Cfr. a. berliri, Le leggi di registro, Milano, 1961, 149 s.

[33] Cfr. a. tomassini, op. cit., 1036.

 

[34] Sull’argomento cfr. g. sepio – r. lupi, Contro la riqualificabilità come cessione di azienda del conferimento seguito da cessione delle partecipazioni, in Dial. trib., 2010, 108.