28 Marzo, 2017

SOMMARIO: 1. Introduzione – 2. La dichiarazione congiunta e la falsa sottoscrizione: la validità giuridica dell’atto in presenza di rappresentanza negoziale tra i coniugi – 3. (segue): la validità giuridica dell’atto se imputabile all’autore apparente – 4. Considerazioni conclusive: dalla rappresentanza “coniugale” elaborata dalla Corte di Cassazione al riconoscimento di una “soggettività coniugale”.

1. Introduzione

Le note vicende giuridiche relative alla dichiarazione congiunta dei redditi hanno avuto spesso ad oggetto questioni attinenti alla solidarietà tributaria e a scenari di litisconsorzio (1); ora, invece, si intende analizzare la validità della dichiarazione congiunta sottoscritta falsamente, tenendo presente che la problematica esplica i suoi effetti nei confronti dell’atto impositivo successivo (2).
Più nel dettaglio, si indagheranno le problematiche attinenti alla sottoscrizione della dichiarazione tributaria elaborata in maniera congiunta tra moglie e marito, al successivo disconoscimento della firma da parte di un coniuge e agli effetti che verranno a generarsi in relazione alla validità dell’atto dichiarativo e di quelli impositivi successivi.
La Corte di Cassazione interessata sulla questione ha consolidato la propria interpretazione enucleando due principi in base ai quali: i) il disconoscimento della firma comporta un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito sulla prova del consenso (3) del firmatario apparente tale da configurare una rappresentanza negoziale all’altro coniuge finalizzata alla redazione e alla sottoscrizione della dichiarazione (4); ii) l’atto impositivo successivo alla dichiarazione prodromica non è automaticamente nullo in quanto, appurata la falsità della firma, occorre che il giudice di merito valuti l’imputabilità della dichiarazione all’autore apparente (5).
L’approfondimento di tali principi giurisprudenziali se da un lato si rende necessario per tutelare il coniuge dichiarante in buona fede, pur facendo salvo l’interesse erariale, dall’altro consente di apprezzare un tentativo di configurare una “soggettività coniugale”.

2. La dichiarazione congiunta e la falsa sottoscrizione: la validità giuridica dell’atto in presenza di rappresentanza negoziale tra i coniugi

La Corte di Cassazione ha voluto sottolineare che la falsificazione materiale della sottoscrizione della dichiarazione dei redditi non dimostra necessariamente che l’apposizione della firma falsa sia avvenuta contro la volontà o all’insaputa dell’autore apparente: tale interpretazione porrebbe l’accento sul consenso quale elemento indispensabile per potere fare salva la validità della dichiarazione tributaria (6).
La norma sulla quale la Corte ha costruito la suddetta interpretazione è l’art. 8 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sulla redazione e sottoscrizione delle dichiarazioni, e in particolare sul terzo comma (7) che prevedeva a pena di nullità la firma della dichiarazione, anche tramite rappresentante (8): il giudice ha ritenuto che il coniuge aveva fornito il proprio consenso all’altro per l’elaborazione e la firma della dichiarazione congiunta, conferendo un mandato di rappresentanza negoziale sulla scorta del terzo comma del medesimo art. 8.
A ben vedere, la fattispecie della dichiarazione congiunta è strutturata in un duplice rapporto, quello tra i due coniugi che decidono di compilare assieme la dichiarazione dei redditi e quello tra i coniugi (soggetti passivi solidali) e l’erario.
Il primo legame si articola nell’esercizio dell’opzione (9) a disposizione dei coniugi non separati di liquidare l’imposta sulle persone fisiche in maniera congiunta, in alternativa all’autonomo assolvimento dell’obbligo di dichiarazione a carico di ciascun soggetto passivo: tale facoltà consente sia una semplificazione degli aspetti formali e procedurali (l’invio di una unica dichiarazione anziché di due), sia la possibilità di utilizzare reciprocamente eventuali crediti d’imposta (10).
La scelta di compilare in forma congiunta la dichiarazione dei redditi da parte dei due coniugi esplica i suoi effetti anche nei confronti del secondo legame, quello appunto tra essi e l’erario: l’opzione per la dichiarazione congiunta comporta, infatti, la nascita di una responsabilità solidale tra i coniugi nei confronti del soggetto attivo.
È evidente, pertanto, come la formazione del primo rapporto possa condizionare il secondo.
Tuttavia, l’interpretazione fornita dal giudice di legittimità lascia dei dubbi sull’apprezzamento che è stato svolto circa: gli aspetti formali e sostanziali con i quali la moglie ha fornito la rappresentanza negoziale al marito (11), l’uso giudiziale di una presunzione semplice per far emergere tale consenso, prescindendo dalla verificazione (12) della firma apposta sulla dichiarazione dei redditi.
Emergono, infatti, delle illogicità sia in relazione alla disciplina della rappresentanza negoziale sia per la rilevanza che il consenso può assumere nella fattispecie della falsa sottoscrizione.
La soluzione proposta dalla Corte di Cassazione rischia di trattare difatti in maniera eguale fattispecie differenti, quali sono la rappresentanza negoziale rispetto alla falsificazione della firma, svilendo il ruolo della sottoscrizione della dichiarazione quale momento di attribuzione della paternità dell’atto.
L’istituto della rappresentanza prevede che un soggetto (rappresentante) ponga in essere a favore dell’interessato (rappresentato) un atto giuridico che quest’ultimo non desidera o è impossibilitato a svolgere personalmente: in tal modo, il rappresentante stipula in nome e nell’interesse del rappresentato, nei limiti della facoltà conferitagli (13).
La disciplina della dichiarazione tributaria attribuisce (14) al soggetto passivo la facoltà di far sottoscrivere la propria dichiarazione ad altra persona purché questa ne abbia la rappresentanza giuridica.
Si presenta l’occasione per richiamare la natura della dichiarazione quale “comunicazione di scienza”, quale atto giuridico unilaterale a cui si applicano, se compatibili, le norme che regolano i contratti, come espressamente stabilito dall’art. 1324 c.c. (15).
Una dichiarazione congiunta dei redditi pertanto può essere sottoscritta avvalendosi dell’istituto della rappresentanza, che nel caso in esame, alla luce dell’art. 1387 c.c., si qualifica quale rappresentanza volontaria sicché un coniuge, conferendo procura all’altro, attribuisce il potere di rappresentanza e quindi di sottoscrizione.
Tuttavia, è bene precisare che la rappresentanza deve essere conferita attraverso la medesima forma (16) dell’atto per la conclusione del quale è stata assegnata: pertanto si può desumere che la procura rilasciata per sottoscrivere la dichiarazione dei redditi debba necessariamente essere attribuita mediante una forma scritta, in quanto la dichiarazione dei redditi, a pena di nullità (17), deve essere redatta su stampati conformi ai modelli approvati con provvedimento pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (18).
Emerge di conseguenza una lacuna nell’interpretazione fornita dalla Suprema Corte laddove ha ammesso l’esistenza di una rappresentanza tra i coniugi finalizzata alla sottoscrizione della dichiarazione da parte di uno dei due non provata dall’esistenza di una procura necessariamente scritta.
In definitiva, l’assenza di una delega scritta rilasciata da un coniuge all’altro, come tra due qualsiasi persone fisiche dotate di capacità di agire, non consente di sostenere l’avvenuto conferimento della rappresentanza giuridica e pertanto l’eventuale firma apposta da un coniuge sulla dichiarazione congiunta dovrebbe essere considerata del tutto inefficace in difetto di rappresentanza (19).
Tuttavia, emerge un ulteriore vizio della sentenza della Corte di Cassazione laddove si sostiene implicitamente l’ammissibilità della falsa sottoscrizione (operata da uno dei coniugi, sebbene giustificabile in virtù della rappresentanza). Ebbene è sufficiente richiamare l’art. 1388 c.c., sul contratto concluso dal rappresentante, per comprendere come l’istituto della rappresentanza configuri una fattispecie ben diversa da quella della apposizione di firma falsa.
Infatti, conformandosi alla tesi della giurisprudenza di legittimità, verrebbero meno sia la c.d. spendita del nome da parte del coniuge firmatario (rappresentante), sia il meccanismo della sostituzione, elementi tipici dell’istituto della rappresentanza (20): il marito (rappresentante) avrebbe dovuto sottoscrivere la dichiarazione in nome e per conto della moglie (rappresentata), ma sottoscrivendo l’atto mediate firma falsa della moglie ha fatto venir meno quella forma di sostituzione rappresentante/rappresentato che si sarebbe appalesata solo mediante la firma della moglie (coniuge rappresentante).
Inoltre, è logica conseguenza che la sottoscrizione falsa comporti sia la necessità in capo al firmatario apparente di disconoscere la scrittura privata ex art. 214 c.p.c., sia l’accertamento del reato commissivo di falso in scrittura privata ex art. 485 c.p. a carico del coniuge sottoscrittore ovvero la irrogazione della sanzione civile (21).
Anche l’elemento del consenso sul quale il giudice di legittimità ha centrato il proprio argomentare non pare essere meritevole di apprezzamento giuridico.
Giacché in ambito fiscale non esista una norma che valorizzi il fattore del consenso per giustificare la legittimità di una dichiarazione firmata falsamente, occorre rivolgersi alla fattispecie privatistica del contratto stipulato sotto nome altrui: in tal caso, la dichiarazione quale scrittura privata firmata sotto nome altrui si tradurrebbe nell’inesistenza della firma falsa apposta sulla dichiarazione in quanto l’affidamento sulla autenticità di una firma contraffatta non può trasformare una firma apocrifa in autentica (22).
Inoltre, sul piano del diritto privato e su quello penale il consenso rappresenta un fattore del tutto irrilevante. Si ricorda che per l’art. 485 c.p. (23) (che prevedeva il reato di falso in scrittura privata ora abrogato a favore di un illecito civile sottoposto a sanzione pecuniaria) il consenso o l’acquiescenza del soggetto di cui sia stata falsificata la firma è del tutto irrilevante in quanto l’interesse da tutelare è rappresentato dalla persona offesa dell’apparente firmatario e dalla fede pubblica (24); mentre sul versante civilistico, il mandato a commettere un reato è, in forza del secondo comma dell’art. 1418 c.c., un contratto nullo per illiceità dell’oggetto (25).

3. (Segue): la validità giuridica dell’atto se imputabile all’autore apparente

La Corte di Cassazione (26) ha affermato che la dichiarazione congiunta contenente una firma falsa mantiene la sua validità a condizione che esistano circostanze di fatto, valutabili dal giudice di merito, tali da consentire l’imputabilità della dichiarazione all’autore apparente; in tal caso, l’atto impositivo successivo non sarà viziato.
Anche con l’elaborazione di questo secondo principio, si osserva l’intento della giurisprudenza di voler preservare l’atto dichiarativo e con esso la situazione debitoria in capo al dichiarante, nonostante la presenza di un vizio di sottoscrizione, trovando quale giustificazione l’imputabilità della dichiarazione all’autore apparente.
Tale orientamento afferma che, una volta esclusa la genuinità della firma, è onere a carico dell’Agenzia delle entrate provare che la dichiarazione sia riferibile al firmatario apparente: la Suprema Corte chiarisce inoltre che tale prova possa essere fornita anche per mezzo di adeguate presunzioni che avvalorino l’imputabilità dell’atto, ad esempio, dimostrando sia l’assenza di una dichiarazione individuale dei redditi sia l’esistenza del rapporto di coniugio tra firmatario e autore apparente (27).
L’argomentazione elaborata dalla Corte di Cassazione, muovendosi nel campo delle presunzioni, trova un fondamento laddove riesca a coordinarsi con i requisiti che le presunzioni semplici devono possedere per essere applicate dal giudice (28): in tale senso assumere l’imputabilità della dichiarazione ad un soggetto sulla base di due fattori – i) l’omessa presentazione di una dichiarazione dei redditi da parte del singolo coniuge, ii) il legame civilistico del matrimonio – rappresenta un tentativo di recepimento dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, essenziali per sorreggere l’iter logico-giuridico dell’organo giudicante (29).
A ben vedere, la problematica qui studiata integra quelle già note iscrivibili nella categoria delle presunzioni giurisprudenziali (30) le quali spesso si basano su esigui elementi che consentono però di ribaltare sul contribuente un onere della prova spesso di difficile, se non impossibile, assolvimento. Sarebbe più opportuno che per potere attribuire ad un soggetto l’imputabilità della dichiarazione (falsamente sottoscritta) si dimostri l’esistenza di diversi elementi che vadano ad integrare i requisiti legali per l’utilizzo delle presunzioni semplici: pertanto, se un coniuge attuasse un comportamento che nei fatti concludenti presuppongono quanto indicato nella dichiarazione contestata (31) allora questa sarebbe ragionevolmente a lui attribuibile.
Percorrendo il binario civilistico è possibile riscontrare una coerenza del ragionamento giuridico effettuato dalla Suprema Corte sul punto della “riferibilità”. Nell’ipotesi in cui il contratto sottoscritto sotto nome altrui sia altrimenti riferibile al firmatario apparente (32) in base ai rapporti intercorsi fra questo e l’altro contraente, può essere desunta la conclusione del contratto, a prescindere dalla condizione che la firma sia stata accertata giudizialmente o meno. In tale scenario la dimostrazione della conclusione del contratto avviene per facta concludentia (33).
Estendendo il principio civilistico all’ambito fiscale è possibile riscontrare una certa coerenza allora tra l’apprezzamento della dichiarazione dei redditi in ragione dei fatti concludenti, del comportamento fattuale tenuto dal soggetto, e la natura dichiarativa della dichiarazione dei redditi: infatti, prescindere dalla firma e richiamare la rilevanza degli atti posti in essere dal soggetto trova riscontro nella teoria c.d. dichiarativa sulla natura della dichiarazione dei redditi che la vede qualificata quale dichiarazione di scienza e come tale avente ad oggetto l’esistenza di circostanze ed elementi della realtà fenomenica (34).
La rilevanza dei fatti manifestati dal contribuente, quale informativa per l’Amministrazione finanziaria, per mezzo della dichiarazione tributaria mostra la sua portata se confrontata con il carattere della capacità contributiva quale forza economica, i cui indici devono essere rinvenuti in fatti o situazioni economicamente rilevanti (35).
In tale solco troverebbe giustificazione il superamento del vizio di falsa sottoscrizione, laddove i fatti concludenti manifestino la reale capacità contributiva del soggetto passivo dichiarante, attraverso un’ottica premiale dell’aspetto sostanziale su quello formale.

4. Considerazioni conclusive: dalla rappresentanza “coniugale” elaborata dalla Corte di Cassazione al riconoscimento di una “soggettività coniugale”

La Suprema Corte ha dimostrato di voler valorizzare, per così dire, la prevalenza della sostanza sulla forma, o meglio, sulla firma: la determinazione a preservare la validità della dichiarazione congiunta dei redditi, nonostante essa contenga una falsa sottoscrizione effettuata da uno dei coniugi, si sviluppa sulle condizioni dell’esistenza di una rappresentanza negoziale tra i coniugi e sulla riferibilità della dichiarazione al coniuge firmatario apparente.
La portata di una simile interpretazione è apprezzabile laddove la Corte censura l’operato del giudice di merito il quale ha stabilito l’automatica inesistenza dell’atto impositivo successivo alla dichiarazione la cui sottoscrizione è stata disconosciuta: infatti, dalle questioni sulla validità della dichiarazione tributaria derivano, “a cascata”, la responsabilità solidale dei coniugi e la legittimità degli atti impositivi o esecutivi, emessi successivamente alla dichiarazione dei redditi.
In definitiva, il giudice di legittimità piuttosto che concentrarsi sulla prova della paternità della firma ha ribadito (36) che il giudice tributario dovrebbe effettuare una sorta di “test di validità” della dichiarazione dei redditi valutando se esista il consenso del firmatario apparente o l’imputabilità a costui di quanto contenuto nella dichiarazione.
Eppure, si è potuto osservare come tale presunzione di elaborazione giudiziale rischi, da un lato, di non essere pienamente giustificabile, dall’altro, la sua applicazione pratica potrebbe compromettere la tutela del coniuge ignaro della presentazione della dichiarazione congiunta con falsa sottoscrizione: in tale ipotesi, il coniuge dichiarante si potrebbe avvantaggiare dell’utilizzo di crediti in capo all’altro coniuge, il quale, a sua insaputa, diverrebbe coobbligato in solido verso l’erario.
Nell’ottica dell’interesse erariale (37), occorre evitare, e probabilmente in tal senso si è orientata la Corte di Cassazione, possibili azioni che partendo dal disconoscimento della propria firma siano meramente rivolte a privare di validità la cartella di pagamento derivante dalla iscrizione a ruolo del debito risultante dalla dichiarazione dei redditi. Si ritiene, tuttavia, che tale rischio sia facilmente minimizzabile in quanto, in caso di verificazione della firma falsa a carico del coniuge promotore dell’azione di disconoscimento, l’Agenzia delle entrate avrebbe l’opportunità di svolgere ulteriori attività di accertamento per ricercare ipotesi di doverosità dichiarative e contributive (38).
Parrebbe ragionevole allora non ammettere il superamento, da parte delle suddette presunzioni giurisprudenziali, delle azioni, esperibili nella fase processuale creando una ipotesi di sospensione in ragione del rinnovato art. 39, comma 1-bis, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (39), volte a valutare la veridicità della firma; in particolare, si pensi alla procedura di disconoscimento della firma attuabile dal soggetto apparente firmatario in forza dell’art. 214 c.p.c., alla quale dovrebbe far seguito la procedura di verificazione da parte dell’Agenzia delle entrate in virtù dell’art. 216 c.p.c. (40).
Quest’ultimo scenario si ritiene sia il più equilibrato tra l’interesse erariale e la tutela del contribuente, in considerazione dei “paletti” posti dal diritto positivo che in ambito tributario prevedono espressamente l’obbligo di firma della dichiarazione a pena di nullità, in ambito civilistico la necessità di una rappresentanza negoziale in forma scritta, in ambito processuale la procedura di disconoscimento e di verificazione della firma e in ambito penale il reato di firma falsa (per le fattispecie fino al 2 febbraio 2016, mentre per le attuali è prevista la sanzione civile ex art. 4 del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7).
Dallo studio e dalla ricostruzione critica delle citate sentenze si ritiene tuttavia utile sottolineare la volontà del giudice di legittimità di enfatizzare gli effetti del legame coniugale, come che esso sottenda una rappresentanza implicita, una sorta di identità fiscale tra i coniugi, tale per cui la firma di uno dei due sia sufficiente a validare la dichiarazione tributaria congiunta.
Tale tesi si ricollegherebbe all’intenzione del legislatore il quale aveva riservato la disciplina della dichiarazione congiunta ai coniugi non separati (41), come a voler creare una correlazione tra matrimonio e “soggettività coniugale”.
Sembra che il giudice abbia recepito tale indicazione ed abbia amplificato la portata della norma (42) destinata ai coniugi non separati, talché l’assenza della separazione implichi un rapporto di coniugio non viziato, capace di generare un consenso tra il marito e la moglie sottostante al loro legame, i cui effetti giuridici si esplicano anche in ambito fiscale attraverso un’ampia rappresentanza negoziale.
L’aspetto innovativo della pronuncia consisterebbe allora nella valorizzazione del nucleo familiare, quasi a voler individuare un nuovo soggetto passivo tributario, il quale ha poteri di firma tali che la sottoscrizione di uno dei coniugi è sufficiente a supportare l’atto di scienza mediante il quale si informa l’Amministrazione finanziaria dei redditi posseduti dall’intero nucleo familiare.
Tuttavia, tale intuizione rischia di non essere supportata da una norma giuridica e lascia spazio alle presunzioni giudiziarie qui analizzate che espongono la fiscalità della famiglia (43) a gravose attuazioni del rapporto tributario.
Sarebbe auspicabile allora che la “rappresentanza coniugale”, di elaborazione giudiziale, si evolvi in “soggettività coniugale” al fine di contribuire alla semplificazione degli adempimenti formali e all’utilizzo immediato tra i coniugi dell’eventuale credito d’imposta individuale; diversamente, lo scenario non sarebbe affatto incentivante (44) e i coniugi non tenderebbero ad intraprendere simili forme di liquidazione “familiare” del tributo.

Dott. Paolo Barabino
Università degli Studi di Sassari

(1) Cfr. V. FICARI, Mai separati per il fisco … ovvero sulla responsabilità del coniuge codichiarante, in Boll. Trib., 2014, 698 ss.; ID., Brevi riflessioni sulla responsabilità tributaria del coniuge obbligato “dipendente” tra impresa individuale e dichiarazione congiunta, ivi, 2013, 485 ss.; G. SCANU, Il litisconsorzio necessario e la dichiarazione congiunta dei coniugi, in V. FICARI – E. DELLA VALLE – G. MARINI (a cura di), Il processo tributario, Padova, 2008, 322 ss.; A. MARCHESELLI, Dichiarazione congiunta e responsabilità solidale per redditi illeciti, in Dir. prat. trib., 2005, 22 ss.; e R. RINALDI, Ancora sulla responsabilità solidale del coniuge codichiarante, in Rass. trib., 2003, 1583 ss.
(2) Cfr. Cass., sez. trib., 4 novembre 2015, n. 22493, la quale richiama Cass., sez. trib., 25 maggio 2011, n. 11446, e Cass., sez. trib., 4 aprile 2008, n. 8770, tutte in Boll. Trib. On-line.
(3) Trattasi di consenso tra privati nell’assolvimento dell’obbligo dichiarativo.
(4) Consolidando l’orientamento già espresso da Cass. n. 8770/2008, cit., nella quale si pone l’accento anche sul fatto che la non autenticità della firma non dimostra che la sottoscrizione sia avvenuta contro la volontà dell’apparente firmatario o alla sua insaputa.
(5) Riprendendo il medesimo principio manifestato da Cass. n. 11446/2011, cit.
(6) Ved. Cass. n. 8770/2008, cit.; e Cass., sez. I, 28 gennaio 2000, n. 945, in Boll. Trib. On-line.
(7) Il quale recita: «La dichiarazione deve essere sottoscritta, a pena di nullità, dal contribuente o da chi ne ha la rappresentanza legale o negoziale. La nullità è sanata se il contribuente provvede alla sottoscrizione entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito da parte dell’ufficio delle entrate territorialmente competente».
(8) Attualmente tale norma è stata abrogata e sostituita dall’art. 1 del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, il quale regolamenta le modalità di presentazione delle dichiarazioni dei redditi, lasciando sostanzialmente invariata la disciplina della sottoscrizione.
(9) Trattasi in ogni caso della manifestazione di volontà esercitata dai coniugi che non altera la natura giuridica della dichiarazione congiunta, la quale mantiene la natura di dichiarazione di scienza al pari di tutte le altre dichiarazioni tributarie; infatti la scelta effettuata dai coniugi non è liberamente stabilita da essi, ma è dettagliatamente disposta e disciplinata dalla legge. Pertanto l’opzione esercitata dai coniugi decisi ad elaborare una dichiarazione congiunta non attuano una scelta negoziale in senso proprio ma una manifestazione di volontà non negoziale. Per altri approfondimenti sulla natura della dichiarazione dei redditi si rinvia a P. COPPOLA, La dichiarazione tributaria e la sua rettificabilità, Padova, 2005, 37 ss.
(10) La questione analizzata dalla Corte di Cassazione si incentra sulla possibilità in passato da parte dei coniugi non separati di presentare in forma congiunta la dichiarazione dei redditi. Attualmente l’unica forma congiunta per presentare la dichiarazione dei redditi è quella del modello 730 congiunto avvalendosi dell’assistenza fiscale secondo quanto stabilito dall’art. 4, quinto comma, del D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175. L’art. 13, quarto comma, del D.M. 31 maggio 1999, n. 164, prevede che i coniugi non legalmente ed effettivamente separati, non in possesso di redditi di lavoro autonomo o d’impresa, possono adempiere agli obblighi di dichiarazione dei redditi mediante modello 730, anche presentando dichiarazione in forma congiunta, purché uno dei coniugi sia in possesso dei requisiti per l’utilizzo di tale modello.
(11) Medesimi effetti si sarebbero verificati a parti invertite (marito che delega la moglie), dato che la norma sulla dichiarazione congiunta nulla dice a riguardo.
(12) Ex art. 216 c.p.c.
( 3) Sulla disciplina in generale della rappresentanza ved. U. CARNEVALI, La rappresentanza, in M. BESSONE (a cura di), Istituzioni di diritto privato, Torino, 2001, 680 ss.
( 4) Terzo comma dell’art. 8 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600: «La dichiarazione deve essere sottoscritta, a pena di nullità, dal contribuente o da chi ne ha la rappresentanza legale o negoziale. La nullità è sanata se il contribuente provvede alla sottoscrizione entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito da parte dell’ufficio delle entrate territorialmente competente». In maniera del tutto simile il vigente terzo comma dell’art. 1 del D.P.R. n. 322/1998 che ha sostituito l’art. 8 del D.P.R. n. 600/1973.
( 5) In tale senso e per una panoramica sulla natura della dichiarazione tributaria cfr. A. FEDELE, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, 249 ss.
(16) In ossequio all’art. 1392 c.c.
(17) Esistono casi ove la sottoscrizione della dichiarazione non è espressamente prevista a pena di nullità, come nella dichiarazione IVA e in tal caso, facendo leva sul principio della buona fede ex art. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (recante lo Statuto dei diritti del contribuente), la dichiarazione resta valida. Cfr. M. LOGOZZO, Non è inesistente la dichiarazione IVA non sottoscritta, in Corr. trib., 2007, 2519 ss.; e V. FICARI, La dichiarazione IVA, in Rass. trib., 2000, 756 ss.
(18) In base al primo comma dell’art. 1 del D.P.R. n. 322/1998, rubricato “Redazione e sottoscrizione delle dichiarazioni in materia di imposte sui redditi e di IRAP”.
(19) Si verrebbe a configurare un’ipotesi di rappresentanza senza potere e in base all’art. 1388 c.c. così come il contratto concluso dal rappresentante produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato, così la dichiarazione sottoscritta dal rappresentante (coniuge delegato) senza potere non può esplicare effetti in capo al rappresentato (coniuge rappresentato).
(20) Cfr. U. CARNEVALI, op. cit., 681.
(21) A causa della cancellazione del reato di falso in scrittura privata sostituito dalla sanzione civile ex art. 4 del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7.
(22) La tesi condivisibile in ambito civilistico è di F. GALGANO, Sul principio generale dell’apparenza del diritto, in Contratto e impresa, 2009, 1137 ss.
(23) Il quale recitava «Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, forma, in tutto o in parte, una scrittura privata [c.c. 2702, 2719; c.p. 492, 493-bis] falsa, o altera una scrittura privata vera, è punito, qualora ne faccia uso o lasci che altri ne faccia uso, con la reclusione da sei mesi a tre anni [c.p. 29]. Si considerano alterazioni anche le aggiunte falsamente apposte a una scrittura vera, dopo che questa fu definitivamente formata». Detto articolo è stato abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 7/2016, a decorrere dal 6 febbraio 2016 ed è stato sostituito anche l’art. 4, comma 4, lett. a), del medesimo D.Lgs. n. 7/2016, il quale prevede l’irrogazione di sanzione pecuniaria civile da euro duecento a euro dodicimila per «chi, facendo uso o lasciando che altri faccia uso di una scrittura privata da lui falsamente formata o da lui alterata, arreca ad altri un danno. Si considerano alterazioni anche le aggiunte falsamente apposte a una scrittura vera, dopo che questa fu definitivamente formata».
(24) Sulla irrilevanza del consenso in ambito penale della falsa sottoscrizione per un documento sottoscritto dai coniugi cfr. Cass., sez. V pen., 27 agosto 2013, n. 35543 (in Boll. Trib. On-line), nella quale si afferma che sul piano oggettivo, ai fini della sussistenza del reato di falso in scrittura privata (art. 485 c.p.), il consenso o l’acquiescenza della persona di cui sia falsificata la firma, non svolge alcun rilievo, in quanto la tutela penale ha per oggetto non solo l’interesse della persona offesa, apparente firmataria del documento, ma anche la fede pubblica, la quale è compromessa nel momento in cui l’agente faccia uso della scrittura contraffatta per procurare a sè un vantaggio o per arrecare ad altri un danno; pertanto anche l’erroneo convincimento sull’effetto scriminante del consenso costituisce una inescusabile ignoranza della legge penale (Cass., sez. V pen., 17 aprile 2009, n. 16328, in Boll. Trib. On-line).
(25) Sulle cause di nullità del contratto vedasi il commento all’art. 1418 c.c. di V. BARBA, Commento agli articoli da 1418 a 1424 c.c., in G. BONILINI – M. CONFORTINI – C. GRANELLI (a cura di), Codice civile commentato, Torino, 2012, 3233 ss.
(26) Riprendendo quanto già affermato da Cass. n. 11446/2011, cit.; e da Cass. n. 945/2000, cit.
(27) In particolare, l’esplicazione di un simile percorso logico giuridico è rinvenibile in Cass. n. 945/2000, cit.
(28) Si ricorda che l’art. 2729 c.c. afferma al primo comma che «Le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti».
(29) Cfr. G. FRANSONI, Sulle presunzioni legali nel diritto tributario, in Rass. trib., 2010, 603 ss.; e A.E. LA SCALA, Prova testimoniale, diritto di difesa e giusto processo tributario, ivi, 2012, 90 ss.
(30) Una fra tutte si ricorda la presunzione di distribuzioni di utili nelle società di capitali a ristretta base societaria.
(31) Come ad esempio il versamento di parte del debito risultante dalla dichiarazione, o l’utilizzo di un credito esposto in dichiarazione sia tramite rimborso o compensazione.
(32) Cfr. Cass., sez. I, 6 dicembre 2006, n. 26149, in Giust. civ., 2007, I, 1136.
(33) Cfr. L. BOGNANNI, La ratifica implicita, per facta concludentia; ancora una volta la Suprema Corte si pronuncia in senso positivo. Riflessioni e casistica, in Riv. notariato, 2009, 636 ss.; interessante anche il regime probatorio per l’accertamento in ambito familiare della società di fatto e della società apparente tramite fatti concludenti e a riguardo cfr. C. FIENGO, Il vincolo societario de facto tra familiari, in Giur. comm., 2014, 418 ss.
(34) P. RUSSO – G. FRANSONI – L. CASTALDI, Istituzioni di diritto tributario, Milano, 2014, 120.
(35) Così P. BORIA, I principi costituzionali dell’ordinamento fiscale, in A. FANTOZZI (a cura di), Diritto tributario, Torino, 2012, 87.
(36) In particolare si citano Cass. n. 8770/2008, cit.; e Cass. n. 11446/2011, cit.
(37) Sulla nozione di interesse fiscale diretto a tutelare l’obiettivo di acquisizione delle risorse finanziarie fondamentali per garantire la vitalità della collettività, cfr. P. BORIA, I principi costituzionali dell’ordinamento fiscale, cit., 77 ss.; per ulteriori approfondimenti ID., L’interesse fiscale, Torino, 2002.
(38) Ragionevolmente in caso di accertamento in rettifica verrebbe a cessare la responsabilità solidale tra i coniugi. Sul punto cfr. M. FORMENTIN, La responsabilità solidale tra coniugi in caso di dichiarazione congiunta non può estendersi all’imposta risultante da accertamento in rettifica, in quanto debito sopraggiunto, non conoscibile ex ante, in Riv. dir. trib., 2001, 970 ss.
(39) Il quale consente ora esplicitamente al giudice tributario la possibilità di sospendere il processo ogni qual volta si debba risolvere una controversia dalla cui definizione dipenda la decisione della causa. Tale nuova norma riprende quanto previsto nell’art. 295 c.p.c. sulla sospensione necessaria per pregiudizialità. Sul rischio che tale norma fomenti intenti dilatori cfr. C. GLENDI, Fermenti legislativi processualtributaristici: lo schema di decreto delegato sul contenzioso, in Corr. trib., 2015, 2467 ss.
(40) G. FRANSONI – P. RUSSO, Verificazione della scrittura privata e sospensione necessaria del processo tributario, in il fisco, 2000, 9083.
(41) Sulle conseguenze sul piano fiscale del regime di comunione legale dopo la riforma del diritto di famiglia attuata con la legge 19 maggio 1975, n. 151, cfr. V. CAPOZZI, Profili fiscali della comunione legale: interventi della prassi amministrativa ed interpretazioni giurisprudenziali, in Riv. dir. trib., 2001, 632 ss.
(42) Infatti, l’art. 17 della legge 13 aprile 1977, n. 114, introduceva la disciplina della dichiarazione congiunta affermando «È in facoltà dei coniugi non legalmente ed effettivamente separati».
(43) Per una casistica delle differenti forme di tassazione della famiglia e dei suoi rapporti cfr. P. AGLIETTA, Tassazione e famiglia. Aspetti fiscali, tutela giuridica e accertamento nelle vicende familiari, Milano, 2011.
(44) Sulla meritevolezza della famiglia quale entità destinataria di situazioni agevolative cfr. A. TURCHI, La famiglia nell’ordinamento tributario, Torino, 2012, 3.

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