15 Gennaio, 2014

Sommario: 1. Premessa2. Normativa fiscale sull’imposta di bollo applicabile alle comunicazioni relative ai prodotti finanziari 3. Conclusioni.

 

1. Premessa

 

Come è noto, l’art. 19 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), e gli artt. 5 e 8 del D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44), hanno introdotto sostanziali modifiche alla disciplina dell’imposta di bollo applicabile agli estratti di conto corrente, ai rendiconti dei libretti di risparmio ed alle comunicazioni inviate alla clientela relative ai prodotti finanziari, dettata dall’art. 13, commi 2-bis e 2-ter, della Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 (1).

Oltre alle ulteriori modifiche intervenute con la c.d. “Legge di stabilità per l’anno 2013 (cfr. art. 1, comma 509, della legge 24 dicembre 2012, n. 228), si ricorda che l’Agenzia delle entrate ha fornito i primi chiarimenti sulla materia con le circolari 10 maggio 2013, n. 15/E (2), 3 maggio 2013, n. 12/E (3), e 21 dicembre 2012, n. 48/E (4).

Con il presente lavoro si intende affrontare lo specifico tema della possibile applicazione dell’imposta di bollo ai titoli partecipativi nelle Banche di Credito Cooperativo (di seguito: BCC), con la particolare attenzione al “rapporto” che si instaura in seguito alla sottoscrizione o acquisto di dette “azioni(5).

Tra le tante questioni aperte da queste importanti modifiche legislative, il tema proposto può sembrare alquanto “settoriale” ma va altresì tenuto conto che il fenomeno del Credito Cooperativo comprende circa 400 BCC, diffuse in tutto il territorio nazionale (sono presenti in circa 2.700 Comuni) e soprattutto, per quello che qui ci interessa, coinvolgono – secondo i dati noti al 2012 (6) – ben 1.141.226 soci, sia persone fisiche che giuridiche.

Senza aver la pretesa di approfondire qui gli aspetti civilistici – compresi quelli riguardanti la c.d. “normativa speciale MIFID” – riguardanti la natura di dette azioni, che rappresentano il necessario presupposto per un esauriente esame anche degli aspetti più strettamente fiscali, si ricorda sinteticamente che la disciplina applicabile alle Banche di Credito Cooperativo (7), alla luce di quanto disposto dalle fonti normative del settore (in primis, l’art. 150-bis del TUB – D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 – l’art. 2520, comma primo, e l’art. 2519, comma primo, c.c.), si articola su diversi livelli.

In primo luogo trovano applicazione le norme del TUB. Vengono quindi in considerazione le norme codicistiche in tema di cooperative, del resto espressamente richiamate dallo stesso TUB.

Le norme codicistiche, quindi, e quelle contenute nella legislazione speciale “generale” in materia di cooperazione, si applicano solo in quanto compatibili con il sistema del TUB.

Trovano infine applicazione le norme in materia di società per azioni, in quanto compatibili con la disciplina bancaria e con quella cooperativistica.

[-protetto-]

Pertanto, la disciplina dettata, riguardo alle BCC, dall’art. 2530, comma primo, c.c., nonché dagli artt. 34, comma sesto, e 30, comma quinto, del TUB, esclude l’applicazione alle banche medesime delle norme sulle società per azioni che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (art. 2325-bis c.c., art. 111-bis disp. att. c.c.).

Ciò in quanto l’art. 2-bis, terzo comma, del “Regolamento emittenti(8), espressamente dispone che: «non si considerano emittenti diffusi quegli emittenti le cui azioni sono soggette a limiti legali alla circolazione riguardanti anche l’esercizio dei diritti aventi contenuto patrimoniale, ovvero il cui oggetto sociale prevede esclusivamente lo svolgimento di attività nonlucrative di utilità sociale o volte al godimento da parte dei soci di un bene o di un servizio».

Per le BCC ricorre evidentemente, per le norme sopra brevemente riportate, la prima condizione (limiti legali alla circolazione delle azioni, riguardanti – a differenza delle banche popolari – anche l’esercizio dei diritti patrimoniali, non applicandosi alle BCC l’art. 30, comma sesto, del TUB).

Come è noto, tutto ciò è esplicitato e suggerito nel c.d. “Statuto-tipo(9) delle BCC, e in particolare negli artt. 8, 9, 12, 13, 14, 15 e 21.

In merito poi ai limiti sulla trasmissibilità delle azioni delle BCC, risulta fondamentale ricordare la Comunicazione CONSOB n. 99018236 del 16 marzo 1999, ove si chiarisce che le caratteristiche delle azioni delle BCC – in particolare per la previsione di legge che subordina l’efficacia del trasferimento delle azioni all’autorizzazione degli amministratori (attuale art. 2530, primo comma, c.c.) – sono tali da impedire di qualificarle come “strumenti finanziari”, secondo la definizione fornita dall’art. 1, comma secondo, del TUF (D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58).

Nello specifico vi si afferma: «la quota o l’azione della società cooperativa tenuta per legge a rispettare il carattere cooperativo della gestione, se tutti i diritti in essa incorporati sono esercitabili soltanto previa ammissione del singolo socio alla compagine sociale, non appare idonea ad essere negoziata sul mercato dei capitali e pertanto non costituisce “strumento finanziario” quale definito dal TUF. Se le azioni così caratterizzate non sono strumenti finanziari la loro diffusione non può ovviamente essere presa in considerazione per individuare emittenti “con strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante”».

Non a caso il carattere di “strumento finanziario” è invece riconosciuto, come si può leggere oltre nella stessa deliberazione CONSOB citata, alle azioni delle banche popolari che, come è noto, seguono una diversa disciplina pur avendo anch’esse la natura giuridica di “società cooperative per azioni a responsabilità limitata”, non essendo alle stesse applicabile la normativa speciale di cui alla legge 31 gennaio 1992, n. 59, e non essendo stabilito da norme di legge che la gestione debba essere conforme al carattere cooperativo della società.

Più oltre però la stessa Comunicazione precisa alla fine che: «… le conclusioni raggiunte circa l’eventuale appartenenza delle azioni delle cooperative alla categoria degli strumenti finanziari lascia impregiudicata ogni possibilità di considerare tali azioni “un investimento di natura finanziaria” e pertanto, ove ne sussistano le condizioni, “prodotti finanziari” oggetto di sollecitazione all’investimento».

Sussistono, invero, tuttora dubbi circa l’assimilabilità delle azioni delle BCC al più generale genus dei “prodotti finanziari” di cui all’art. 1, comma primo, lett. u), del TUF, pur essendosi chiaramente esclusa la loro comprensione nella species degli “strumenti finanziari”, come si può rilevare in ulteriori pareri della stessa CONSOB (10) o della dottrina (11).

La questione assume evidentemente un particolare rilievo per quanto riguarda gli adempimenti connessi alla disciplina MIFID circa il collocamento delle azioni della specie e, come vedremo in seguito, risulta importante anche ai fini dell’esame del loro trattamento fiscale.

 

2. Normativa fiscale sull’imposta di bollo applicabile alle comunicazioni relative ai prodotti finanziari

 

Come è noto e come già ricordato, con i diversi provvedimenti legislativi succedutisi dall’estate 2011, è stata profondamente modificata la disciplina dell’imposta di bollo applicabile agli estratti conto, ai libretti di risparmio e alle comunicazioni relative ai depositi titoli (rectius: ai prodotti finanziari), di cui ai commi 2-bis e 2-ter (e alla relative note ivi apposte in calce) dell’art. 13 della Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. n. 642/1972 (12).

L’Agenzia delle entrate è poi ritornata sul tema con le disposizioni attuative di cui al D.M. 24 maggio 2012 e con le istruzioni esplicative contenute nelle citate circolari n. 48/E/2012, n. 12/E/2013 e n. 15/E/2013.

Per quanto riguarda, in particolare, il contenuto del citato comma 2-ter, si nota come la base imponibile su cui risulta attualmente applicabile l’aliquota d’imposta proporzionale dell’1,50 per mille, su base annua, è stata notevolmente ampliata rispetto alla disciplina previgente.

Invero, pur rimanendo il presupposto dell’imposta c.d. “cartolare” di bollo riferito alle comunicazioni periodiche destinate alla clientela (anche se non materialmente “inviate”), l’aliquota si applica sul valore complessivo di mercato (o, in subordine, sul valore nominale o di rimborso) di tutti i “prodotti finanziari” annoverati nel rapporto, anche se non soggetti all’obbligo di deposito, ivi compresi i depositi bancari e postali, anche se rappresentati da certificati.

Questo espresso riferimento ai “prodotti finanziari”, come tecnicamente considerati dalla normativa speciale di vigilanza e MIFID, estende evidentemente la già ampia portata della citata disposizione e induce ad approfondire l’esame della possibile ricomprensione, o meno, delle azioni delle BCC nell’ambito dell’imposizione “periodica” sul bollo, come del resto ci è stato sollecitato da più parti.

Come si ricorderà, l’imposta di bollo “periodica” sugli estratti conto e le comunicazioni-titoli fu originariamente introdotta [in primis dall’art. 8, comma primo, lett. b), del D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133], con l’intento semplificativo di sostituire quella astrattamente applicabile su tutti gli atti e i documenti formati o emessi ovvero ricevuti dalle banche, nonché dagli Uffici dell’Ente poste italiane, relativi a operazioni o rapporti regolati mediante conto corrente, ovvero relativi al deposito titoli.

Essa è altresì connessa all’obbligo, posto in capo agli intermediari finanziari, di informativa alla clientela in merito allo svolgimento di questi rapporti continuativi, imposto dalle disposizioni sulla c.d. “trasparenza” bancaria e finanziaria (cfr. art. 119 del TUB e titolo II, capo II del TUF).

Per quanto riguarda, più in particolare e per gli aspetti che qui ci interessano, le comunicazioni relative ai titoli, detta disposizione sembrava dapprima strettamente connessa alla sussistenza di un rapporto di deposito-titoli intrattenuto tra la banca e il cliente, da cui discendeva l’obbligo di informazione dello svolgimento dello stesso nel tempo.

Invero tale concetto è sembrato venire subito meno con la disposizione introdotta con l’art. 6, comma secondo, della legge 8 maggio 1998, n. 146, secondo cui: «si considerano depositati presso le banche anche i titoli emessi con modalità diverse da quelle cartolari e non materialmente detenute dalle stesse» (13).

In relazione a tale disposizione ci si era già in passato interrogati se la stessa comportasse l’obbligo dell’applicazione dell’imposta di bollo di che trattasi alle azioni emesse dalle BCC, tenendo altresì presente l’altra norma, vigente in passato, che prevedeva una “soglia di esenzione da imposta” per le comunicazioni relative ai depositi di titoli, emessi con modalità diverse da quelle cartolari e comunque oggetto di successiva dematerializzazione, il cui valore nominale o di rimborso posseduto presso ciascuna banca fosse pari o inferiore a mille euro (14).

Al riguardo si osserva che le azioni delle BCC, per quanto «emesse con modalità diverse da quelle cartolari», e anche se intestate ad un socio per un importo nominale complessivo pari o inferiore a mille euro, non rientrano in quella fattispecie di esenzione dall’imposta di bollo delle relative comunicazioni, in quanto le azioni delle BCC non sono, come richiede espressamente la norma, «comunque oggetto di successiva dematerializzazione».

il regime di dematerializzazione dei titoli azionari infatti non implica semplicemente la mancata stampa del titolo su un supporto cartaceo, ma consiste in una più complessa procedura, disciplinata dal D.Lgs. 24 giugno 1998, n. 213.

Il citato decreto, al titolo V (artt. da 28 a 46), al fine di realizzare la ridenominazione del debito pubblico e privato indotta dal passaggio all’euro, prevede una dematerializzazione integrale dei titoli azionari ed obbligazionari (e degli altri strumenti finanziari diversi dai titoli), che consente di sostituire all’emissione e alla circolazione del supporto cartaceo un’emissione e una circolazione effettuate tramite scritturazioni contabili.

Queste operazioni interessano gli strumenti finanziari negoziati o destinati alla negoziazione sui mercati regolamentati, ed è affidato alla CONSOB, d’intesa con la Banca d’Italia, il compito di individuare con regolamento, fra l’altro, le caratteristiche di diffusione tra il pubblico degli strumenti finanziari, ai fini della loro dematerializzazione e della loro amministrazione attraverso le società di gestione accentrata dei titoli (come la Monte Titoli s.p.a.), così come previsto dal TUF.

Di conseguenza, ai sensi della Delibera CONSOB n. 11600 del 15 settembre 1998, sono ammessi nel sistema di gestione accentrata in regime di dematerializzazione i seguenti strumenti finanziari, «purché liberamente trasferibili» (cfr. art. 3):

– le azioni e gli altri titoli rappresentativi di capitale di rischio negoziabili sul mercato dei capitali;

– le obbligazioni e gli altri titoli di debito negoziabili sul mercato dei capitali;

– le quote di fondi comuni di investimento;

– i titoli normalmente negoziati sul mercato monetario;

– qualsiasi altro titolo normalmente negoziato che permetta di acquisire gli strumenti indicati nei precedenti punti e i titoli di Stato, nonché i relativi indici;

– le azioni emesse dalle banche popolari.

Le azioni delle BCC non rientrano in nessuna delle riportate categorie di titoli in quanto non sono liberamente trasferibili, né normalmente negoziabili sul mercato dei capitali, come è noto.

Basti qui ricordare che, ai sensi degli artt. 12 e 13 dello Statuto-tipo delle BCC, in applicazione delle specifiche disposizioni di settore, il trasferimento – sia mortis causa che per atto tra vivi – di tali azioni è subordinato alla approvazione del consiglio di amministrazione.

Non sussistono quindi le condizioni per poter definire le azioni delle BCC, anche se non materialmente esistenti, come «comunque soggette a successiva dematerializzazione», così come quest’ultima operazione è disciplinata dalla vigente normativa(15).

Per queste caratteristiche, non si è ritenuto che la particolare norma di esenzione dall’imposta di bollo prevista per i titoli dematerializzati potesse essere richiamata per le azioni delle BCC, indipendentemente dall’ammontare del loro valore di emissione, espresso in euro.

Da questo sembrava tuttavia discendere che, ai fini dell’imposta di bollo, i titolari delle azioni di una BCC dovessero comunque corrispondere l’imposta prevista per i depositi di titoli, ai sensi dell’art. 13, nota 2-bis, della Tariffa, secondo l’altra ricordata disposizione introdotta dalla legge n. 146/1998, perché comunque si considerano depositati presso le banche anche i titoli emessi con modalità diverse da quelle cartolari e non materialmente detenuti dalle stesse.

Nonostante l’ABI si sia apparentemente espressa in tal senso (16), nel nostro ambito si è sempre ritenuto che sussistano valide ragioni per pervenire ad una diversa interpretazione delle norme citate.

Invero, letteralmente, la richiamata norma di cui all’art. 6 della legge n. 146/1998 fa espresso riferimento alle comunicazioni inviate dalle banche ai clienti. Inoltre, il presupposto per l’applicabilità dell’imposta di bollo, con effetto sostitutivo, di cui alla nota 3-ter (anche nella versione attuale, n.d.r.) dell’art. 13 della Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. n. 642/1972, rimane pur sempre legato all’esistenza di quei rapporti contrattuali di durata con la clientela da cui discendono, ai sensi dell’art. 119 del D.Lgs. n. 385/1993, gli obblighi di comunicazione a carico della banca in merito allo svolgimento del rapporto (mediante l’estratto conto o la comunicazione che, in seguito alla modifica introdotta sin dall’entrata in vigore della legge 28 dicembre 1995, n. 549, si considerano in ogni caso inviati almeno una volta all’anno).

Trattasi, in questi casi, di rapporti contrattuali stipulati dalla banca, nello svolgimento della sua attività tipica di raccolta, di impiego e di prestazione di servizi di carattere finanziario.

Dovrebbe invece essere estraneo alla normativa in esame il rapporto che lega la banca con i propri soci, come per qualsiasi soggetto giuridico avente forma societaria, in quanto è diversa la natura e la causa del rapporto da cui derivano gli obblighi di comunicazione che la società ha nei confronti degli azionisti in merito ai loro diritti e obblighi, anche di natura patrimoniale, previsti dalla disciplina civilistica.

Peraltro, normalmente, in occasione della sottoscrizione di azioni della BCC non vengono stipulati – non sussistendo, del resto, alcun obbligo in tal senso nella vigente disciplina – con i soci contratti di deposito a custodia e amministrazione di titoli e strumenti finanziari e, anche qualora il socio, come cliente della banca, abbia sottoscritto un ordinario dossier titoli, in esso non vengono usualmente contabilizzate le azioni di cui risulta titolare.

Anche quelle altre “comunicazioni”, come le lettere di ammissione a socio e le lettere di accredito dei dividendi distribuiti non possono considerarsi effettuate ai sensi dell’art. 119 del D.Lgs. n. 385/1993 e non sono, quindi, assoggettabili all’imposta di bollo, con effetto sostitutivo, di cui alla all’art. 13, comma 2-ter, della citata Tariffa annessa al D.P.R. n. 642/1972.

In particolare la lettera che viene spedita o consegnata ai soci in occasione della distribuzione dei dividendi, configura sostanzialmente un conto ovvero una lettera di accreditamento di somme. Pertanto, queste lettere devono essere assoggettate all’imposta di bollo nella misura ordinaria di 1,81 euro (ora 2,00 euro, in seguito all’aumento disposto dall’art. 7-bis, comma terzo, del D.L. 26 aprile 2013, n. 43, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, n. 71) per ogni esemplare, se la somma accreditata supera 77,47 euro, ai sensi del citato art. 13, primo comma, e della relativa nota 2.

Se però l’accredito delle somme evidenziate avviene mediante “regolamento” sul conto corrente del socio, come normalmente accade, l’imposta è assorbita in quella “sostitutiva”, già assolta, in misura forfettaria, dal socio in relazione al conto corrente intrattenuto con la stessa banca, così come previsto dalla nota 3-ter dello stesso art. 13.

per coerenza con le ragioni sopra esposte, d’altro canto, si è ritenuto che tale comunicazione non possa godere della diversa esenzione dall’imposta di bollo stabilita, in modo assoluto, per i documenti previsti all’art. 7 della Tabella allegata al D.P.R. n. 642/1972 (17).

Infatti, il primo comma di questo articolo prevede, tra l’altro, l’esenzione dell’imposta di bollo per le: «ricevute, quietanze ed altri documenti recanti addebitamenti e accreditamenti formati, emessi ovvero ricevuti dalle banche nonché dagli uffici delle Poste italiane Spa non soggetti all’imposta di bollo sostitutiva di cui all’articolo 13, comma 2-bis, della tariffa annessa al presente decreto».

Come si ricorderà, queste fattispecie di esenzione furono introdotte, allo scopo di evitare disparità di trattamento fiscale tra le banche e le Poste, per i documenti diversi da quelli emessi in relazione ad operazioni e rapporti regolati mediante conto corrente ovvero relativi al deposito di titoli ma che erano invece emessi o ricevuti da detti soggetti all’atto dell’effettuazione dei servizi di pagamento, dei bonifici e degli altri servizi finanziari regolati in “contanti”, rientranti comunque nell’oggetto della propria attività d’impresa (di intermediazione bancaria o finanziaria). Conseguentemente, detta esenzione non può comprendere anche i documenti attinenti a rapporti commerciali ed economici diversi, quali le comunicazioni relative ai rapporti con i propri soci.

si potrebbe ritenere tuttavia, ad un primo esame, anche le c.d. “lettere di ammissione del socio” – contenenti perlopiù la precisazione che trattasi di “certificato sostitutivo delle azioni emesse” – rientrano comunque nelle altre fattispecie di esenzione dall’imposta di bollo previste dal secondo comma dello stesso art. 7, che comprende: «le azioni, titoli di quote sociali, obbligazioni ed altri titoli negoziabili emessi in serie, nonché certificati di tali titoli, qualunque sia il loro emittente compresi gli atti necessari per la creazione, l’emissione, l’ammissione in borsa, la messa in circolazione o la negoziazione di detti titoli».

Non sembra però che si possa arrivare a tanto, atteso che le azioni delle BCC, come già sottolineato, non sono liberamente negoziabili, non sono titoli emessi in serie e la semplice cessione della relativa lettera/certificato non permette la messa in circolazione delle stesse.

È sembrato, al riguardo, più pertinente ritenere (suggerendo, anche, di eliminare dalle comunicazioni di che trattasi la precisazione “certificato sostitutivo delle azioni emesse”, in quanto questa dizione, oltre ad essere inutile dal punto di vista fiscale, non sembrava corretta sotto un profilo di diritto commerciale) che tali lettere non dovrebbero, comunque, soggiacere all’imposta di bollo in virtù di quanto disposto dall’art. 19 della stessa Tabella, secondo cui sono esenti in modo assoluto dal tributo, fra l’altro, gli “atti di recesso e di ammissione dei soci” delle società cooperative.

Tutte le esposte considerazioni non sembrano venute meno con le sostanziali modifiche introdotte al disposto del comma 2-ter dell’art. 13 citato; anzi, proprio sulla base delle interpretazioni espresse al riguardo dall’Amministrazione finanziaria con le ricordate circolari n. 48/E/2012 e n. 15/E/2013 (per quanto la fattispecie delle azioni delle BCC sia stata in tale declaratorie sottoposta ad esame), inducono a rafforzarle.

In proposito, sia innanzitutto consentito formulare una considerazione, per quanto fin troppo “elementare”: ci si crea il problema della possibile tassazione, ai fini del bollo, delle “azioni” delle BCC mentre tale quesito non si pone con riguardo alle partecipazioni in società cooperative di diverso tipo, quali – ad esempio – le cooperative edilizie o di consumo. Il solo fatto che la partecipazione sia relativa ad una cooperativa “bancaria” sembra estremamente riduttivo e “incidentale” e, soprattutto, non dimostra nulla.

È pur vero che con l’allargamento delle fattispecie imponibili annoverate nel comma 2-ter in esame il legislatore ha inteso estendere notevolmente il presupposto del tributo, comprendendovi anche ipotesi che precedentemente ne sfuggivano, come i conti-deposito e i certificati di deposito emessi dalle banche.

Ciononostante, pur con l’effettuato richiamo al più generale termine di “prodotti finanziari” (che rappresenta ora il principale riferimento della fattispecie, unitamente all’esistenza in relazione agli stessi di un “rapporto continuativo” con l’“ente gestore”), rimangono indubitabilmente fuori dall’imposizione sul bollo di che trattasi altre situazioni che, pur evidenziando una “capacità contributiva di natura finanziaria”, non rientrano in detto genere, come le quote di partecipazioni in s.r.l. o i finanziamenti, seppur rappresentati da titoli.

Però, d’altro canto, quando il legislatore ha voluto assimilare le azioni delle società cooperative e di mutua assicurazione ad altri titoli assoggettati ad un tributo, lo ha fatto espressamente, come per l’applicazione dell’imposta sulle transazioni finanziarie (c.d. ITF, cfr. art. 1, comma 491, della legge n. 228/2012, in relazione alle società cooperative che hanno una capitalizzazione superiore a cinquecentomila euro).

Non sembra altresì inutile ricordate che l’art 5, comma primo, lett. a), della Direttiva comunitaria n. 2008/7/CE, vieta qualsiasi imposizione indiretta, in particolare, per le operazioni di conferimento di capitali in una società. Non si vorrebbe che tale divieto sia di fatto aggirato imponendo una tassazione periodica del bollo, nella misura minima annuale di 34,20 euro, sulle azioni delle BCC, di fatto difficilmente trasferibili e di importo nominale leggermente superiore a detta cifra (se non addirittura inferiore).

Ma l’argomento che appare soprattutto risolutivo ai fini che ci occupano sembra risiedere nel rapporto di “clientela” che deve necessariamente intercorrere fra il sottoscrittore del “prodotto finanziario” e l’“ente gestore” (banca/intermediario finanziario) che è chiamato ad applicare l’imposta di bollo di cui al comma 2-ter dell’art. 13.

Innanzitutto va osservato che se, per qualsiasi ragione tecnica o commerciale, il sottoscrittore dell’azione della BCC intende istaurare contestualmente, in relazione ad essa, un apposito rapporto di deposito e amministrazione con la stessa banca (o inserire il titolo sottoscritto in un deposito già esistente), il valore nominale di detta azione concorrerà inevitabilmente nella base imponibile per l’applicazione dell’imposta proporzionale pari all’1,5 per mille annuo (con l’importo minimo di 34,20 euro) (18).

Qui davvero si istaura un “rapporto duraturo” di “clientela” con la BCC, anche se connesso ad un “titolo” di partecipazione societaria con la stessa banca.

Ma nel caso, invero pressoché generale, in cui tale rapporto di deposito non sussiste (non tanto perché le azioni vengono materialmente rilasciate al socio e da questo conservate, ma perché questa sua condizione si matura solo in virtù della iscrizione del suo nominativo nel Libro soci), in mancanza di un rapporto di custodia e amministrazione ovvero di «altro stabile rapporto con l’ente gestore», appare controverso il momento in cui si dovrebbe materialmente assolvere l’imposta: eventualmente al momento del “rimborso” del titolo, ma quando si configura il “rimborso” per una azione di BCC? Al suo remoto “riscatto”, quando l’imposta ormai “accantonata” ha assunto un importo ormai insostenibile?

Anche l’eventuale distribuzione dei “dividendi” annuali da parte della BCC emittente avverrebbe in questa veste e non – in assenza di formale “deposito” – in qualità di intermediario incaricato della custodia, amministrazione e gestione delle azioni.

Nel D.M. 24 maggio 2012 (art. 14, lett. b) e nella citata circolare n. 48/E/2012 (cfr. in “Premessa”) si chiarisce che l’imposta sostitutiva di bollo in commento non si applica agli estratti conto, ai rendiconti e alle comunicazioni che gli “enti gestori” inviano a soggetti diversi dalla clientela.

Per la nozione di “cliente” occorre fare riferimento alla definizione contenuta nel provvedimento del Governatore della Banca d’Italia del 9 febbraio 2011 (19).

Conseguentemente non rientrano nella definizione di cliente, sostanzialmente, tutti gli intermediari finanziari e assicurativi nei rapporti reciprocamente intrattenuti e le società che controllano l’intermediario, che sono da queste controllate ovvero che sono sottoposte al comune controllo.

Ma a ben vedere, come ulteriore corollario di questo assunto, viene escluso che l’imposta sostitutiva (restando salva quella di bollo c.d. “ordinaria”) si possa applicare con riferimento ai documenti emessi in relazione ai rapporti bancari/finanziari aperti per ordine dell’Autorità giudiziaria, perché anche qui manca evidentemente una relazione “commerciale” con l’intermediario incaricato, al pari di quanto aveva già avuto modo di affermare la stessa Amministrazione finanziaria in relazione ai rapporti di Tesoreria intrattenuti dalle banche con gli enti pubblici (20).

Ma anche nella successiva circolare n. 15/E/2013 è possibile rilevare le medesime considerazioni, come ai punti nn. 1.1, 1.2 e 1.3.

Al riguardo, però, appare particolarmente dirimente la risposta formulata dall’Agenzia delle entrate al quesito n. 1.4 della citata circolare che – richiamando quanto già affermato nella precedente circolare n. 48/E/2012, ove si chiarisce che l’imposta trova applicazione, in carico agli emittenti, alla scadenza in relazione ai prodotti finanziari diversi da quelli dematerializzati, per i quali non sussista un rapporto di custodia e amministrazione ovvero altro stabile rapporto – si pone il problema se tale principio trovi applicazione anche nel caso in cui l’emittente sia una società industriale che abbia emesso obbligazioni rappresentate da documenti, non immesse in rapporti di custodia e amministrazione.

Richiamando l’art. 1 del D.M. 24 maggio 2012, in cui l’“ente gestore”, soggetto passivo e incaricato dell’applicazione dell’imposta sostitutiva di bollo, è definito come: «il soggetto che a qualsiasi titolo esercita sul territorio della Repubblica l’attività bancaria, finanziaria o assicurativa (…) che si relazioni direttamente od indirettamente con il cliente anche ai fini delle comunicazioni periodiche relative al rapporto intrattenuto e del rendiconto effettuato sotto qualsiasi forma», si perviene alla conclusione che la “società industriale” non è riconducibile nella riportata definizione di ente gestore.

Diverso è il caso in cui un vero ente gestore/intermediario finanziario proceda al collocamento di detti titoli (anche non immettendoli formalmente in un “deposito”) o ne curi la gestione o l’amministrazione. In questo caso risulta integrato uno “stabile rapporto con l’ente gestore” e sarà quest’ultimo soggetto tenuto, ogni anno, all’applicazione dell’imposta.

Rapportando tali considerazioni alla fattispecie che ci occupa, appare facile rilevare che la BCC – pur essendo, appunto, un “soggetto che esercita l’attività bancaria” – nel rapporto che la lega con il proprio socio non assume la qualifica di “ente gestore”, al pari di quella “società industriale”, e pur “collocando” le proprie azioni ed effettuando la “gestione” delle stesse, anche ai fini patrimoniali, non mette in atto quella attività di “intermediazione finanziaria” come “ente gestore” con il proprio “cliente”, ma si rapporta unicamente con il suo “socio”, come qualsiasi società cooperativa.

D’altro canto è stato da qualcuno osservato che nella figura del socio della BCC coincide sempre anche quella di cliente della stessa banca, tanto è vero che una delle possibili motivazioni che lo possono spingere a questa partecipazione è la concreta possibilità di ottenere condizioni economiche più favorevoli nei rapporti bancari e finanziari successivamente intrattenuti e si ricorda che l’art. 14, comma secondo, lett. d), dello Statuto-tipo delle BCC, prevede la possibilità che il socio sia espulso dalla compagine societaria se: «… abbia mostrato, nonostante lo specifico richiamo del consiglio di amministrazione, palese e ripetuto disinteresse per l’attività della Società, omettendo di operare in modo significativo con essa».

Ma tale coincidenza appare, se così si può dire, meramente “incidentale” e dovuta esclusivamente alla coincidenza della attività bancaria istituzionalmente svolta dalle BCC, che nulla ha a che vedere con il rapporto “sociale” che la lega ai propri azionisti.

 

3. Conclusioni

 

Da quanto sopra più diffusamente esposto si può quindi asserire che le “azioni emesse dalle BCC” non soggiacciono all’imposta sostitutiva di bollo di cui all’art. 13, comma 2-ter, della Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. n. 642/1972, in mancanza di una formale instaurazione di un rapporto di “deposito titoli” in cui dette azioni vengono immesse.

Questo non tanto perché non siano assolutamente assimilabili ai “prodotti finanziari”, secondo le vigenti disposizioni del TUF e delle conseguenti istruzioni della CONSOB, non essendo liberamente trasferibili e liquidabili.

Invero abbiamo accennato in premessa come questa questione, di primaria importanza per quanto attiene gli adempimenti connessi alla disciplina MIFID, risulta tuttora alquanto controversa.

Ma a prescindere da questa pur fondamentale problematica, che non viene affrontata in questa sede, sembra ugualmente risolvibile il quesito che qui ci occupa.

Invero anche a voler affermare che le azioni delle BCC hanno indubitabilmente tutte le caratteristiche proprie dei “prodotti finanziari”, rimane il fatto che il presupposto impositivo di che trattasi non si adatta alle azioni in esame, in quanto:

– l’intento del socio non è tanto quello di perseguire finalità di “investimento” o a ancor meno – “speculative”, ma quello di partecipare ad una compagine sociale cooperativa avente sue specifiche caratteristiche, soprattutto di natura “mutualistica”;

– nel collocamento delle proprie azioni, la BCC si comporta come qualsiasi società emittente e non come “ente gestore” nel significato sopra definito;

– anche quando la BCC distribuisce dividendi, lo fa come “società emittente” e non come “intermediario finanziario”, incaricato della loro gestione ed amministrazione;

– non è dato rilevare quale possa essere il momento concreto per l’applicazione del tributo, trattandosi di titoli dematerializzati per i quali non esiste uno “stabile rapporto”, non configurandosi una “scadenza” prefissata dell’azione;

– non si può giustificare l’applicazione di una imposta per il solo fatto che la società cooperativa emittente è una banca, diversamente a quanto avviene per le azioni delle cooperative ordinarie, come quelle edilizie o di consumo;

– imporre il tributo di bollo, per quanto in maniera “periodica”, su questo tipo di azioni si tradurrebbe, di fatto, in una indebita imposizione indiretta sul loro collocamento, in violazione del divieto in tal senso dettato dalla Direttiva comunitaria n. 2008/7/CE;

– quando il legislatore ha voluto sottoporre ad imposta dette azioni, come per l’applicazione dell’imposta sulle transazioni finanziarie, lo ha fatto espressamente, come con la citata legge n. 228/2012;

– il sottoscrittore dell’azione della BCC è un “socio” della stessa e, da questo punto di vista, non un è suo “cliente” (lo sarà semmai in virtù degli ulteriori rapporti intrattenuti), secondo le indicazioni più volte fornite dall’Agenzia delle entrate per qualificare il presupposto soggettivo del tributo di che trattasi.

Pertanto, pur riconoscendo la natura di “prodotto finanziario” alle azioni delle BCC, non si riscontrano gli altri requisiti necessari (soprattutto una relazione di “clientela” con un “ente gestore” e la sussistenza di un “rapporto continuativo/deposito”), individuati dalla stessa Amministrazione finanziaria come presupposti della particolare imposta sostitutiva di bollo, di cui al ripetuto comma 2-ter dell’art. 13 della Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. n. 642/1972, così come recentemente modificato.

 

Avv. Gianni Polo

 

Note

 

(1)    Sull’argomento cfr. precedenti circ. Federcasse FF.LL. 22 luglio 2011, n. 116; 2 settembre 2011, n. 134; e 29 maggio 2012, n. 80.

(2)     In Boll. Trib., 2013, 762.

(3)     In Boll. Trib., 2013, 663.

(4)     In Boll. Trib., 2013, 115.

(5)     Sull’argomento vedi anche circ. Federcasse F.L. 22 luglio 2013, n. 122.

(6)     Cfr. Annuario del Credito Cooperativo 2012, Roma, ed. XVI. Vedi anche www.creditocooperativo.it.

(7)   Al riguardo vedi più diffusamente lo Studio del Consiglio Nazionale del Notariato n. 5617/I: Le banche cooperative nella riforma del diritto societario, approvato dalla Commissione Studi d’Impresa il 25 febbraio 2005. Cfr., in particolare, par. n. 7: La disciplina applicabile alle banche di credito cooperativo.

(8)   Emanato dalla CONSOB con deliberazione 14 maggio 1999, n. 11971, e come modificato con deliberazione 23 dicembre 2003, n. 14372.

(9)     Cfr. ECRA, Roma, ed. 2011.

(10)Cfr. comunicazione 12 aprile 2001, n. DEM/1027182; consultazione del 1° giugno 2007 sulla Distribuzione di prodotti finanziari emessi da banche e da imprese di assicurazione (art. 25-bis del TUF); e delibera 2 febbraio 2007, n. 15787.

(11)Cfr. a. rinella l. salvini c. morra brescia m. lamandini, Il Credito Cooperativo. Storia, diritto, economia, organizzazione, a cura di a. carretta, Bologna, 2011, 211 s.; e. cusa, Il patrimonio di vigilanza delle banche di credito cooperativo, in Riv. banca borsa titoli di credito, Milano, 2010, 38 s.

(12) Sul tema vedi più diffusamente circ. Federcasse F.L. 29 maggio 2012, n. 80.

(13)  Sul tema, si veda più diffusamente circ. ABI, serie trib., 22 giugno 1998, n. 25.

(14)Cfr. sesto periodo della nota 3-ter, apposta in calce al citato comma 2-ter, introdotto dall’art. 55, comma quinto, della legge 21 novembre 2000, n. 342, e sostituito dall’art. 19, comma terzo, lett. b), del D.L. n. 201/2011. Sull’argomento, cfr. circ. ABI, serie trib., 10 gennaio 2001, n. 2.

(15)Cfr., sull’argomento, anche il Capo V del Regolamento CONSOB, adottato con delibera 23 dicembre 1998, n. 11768.

(16)Cfr., in particolare, i pareri n. 523/2010 e n. 614/2012.

(17)Introdotta dall’art. 33, comma quattro, lett. a), della legge 23 dicembre 2000, n. 388.

(18)Invero, ci è stato segnalato che una BCC, in una operazione di aumento di capitale, per non meglio esplicitate ragioni «di rispetto della normativa MIFID e dei principi contenuti nel Prospetto relativa all’offerta di aumento di capitale» e ai fini della c.d. «profilatura dei rischi ai fini MIFID» ha fatto stipulare, all’atto della sottoscrizione delle nuove azioni, uno specifico “dossier titoli” al nuovo socio, in quanto «tale operazione è indispensabile per le procedure applicative della banca che prevedono che la compilazione del Questionario MIFID, contenente i profili del cliente, nonché che la valutazione di adeguatezza dell’operazione di sottoscrizione di aumento di capitale sia effettuata tramite l’applicativo titoli e quindi tramite il presupposto dell’esistenza di un dossier». Dopo un breve lasso di tempo (coincidente con qualche settimana) tale dossier viene chiuso, in quanto dette azioni vengono “trasferite” (ovviamente, non si tratta di un vero trasferimento, inteso in senso tecnico e fiscale) sul Libro soci elettronico, su cui risultano esclusivamente evidenziate e gestite le posizioni di ciascun socio della banca, anche ai fini della remunerazione del capitale investito. Appare inevitabile, per le ragioni espresse nel testo e ove risulti effettivamente necessaria l’apertura di questo dossier titoli, per così dire, “transitorio”, che durante la sua sussistenza si debba applicare l’imposta di bollo in relazione alle azioni BCC in esso contenute, magari nella misura minima rapportata all’effettivo periodo dell’anno interessato.

(19)Pubblicato in G.U. n. 38 del 16 febbraio 2011. Si segnala, al riguardo, che successivamente all’emanazione dello stesso D.M. 24 maggio 2012, è stato pubblicato, in data 20 giugno 2012, un nuovo provvedimento del Governatore della Banca d’Italia che sostituisce sul tema il precedente del 9 febbraio 2011, cit.

(20) Cfr. ris. 15 novembre 2002, n. 357/E, in Boll. Trib. On-line, e commentata con circ. ABI, serie trib., 13 dicembre 2002, n. 20.

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