9 Ottobre, 2015

 

 

 

 

Grazie all’ordinanza sopra riportata si avvia a ritornare alle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione l’esame della problematica riguardante il contraddittorio precontenzioso nei procedimenti tributari e, in particolare, la risoluzione della questione se le garanzie endoprocedimentali previste dal settimo comma dell’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente) – concernenti, specificamente, la formazione di un verbale di chiusura delle operazioni di controllo e il rilascio di una sua copia al contribuente, la facoltà del contribuente medesimo di comunicare osservazioni e richieste, che l’Ufficio finanziario ha il dovere di valutare, entro il termine di sessanta giorni dal rilascio della copia di detto verbale, nonché il divieto di emanare l’avviso di accertamento prima della scadenza di tale termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza (1) – si applichino soltanto in caso di accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali di esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale del contribuente, come sembrerebbe discendere dal tenore testuale dell’ormai famosa pronuncia delle Sezioni Unite della stessa Corte a suo tempo intervenuta per chiarire le conseguenze invalidanti del mancato rispetto di tali garanzie (2), oppure se le garanzie medesime debbano trovare incondizionata applicazione anche alle verifiche c.d. “a tavolino”, ossia ai procedimenti di controllo condotti direttamente presso la sede dell’Ufficio finanziario in base alle notizie (e alla relativa documentazione di supporto) acquisite presso altre pubbliche Amministrazioni o presso terzi, o fornite dallo stesso contribuente mediante la compilazione di questionari o in sede di colloquio presso l’Ufficio medesimo, come sembrerebbe doversi invece concludere in base ai principi successivamente espressi in tema di diritto al contraddittorio da due altrettanto celebri sentenze rese in argomento dalle stesse Sezioni Unite (3).

Va ricordato, a tal proposito, che con queste ultime pronunce la Suprema Corte ha, fra l’altro, affermato che dal complesso di norme recate dagli artt. 5, 6, 7, 10, primo comma, e 12, secondo comma, della citata legge n. 212/2000, la cui precipua funzione è quella di improntare l’attività dell’Amministrazione finanziaria alle regole dell’efficienza e della trasparenza, nonché di assicurare l’effettività della tutela del contribuente nella fase del procedimento tributario, emerge chiaramente che la pretesa impositiva trova legittimità nella formazione procedimentalizzata di una “decisione partecipata” mediante la promozione del contraddittorio (che sostanzia il principio di leale collaborazione) tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente (anche) nella fase precontenziosa o endoprocedimentale, al cui ordinato ed efficace sviluppo è funzionale il rispetto dell’obbligo di comunicazione degli atti impositivi, atteso che il diritto al contraddittorio, ossia il diritto del destinatario del provvedimento ad essere sentito prima dell’emanazione di questo, realizza l’inalienabile diritto di difesa del cittadino, tutelato dall’art. 24 Cost., e il buon andamento della pubblica Amministrazione, presidiato dall’art. 97 Cost. (4). Pertanto, sempre nella stessa occasione la Corte ha sostanzialmente concluso che qualunque atto destinato ad incidere in modo negativo sui diritti e interessi del contribuente deve essere a quest’ultimo preventivamente comunicato, in ragione del dovuto rispetto del diritto di difesa, mediante l’attivazione del contraddittorio precontenzioso o endoprocedimentale, che costituisce un principio fondamentale immanente nell’ordinamento cui dare attuazione anche in difetto di un’espressa e specifica previsione normativa, principio il cui rispetto è dovuto da parte dell’Amministrazione indipendentemente da detta previsione e la cui violazione determina la nullità dell’atto lesivo che sia stato adottato senza la preventiva comunicazione al destinatario (5).

[-protetto-]

Tale importante evoluzione giurisprudenziale va certamente salutata con grande favore, in quanto il contraddittorio procedimentale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, della collaborazione e buona fede nei rapporti tra Amministrazione finanziaria e contribuente, non solo a vantaggio di quest’ultimo ma, anche e soprattutto, del migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva, e si ricollega idealmente pure ai più alti principi comunitari espressi in argomento dalla Corte di Giustizia europea.

A tale riguardo, invero, sempre la stessa Corte di Cassazione ha ammonito che il rispetto dei diritti della difesa e del diritto che ne deriva, per ogni persona, di essere sentita prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi, costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione europea, atteso che il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento è attualmente sancito non solo negli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che garantiscono il rispetto dei diritti della difesa nonché il diritto ad un processo equo in qualsiasi procedimento giurisdizionale, ma anche nell’art. 41 di quest’ultima, il quale garantisce il diritto ad una buona amministrazione, e al suo paragrafo 2 prevede che quest’ultimo diritto comporta, in particolare, il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale lesivo, di talché in forza di tale principio, che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione stessa intende fondare la sua decisione, mediante una previa comunicazione del provvedimento in corso di adozione, con la fissazione di un termine per presentare eventuali difese od osservazioni (6).

Detti principi sono stati da ultimo nuovamente ribaditi da un’altra importante pronuncia di vertice, la quale ha puntualizzato che in considerazione dell’operata riconduzione ad unità sistematica, in materia tributaria, del principio del contraddittorio anticipato e delle conseguenze giuridiche invalidanti l’atto per l’inosservanza del modello legale, tutte le norme di diritto interno devono essere unitariamente interpretate alla stregua degli specifici riferimenti tratti dalla giurisprudenza comunitaria, secondo cui il rispetto dei diritti di difesa costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, con la conseguenza che i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione intende fondare la propria decisione (7), e con l’espressa precisazione che il principio generale del diritto comunitario secondo cui il soggetto destinatario di un atto della pubblica Autorità suscettibile di produrre effetti pregiudiziali nella sua sfera giuridica deve essere messo in condizione di contraddire prima di subire tali effetti, non può tollerare discriminazioni in relazione alla natura armonizzata o meno del tributo (8).

E sempre i suddetti principi hanno indotto, nel caso appena richiamato, la Suprema Corte a concludere che anche quando l’Ufficio finanziario intende contestare fattispecie elusive, indipendentemente dalla loro riconducibilità o meno alle specifiche ipotesi contemplate dall’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, risulta obbligatorio richiedere preventivamente chiarimenti al contribuente ed osservare il termine dilatorio di sessanta giorni prima di emettere l’atto accertativo, che deve essere specificamente motivato anche in ordine alle osservazioni, chiarimenti e giustificazioni eventualmente fornite dal contribuente, risultando inficiato dal vizio di nullità l’atto impositivo emesso in difformità da tale modello procedimentale (9).

Per potersi allineare al garantismo “eurounitario” la giurisprudenza nazionale, caratterizzata da rilevanti oscillazioni e contrasti, ben fotografati dall’annotata ordinanza, necessita dunque di un appropriato intervento nomofilattico delle Sezioni Unite che indirizzi verso il definitivo riconoscimento del diritto del contribuente ad un pieno e incondizionato contraddittorio amministrativo preventivo in qualunque procedimento di accertamento tributario volto alla formazione di un provvedimento autoritativo a suo carico. Ed invero, come ha lucidamente sottolineato proprio la stessa ordinanza qui in esame, la questione da essa sollevata «evidentemente sottende quella dell’esistenza di un principio generale del contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria», e perciò costituisce una «questione di massima di particolare importanza, perché va a toccare ampia parte dell’attività di accertamento tributario, e della quale appare quindi necessario investire le Sezioni Unite, onde prevenire possibili oscillazioni all’interno della giurisprudenza di legittimità», «che, per la rilevanza pratica del contenzioso in questione, appare sommamente opportuno evitare».

È quindi evidente che l’ispirata iniziativa assunta dalla pronuncia in commento va accolta con totale consenso, auspicando nel contempo la conferma della piena applicabilità delle citate garanzie endoprocedimentali previste dal settimo comma dell’art. 12 della legge n. 212/2000 a tutti i procedimenti di controllo fiscale, indipendentemente dalle rispettive modalità di svolgimento, in guisa da poter estendere alla generalità dei casi gli altrettanto importanti principi di garanzia e tutela espressi dalla già citata pronuncia delle Sezioni Unite specificamente dedicata all’argomento (10), che è stata puntualmente richiamata dall’annotata ordinanza e che ha, fra l’altro, statuito che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni fissato dal citato settimo comma dell’art. 12, in assenza di qualificate ragioni di urgenza, non può che determinare l’invalidità dell’avviso di accertamento tributario emanato prematuramente, quale effetto del vizio del relativo procedimento, costituito dal non aver messo a disposizione del contribuente l’intero lasso di tempo previsto dalla legge per garantirgli la facoltà di partecipare al procedimento stesso esprimendo le proprie osservazioni che l’Ufficio finanziario è tenuto a valutare come la norma prescrive, cioè di attivare e coltivare il contraddittorio procedimentale, precisando espressamente che la “sanzione” dell’invalidità dell’atto conclusivo del procedimento, pur non esplicitamente prevista, deriva ineludibilmente dal sistema ordinamentale, comunitario e nazionale, nel quale la predetta norma opera e, in particolare, dal rilievo che il vizio del procedimento si traduce, nella specie, in una divergenza dal modello normativo (non certo innocua o di lieve entità bensì) di particolare gravità, in considerazione della rilevanza della funzione, di diretta derivazione da principi costituzionali, cui la norma stessa assolve, e della forza impediente, rispetto al pieno svolgimento di tale funzione, che assume il fatto viziante.

Si tratta, com’è ovvio, di una tematica di decisiva importanza e di grande delicatezza, non risolvibile certo con queste brevi notazioni, che sono finalizzate solo ad evidenziare la rilevante questione che è stata opportunamente sollevata dalla lodevole ordinanza innanzi commentata (11), e che risulta esaurientemente trattata dallo specifico approfondimento che viene contestualmente pubblicato proprio in questo stesso fascicolo della Rivista, alle cui considerazioni, integralmente condivise, non possiamo dunque che rinviare (12), auspicando nel contempo che le Sezioni Unite della Suprema Corte vogliano indirizzarsi verso la soluzione maggiormente garantistica, peraltro delineata dalla stessa ordinanza qui esaminata come quella «più lineare per garantire il contraddittorio processuale», consistente nella perfetta ed equanime identità di trattamento per ogni genere e specie di controllo fiscale condotto a carico del contribuente, a prescindere dalle sue concrete modalità e sedi di esecuzione (13).

Qualunque sia la forma di controllo prescelta ed esperita dall’Ufficio finanziario procedente, difatti, è evidente che uguali sono e restano le necessità di favorire l’interlocuzione fra le parti prima dell’eventuale emissione del provvedimento finale, ossia il contraddittorio procedimentale – di cui la stessa Corte di Cassazione ha ormai decretato la radicale centralità ed essenzialità – nonché di tutelare appieno gli identici diritti e interessi del contribuente e, in particolare, quello (protetto appunto dal citato art. 12 della legge n. 212/2000) di sottoporre osservazioni e richieste sulle operazioni condotte, che gli Uffici accertatori hanno l’obbligo di valutare in maniera adeguata, esternando una congrua e puntuale motivazione sul punto.

Alessandro Voglino

(1) Per mera prontezza di riscontro si riproduce, qui di seguito, il testo del citato settimo comma dell’art. 12 della legge n. 212/2000 (articolo rubricato nel suo insieme «Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali»): «Nel rispetto del principio di cooperazione tra Amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli Uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza».

(2) Ossia da Cass., sez. un., 29 luglio 2013, n. 18184, in Boll. Trib., 2013, 1428, con note di V. Azzoni, Sessanta e non più sessanta: la violazione del termine dilatorio dello Statuto dei diritti del contribuente costituisce un vizio invalidante dell’accertamento?, F. Del Torchio, Contraddittorio preventivo e ragioni di motivata urgenza, e U. Perrucci, La “sanzione” dell’invalidità dell’avviso di accertamento emesso anticipatamente rispetto al termine dilatorio di 60 giorni di cui all’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte.

(3) Ovvero da Cass., sez. un., 18 settembre 2014, nn. 19667 e 19668, in Boll. Trib., 2014, 1742, con nota di P. Accordino, Il diritto del contribuente al contraddittorio preventivo nei procedimenti tributari concepito come un principio fondamentale dell’ordinamento la cui violazione determina la nullità dell’atto non preavvisato.

(4) Cfr. espressamente in tal senso Cass., sez. un., 18 settembre 2014, nn. 19667 e 19668, citt.

(5) Così sempre Cass., sez. un., 18 settembre 2014, nn. 19667 e 19668, citt.

(6) Cfr. in tal senso sempre Cass., sez. un., 18 settembre 2014, nn. 19667 e 19668, citt., ma si vedano in merito anche le puntuali notazioni svolte proprio nell’ordinanza in commento, e quelle espresse dall’altra pronuncia di legittimità citata subito appresso nel testo.

(7) Così Cass., sez. trib., 14 gennaio 2015, n. 406, di prossima pubbl. in questa stessa Rivista, che è stata appropriatamente richiamata pure dall’annotata ordinanza ed ivi definita come ancora in corso di deposito (deposito che poi è avvenuto proprio in pari data).

(8) Così sempre Cass., sez. trib., 14 gennaio 2015, n. 406, cit.

(9) Così ancora Cass., sez. trib., 14 gennaio 2015, n. 406, cit.

(10) Si allude ovviamente a Cass., sez. un., 29 luglio 2013, n. 18184, cit.

(11) Ragion per cui ci asteniamo volutamente dal richiamare la copiosa dottrina già intervenuta sull’argomento, non intendendo certo essere questa la sede di una specifica disamina tecnica del complesso dibattito esistente in proposito.

(12) Cfr. difatti lo specifico e dettagliato contributo di M. Cicala, Attività di accertamento e contraddittorio amministrativo: verso un nuovo intervento delle Sezioni Unite, pubbl. in questo stesso fascicolo del Bollettino a pag. 86, cui pertanto si rimanda per la puntuale trattazione delle richiamate questioni.

(13) Anche perché è facile percepire come, diversamente opinando, si finirebbe col concedere al discrezionale arbitrio dell’Ufficio finanziario procedente l’inaccettabile potere di eludere comodamente i precetti posti dal citato art. 12 della legge n. 212/2000 mediante l’unilaterale scelta della forma di controllo da eseguire, soprattutto all’approssimarsi del termine di decadenza dal potere di accertamento.

Imposte e tasse – Accertamento – Diritto del contribuente al contraddittorio anche nella fase precontenziosa o endoprocedimentale – Garanzie procedurali previste dall’art. 12 della legge n. 212/2000 – Questione relativa al loro ambito di applicazione, ovvero se si applichino solo in caso di accessi, ispezioni e verifiche nei locali di esercizio dell’attività aziendale o professionale del contribuente, oppure anche alle verifiche “a tavolino” effettuate presso la sede dell’Ufficio finanziario – Rimessione della relativa questione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione – Va disposta.

Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Diritto del contribuente al contraddittorio anche nella fase precontenziosa o endoprocedimentale – Garanzie procedurali previste dall’art. 12 della legge n. 212/2000 – Questione relativa al loro ambito di applicazione, ovvero se si applichino solo in caso di accessi, ispezioni e verifiche nei locali di esercizio dell’attività aziendale o professionale del contribuente, oppure anche alle verifiche “a tavolino” effettuate presso la sede dell’Ufficio finanziario – Rimessione della relativa questione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione – Va disposta.

Va sottoposta al Primo Presidente della Corte di Cassazione l’opportunità di devolvere alle Sezioni Unite della stessa Corte la questione di massima di particolare importanza se le garanzie endoprocedimentali fissate nel settimo comma dell’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente) – concernenti la formazione di un verbale di chiusura delle operazioni di controllo e il rilascio di una copia del medesimo al contribuente, la facoltà del contribuente di comunicare osservazioni e richieste, che l’Ufficio finanziario ha il dovere di valutare, entro il termine di sessanta giorni dal rilascio della copia del verbale, e il divieto di emanazione dell’avviso di accertamento prima della scadenza di detto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza – si applichino soltanto agli accessi, alle ispezioni e alle verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività aziendale o professionale del contribuente, oppure, come sembrerebbe discendere dai principi affermati nelle sentenze della Corte di Cassazione a Sezioni Unite nn. 19667 e 19668 del 18 settembre 2014, anche alle verifiche c.d. “a tavolino”, vale a dire alle verifiche effettuate presso la sede dell’Ufficio finanziario in base alle notizie (e alla relativa documentazione di supporto) acquisite presso altre pubbliche Amministrazioni o presso terzi o fornite dallo stesso contribuente mediante la compilazione di questionari o in sede di colloquio presso l’Ufficio stesso.

[Corte di Cassazione, sez. VI (Pres. Cicala, rel. Cosentino), 14 gennaio 2015, ord. n. 527, ric. Agenzia delle entrate c. Trump Trade s.r.l.]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – L’Agenzia delle Entrate ricorre contro la società …, società esercente l’attività di compravendita di immobili, per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, riformando la sentenza di primo grado, ha annullato un avviso di accertamento IVA-IRPEG-IRAP con cui l’Ufficio rettificava il prezzo di vendita di alcune unità immobiliari vendute dalla contribuente nell’anno 2003, accertando importi superiori rispetto a quelli fatturati e, quindi, recuperava a tassazione il maggior volume di affari ed il maggior reddito conseguentemente rideterminati.

La Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto illegittimo l’avviso in quanto “emanato a seguito di una verifica fiscale non conclusasi con la redazione di un processo verbale di constatazione”. Secondo la sentenza gravata, infatti, per il disposto del settimo comma dell’articolo 12 della legge n. 212/2000 l’Ufficio avrebbe dovuto rilasciare al contribuente copia del verbale di chiusura delle operazioni e quindi astenersi dall’emettere l’avviso di accertamento fino alla scadenza del termine, previsto per la comunicazione delle osservazioni e richieste del contribuente, di sessanta giorni da detto rilascio. In particolare, la Commissione Tributaria Regionale ha disatteso l’assunto dell’Ufficio secondo cui la disposizione del settimo comma dell’articolo 12 l. 212/2000 troverebbe applicazione solo in caso di accessi, ispezioni o verifiche nei locali aziendali del contribuente, argomentando dalla necessità di salvaguardare il diritto di difesa del contribuente “attraverso la tutela del diritto al contraddittorio con gli enti impositori”.

Con l’unico mezzo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione dell’articolo 12, settimo comma, l. 212/00 in cui il giudice di merito sarebbe incorso ritenendo operante il termine di cui all’articolo 12, settimo comma, l. 212/00 anche nel caso, quale quello in esame, in cui l’avviso di accertamento consegua non ad accessi, ispezioni o verifiche presso i locali aziendali o professionali del contribuente, bensì all’esercizio dell’attività istruttoria svolta dall’Ufficio, nella propria sede, sulla base delle notizie fornitegli dallo stesso contribuente o acquisite presso altre pubbliche amministrazioni o presso terzi.

La società contribuente si è costituita con controricorso, contestando le argomentazioni della difesa erariale ed affermando che l’obbligo dell’Ufficio di emettere un processo verbale di constatazione all’esito di una verifica fiscale, e di rispettare il termine dilatorio di cui al settimo comma dell’articolo 12 l. 212/00, sussisterebbe in relazione a qualunque verifica fiscale e non solo in relazione alle verifiche svolte presso i locali del contribuente. In linea di fatto, peraltro, deduce che un accesso dei verificatori presso i locali aziendali ci sarebbe stato “seppur concluso velocemente in forza della verifica già in esecuzione addirittura presso terzi quali banche, uffici comunali, catasto e clienti”.

La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 6.11.14, per la quale non sono state depositate memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE – Il presente ricorso ripropone a questa Corte la questione se le garanzie endoprocedimentali fissate nel settimo comma dell’articolo 12 l. 212/00 (formazione di un verbale di chiusura delle operazioni e rilascio di copia del medesimo al contribuente; facoltà del contribuente di comunicare osservazioni e richieste, che l’Ufficio ha il dovere di valutare, entro il termine di sessanta giorni dal rilascio di copia del verbale; divieto di emanazione dell’avviso di accertamento prima della scadenza di detto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza) si applichi soltanto agli accessi, alle ispezioni ed alle verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività aziendale o professionale del contribuente, come sostiene la difesa erariale, oppure anche alle verifiche c.d. “a tavolino” vale a dire alle verifiche effettuate presso la sede dell’Ufficio in base alle notizie (ed alla relativa documentazione di supporto) acquisite presso altre pubbliche amministrazioni o presso terzi o fornite dallo stesso contribuente mediante la compilazione di questionari o in sede di colloquio presso l’Ufficio.

Sulla suddetta questione – che evidentemente sottende quella dell’esistenza di un principio generale del contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria – la giurisprudenza di questa Corte si è già pronunciata con le sentenze nn. 16354/12 (1), 15583/14 (2), 7598/14 (3), 13588/14 (4), che hanno espressamente affermato (le prime due con rifermento ad atti impositivi emessi nei confronti di soggetti diversi da quello presso cui erano stati effettuati gli accessi) che il perimetro applicativo del settimo comma dell’articolo 12 l. 212/00 è limitato agli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente.

Le ragioni che sorreggono l’indirizzo interpretativo ora menzionato possono sintetizzarsi come segue.

a) Si valorizza l’argomento letterale desumibile dal primo comma dell’articolo 12 l. 212/00, che esplicitamente contempla gli “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”; in proposito è stato sottolineato che anche la sentenza delle Sezioni Unite n. 18184/2013, che ha statuito l’illegittimità dell’atto impositivo emanato senza il rispetto del termine dilatorio di cui al settimo comma dell’articolo 12 l. 212/00, nell’enunciare il principio di diritto ha correlato la decorrenza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento al momento del “rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni”. L’argomento letterale viene altresì supportato dal rilievo che tutte le disposizioni contenute nei sette commi dell’articolo 12 l. 212/00 appaiono palesemente calibrate sulle esigenze di tutela del contribuente in relazione alle visite ispettive in loco.

b) Si argomenta, sul piano teleologico, che la limitazione alle sole verifiche in loco della particolare garanzia del contraddittorio procedimentale di cui al settimo comma dell’articolo 12 l. 212/00 si giustifica con il rilievo che solo in tale ipotesi (che si caratterizza perché l’Amministrazione invade la sfera del contribuente nei luoghi di sua pertinenza, ricercando direttamente gli elementi che reputa utili a verificare la sussistenza di attività non dichiarate) sussiste la specifica esigenza di bilanciare lo squilibrio tra contribuente e Amministrazione, derivante dall’assoggettamento del primo ai poteri ispettivi della seconda, e, quindi, di espandere il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali aziendali; laddove tale esigenza sarebbe fortemente attenuata quando la verifica si fondi, almeno in prevalenza, su documenti presentati all’Ufficio dallo stesso contribuente (argomento, quest’ultimo, che peraltro non copre le ipotesi – nelle quali pure le citate sentenze nn. 16354/12 e 15583/14 hanno escluso l’applicabilità dell’articolo 12, comma 7, l. 212/00 – dell’avviso di accertamento fondato su dati acquisiti in accessi presso un soggetto diverso rispetto a colui che viene investito dall’accertamento e, quindi, con l’utilizzazione di documenti e dati che il contribuente nella normalità dei casi ignora).

c) Si afferma, sul piano sistematico, che l’esistenza di un principio generale che imponga in ogni caso il contraddittorio fin dalla fase di formazione della pretesa fiscale, sotto pena di invalidità dell’atto impositivo, non sarebbe ravvisabile né nell’ordinamento interno, né nel diritto comunitario.

In particolare, quanto al diritto interno, si richiama il precedente di questa Corte n. 26316/10 (5) – secondo il quale, anche dopo l’entrata in vigore dello Statuto del contribuente, non può ritenersi esistente un principio generale di contraddittorio in ordine alla formazione della pretesa fiscale – e si sottolinea che, quando il legislatore ha inteso estendere al di fuori dell’ambito degli accertamenti in loco il meccanismo di garanzia del contraddittorio endoprocedimentale costituito dalla previsione di un termine, decorrente dalla chiusura delle operazioni di verifica, entro il quale il contribuente possa proporre osservazioni e prima del cui decorso non possa emanarsi l’atto impositivo, lo ha stabilito espressamente.

Quanto al diritto comunitario, si è evidenziato come nella sentenza 22.10.13, in causa C-276/12 (6) Jirì Sabou, la Corte di giustizia, in una controversia inerente alla reciproca assistenza fra le autorità degli Stati membri in materia di imposte dirette, ma con chiari riflessi di carattere generale, ha sottolineato che occorre distinguere, “nell’ambito dei procedimenti di controllo fiscale, la fase dell’indagine nel corso della quale vengono raccolte le informazioni, dalla fase contraddittoria, tra l’Amministrazione fiscale e il contribuente cui essa si rivolge, la quale inizia con l’invio a quest’ultimo di una proposta di rettifica” (punto 40), giungendo a specificare che “l’Amministrazione, quando procede alla raccolta d’informazioni, non è tenuta ad informarne il contribuente né a conoscere il suo punto di vista” (punto 41).

Così sintetizzate le ragioni che sorreggono l’attuale orientamento di questa Corte che esclude gli accertamenti c.d. “a tavolino” dall’ambito applicativo del disposto del settimo comma dell’articolo 12 l. 212/00, si può osservare che tale orientamento si salda strettamente all’affermazione che – sulla premessa che l’Ufficio (in base al disposto dell’articolo 52, sesto comma, DPR 633/72 in materia di IVA, richiamato dall’articolo 33 DPR n. 600/73 in materia di imposte dirette, a propria volta richiamato dall’articolo 53-bis DPR n. 131/81 in materia di imposta di registro) è tenuto a redigere processo verbale degli accessi presso i locali del contribuente anche quando a tali accessi consegua una mera acquisizione di notizie e documenti, senza constatazione di violazioni o formulazione di addebiti – include nell’ambito applicativo del disposto del settimo comma dell’articolo 12 l. 212/00 anche i casi in cui il processo verbale non contenga alcuna constatazione di violazioni finanziarie (si vedano, al riguardo, le sentenze nn. 10381/11(7), 20770/13 (8), 2593/14 (9), 5374/14 (10), 15010/14 (11), 15624/14 (12)). In proposito si è infatti evidenziato (vedi, in particolare, la sentenza n. 5374/14) che la generica locuzione “verbale di chiusura delle operazioni”, contenuta nel settimo comma dell’articolo 12 l. 212/00, comprende nel proprio ambito tutti i verbali che, indipendentemente dal loro contenuto, devono concludere le operazioni di accesso, verifica o ispezione nei locali del contribuente; verbali che non devono necessariamente contenere la formulazione di rilievi o di addebiti, essendo volti a concludere una fase di acquisizione di dati, elementi e notizie, e pertanto si distinguono dallo specifico verbale di constatazione delle violazioni finanziarie previsto dall’articolo 24 della legge n. 4/1929.

Nella giurisprudenza della Corte, in sostanza, le garanzie del contraddittorio di cui al settimo comma dell’articolo 12 l. 212/00 vengono strettamente collegate all’esecuzione di un accesso nei locali del contribuente (ed al rilascio del conseguente verbale, in ogni caso necessario); cosicché tali garanzie risultano interpretate come funzionali a soddisfare una esigenza di tutela specificamente derivante dallo squilibrio che si determina tra contribuente e Amministrazione per effetto di tale accesso e non come espressione di un principio generale di tutela del contraddittorio endoprocedimentale, ossia anteriore alla formazione dell’atto impositivo e quindi finalizzato a garantire la partecipazione del contribuente alla formazione del provvedimento; principio, quest’ultimo, del quale peraltro nelle sentenze nn. 7598/14 e 13588/14 si mette espressamente in discussione la sussistenza. In altri termini, secondo i precedenti di legittimità specificamente resi in tema di applicabilità agli accertamenti “a tavolino” del disposto del settimo comma dell’articolo 12 l. 212/00, quest’ultima disposizione (al pari di altre analoghe rinvenibili nel corpus della normativa tributaria, come il comma 4-bis dell’articolo 11 del D.Lgs. 374/90, o il comma 4 dell’articolo 37-bis DPR 600/73) costituirebbe la fonte del diritto alle garanzie procedimentali ivi previste (delle quali, conseguentemente, segnerebbe anche il perimetro applicativo) e non, invece, l’attuazione in un settore specifico di un diritto al contraddittorio endoprocedimentale tributario immanente nell’ordinamento e derivante direttamente da disposizioni costituzionali e da principi di diritto europeo.

Tanto premesso, va peraltro sottolineato come l’orientamento fin qui illustrato, relativo agli accertamenti “a tavolino”, non risulti in sintonia con altre pronunce, pure rinvenibili nella giurisprudenza della Corte.

Al riguardo si possono ricordare:

1) la sentenza n. 2594/14 (13), che, in relazione all’impugnativa di un avviso di accertamento emesso all’esito di indagini bancarie, ha accolto il mezzo di ricorso con cui il contribuente aveva censurato la sentenza di merito per non aver ritenuto che il termine dilatorio di cui al settimo comma dell’articolo 12 l. 212/00 dovesse essere rispettato dall’Ufficio anche in esito a verifica fondata su indagini bancarie;

Buy cheap Viagra online

2) la sentenza n. 7960/14 (14), che, pur escludendo l’operatività del termine di cui al settimo comma dell’articolo 12 l. 212/00 in tema di accertamento standardizzato mediante parametri e studi di settore, sorregge il decisum non con la negazione dell’esistenza di un principio generale del contraddittorio endoprocedimentale tributario (che riconosce espressamente, affermandone altresì la vis expansiva) ma con l’affermazione che negli accertamenti standardizzati mediante parametri e studi di settore il rispetto del contraddittorio endoprocedimentale è garantito dall’obbligo di interlocuzione con il contribuente riconosciuto dalla sentenza n. 26635/09 (15) delle Sezioni Unite;

3) la sentenza in corso di pubblicazione emessa all’udienza del 10.3.14 nel procedimento n. 21846/12, con la quale si afferma che “avuto riguardo alla operata riconduzione ad unità sistematica, in materia tributaria, del principio del contraddittorio anticipato e delle conseguenze giuridiche invalidanti l’atto per la inosservanza del modello legale, risulta che tanto la disciplina procedimentale delle fattispecie abusive, in materia di imposte dirette, dettata dall’art. 37-bis comma 4, quanto quella prevista dall’art. 12, comma 7, legge n. 212/2000, debbono essere unitariamente interpretate alla stregua degli specifici riferimenti tratti dalla giurisprudenza comunitaria secondo cui “il rispetto dei diritti di difesa costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo” (cfr. Corte giustizia 18.12.2008, causa C-349/07, Sopropè (16); id. 22.10.2013, causa C-276/12, Sabou (17)), con la conseguenza che “i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione intende fondare la propria decisione” (cfr. Corte di giustizia 24.10.1996, causa C-32/95 P, Lisrestal (18); id. 21.9.2000, causa C-462/98 P, Mediocurso (19); id. 12.12.2002, causa C-395/00, Cipriani (20); id. Sopropè, cit.; id. Sabou, cit.).” Da tale affermazione di principio la sentenza citata trae poi la conclusione che “anche nel caso in cui l’Ufficio finanziario intenda contestare fattispecie elusive, indipendentemente dalla riconducibilità o meno delle stesse alle ipotesi contemplate dall’art. 37-bis comma 3 Dpr n. 600/73, è tenuto a richiedere preventivamente chiarimenti al contribuente e ad osservare il termine dilatorio di gg. 60, prima di emettere l’atto accertativo che dovrà essere specificamente motivato anche in ordine alle osservazioni, chiarimenti, giustificazioni, eventualmente fornite dal contribuente: risultando inficiato dal vizio di nullità l’atto impositivo emesso in difformità da detto modello procedimentale”.

Ma, a parte la giurisprudenza della Sezione tributaria, nella materia in esame risulta decisiva l’elaborazione giurisprudenziale delle Sezioni Unite, le quali, fin dalla sentenza n. 26635/09, in materia di studi di settore, hanno affermato l’esistenza di un principio generale dell’ordinamento per il quale, anche in campo tributario, il contraddittorio endoprocedimentale deve ritenersi, pur in assenza di una espressa previsione normativa, un elemento essenziale e imprescindibile del “giusto procedimento”, che legittima l’azione amministrativa; hanno poi ribadito l’esistenza di tale principio nella sentenza n. 18184/13, che proprio su tale base ha statuito l’illegittimità dell’atto impositivo emesso, a seguito di accesso pressi i locali del contribuente, senza il rispetto del termine dilatorio di cui al settimo comma dell’articolo 12 l. 212/00; hanno, infine, portato a compimento il proprio percorso ermeneutico con la sentenza n. 19667/14 (21), la quale – nell’affermare che l’iscrizione ipotecaria prevista dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, in quanto atto destinato ad incidere in modo negativo sui diritti e gli interessi del contribuente, deve essere a quest’ultimo comunicata prima di essere eseguita – pone a fondamento di tale dovere di comunicazione (non, come prospettato dalla Sezione remittente, il disposto dell’articolo 50, comma 2, DPR 602/73, bensì) il “dovuto rispetto del diritto di difesa mediante l’attivazione del contraddittorio endoprocedimentale, che costituisce un principio fondamentale immanente nell’ordinamento cui dare attuazione anche in difetto di una espressa e specifica previsione normativa.”.

La sentenza n. 19667/14 va oltre i precedenti nn. 26635/09 e 18184/13, perché – dopo aver affermato che lo Statuto del contribuente costituisce attuazione, nel campo del procedimento tributario, dei principi di partecipazione all’azione amministrativa dettati dalla legge n. 241 del 1990, direttamente discendenti dall’articolo 97 Cost., ed aver affermato che il diritto al contraddittorio endoprocedimentale trova diretto fondamento nel diritto dell’Unione Europea – poggia la statuizione che l’iscrizione ipotecaria ex art. 77 DPR n. 602/73 dev’esser previamente comunicata al contribuente sulle seguenti affermazioni:

a)la pretesa tributaria trova legittimità nella formazione procedimentalizzata di una “decisione partecipata” mediante la promozione del contraddittorio (che sostanzia il principio di leale collaborazione) tra Amministrazione e contribuente (anche) nella “fase precontenziosa” o “endo-procedimentale”, al cui ordinato ed efficace sviluppo è funzionale il rispetto dell’obbligo di comunicazione degli atti impositivi.” (punto 15 primo periodo);

b)Il diritto al contraddittorio, ossia il diritto del destinatario del provvedimento ad essere sentito prima dell’emanazione di questo, realizza l’inalienabile diritto di difesa del cittadino, presidiato dall’articolo 24 Cost., e il buon andamento dell’amministrazione, presidiato dall’articolo 97 Cost.” (punto 15 secondo periodo);

c) (esiste un) “principio fondamentale immanente nell’ordinamento tributario che prescrive la tutela del diritto di difesa del contribuente mediante l’obbligo di attivazione da parte dell’Amministrazione del “contraddittorio endoprocedimentale” ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente medesimo. Principio il cui rispetto è dovuto da parte dell’Amministrazione indipendentemente dal fatto che ciò sia previsto espressamente da una norma positiva e la cui violazione determina la nullità dell’atto lesivo che sia stato adottato senza la preventiva comunicazione al destinatario.”.

Ancorché le suddette affermazioni siano destinate a sorreggere una decisione che ha un oggetto specifico, ossia l’esistenza di un obbligo di previa comunicazione dell’iscrizione ipotecaria, la portata generale dei termini in cui esse sono state formulate pone un evidente problema di coordinamento tra le stesse e l’orientamento giurisprudenziale (sostanzialmente uniforme, salvo la sentenza n. 2594/14 in materia di avviso emesso all’esito di indagini bancarie) secondo il quale il disposto del settimo comma dell’articolo 12 l. 212/00 non trova applicazione agli accertamenti c.d. “a tavolino”.

La compiuta applicazione dei principi espressi nella sentenza n. 19667/14 alla fattispecie degli accertamenti c.d. “a tavolino” condurrebbe infatti ad affermare la fondatezza della tesi – su cui poggia la decisione censurata con il ricorso in esame – secondo cui anche gli avvisi di accertamento conseguenti a verifiche fiscali eseguite nella sede dell’Ufficio sulla base delle notizie e della documentazione fornite dallo stesso contribuente o acquisite presso altre pubbliche amministrazioni o presso terzi sarebbero invalidi se non preceduti dal contraddittorio endoprocedimentale.

Il Collegio non ritiene però di poter giungere a detta conclusione, per le due seguenti ragioni:

A) in primo luogo, perché, per quanto si esporrà, ritiene che permangano significative incertezze intorno ai limiti di applicazione del principio secondo cui, nella materia tributaria, ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente, l’Amministrazione sarebbe tenuta, a pena di invalidità dell’atto, ad attivare il contraddittorio endoprocedimentale “indipendentemente dal fatto che ciò sia previsto espressamente da una norma positiva”;

B) in secondo luogo, perché comunque ritiene che l’eventuale riaffermazione dell’esistenza di un obbligo generale di attivazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione, anche in difetto di una espressa disposizione di legge in tal senso, ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente (e quindi, per quanto qui interessa, quando si debba adottare un avviso di accertamento conseguente ad una verifica “a tavolino”), postula la precisazione delle concrete modalità di esplicazione del contraddittorio e degli effetti della eventuale inosservanza di tali modalità; precisazione che costituisce questione di massima di particolare importanza, perché va a toccare ampia parte dell’attività di accertamento tributario, e della quale appare quindi necessario investire le Sezioni Unite, onde prevenire possibili oscillazioni all’interno della giurisprudenza di legittimità.

Si procederà quindi, dapprima, alla sintetica illustrazione delle ragioni per le quali il Collegio ritiene necessaria una precisazione dei limiti di applicazione dell’affermazione contenuta nella sentenza n. 19667/14 secondo cui, nella materia tributaria, ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente, l’Amministrazione sarebbe tenuta ad attivare, a pena di invalidità dell’atto, il contraddittorio endoprocedimentale “indipendentemente dal fatto che ciò sia previsto espressamente da una norma positiva”. Successivamente, si illustreranno le possibili alternative che, ad avviso del Collegio, si aprono nell’individuazione delle modalità secondo le quali l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio procedimentale anche nei procedimenti in cui esso non sia previsto da una specifica disposizione, ove riaffermato dalle Sezioni Unite nei termini di cui alla sentenza n. 19667/14, si possa concretamente applicare alla fattispecie degli accertamenti “a tavolino”.

Sulle incertezze relative alla portata applicativa dei principi affermati nella motivazione della sentenza n. 19667/14.

La principale perplessità sollevata dall’argomentazione sviluppata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 19667/14 discende dalla considerazione che, se è indiscutibile che nell’ordinamento interno italiano esistono molteplici disposizioni che, nella prospettiva del “giusto procedimento”, presidiano la garanzia della partecipazione del cittadino all’esercizio dell’azione amministrativa, anche in materia tributaria, è pur vero che in quest’ultima materia, per un verso, per l’espresso disposto dell’articolo 13, secondo comma, della legge 241/90, non si applicano le norme sulla partecipazione contenute nel capo terzo di tale legge e, per altro verso, non esiste alcuna disposizione espressa che sancisca, in via generale, l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, ma esistono soltanto una serie di disposizioni che tale obbligo prevedono nell’ambito di specifici procedimenti (oltre all’articolo 12, comma 7, l. 212/000, relativo agli avvisi conseguenti a verifiche effettuate presso i locali del contribuente, si vedano, a titolo esemplificativo: l’articolo 36-bis, comma 3, DPR 600/73; l’articolo 36 ter, comma 4, DPR 600/73; l’articolo 6, comma 5, l. 212/00; l’articolo 38, comma 7, DPR 600/73; l’articolo 37 bis, comma 4, DPR 600/73; l’articolo 10, comma 3-bis, l. 146/98; l’articolo 110, comma, 11, TUIR; l’articolo 11, comma 4-bis, D.Lgs. 374/90). Da tale rilievo sembra doversi desumere che in materia tributaria, non operando le disposizioni generali del capo terzo della legge n. 241/90, non può addossarsi all’Amministrazione l’obbligo di instaurare il contraddittorio endoprocedimentale al di fuori dei casi espressamente previsti da specifiche disposizioni in tal senso; ciò anche in considerazione del rilievo, svolto dalle stesse Sezioni Unite nella sentenza n. 4648/10, che “nel quadro istituzionale e normativo disegnato dalla Costituzione repubblicana, la forte affermazione del principio di legalità dell’azione amministrativa conduce a considerare il potere pubblico esclusivamente in termini di esercizio tipico e formale”. In definitiva, l’esistenza di una molteplicità di norme che prevedono il contraddittorio procedimentale in materia tributaria non pare costituire argomento sufficiente per affermare l’esistenza di tale obbligo anche in quei procedimenti in relazione ai quali manchi una norma che lo sancisca, potendo semmai, al contrario, pervenirsi alla conclusione opposta sulla scorta dell’antico canone “ubi voluit dixit”.

Né pienamente convincente appare l’impostazione che trae immediatamente dal disposto degli articoli 24 e 97 della Costituzione l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, anche in assenza di una norma di legge ordinaria, ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente.

Va premesso che, ad avviso del Collegio, deve riconoscersi un nesso tra il contraddittorio procedimentale e la tutela dei valori presidiati dall’articolo 24 e dall’articolo 97 della Costituzione.

Quanto a quest’ultimo, va ribadito che il confronto preventivo tra l’Amministrazione e il contribuente “assicura il migliore esercizio della potestà impositiva, il quale, nell’interesse anche dell’ente impositore, risulterà tanto più efficace, quanto più si rivelerà conformato ed adeguato – proprio in virtù del dialogo tra le parti, ove reso possibile – alla situazione del contribuente, con evidenti riflessi positivi anche in termini di deflazione del contenzioso (se non, ancor prima, nel senso di indurre l’Amministrazione ad astenersi da pretese tributarie ritenute al fine infondate)” (così SSUU n. 18184/13, cit.; si tratta peraltro di principi ormai fatti propri dalla stessa Amministrazione, come emerge dal seguente passo della circolare dell’Agenzia delle entrate n. 25/E del 6.8.14: “Un adeguato confronto con il contribuente … permette all’ufficio di individuare con maggior attendibilità la sussistenza dei presupposti dell’atto in corso di definizione, con effetti positivi diretti sull’affidabilità dei controlli.”).

Quanto all’articolo 24 Cost., deve ritenersi che il contraddittorio procedimentale, consentendo di anticipare l’esposizione delle ragioni difensive del contribuente ad un momento anteriore all’emanazione dell’atto impositivo, garantisca maggiore effettività anche alla tutela giudiziale a cui lo stesso contribuente intenda ricorrere dopo detta emanazione. Il processo tributario, infatti, si caratterizza per la assenza di una fase istruttoria o di raccolta delle prove da parte di un giudice terzo. L’istruttoria fiscale è opera della Amministrazione che, ad esempio, raccoglie da persone informate dei fatti dichiarazioni dotate di valore meramente indiziario (tra le tante, Cass. 8369/13 (22)) che, tuttavia, spessissimo determinano l’esito del giudizio; la distinzione fra indizio e prova tende dunque a sfumare, divenendo quasi impercettibile in un processo il cui esito può essere determinato da canoni di giudizio di carattere probabilistico (si pensi al largo ricorso al criterio dell’“id quod plerumque accidit”) e non occorre il superamento di “ogni ragionevole dubbio”. Il contraddittorio procedimentale allora, in quanto teso a consentire al contribuente di far sentire la propria voce in quella fase amministrativa nella quale si forma una parte importante del materiale probatorio sul quale, nel caso di impugnazione dell’atto, si baserà il convincimento del giudice, può ritenersi funzionale anche alla tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantito.

Ciò premesso, va tuttavia rilevato che, se è indubbio che il giudice ha il dovere di interpretare le norme secundum constitutionem (vedi C. Cost. 456/89: “Quando … il dubbio di compatibilità con i principi costituzionali cada su una norma ricavata per interpretazione da un testo di legge è indispensabile che il giudice a quo prospetti a questa Corte l’impossibilità di una lettura adeguata ai detti principi; oppure che lamenti l’esistenza di una costante lettura della disposizione denunziata in senso contrario alla Costituzione”), il Collegio tuttavia ritiene che l’interpretazione costituzionalmente orientata presupponga pur sempre un testo normativo al quale sia possibile attribuire una pluralità di significati, di cui (almeno) uno conforme a Costituzione e non consenta, quindi, l’introduzione per via giurisprudenziale di regole procedimentali non espressamente previste dalla legge.

Peraltro, un argomento contrario all’assunto che nell’ordinamento esista un principio generale per il quale, anche in assenza di una specifica disposizione, l’Amministrazione sarebbe tenuta ad attivare il contraddittorio endoprocedimentale ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente, è rinvenibile nel rilievo che la legge 11.3.2014 n. 23, di delega al Governo per la riforma fiscale, inserisce tra i principi e criteri direttivi della delega la “previsione di forme di contraddittorio propedeutiche alla adozione degli atti di accertamento dei tributi” (articolo 1, primo comma, lettera “b”), nonché il rafforzamento del “contraddittorio nella fase di indagine e la subordinazione dei successivi atti di accertamento e di liquidazione all’esaurimento del contraddittorio procedimentale” (articolo 9, primo comma, lettera “b”); così dimostrando, a contrariis, che, allo stato attuale della legislazione, non sussiste nell’ordinamento un principio generale di tutela necessaria generale del contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria.

Per quanto poi riguarda il diritto dell’Unione Europea, è indubbio che dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenza 18.12.08, in causa C-349/07 Sopropè, sentenza 3.7.2014, in causa C-129/13 Kamino International Logistics (23)) emerge che il rispetto del contraddittorio costituisce principio generale dell’ordinamento europeo, normativamente fondato sugli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che garantiscono il rispetto dei diritti della difesa nonché il diritto ad un processo equo in qualsiasi procedimento giurisdizionale, e sull’art. 41 della stessa Carta, il quale garantisce il diritto ad una buona amministrazione. Il diritto al contraddittorio, secondo la Corte di Giustizia, comporta che ogni individuo debba essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale lesivo (non però, come sopra si è visto, prima che l’Amministrazione proceda ad attività istruttorie, sentenza 22.10.13, in causa C-276/12 Jirì Sabou) e quindi postula la necessità che il contribuente sia messo al corrente delle contestazioni che l’Amministrazione finanziaria intende muovere nei suoi confronti, per poter manifestare utilmente il proprio punto di vista.

Ciò premesso, deve tuttavia in primo luogo osservarsi che il diritto dell’Unione Europea non è direttamente applicabile in materia di procedimenti tributari relativi a tributi non armonizzati. Al riguardo il Collegio ritiene che sia del tutto ragionevole applicare anche ai procedimenti relativi a tributi non armonizzati i principi giuridici sul contraddittorio procedimentale di matrice eurounitaria, perché sarebbe innegabilmente stridente (e potrebbe forse destare qualche dubbio di legittimità costituzionale) differenziare il regime delle garanzie procedimentali del procedimento di accertamento tributario in ragione della natura – armonizzata o meno – del tributo oggetto di accertamento; a questa conclusione, del resto, la Sezione tributaria di questa Corte è già pervenuta nella citata sentenza resa nel procedimento 21846 RG, in corso di pubblicazione, ove si precisa espressamente che “il principio generale del diritto comunitario secondo cui il soggetto destinatario di un atto della pubblica autorità suscettivo di produrre effetti pregiudiziali nella sua sfera giuridica, deve essere messo in condizione di contraddire prima di subire tali effetti, non può tollerare discriminazioni in relazione alla natura armonizzata o meno del tributo”). Non può, tuttavia, negarsi, che – ferma restando l’innegabile influenza che il diritto eurounitario necessariamente spiega sui paradigmi ermeneutici con i quali viene interpretato il diritto nazionale – altro è interpretare il diritto nazionale secondo criteri comunitariamente orientati, altro è ritenere direttamente applicabili i principi di diritto eurounitario in materia di tributi non armonizzati; d’onde l’opportunità di un definitivo chiarimento sul punto da parte delle Sezioni Unite.

In secondo luogo, il Collegio rileva che secondo i principi di diritto dell’Unione Europea fissati dalla Corte di Giustizia, il mancato rispetto del contraddittorio procedimentale può tradursi in un annullamento dell’atto emanato all’esito del procedimento viziato solo se si dimostri che, all’esito del contraddittorio, il risultato del procedimento sarebbe stato diverso; nella sentenza Kamino International Logistics si afferma infatti: “l’obbligo che incombe al giudice nazionale di garantire pienamente l’effetto del diritto dell’Unione non comporta la conseguenza d’imporre che una decisione impugnata, poiché adottata in violazione dei diritti della difesa, segnatamente del diritto di essere sentiti, sia annullata nella totalità dei casi.” (punto 78); “Difatti, secondo il diritto dell’Unione, una violazione dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere sentiti, determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso” (punto 79).

Gli argomenti tratti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia non appaiono dunque totalmente risolutivi al fine di supportare l’affermazione di un principio secondo il quale, nella materia tributaria, ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente, l’Amministrazione sarebbe tenuta ad attivare il contraddittorio endoprocedimentale indipendentemente dal fatto che ciò sia previsto espressamente da una norma positiva, a pena di invalidità dell’atto e indipendentemente dagli argomenti che il contribuente avrebbe speso se il contraddittorio fosse stato attivato. Ciò – in disparte la questione della possibilità che il diritto eurounitario possa essere chiamato a svolgere, nella materia dei tributi non armonizzati, una funzione direttamente regolatrice e non meramente orientativa dell’interpretazione del diritto interno – perché la declinazione del diritto al contraddittorio offerta dalla Corte di Giustizia non appare sovrapponibile all’approdo raggiunto dalle Sezioni Unite nella sentenza 19668/14 (24), alla cui stregua la violazione del diritto al contraddittorio implica l’invalidità dell’atto emanato all’esito del procedimento viziato (vale a dire dell’atto di iscrizione ipotecaria emesso senza essere stato preceduto dalla relativa comunicazione e dall’assegnazione di un termine per l’esercizio del diritto di difesa) indipendentemente da qualunque verifica della circostanza che, se il contribuente avesse potuto esercitare il proprio diritto di difesa nell’ambito del procedimento, quest’ultimo avrebbe potuto portare ad un risultato diverso.

In conclusione, il Collegio intende investire le Sezioni Unite della questione se l’affermazione contenuta nella sentenza n. 19667/14 – secondo cui, nella materia tributaria, ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente, l’Amministrazione sarebbe tenuta ad attivare, a pena di invalidità dell’atto, il contraddittorio endoprocedimentale “indipendentemente dal fatto che ciò sia previsto espressamente da una norma positiva” – trovi fondamento nell’ordinamento nazionale o esclusivamente nel diritto dell’Unione Europea e, in questo caso, quale ne sia la portata applicativa.

Sulla questione di massima di particolare importanza concernente le modalità di attuazione del principio generale del contraddittorio endoprocedimentale riconosciuto della sentenza n. 19667/14 al caso delle verifiche c.d. “a tavolino”.

Qualora le Sezioni Unite confermino nella sua pienezza il principio che – ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente – l’Amministrazione è tenuta ad attivare il contraddittorio endoprocedimentale, anche in difetto di una espressa disposizione di legge, si pone la questione dell’individuazione delle concrete modalità di esplicazione del contraddittorio, e degli effetti della eventuale inosservanza di tali modalità, in tutti quei procedimenti tributari nei quali la legge non preveda espressamente alcun meccanismo di contraddittorio endoprocedimentale, tra cui, per quanto qui interessa, le verifiche c.d. “a tavolino”; questione che, come sopra accennato, il Collegio ritiene di dovere rimettere alle Sezioni Unite, come questione di massima di particolare importanza, onde prevenire possibili oscillazioni giurisprudenziali che, per la rilevanza pratica del contenzioso in questione, appare sommamente opportuno evitare.

Al riguardo va in primo luogo ribadito che il disposto dell’articolo 12 della legge n. 212/00 concerne solo le verifiche con accesso nei locali del contribuente e che, fuori da tale ambito, una base normativa dell’obbligo di emettere un verbale di chiusura delle operazioni di verifica fiscale che si concludano con l’accertamento di violazioni finanziarie (non rinvenibile nell’articolo 52, sesto comma, d.p.r. 633/72, che si riferisce anch’esso alle sole ipotesi di accesso nei locali del contribuente) può individuarsi nell’articolo 24 della legge n. 4 del 1929, il quale recita “Le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale”; nessuna base normativa espressa può invece invocarsi per affermare il dovere dell’Ufficio di non emettere l’atto impositivo prima del decorso di un termine dilatorio dalla consegna del verbale di constatazione delle violazioni.

Tanto premesso, ritiene il Collegio che l’opzione ermeneutica più lineare per garantire il contraddittorio processuale, nei termini delineati dalla sentenza n. 1968/14, nei procedimenti di verifica c.d. “a tavolino” sia quella di applicare anche a tali verifiche il disposto dell’articolo 12, comma 7, l. 212/00.

Non si tratterebbe di una interpretazione estensiva dell’articolo 12, comma 7, l. 212/00 (la quale presupporrebbe una inammissibile interpretatio abrogans delle parole: “nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali … etc.” contenute nel primo comma dello stesso articolo) ma di un interpretazione analogica tendente a colmare la lacuna di regolazione del contraddittorio endoprocedimentale nelle verifiche “a tavolino”, utilizzando la norma dettata per il diverso (ma analogo) caso delle verifiche in loco. In tal modo le verifiche “a tavolino” risulterebbero equiparate, quanto a garanzia del contraddittorio endoprocessuale, alle verifiche presso i locali del contribuente. Tale prospettiva, può aggiungersi, risulterebbe del tutto coerente col principio, enunciato nella sentenza n. 19668/14 (ed in ipotesi riconfermato nell’emananda pronuncia delle Sezioni Unite), dell’esistenza di un dovere generale dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, anche in difetto di una espressa disposizione di legge, ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente. Detta prospettiva supererebbe, infatti, l’orientamento, finora prevalente nella giurisprudenza della Corte, che individua la ratio della garanzia del contraddittorio ex art. 12, comma 7, l. 212/00 nella necessità di temperare lo squilibrio che si determina tra Ufficio e contribuente a causa dell’accesso di personale ispettivo nei luoghi di pertinenza del contribuente medesimo e trasferirebbe detta garanzia dall’ambito del potere di indagine (e dell’esercizio di tale potere mediante accessi) all’ambito del potere di accertamento del tributo (e del risultato dell’esercizio di tale potere, ossia la conseguente pretesa erariale).

Ciò posto, qualora le Sezioni Unite confermino i principi espressi nella sentenza n. 19668/14 e condividano l’opzione interpretativa secondo cui tali principi si attuano nel campo delle verifiche “a tavolino” mediante l’applicazione analogica dell’articolo 12, comma 7, l. 212/00, resteranno da definire le conseguenze della violazione del diritto al contraddittorio endoprocedimentale, ossia del mancato rispetto di un termine dilatorio di sessanta giorni, per l’emanazione dell’avviso di accertamento, decorrente dalla consegna del verbale contenente la contestazione delle violazioni accertate dall’Ufficio.

In particolare, si dovrà stabilire – e, si ribadisce, si tratta di questione di particolare importanza per le sue evidenti ricadute pratiche – se all’applicazione analogica del ripetuto articolo 12, comma 7, l. 212/00 consegua necessariamente che anche nel campo delle verifiche “a tavolino” si applichino i principi fissati nella sentenza n. 18184/13 – e quindi l’atto emanato senza essere stato preceduto dalla consegna di un verbale di contestazione, o prima dello spirare del termine di sessanta giorni dalla data di tale consegna, debba essere in ogni caso giudicato invalido (salvo il caso di urgenza di cui all’ultima parte del suddetto comma 7) – o se invece, in applicazione dei principi sul contraddittorio procedimentale di matrice eurounitaria, l’atto emanato in violazione del diritto del contribuente al contraddittorio debba essere giudicato invalido soltanto se, in mancanza di tale violazione, il procedimento avrebbe potuto avere un esito diverso.

Quest’ultima soluzione presenta, ad avviso del Collegio, due vantaggi e due svantaggi.

I vantaggi consistono:

Nell’uniformare la disciplina del contraddittorio procedimentale nel campo delle verifiche “a tavolino” ai principi di diritto eurounitario elaborati dalla Corte di Giustizia, anche in relazione agli effetti della violazione del diritto al contraddittorio.

Nel consentire un più accurato bilanciamento tra i valori costituzionali in gioco e, in particolare, tra la tutela del diritto di difesa e la tutela del principio che impone l’adempimento delle obbligazioni tributarie (art. 53 Cost.), al quale si collega una concezione del contraddittorio sostanzialistica e non formalistica; in proposito, si veda l’ordinanza interlocutoria n. 24739/13 (25), con cui la Sezione tributaria di questa Corte ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dell’articolo 37-bis, comma 4, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dubitando della legittimità della disposizione che sanziona con la invalidità dell’atto impositivo il mancato rispetto del contraddittorio nel procedimento relativo alla ripresa antielusiva.

Gli svantaggi consistono:

Nel collegare alla violazione del disposto del settimo comma dell’articolo 12 l. 212/00 un regime di invalidità dell’avviso di accertamento che si differenzia a seconda che si tratti di verifiche “a tavolino” (in relazione alle quali l’atto emesso in violazione del contraddittorio andrebbe annullato solo se il procedimento avesse potuto avere un esito diverso nel caso in cui il contraddittorio fosse stato rispettato) o di verifiche presso i locali del contribuente (per le quali, salvo un ripensamento delle conclusioni raggiunte nella sentenza n. 18184/13, l’invalidità dell’atto, fuori dai casi di urgenza, consegue alla violazione del contraddittorio a prescindere da qualunque “prova di resistenza” relativa al contenuto delle difese che il contribuente avrebbe spiegato in sede procedimentale se il contraddittorio fosse stato rispettato).

Nel poggiare il giudizio sulla validità dell’atto emesso in violazione del contraddittorio su un criterio di individuazione labile e malcerta, quale quello dell’idoneità delle difese che il contribuente avrebbe spiegato in sede procedimentale a modificare l’esito del procedimento. Osserva al riguardo il Collegio che, se le ragioni opposte dal contribuente alla pretesa fiscale sono fondate, esse sono di per se stesse sufficienti a portare all’annullamento dell’atto impositivo, a prescindere dal vizio procedimentale di violazione del contraddittorio; se invece tali ragioni non sono di per se stesse sufficienti a condurre all’annullamento dell’atto impositivo, così che emerga la rilevanza del vizio procedimentale di violazione del contraddittorio, vuol dire che le stesse sono infondate e, quindi, il procedimento non avrebbe avuto un esito diverso anche se tali ragioni fossero state spiegate nel contraddittorio procedimentale. Per superare quest’aporia si deve quindi ricorrere alla distinzione tra ragioni meramente pretestuose e ragioni infondate ma non pretestuose. Secondo l’impostazione della Corte di Giustizia – che non a caso nella sentenza 3.7.2014, in causa C-129/13 Kamino International Logistics, usa, nel testo in lingua italiana, l’espressione “in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare (non “avrebbe comportato” n.d.r.) un risultato diverso” – il contribuente può ottenere l’annullamento di un atto impositivo per vizio procedimentale di violazione del contraddittorio solo se nella relativa impugnativa indichi le ragioni che avrebbe dedotto se gli fosse stato dato modo di difendersi in sede procedimentale, sempre che tali ragioni non fossero meramente pretestuose; d’altra parte, la concreta rilevanza del vizio procedimentale di violazione del contraddittorio, ai fini dell’annullamento dell’atto impositivo, postula che le suddette ragioni non siano di per se stesse sufficienti a condurre all’annullamento dell’atto, ossia non siano fondate. In sostanza, come evidenziato dalla dottrina che si è di recente occupata del tema, per ottenere l’annullamento dell’atto impositivo per vizio procedimentale di violazione del contraddittorio il contribuente dovrebbe dimostrare non che le allegazioni che egli avrebbe proposto nel contraddittorio procedimentale erano sufficienti per escludere la ripresa fiscale, ma solo che esse erano ragionevoli e meritevoli di considerazione, anche nella prospettiva dell’apertura di temi istruttori non sviluppati dall’Amministrazione. Si tratta, in sostanza, di una distinzione tra ragioni meramente pretestuose e ragioni serie, ancorché in concreto inidonee a respingere la pretesa erariale, che appare foriera di notevoli incertezza applicative.

In conclusione, si ritiene necessario rimettere gli atti al Primo Presidente della Corte per l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, ai sensi dell’articolo 374 cpc.

p.Q.M. – Il Collegio rimette gli atti al Primo Presidente della Corte per l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

 

(1) Cass. 26 settembre 2012, n. 16354, in Boll. Trib. On-line.

(2) Cass. 8 luglio 2014, n. 15583, in Boll. Trib. On-line.

(3) Cass. 2 aprile 2014, n. 7598, in Boll. Trib. On-line.

(4) Cass. 13 giugno 2014, n. 13588, in Boll. Trib. On-line.

(5) Cass. 29 dicembre 2010, n. 26316, in Boll. Trib. On-line.

(6) In Boll. Trib. On-line.

(7) Cass. 12 maggio 2011, n. 10381, in Boll. Trib. On-line.

(8) Cass. 11 settembre 2013, n. 20770, in Boll. Trib., 2013, 1590.

(9) Cass. 5 febbraio 2014, n. 2593, in Boll. Trib. On-line.

(10) Cass. 7 marzo 2014, n. 5374, in Boll. Trib. On-line.

(11) Cass. 2 luglio 2014, n. 15010, in Boll. Trib. On-line.

(12) Cass. 9 luglio 2014, n. 15624, in Boll. Trib. On-line.

(13) Cass. 5 febbraio 2014, n. 2594, in Boll. Trib. On-line.

(14) Cass. 4 aprile 2014, n. 7960, in Boll. Trib. On-line.

(15) Cass. 18 dicembre 2009, n. 26635, in Boll. Trib., 2010, 303.

(16) In Boll. Trib. On-line.

(17) In Boll. Trib. On-line.

(18) In Boll. Trib. On-line.

(19) In Boll. Trib. On-line.

(20) In Boll. Trib. On-line.

(21) Cass. 18 settembre 2014, n. 19667, in Boll. Trib., 2014, 1740.

(22) Cass. 5 aprile 2013, n. 8369, in Boll. Trib. On-line.

(23) In Boll. Trib. On-line.

(24) Cass. 18 settembre 2014, n. 19668, in Boll. Trib., 2014, 1740.

(25) Cass. 5 novembre 2013, n. 24739, in Boll. Trib., 2013, 1684.