20 Ottobre, 2014

 

 

SOMMARIO: 1. La natura giuridica del decreto sul redditometro quale atto amministrativo generale. L’art. 7, comma 5, del D.Lgs. n. 546/1992 – 2. Redditometro e questioni preliminari e/o pregiudiziali nel processo tributario. La c.d. pregiudizialità–dipendenza – 3. Redditometro e disapplicazione degli atti amministrativi generali e dei regolamenti nel processo tributario – 4. Redditometro e tutele residuali: A) La tutela cautelare d’urgenza in generale; A1) La tutela cautelare d’urgenza in materia di redditometro avanti al giudice ordinario; A2) Osservazioni intorno a un caso concreto – 5. Conclusioni.

1. La natura giuridica del decreto sul redditometro quale atto amministrativo generale. L’art. 7, comma 5, del D.Lgs. n. 546/1992

Per definire la natura giuridica del redditometro e del relativo provvedimento di applicazione, occorre prendere le mosse dall’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, del quale i commi 4 e 5 (come risultanti dalle successive modificazioni) stabiliscono: «L’ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall’articolo 39, può sempre determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d’imposta, salva la prova che il relativo finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile.

La determinazione sintetica può essere altresì fondata sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva individuato mediante l’analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza, con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale con periodicità biennale. In tale caso è fatta salva per il contribuente la prova contraria di cui al quarto comma».

Si evince chiaramente che il “redditometro”, come è noto, è uno strumento accertativo di carattere presuntivo (cd. sintetico), disciplinato dall’art. 38 del citato D.P.R. n. 600/1973, avente lo scopo di fornire una stima di massima del reddito sinteticamente attribuibile alla persona fisica in base alla scelta e alla misurazione di certi elementi indicativi di capacità contributiva. Si tratta quindi di un procedimento il cui tratto caratteristico è dato dalla necessità di individuare l’erogazione di una spesa, ossia di una somma di denaro da parte del contribuente dalla quale poter desumere l’esistenza e l’entità di un certo reddito in capo al soggetto medesimo.

Tale modalità di accertamento sintetico mira, pertanto, a determinare il «reddito complessivo netto del contribuente» – persona fisica – avendo riguardo all’acquisto e alla disponibilità di determinati beni e servizi ritenuti dalla legge espressione di una capacità contributiva maggiore di quella risultante dalle relative dichiarazioni dei redditi.

Ne consegue che l’ordinamento tributario consente di rettificare le dichiarazioni presentate dai contribuenti (ovvero di ricostruire la posizione fiscale di quelli che hanno omesso la presentazione delle stesse), anche per effetto dell’acquisizione di elementi che risultino sintomatici di ricchezza e, quindi, di capacità contributiva, in quanto espressivi di disponibilità, spese o investimenti che, ove non coerenti con la posizione fiscale, possono condurre ad una sua modifica.

Appare evidente come tale modalità procedimentale di accertamento possa creare situazioni penalizzanti per il contribuente e quindi l’ordinamento tributario consente allo stesso contribuente la possibilità di fornire un’adeguata “prova contraria” in sede di contraddittorio amministrativo (ovvero di contenzioso tributario), come è riconosciuto dallo stesso art. 38 citato.

[-protetto-]

Nell’ambito della determinazione induttiva del reddito del contribuente assume quindi notevole importanza il decreto ministeriale sul redditometro che reca i criteri e le modalità di determinazione sintetica del maggior reddito attraverso l’indicazione di parametri e indici di capacità contributiva.

Il tratto caratteristico del risultato applicativo del decreto sul redditometro è dunque costituito dalla determinazione sintetica del reddito la quale è data dal sostenimento di spese ed erogazioni di denaro da parte del contribuente donde sia possibile dedurre l’esistenza di un reddito in capo al medesimo soggetto, con la conseguenza che la valenza reddituale delle somme spese costituisce una presunzione di maggior reddito rispetto a quello dichiarato.

Si discute se tale presunzione sia di carattere legale o semplice.

La individuazione dell’una o dell’altra connotazione non è senza conseguenze sul piano giuridico, in quanto la qualificazione di presunzione legale del redditometro comporta che deve essere il contribuente a fornire la prova contraria alle risultanze applicative del redditometro; mentre l’inquadramento dello stesso strumento fra le presunzioni semplici fa ricadere sul fisco l’onere probatorio dell’accertamento sintetico da redditometro.

Invero, secondo la giurisprudenza della Corte Suprema (1), tale strumento di accertamento implica che la determinazione reddituale avviene attraverso l’utilizzo di presunzioni semplici, per cui non si verifica alcuna inversione dell’onere probatorio; talché la prova del reddito sarà sempre a carico dell’Ufficio finanziario, il quale sarà tenuto a fornire quanto meno elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, integrando del caso la propria pretesa con altri elementi di supporto.

Una volta qualificato il redditometro in termini di presunzione semplice, ne discende che tale presunzione può esser vinta da qualunque prova contraria che il contribuente sia in grado di fornire non soltanto sotto il profilo dell’an debeatur, ma soprattutto sotto il profilo dell’ammontare del reddito in rapporto alla entità della spesa, posto che il procedimento accertativo interviene essenzialmente su tale versante (2).

Molto si è discusso sulla natura e sull’oggetto del decreto sul redditometro quale atto amministrativo in sé considerato.

Il problema che si è posto specialmente in dottrina attiene soprattutto alla natura regolamentare o di atto generale del redditometro inteso come atto che introduce presunzioni dalle quali poter desumere criteri di determinazione della entità del reddito in funzione degli indici o coefficienti di capacità contributiva indicati.

Come è noto, la potestà regolamentare della pubblica Amministrazione (fino a qualche tempo fa regolata dalla legge 31 gennaio 1926, n. 100, e ora disciplinata dalla legge 23 agosto 1988, n. 400) si estrinseca in atti che sotto il profilo del contenuto e dell’efficacia sono di carattere legislativo, senza assumere la qualificazione degli atti legislativi di competenza del Governo, come i decreti-legge e i decreti legislativi; mentre dal punto di vista dell’efficacia formale sono veri e propri atti amministrativi perché emanati dall’Amministrazione pubblica in forza di poteri propri e non di poteri normalmente spettanti al potere legislativo.

In conclusione si può dire che i regolamenti sono sostanzialmente atti normativi, rientranti nella competenza propria delle Amministrazioni pubbliche di emanare norme giuridiche, in quanto trovino fondamento e presupposto nella legge, mentre dal punto di vista formale sono atti amministrativi veri e propri e se regolamenti ministeriali, devono essere previsti da una legge con riferimento a materie di competenza del singolo ministro.

Appare evidente, pertanto, che i decreti ministeriali sul redditometro non assumono tale connotazione, atteso che gli stessi non hanno alcuna valenza di norme giuridiche esterne efficaci nei confronti degli amministrati, essendo soltanto vincolanti all’interno dell’Amministrazione finanziaria posto che gli stessi sostanzialmente si risolvono nell’indicazione di direttive e criteri guida agli Uffici dipendenti circa i parametri da adottare ai fini della determinazione quantitativa del reddito degli amministrati attraverso gli indici di capacità di spesa e quindi contributiva espressamente indicati nel decreto medesimo, secondo la categoria dei regolamenti c.d. organizzativi.

Se così, appare evidente che la qualificazione del decreto ministeriale anzidetto non può costituire espressione di potestà regolamentare nel senso dianzi precisato, bensì espressione di poteri relativi all’emanazione di atti amministrativi c.d. generali che si distinguono dai regolamenti.

Tali atti invero nel disciplinare interessi di carattere pubblicistico non hanno carattere costitutivo od innovativo dell’ordinamento giuridico, come lo hanno i regolamenti, in quanto, pur rivolgendosi ad una generalità di soggetti, non preventivamente determinabili, non hanno il carattere dell’astrattezza come l’atto normativo.

In diritto tributario infatti tale atto è adottato nella procedura di accertamento sintetico, ex art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, al fine di fissare attraverso il decreto ministeriale indici e coefficienti presuntivi di reddito o di maggior reddito, in relazione a certe operazioni di spesa in quanto siano espressione di capacità contributiva, secondo l’esercizio di una potestà che al Ministro competente viene attribuita dalla legge.

Però il decreto del Ministro, quale atto amministrativo, può essere affetto da vizi di legittimità, per cui è assoggettabile ad impugnazione davanti al giudice amministrativo ai fini della sua annullabilità; oppure davanti agli Organi della giustizia tributaria per la sua disapplicazione nel caso concreto dedotto in giudizio, dal momento che le questioni inerenti alla legittimità del decreto sul redditometro hanno valenza di questioni pregiudiziali rispetto alla legittimità dello specifico accertamento tributario e rispetto alle questioni di merito consequenziali sottoposte principaliter alla cognizione del giudice tributario (3).

Sotto il profilo testé evidenziato, il riferimento normativo da considerare a tale riguardo è quello di cui all’art. 7, quinto comma, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui disciplina le forme di tutela del contribuente nei confronti di atti amministrativi generali. Recita tale norma:

«Le commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente».

2. Redditometro e questioni preliminari e/o pregiudiziali nel processo tributario. La c.d. pregiudizialità-dipendenza

Il riferimento alla norma sopra citata non è senza rilevanza nel processo tributario, anche con riguardo al decreto sul redditometro, in quanto essa è espressione di un principio generale che così trova ingresso nel processo medesimo, secondo il quale ogni giudice, nell’ambito della propria giurisdizione, ha il potere di conoscere in via incidentale delle questioni che, pur non appartenendo o comunque non rientrando nella sua giurisdizione, devono necessariamente diventare oggetto della sua cognizione in via strumentale per potere decidere la controversia principale sottoposta al suo esame.

Sulla base di tale affermazione si introduce così nel processo tributario il concetto di questione pregiudiziale (quale è indubbiamente quella concernente la legittimità del redditometro) nel senso che la cognizione della medesima costituisce un passaggio obbligato dell’iter logico-giuridico che conduce alla decisione della questione principale dedotta in giudizio, senza che debba necessariamente costituire oggetto di un giudizio autonomo avanti, per di più, ad un giudice diverso (di differente giurisdizione).

Di conseguenza, la nozione di questione pregiudiziale o preliminare comporta che questa sia afferente a un rapporto giuridico distinto e diverso da quello attinente al merito della controversia principale dedotta in giudizio, la cui decisione dipende dalla decisione della prima, in termini appunto di c.d. “pregiudizialità-dipendenza”. Tali rilievi consentono quindi di stabilire un necessario collegamento che attiene all’oggetto della giurisdizione tributaria con riferimento all’art. 2, terzo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, nella sua versione attuale, del seguente tenore: «Il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione», con alcune tassative eccezioni.

La disposizione in parola attiene all’evidenza al fenomeno della pregiudizialità-dipendenza, nel senso che se il giudice tributario ha il potere di risolvere in via generale e incidentalmente ogni questione (di carattere pregiudiziale) dalla cui soluzione dipenda la decisione della questione principale pregiudicata, significa che il fenomeno evocato dalla norma è quello del vincolo esistente tra due fattispecie sostanziali, per cui l’effetto risolutivo della questione pregiudiziale o presupposta assurge ad elemento costitutivo subordinante la soluzione della questione principale pregiudicata.

Ne consegue che la norma citata, con l’attribuire al giudice tributario il potere di conoscere incidentalmente ogni questione pregiudiziale (tra cui è quella afferente al redditometro), anche se non appartenente alla sua giurisdizione, introduce un vero e proprio ampliamento dell’oggetto della giurisdizione tributaria che prima della riforma dell’art. 2, terzo comma, era limitato solo alle previsioni di cui all’art. 7, quinto comma, pure citato, con riguardo alla cognizione incidentale della legittimità dei regolamenti e degli atti amministrativi generali, con la precisazione che quest’ultima disposizione non può ritenersi divenuta superflua, posto che per effetto della cognizione incidentale di tali atti, la stessa introduce però l’istituto della disapplicazione degli atti medesimi se riconosciuti illegittimi dallo stesso giudice tributario.

È pure da precisare che fra le due disposizioni citate (art. 2, terzo comma, e art. 7, quinto comma) non vi può essere incompatibilità o superfluità, in quanto l’art. 2, terzo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, nel regolare l’oggetto della giurisdizione tributaria, ha inteso anche disciplinare i rapporti fra giurisdizione tributaria e giurisdizione ordinaria; mentre, l’art. 7, quinto comma, dello stesso decreto, non fa altro che regolare il rapporto fra giurisdizione tributaria e giurisdizione amministrativa.

In conclusione, le due norme testé citate introducono nel processo tributario un principio generale, già conosciuto nell’ambito di altre giurisdizioni, che diventa valido ed efficace anche nel processo tributario, in modo da acquisire una maggiore autonomia e separatezza: il principio cioè secondo il quale qualsiasi giudice deve avere sempre, per essere veramente autonomo, il potere di conoscere, anche se in via incidentale e pur senza l’effetto del giudicato, delle questioni che, se anche non appartengono alla sua giurisdizione, è necessario conoscere e risolvere al fine di decidere la controversia principale sottoposta specificamente al suo esame.

Tale impostazione è confermata dall’unica eccezione prevista dallo stesso art. 2, terzo comma, citato, nella parte in cui per i casi tassativi ivi previsti non è ammessa la cognizione incidentale da parte del giudice tributario, ma la sospensione del processo, ferma restando quindi la cognizione da parte del giudice ordinario, così come previsto dall’art. 39 del D.Lgs. n. 546/1992 del seguente tenore:

«Il processo è sospeso quando è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio».

Come è evidente anche tali questioni sono di carattere pregiudiziale, trattandosi di pregiudizialità c.d. esterna, riguardo alle quali il giudice tributario non ha il potere di conoscere egli stesso incidentalmente, di modo che l’effetto di tale eccezione non può che essere la sospensione del processo tributario in attesa della pronuncia da parte del giudice competente.

Viceversa, con riferimento ai casi di pregiudizialità interna nell’ambito cioè della stessa giurisdizione tributaria (come nelle ipotesi di spettanza di una agevolazione od esenzione o dello stesso calcolo dell’imposta attraverso lo strumento del redditometro), tale questione pregiudiziale entra a far parte del rapporto processuale in cui sono coinvolte la questione di merito pregiudicata e la questione pregiudicante, di guisa che il giudice tributario è investito della cognizione di entrambe le questioni, con la conseguenza che le stesse, facendo parte dell’oggetto del processo tributario, saranno coinvolte nella cognizione globale del giudice tributario (4).

In conclusione, e con riferimento specialmente alla legittimità del decreto sul redditometro, se il giudice tributario non ha il potere di decidere con l’efficacia del giudicato le questioni pregiudiziali non di sua competenza, ma coinvolte nell’oggetto della giurisdizione tributaria attraverso la loro cognizione incidenter tantum, ciò non toglie che la parte interessata ad ottenere la decisione della medesima questione con efficacia di giudicato non è privata della facoltà di ottenere da altro giudice competente una decisione sulla stessa questione pro iudicato che secondo la previsione dell’art. 7, quinto comma citato, sarà il giudice amministrativo.

3. Redditometro e disapplicazione degli atti amministrativi generali e dei regolamenti nel processo tributario

Con riguardo al principio di disapplicazione degli atti amministrativi in genere devesi ricordare che la riserva di legge in materia tributaria, ex art. 23 Cost., è relativa per cui è ammissibile che accanto ad una fonte normativa primaria possa sussistere una formazione secondaria costituita da atti generali, quali i decreti ministeriali, le delibere degli enti locali e i regolamenti di carattere impositivo.

È consentito cioè che la norma di legge (fonte primaria) riconosca alla potestà amministrativa di regolare taluni aspetti dell’imposizione a mezzo di atti amministrativi generali e regolamenti (fonti secondarie) aventi carattere astratto e generale in materia di fissazione delle tariffe e determinazione delle aliquote.

Tanto si verifica, particolarmente, in tema di redditometro riguardo al quale i decreti ministeriali attuativi, atti amministrativi generali, disciplinano i criteri ai quali si deve attenere la pubblica Amministrazione ai fini dell’imposizione attraverso il metodo dell’accertamento sintetico, con la fissazione di indici e coefficienti presuntivi di reddito. Ne deriva così che l’atto amministrativo generale o il regolamento costituisce, come già rilevato, un presupposto in via pregiudiziale degli atti impositivi impugnabili ex art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992.

L’art. 7, quinto comma, del decreto ora citato, tiene conto delle enunciazioni predette statuendo che le Commissioni tributarie qualora ritengano illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione non lo applicano in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente. Se ne deduce chiaramente e altrettanto significativamente che l’istituto della disapplicazione degli atti costituisce un mezzo di tutela rispetto al decreto sul redditometro.

Infatti, comunemente si ritiene che la disapplicazione di che trattasi si risolve nel potere del giudice tributario di conoscere incidenter tantum, al fine di valutare, limitatamente all’oggetto dedotto in giudizio, la legittimità dell’atto generale ovvero del regolamento costituenti il presupposto dell’atto impositivo impugnato, dal momento che i vizi di legittimità di quegli atti vanno ad incidere su quest’ultimo, salva la facoltà del contribuente di impugnare sia gli atti generali che i regolamenti davanti al giudice amministrativo competente con l’effetto di poterli annullare a mezzo di decisioni aventi efficacia erga omnes.

Sostanzialmente la citata disposizione di cui all’art. 7, quinto comma, del D.Lgs. n. 546/1992, si riferisce alla pregiudizialità amministrativa, posto che l’atto amministrativo generale, quale è il decreto sul redditometro, va ad incidere sull’atto impositivo in modo che la legittimità del primo si atteggi a questione rilevante ai fini della decisione della controversia principale (5).

Tanto premesso, si possono enucleare i seguenti corollari per la loro indubbia valenza anche nel caso in cui venga in discussione un questione sulla legittimità del decreto sul redditometro e della sua disapplicabilità in ipotesi di vizio di legittimità del medesimo.

La disapplicazione deve essere intesa più correttamente come un potere del giudice tributario di censurare nell’ambito processuale, incidenter tantum, cioè ai fini della decisione principale, la legittimità dell’atto generale o del regolamento onde poter valutare la loro applicabilità al caso dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione davanti al giudice competente, cioè davanti al giudice amministrativo. La caratteristica dell’esercizio del potere di disapplicazione è quella di essere un istituto in graduale espansione scaturendo da un principio generale dell’ordinamento espresso dall’art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, sull’abolizione del contenzioso amministrativo, in cui è contenuto l’espresso riconoscimento del potere generale di decidere incidenter tantum su questioni attribuite alla competenza di altro giudice. Tale principio è stato recepito nel processo tributario con il novellato art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992, in riferimento a materie che comportano provvedimenti aventi efficacia generale (6). Ne consegue che la disapplicazione di che trattasi non si configura come un potere di natura sostanziale, bensì di carattere meramente processuale. Vale a dire che la disapplicazione dell’atto generale o del regolamento si colloca nell’ambito del processo con effetto limitato allo specifico oggetto dedotto in giudizio, in quanto rilevante ai fini della decisione: il che significa che l’atto disapplicato nel singolo giudizio, al di fuori di questo, resta valido ed efficace.

Una volta recepito nel processo tributario il principio di disapplicazione degli atti generali illegittimi, a norma dell’art. 5 della citata legge n. 2248/1865, all. E, ne discende che nei confronti di tali atti sussiste a favore del cittadino una concorrente duplice tutela (7) che segnatamente si esplica: a) attraverso l’istituto della disapplicazione degli atti da parte delle Commissioni tributarie che si sostanzia nella facoltà del giudice tributario di disconoscere l’efficacia dell’atto illegittimo decidendo la relativa controversia senza tener conto nel caso dedotto in giudizio dell’atto stesso considerato tamquam non esset; b) mediante l’impugnazione dell’atto illegittimo davanti al giudice amministrativo, il quale in via principale e autonoma, accertata la illegittimità dell’atto amministrativo generale, può annullarlo con efficacia erga omnes, potendo assumere anche l’efficacia del giudicato, in tal senso intendendo il coordinamento fra il potere di disapplicazione del giudice tributario e il potere di annullamento del giudice amministrativo che restano fra loro distinti e diversi quanto alla natura e agli effetti (8).

Infatti, presupposto dell’una e dell’altro, è sempre l’esistenza dell’atto illegittimo, di modo che possono disapplicarsi gli atti annullabili, mentre la differenza sta negli effetti derivanti dall’utilizzazione dell’uno o dell’altro strumento giuridico, nel senso che l’atto disapplicato nel singolo giudizio continua a produrre effetti al di fuori di esso, posto che gli effetti dell’atto viziato vengono meno solo in relazione al caso dedotto in giudizio; mentre l’annullamento elimina del tutto ed erga omnes, l’atto neutralizzandone gli effetti con efficacia ex tunc. In conclusione, fra le due giurisdizioni vige il principio di separazione e di indipendenza, atteso che il D.Lgs. n. 546/1992 non contempla nella fattispecie la sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c., dal momento che anche nel processo civile è venuta meno la sospensione per pregiudiziale amministrativa (9).

Facendo sempre riferimento al decreto sul redditometro e ai vizi di legittimità che possono inficiarlo, mette conto anche rilevare che siccome il potere di disapplicazione degli atti attiene essenzialmente all’ambito del processo, è d’uopo precisare che la disapplicazione non presuppone la domanda di parte essendo espressione di un potere officioso del giudice tributario; mentre la domanda di annullamento di un atto generale comporta la domanda del soggetto interessato a mezzo di ricorso proponibile in via principale e autonoma avanti al giudice amministrativo.

Però, con l’avvertenza che il contribuente non ha l’onere di impugnare avanti al giudice amministrativo l’atto generale (come nella specie il decreto sul redditometro) anche se costituente il presupposto di quello impositivo, poiché può contestare in via incidentale la legittimità del primo per invocare in via derivata l’illegittimità del secondo avanti al giudice tributario. Non senza considerare che è ammissibile la disapplicazione degli atti amministrativi ritenuti illegittimi che sono impugnabili avanti al giudice amministrativo, ma ugualmente disapplicabili avanti al giudice tributario anche se non più impugnabili in via principale in sede di giurisdizione amministrativa per l’inutile decorso del termine d’impugnazione (10).

Infine, pare opportuno precisare che in caso di contemporanea pendenza del giudizio amministrativo per l’annullamento dell’atto generale e del giudizio tributario per la contestazione dell’atto impositivo che nel primo trova fondamento, il processo tributario può svolgersi autonomamente e separatamente dal giudizio amministrativo, dal momento che l’art. 39 del D.Lgs. n. 546/1992 non contempla in parte qua alcuna ipotesi di sospensione del processo. Ma, sussistono ipotesi di interdipendenza tra i due processi, in quanto ove il giudice amministrativo abbia annullato un atto generale o un regolamento con sentenza passata in giudicato, il giudice tributario ha l’obbligo di conformarsi a tale giudicato, sia pure con riferimento all’oggetto dedotto in giudizio, anche se l’atto è stato eliminato dal mondo giuridico con effetto erga omnes.

Peraltro il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo a sua volta rimane precluso soltanto quando la legittimità dell’atto sia stata affermata dal giudice amministrativo con sentenza definitiva, passata in giudicato (11).

Infine un’ultima notazione sembra necessaria con riferimento al rilievo che siccome l’art. 2, terzo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, ha esteso il potere di cognizione incidentale del giudice tributario anche alla cognizione degli atti amministrativi particolari e individuali, tale estensione comporta che i rilievi come sopra esposti con riferimento agli atti generali e ai regolamenti di cui all’art. 7, quinto comma, del decreto citato, sono estensibili anche agli atti amministrativi individuali di che trattasi, non essendovi alcuna ragione per adottare una soluzione diversa (12).

4. Redditometro e tutele residuali: A) La tutela cautelare d’urgenza in generale

In relazione a quanto fin qui esposto va ribadito che la disapplicazione degli atti generali e dei regolamenti di cui all’art. 7, quinto comma, del D.Lgs. n. 546/1992, ha certamente valenza di tutela del contribuente nei confronti del decreto sul redditometro, ma tale forma di tutela è chiaramente inadeguata sotto il profilo cautelare d’urgenza perché, come rilevato, dovendosi fare riferimento per l’effetto alla cognizione incidentale in relazione all’oggetto dedotto in giudizio con riguardo alla impugnazione di un atto, ne discende che tale rimedio rimane al di fuori di una domanda di tutela cautelare come tale improponibile.

Invero, come è noto, il decreto sul redditometro è un atto prodromico rispetto al procedimento di accertamento sintetico necessario ai fini della formazione di un atto impositivo impugnabile innanzi alle Commissioni tributarie.

Infatti è ormai acquisito il principio che l’ordinaria tutela del cittadino contribuente è affidata in via istituzionale alla giurisdizione delle Commissioni tributarie sulla base dell’art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992, come modificato, in forza dell’allargamento dell’oggetto della giurisdizione tributaria operato dalla legge 28 dicembre 2001, n. 448, rendendola di carattere generale ed esclusivo con riferimento all’ambito dei tributi di ogni genere e specie, comunque denominati, anche se attinenti a diritti soggettivi.

Ciò comporta che la tutela giurisdizionale deve essere consentita non solo nei confronti degli atti impositivi finali, ma anche di quelli endoprocedimentali e strumentali, anche se non tassativamente indicati nel decreto sul processo tributario (art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992), essendo soltanto necessario che l’atto sia idoneo ad arrecare un pregiudizio al contribuente deducibile davanti alle Commissioni tributarie e non in via residuale avanti ad altro giudice (13). La necessità della tutela del contribuente si pone però in termini del tutto diversi quando quest’ultimo invoca la tutela cautelare d’urgenza a fronte di situazioni idonee a provocare allo stesso contribuente un danno imminente e irreparabile.

Sennonché tale esigenza di tutela non è affatto soddisfatta dall’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992 quando stabilisce che se dall’atto impugnato può derivare al ricorrente un danno grave e irreparabile può chiedere alla Commissione tributaria provinciale la sospensione dell’esecuzione dell’atto stesso.

Evidentemente tale misura non è per nulla sufficiente e adeguata a far fronte alle necessità di tutela immediata di quelle situazioni soggettive che invece opportunamente richiederebbero un rimedio più efficace e più tempestivo in quanto idonee a provocare un danno caratterizzato dalla irreparabilità e dall’urgenza di porre un argine a taluni interventi dell’Amministrazione finanziaria prima che questi possano provocare una lesione grave e concreta ai diritti soggettivi, specie se fondamentali, del contribuente.

Proprio in considerazione dei rilevati limiti di operatività dell’art. 47 citato è possibile riproporre, come è stato sostenuto da autorevole dottrina (14), il tema dell’ammissibilità del ricorso alla cautela d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c. nell’ambito del processo tributario, al fine di supplire a quelle esigenze di tutela cautelare urgente che non possono essere garantite dalla sola sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato, posto che certe situazioni soggettive rilevanti sotto il profilo sostanziale resterebbero sfornite di adeguati strumenti di tutela cautelari d’urgenza, in ragione del principio fondamentale che la tutela cautelare va qualificata come componente essenziale di qualsiasi giurisdizione siccome volta a garantire la effettività d’esercizio dei diritti del contribuente quale espressione del principio generale riconosciuto dall’art. 24 Cost.

Pertanto, come sostenuto da una parte della dottrina e della giurisprudenza (15), la Commissione tributaria ben potrà esercitare i poteri di cui all’art. 700 c.p.c. adottando, in quanto non incompatibili con la struttura del processo tributario, le regole processuali di cui agli artt. 669-bis e segg. c.p.c. Talché è stato ritenuto che anche nella materia di che trattasi è possibile operare quell’iter procedimentale effettuato dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 190/1985 (16) nell’ambito della giustizia amministrativa a mezzo della quale, ammettendo la possibilità di ampliare lo strumento cautelare della sospensione dell’efficacia dell’atto, ha statuito che è costituzionalmente illegittimo l’art. 21, ultimo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, nella parte in cui non consente al giudice amministrativo di adottare, nelle controversie in materia di pubblico impiego, oggetto di giurisdizione esclusiva, provvedimenti d’urgenza che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito, le quante volte il ricorrente abbia fondato motivo di temere che durante il tempo necessario alla prolazione della pronuncia di merito il suo diritto sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile.

Tanto premesso, deve essere da ultimo precisato che la tutela cautelare atipica ex art. 700 c.p.c. può essere ammessa avanti al giudice tributario con riferimento all’oggetto della giurisdizione propria delle stesse e cioè in relazione ai tributi di ogni genere e specie, comunque denominati, di cui è menzione nell’art. 2 novellato del D.Lgs. n. 546/1992, con l’ovvia considerazione che non può essere ammessa nel processo tributario la procedura d’urgenza ante causam ex art. 669-ter c.p.c., certamente incompatibile con la connotazione impugnatoria e di annullamento del processo de quo, in relazione alla limitazione della giurisdizione agli atti impugnabili di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992.

A1) La tutela cautelare d’urgenza in materia di redditometro avanti al giudice ordinario

A questo punto è da chiedersi se la procedura d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c. sia ammissibile anche avanti al giudice ordinario con riferimento alle controversie tributarie non di competenza della Commissione tributaria o che non possano essere portate innanzi alla cognizione del giudice tributario per difetto di taluni requisiti essenziali, come si verifica nel caso di assenza di un atto impugnabile, ex art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992.

A tal riguardo è d’uopo rilevare che il nostro sistema ordinamentale, processuale e costituzionale, conosce il ricorso a strumenti cautelari atipici come componenti essenziali di qualsiasi giurisdizione ordinaria e speciale allorché un diritto soggettivo fondamentale di natura sostanziale corra il rischio di essere pregiudicato da un pericolo imminente e irreparabile nelle more della decisione definitiva di merito.

Però è da considerare che in questo ambito (della giurisdizione ordinaria) esistono dei limiti che il giudice non può travalicare costituiti dalla impossibilità di incidere l’atto amministrativo considerato nella sua esistenza o nel suo contenuto, atteso che per la legge n. 2248/1865, abolitiva del contenzioso amministrativo, il giudice ordinario non può annullare, revocare o modificare l’atto amministrativo, in tal senso potendo operare solo il giudice amministrativo.

In sostanza, al contrario di quello che può fare il giudice tributario, la giurisdizione ordinaria non ha carattere caducatorio dell’atto impositivo, potendo il giudice ordinario in tale settore pronunciare sentenze di carattere dichiarativo e di mero accertamento che come tali dovranno essere strumentali al contenuto della decisione definitiva di merito, con la ovvia considerazione che il contribuente in sede cautelare non potrà ottenere di più di quanto gli può essere accordato dalla decisione definitiva a cognizione piena.

Tuttavia, come ritenuto da autorevole dottrina, ciò non significa che in relazione a tali decisioni di carattere dichiarativo del giudice ordinario e in relazione alla diretta rilevanza costituzionale della tutela cautelare, «manchi lo spazio per concepire forme di tutela cautelare di una qualche efficacia», in quanto il giudice può dettare in forza dell’art. 700 c.p.c. «un regolamento provvisorio del rapporto fra l’Autorità e il cittadino che salvaguardi il solo eventuale debitore da pregiudizi patrimoniali e personali irreversibili nelle more dell’ineunte accertamento vincolante, ponendo un temporaneo limite – talora anche solo parziale – al compimento di atti espropriativi» (17).

A2) Osservazioni intorno a un caso concreto

In relazione a quanto sin qui esposto e facendo sostanzialmente applicazione dei principi come sopra enunciati, è stata ritenuta ammissibile la tutela cautelare preventiva ex art. 700 c.p.c. nei confronti del decreto ministeriale sul redditometro 24 dicembre 2012, da parte del Tribunale di Napoli che, con ordinanza 20 febbraio 2013, n. 250, ha statuito quanto segue: «In base all’art. 152 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e alla sua interpretazione da parte della Corte di Cassazione, in combinato disposto con l’art. 103 Cost., rientra nella giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria la domanda di accertamento e tutela dei diritti fondamentali del contribuente e di inibizione all’Agenzia delle entrate, quand’anche in esecuzione del D.M. 24 dicembre 2012 attuativo del nuovo redditometro, di controllare, analizzare e archiviare le sue spese in applicazione del decreto ministeriale attuativo del redditometro, vertendosi in materia di diritti fondamentali della personalità, non già di interessi di mero fatto, se il ricorrente non abbia né direttamente né indirettamente impugnato alcun provvedimento amministrativo. Il decreto ministeriale 24 dicembre 2012, attuativo del redditometro, è stato emanato del tutto al di fuori del perimetro disegnato dalla normativa primaria e dei suoi presupposti e in contrasto con le norme della Costituzione e del diritto comunitario, in quanto tale istituto, nella sua impostazione susseguente all’applicazione delle indicazioni contenute nel predetto decreto attuativo, utilizza categorie concettuali ed elaborazioni non previste dalla norma attributiva e deve, pertanto, ritenersi radicalmente nulla, ai sensi dell’art. 2-septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, per carenza di potere e difetto assoluto di attribuzione e, di conseguenza, giuridicamente tamquam non esset sotto il profilo dell’efficacia, in guisa da giustificare l’ordine, rivolto all’Agenzia delle Entrate, di non intraprendere alcuna ricognizione, archiviazione o comunque attività di conoscenza e uso dei dati del contribuente relativi a quanto previsto dall’art. 38, commi quarto e quinto, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, di cessare ogni attività di accesso, analisi e raccolta di dati di ogni genere relativi alla posizione del contribuente medesimo, di comunicare a quest’ultimo se è in atto un’attività di raccolta di dati nei suoi confronti ai fini dell’applicazione del redditometro e, in caso positivo, di distruggere tutti i relativi archivi previa specifica informazione al soggetto interessato» (18).

Tale arresto giurisprudenziale (ampiamente ripreso dalla stampa specializzata) non può destare alcuna sorpresa o stupore, anzi è da condividere pienamente sotto vari profili.

Invero, dopo l’estensione della giurisdizione tributaria all’ambito dei tributi di ogni genere e specie comunque denominati operata dal citato art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992, come novellato dalla legge n. 448/2001, tale giurisdizione ha assunto le connotazioni peculiari di essere piena ed esclusiva, soltanto delimitata dalla caratteristica di essere una giurisdizione di impugnazione-annullamento di determinati atti di natura tributaria, ex art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992.

Nel caso deciso dall’ordinanza sopra riportata il ricorrente ha ritenuto invece di rivolgersi al giudice ordinario in via cautelare, nonostante che le controversie sul redditometro vengano normalmente proposte attraverso l’impugnazione degli atti impositivi consequenziali davanti alle Commissioni tributarie.

Invero, nella specie, la correttezza del ricorso al giudice ordinario in via cautelare appare ampiamente giustificata, pur in presenza di una giurisdizione piena ed esclusiva come quella tributaria, anche se la giurisprudenza ha riconosciuto che il contribuente è legittimato ad impugnare atti diversi da quelli enunciati dall’art. 19 citato, come gli atti presupposti e prodromici del procedimento, purché idonei a portare a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono (19).

Sennonché la fattispecie in esame presenta caratteristiche e connotazioni del tutto specifiche e peculiari tali da escludere la competenza giurisdizionale delle Commissioni tributarie sotto vari profili.

Il primo è che non ci si trova davanti ad un atto impositivo o ad una fase endoprocedimentale di accertamento o della riscossione impugnabile, ma davanti ad un atto generale presupposto di una qualsiasi attività diretta verso un determinato contribuente, la cui illegittimità può determinare la caducazione dell’atto derivato, atteso che il processo tributario non conosce le azioni di mero accertamento preventivo dell’obbligazione tributaria, ancorato com’è ad azioni di annullamento di atti secondo l’interpretazione estensiva che viene attribuita all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992.

Nel caso deciso dal citato Tribunale di Napoli è stata invocata avanti al giudice ordinario la tutela cautelare d’urgenza ex art. 700 c.p.c.

Tale tutela non poteva essere invocata avanti alle Commissioni tributarie, anche se aventi giurisdizione piena ed esclusiva nell’ambito tributario, poiché tale giurisdizione è esclusa in parte qua a termini dell’art. 7, quinto comma, del D.Lgs. n. 546/1992, sopra citato. Infatti il decreto ministeriale sul redditometro può essere configurato come atto generale che insieme ai regolamenti possono essere solo disapplicati dal giudice tributario in quanto illegittimi, attraverso la ricordata cognizione incidenter tantum in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente che in tal caso è quella del giudice amministrativo.

Ne deriva che è del tutto irrilevante e inadeguato il ricorso all’accertamento incidentale della illegittimità dell’atto generale e alla conseguente sua disapplicazione in quanto tali misure non sono idonee a garantire la tutela cautelare nel caso richiesta, specie nei confronti di diritti fondamentali della persona come nel caso dedotti e dal contribuente fatti valere.

A tal riguardo, infatti, l’opzione del legislatore di fornire, de iure condito, l’unica tutela cautelare della sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato, appare chiaramente insufficiente e inadeguata, tanto più che nel processo tributario non sono previsti rimedi cautelari ante causam, di guisa che sussiste realmente un vuoto di tutela.

D’altra parte, nel caso deciso dal Tribunale di Napoli a mezzo dell’ordinanza citata ex art. 700 c.p.c., viene confermata giustamente la giurisdizione del giudice ordinario anche alla luce dell’art. 152 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, ai fini della protezione dei dati personali in relazione a diritti soggettivi fondamentali del cittadino afferenti alla sua privacy, cioè a quell’ambito esclusivo e inviolabile della sua vita privata e della sua famiglia.

Infatti il Tribunale di Napoli ha correttamente individuato il giusto rapporto di strumentalità che deve sussistere tra provvedimento d’urgenza e decisione finale di merito avendo inibito all’Agenzia delle entrate di intraprendere qualsiasi attività di ricognizione e conoscenza di dati personali del ricorrente, cessando quella già eventualmente intrapresa. A tal riguardo, in relazione alla legittimità del decisum, è da ricordare che da tempo sono ammesse le condanne ad un facere specifico della pubblica Amministrazione al fine di eliminare un pregiudizio derivante da un atto illegittimo (20).

5. Conclusioni

Sulla base di quanto sin qui enunciato si possono trarre le seguenti conclusioni: con riguardo alle tutele esperibili nei confronti del decreto ministeriale sul redditometro il punto base di riferimento è costituito dall’art. 7, quinto comma, del D.Lgs. n. 546/1992, più volte citato, in quanto la norma appare espressiva di un principio generale operante nell’ordinamento processuale. A maggior ragione una simile valutazione deve esprimersi con riguardo alla norma che oggi si legge nel terzo comma dell’art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992 che ha generalizzato il potere di cognizione incidentale del giudice speciale tributario, senza alcuna distinzione tra le ipotesi in cui la giurisdizione appartiene al giudice ordinario e quelle nelle quali essa spetta invece al giudice amministrativo.

In sostanza, se viene impugnato avanti alla Commissione tributaria un avviso di accertamento avente come suo atto presupposto il decreto sul redditometro, il contribuente potrà chiedere la disapplicazione del decreto avanti alla stessa Commissione adita, una volta accertata l’illegittimità del decreto ministeriale sul redditometro, come pure può rivolgersi al TAR per ottenerne l’annullamento.

Si è visto pure che non è escluso il ricorso al giudice ordinario in via cautelare d’urgenza, ai sensi dell’art. 700 c.p.c., dal momento che tale forma di tutela è esperibile a fronte della violazione di diritti soggettivi fondamentali e costituzionalmente protetti, in ragione della insufficienza e inadeguatezza della tutela cautelare esperibile avanti alle Commissioni tributarie.

L’esempio più eclatante in tal senso è fornito dalla ordinanza citata del Tribunale di Napoli (21), a nulla rilevando che il provvedimento d’urgenza, come pure la tutela a mezzo della disapplicazione dell’atto generale da parte della Commissione tributaria, valgano soltanto nei rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria in relazione all’oggetto dedotto nel singolo giudizio, in quanto le tutele contro il redditometro che vengono realizzate attraverso le forme dei provvedimenti citati costituiscono segnali di disagio del contribuente verso il fisco che possono indurre il legislatore a dettare quei rimedi che si rendessero all’uopo urgenti, necessari e opportuni.

Dott. Giovanni Ferraù

(1) Cfr. Cass., sez. trib., 20 dicembre 2012, n. 23554, in Boll. Trib., 2013, 299.

(2) Segue questa impostazione Cass., sez. un., 16 giugno 2006, n. 13916, in Boll. Trib., 2006, 1224.

(3) Cfr. Cass., sez. un., 6 luglio 2000, n. 467, in Boll. Trib. On-line.

(4) Sul punto cfr. C. Glendi, L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984, 608 s.

(5) In tal senso, Cass., sez. trib., 5 marzo 2004, n. 4567, in Boll. Trib., 2004, 864; in dottrina ved. A. Finocchiaro – M. Finocchiaro, Commentario al nuovo contenzioso tributario, Milano, 1996, 127; e, nello stesso senso, cfr. T. Baglione – S. Menchini – M. Miccinesi, Il nuovo processo tributario. Commentario, Milano, 2004, 109.

(6) In senso critico a tale soluzione, cfr. C. Glendi, in Riv. giur. trib., 2001, 1223, in nota a Cass., sez. trib., 30 ottobre 2000, n. 14281.

(7) Sul punto, cfr. C. Glendi, L’oggetto del processo tributario, cit., 606.

(8) Cfr. E. Righi, Sulla disapplicazione, da parte delle Commissioni tributarie, di norme di regolamenti locali non contestati in sede di giurisdizione amministrativa, in Boll. Trib., 2006, 1576, in nota a Cass., sez. trib., 4 agosto 2005, n. 16427; G. Ferraù, Il potere di disapplicazione dei regolamenti e degli atti generali, in Corr. trib., 2002, 3891; nonché P. Russo, Questioni preliminari e incidentali di competenza delle Commissioni tributarie, in Riv. dir. trib., 2002, 1197; in giurisprudenza cfr. Cass., sez. un., 22 marzo 2006, n. 6265, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. III, 22 giugno 2005, n. 13400, in Mass. Foro it., 2005, 987.

(9) In tal senso, cfr. Cass., sez. un., 11 maggio 1987, n. 4308, in Boll. Trib. On-line, con riferimento all’art. 16, quarto comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636.

(10) Si veda, sul punto, G. Fransoni, La disapplicazione dei regolamenti e degli atti generali, in F. Tesauro (a cura di), Il processo tributario, 1998, 122 ss.

(11) Cfr. in tal senso, S. Menchini, loc. cit., 111.

(12) In tal senso, cfr. S. Menchini, loc. cit., 111 ss.

(13) In tal senso cfr. Cass., sez. trib., 11 maggio 2012, n. 7344, in Boll. Trib., 2012, 1547, con nota di P. Accordino, Riconosciuta l’autonoma impugnabilità delle cosiddette comunicazioni di irregolarità; e in dottrina P. Accordino, Il redditometro e la tutela dei dati personali del contribuente, ivi, 2013, 541, in nota a Trib. Napoli 20 febbraio 2013, ord. n. 250.

(14) Cfr. M. Scuffi, La tutela cautelare nel doppio grado del processo tributario, in Boll. Trib., 2013, 1460; F. d’Ayala Valva, Sulla necessità dei rimedi di sospensione cautelare processual-civilistici per un “giusto” processo tributario, ivi, 2011, 725; L. Montecamozzo, Il procedimento cautelare – Analisi dell’art. 42 del D.Lgs. n. 546 del 1992, ivi, 2010, 1764; S. Sebastiani, La tutela cautelare nel processo tributario tra soluzioni interpretative e tendenze evolutive, ivi, 2002, 1527; E. Grassi, La tutela cautelare nel nuovo processo tributario, in Dir. prat. trib., 1996, 1513 ss.; M. Cantillo, Nuovo processo tributario, i procedimenti cautelari e preventivi, in il fisco, 1993, 8903; L. Tosi, L’azione cautelare dopo la riforma del processo tributario, in Boll. Trib., 1993, 791; e G. Ferraù, La Consulta si pronuncia sulla tutela delle iscrizioni a ruolo operate dai centri di servizio, in Riv. giur. trib., 1998, 968 ss.; in giurisprudenza ved. Pretura Parma decr. 24 gennaio 1992, in Boll. Trib., 1992, 614.

(15) In dottrina ved. T. Baglione – S. Menchini – M. Miccinesi, Il nuovo processo tributario, cit., 494, e in giurisprudenza Pretura Parma 24 gennaio 1992, cit.

(16) Cfr. Corte Cost. 28 marzo 1985, ord. n. 90, in Giur. costit., 1985, I, 596.

(17) In tal senso cfr. C. Consolo, Tutela cautelare ex art. 700 c.p.c. davanti al giudice ordinario nella materia tributaria di sua spettanza: una risposta salda e positiva, in Riv. giur. trib., 1997, 284, in nota a Trib. Venezia 14 novembre 1996, 281 ss.; e nello stesso senso T. Baglione – S. Menchini – M. Miccinesi, Il nuovo processo tributario, cit., 495 s.

(18) In Boll. Trib., 2013, 536, con nota di P. Accordino, cit.

(19) In tal senso, Cass. n. 7344/2012, cit.

(20) In tal senso, per tutte, cfr. Cass., sez. un., 20 febbraio 1992, n. 2092, in Corr. giur., 1992, 515.

(21) Negli stessi termini, peraltro, si è espressa anche Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, sez. II, 18 aprile 2013, n. 74, in Boll. Trib., 2013, 1118, con nota di P. Accordino, Criticità diffuse del nuovo redditometro, la quale, ritenendo nullo il D.M. 24 dicembre 2012 per le medesime rilevanti ragioni espresse dal citato tribunale di Napoli, ha provveduto ad annullare l’avviso di accertamento impugnato, previamente disapplicando il citato D.M.

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