11 Febbraio, 2015

 

 

SOMMARIO 1. Premessa – 2. Ratio della prevista indeducibilità dei costi: esaltazione del fondamento costituzionale del nesso di inerenza o deroga alle ordinarie regole di determinazione del reddito d’impresa 3. Dubbi di costituzionalità della versione originaria dell’art. 14, comma 4-bis, della legge n. 537/1993 4. Regime applicativo del nuovo art. 14, comma 4-bis, della legge n. 537/1993 5. I costi relativi alle operazioni inesistenti 6. Conclusioni.

 

 

1. Premessa

Secondo l’economia aziendale il reddito di esercizio è la somma algebrica dei componenti positivi e negativi registrati dall’impresa nello svolgimento della sua attività in un dato intervallo di tempo (1). Costituiscono componenti positivi di reddito i ricavi, le plusvalenze patrimoniali, le sopravvenienze attive, i dividendi e gli interessi attivi, i proventi immobiliari e le rimanenze. Costituiscono componenti negativi di reddito i costi, gli interessi passivi, le minusvalenze patrimoniali, le sopravvenienze passive, le perdite, gli accantonamenti. Sono costi tutte spese monetarie sostenute per l’acquisizione dei fattori di produzione, ossia beni e servizi necessari per il perseguimento delle finalità proprie di ciascuna impresa.

La determinazione del reddito rilevante ai fini dell’imposizione fiscale avviene applicando all’utile o alla perdita determinati secondo criteri aziendalistici le variazioni in aumento o in diminuzione imposte dagli artt. 83 e segg. del TUIR. Il risultato del conto economico costituisce dunque il punto di partenza per la determinazione della base imponibile del reddito d’impresa, in omaggio al principio di derivazione del reddito fiscale dall’utile civilistico (2).

In tale contesto di “revisione fiscale” delle risultanze del conto economico, l’art. 2, ottavo comma, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, attraverso l’introduzione, nel corpo dell’art. 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, di un apposito comma 4-bis, ha stabilito che i costi e le e spese riconducibili «a fatti, atti o attività qualificabili come reato» sono indeducibili nella determinazione del reddito d’impresa (3).

Nella sua originaria formulazione la norma in discorso ha evidentemente ricollegato l’indeducibilità dei costi predetti ad atti o attività qualificabili come reati, indipendentemente dalla liceità o illiceità del costo sostenuto. Ne è derivata l’indeducibilità dei costi (la tangente) per commettere il delitto di corruzione (art. 319 c.p.) strumentale all’assegnazione di un appalto, o dei costi per l’acquisto di un’imbarcazione o un aeromobile con cui effettuare l’attività di contrabbando di merci (artt. 283, 284 e 285 del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43) o la tratta di esseri umani (art. 601 c.p.), delle spese per l’affitto dell’ambulatorio in cui viene esercitata abusivamente la professione medica (art. 348 c.p.), dei costi sostenuti per acquistare merce contraffatta (art. 514 c.p.) e quelli sopportati per commettere un’estorsione (art. 629 c.p.), o per riscuotere interessi usurari (art. 644 c.p.), nonché quelli necessari per realizzare una truffa (artt. 640 e 640-bis), così come del denaro corrisposto al fine di acquistare oggetti rubati integrando il delitto ricettazione (art. 648 c.p.), o per l’attività di riciclaggio (art. 649 c.p.), dei costi sopportati per sfruttare o favorire la prostituzione (art. 600-bis c.p.) e quelli sostenuti per spacciare droga (art. 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), nonché il compenso pagato alla cartiera che fornisce fatture false per la realizzazione del reato di dichiarazione fraudolenta (art. 2 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) (4).

Come si può constatare l’originaria previsione normativa in materia di indeducibilità, innanzi citata, ricomprendeva una gamma piuttosto estesa di costi indeducibili, in parte “illeciti” per loro natura, in quanto costitutivi delle stesso fatto tipico contemplato dalla norma penale (la tangente nel reato di corruzione), in parte di per sé leciti, ma indeducibili in quanto funzionali alla realizzazione un’attività delittuosa (5).

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2. Ratio della prevista indeducibilità dei costi: esaltazione del fondamento costituzionale del nesso di inerenza o deroga alle ordinarie regole di determinazione del reddito d’impresa

L’indeducibilità dei cosiddetti costi da reato è stata considerata dalla dottrina, secondo due opposte opzioni ermeneutiche. Da un lato si è sostenuto che l’illiceità penale farebbe venir meno il «rapporto di causa-effetto che, ai fini del riconoscimento del requisito dell’inerenza e quindi della deducibilità, deve necessariamente intercorrere fra un’operazione che ha generato costi e l’attività o l’oggetto proprio dell’impresa» (6). Secondo un’opposta tesi ricostruttiva l’indeducibilità dei costi di produzione del reddito d’impresa sarebbe l’effetto della specifica norma derogatoria – contenuta nell’art. 14, comma 4-bis, della legge n. 537/1993, appunto – delle ordinarie regole di determinazione del reddito d’impresa, cui sarebbe da attribuire una valenza sanzionatoria che ha l’effetto di determinare la tassazione del reddito d’impresa al lordo, anziché al netto dei costi (7).

Con la circolare 26 settembre 2005, n. 42/E (8), l’Agenzia delle entrate aveva esplicitamente aderito alla tesi della natura sanzionatoria dell’art. 14, comma 4-bis, della legge n. 537/1993, affermando la portata derogatoria della norma rispetto a quanto stabilito dal precedente quarto comma che, riguardo alla tassazione dei proventi illeciti, stabilisce che «nelle categorie di reddito di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale. I relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria» (9).

La citata circolare n. 42/E/2005 aveva precisato ulteriormente che la disposizione, applicabile non solo alla determinazione del reddito d’impresa (10) e di lavoro autonomo (11) ma anche a tutte quelle fattispecie reddituali per le quali la norma tributaria preveda la deducibilità delle spese specificamente inerenti alla produzione del reddito (12), vietava la deducibilità dei costi e delle spese comunque inerenti all’attività e funzionali alla produzione dei relativi proventi, nel caso in cui l’attività nel suo complesso, ovvero il singolo atto o fatto illecito avessero assunto un contenuto penalmente rilevante (13). Dunque, secondo la prospettazione dell’Agenzia delle entrate, se l’attività di impresa era illecita nel suo complesso al contribuente sarebbe stata preclusa qualunque deduzione, mentre qualora l’illiceità riguardasse solo determinati fatti o atti, l’indeducibilità, da riscontrare in sede di rettifica dell’accertamento, sarebbe dovuta essere limitata solo ai costi e alle spese relativi a questi ultimi.

Nella versione della norma dettata dall’art. 2, ottavo comma, della legge n. 289/2002, la qualificazione dell’attività come delittuosa era sostanzialmente subordinata all’iscrizione della notitia criminis e del nome del presunto responsabile nel registro delle notizie di reato, indipendentemente dal vaglio del giudice in ordine alla fondatezza della notitia in discorso.

La richiamata circolare n. 42/E/2005 ha precisato altresì che l’indeducibilità dei costi riguarda esclusivamente quelli connessi ad attività costituenti fattispecie delittuose e non si estende a quelli che dipendano da illeciti civili o amministrativi, fatta salva in ogni caso l’indeducibilità delle sanzioni, che non costituiscono costi per la produzione del reddito, ma misure repressive irrogate da organi terzi.

Infine, in caso di archiviazione della notizia di reato ovvero di pronuncia di sentenza di non luogo a procedere o di sentenza definitiva di proscioglimento di assoluzione, venendo meno il presupposto per recupero a tassazione dei costi connessi ad attività illecite, gli Uffici finanziari erano tenuti all’annullamento in autotutela degli atti di accertamento già notificati (14), su istanza del contribuente nell’esercizio del proprio potere di autotutela, provvedendo al rimborso delle maggiori imposte eventualmente già versate dal contribuente (15).

3. Dubbi di costituzionalità della versione originaria dell’art. 14, comma 4-bis, della legge n. 537/1993

Sulla scorta delle censure di incostituzionalità espresse da parte della dottrina in ordine all’art. 14, comma 4-bis, della legge n. 537/1993 (16), la Commissione tributaria regionale del Veneto (17), ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della disposizione in discorso.

Nel caso esaminato dal giudice veronese una società aveva consapevolmente partecipato ad un meccanismo fraudolento di transazioni commerciali intracomunitarie per le quali erano state emesse fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, da utilizzare al fine di abbattere l’imponibile dell’imposta sul valore aggiunto (18), realizzando in tal modo, sotto l’aspetto materiale e psicologico, una fattispecie di evasione dell’Iva avente rilevanza penale. Dagli atti della controversia emergeva pacificamente la prova della partecipazione della società alla “frode carosello” fiscale e la realizzazione da parte della medesima del reato di dichiarazione fraudolenta di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000.

Eppure, a parere del giudice rimettente, l’art. 14, comma 4-bis, della legge n. 537/1993, nella sua formulazione originaria, si poneva in contrasto con gli artt. 3, 25, 27 e 97 Cost., non essendo ammissibile nell’ordinamento italiano un prelievo tributario con connotazione sanzionatoria (derivante dalla previsione dell’indeducibilità di costi effettivamente sostenuti), con la conseguente applicazione di una misura repressiva non proporzionata alla gravità dell’illecito in quanto influenzata da fattori casuali e quindi indipendente dall’entità dell’imposta evasa. Una normativa siffatta sarebbe stata in contrasto con i principi costituzionali di riserva di legge e di capacità contributiva e in particolare:

a) con l’art. 27, primo comma, Cost., perché, in spregio al principio di personalità della responsabilità penale, la norma in discorso determinava conseguenze automatiche e oggettive a carico delle persone giuridiche per le condotte penalmente rilevanti dei propri amministratori;

b) con l’art. 53 Cost., perché, in contrasto con il principio di neutralità fiscale, il quale imporrebbe la deduzione di ogni costo correlato alla produzione di proventi, siano essi illeciti o di illeciti (in modo speculare all’assoggettamento a tassazione dei proventi derivanti dalle attività penalmente illecite), essa limitava l’area dei costi detraibili, così ridefinendo in modo “eticamente orientato” il concetto di inerenza dei costi all’impresa.

La Corte Costituzionale, con l’ordinanza del 16 luglio 2012, n. 190 (19), ha tuttavia rinviato gli atti al giudice rimettente, imponendogli una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle censure sollevate, attesa l’entrata in vigore, nelle more della decisione, del D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44), il quale con l’art. 8, primo comma, ha riformulato la norma censurata, riducendo l’area dei componenti negativi connessi agli illeciti penali non ammessi in deduzione.

4. Regime applicativo del nuovo art. 14, comma 4-bis, della legge n. 537/1993

Ora il nuovo comma 4-bis dell’art. 14 della legge n. 537/1993, recita: «non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’articolo 157 del codice penale». La nuova versione del comma 4-bis dell’art. 14 ha quindi delimitato il perimetro applicativo della norma con riguardo sia alla natura dei costi e delle spese indeducibili, che ora sono solo quelli «direttamente utilizzati per il compimento di attività qualificabili come delitto non colposo», sia all’area degli stessi delitti rilevanti per l’applicazione della norma, circoscritta a quelli “non colposi”.

La stretta funzionalizzazione tra il costo e il reato, assunta a parametro dell’indeducibilità dalla nuova formulazione della norma, ha spinto parte della dottrina a considerare deducibili i costi di beni e servizi sostenuti per l’esercizio dell’ordinaria attività d’impresa e latamente preparatori dell’attività delittuosa (20), come quelli per lo svolgimento dell’attività di smaltimento di rifiuti, nell’ambito della quale siano stati anche smaltiti rifiuti rientranti in categorie non autorizzate, il compenso corrisposto al mediatore nella trattativa volta all’acquisto del motoscafo poi in parte utilizzato per commettere i delitti di tratta di esseri umani e d’immigrazione clandestina, ovvero il corrispettivo pagato alla segretaria dello studio medico nel quale vengono prescritte o somministrate sostanze dopanti (21), mentre più problematica appare la prospettata deducibilità del corrispettivo della segretaria del medico che esercita abusivamente la professione, poiché la predisposizione del servizio di segreteria è strettamente funzionale all’esercizio della professione in quanto necessario alla gestione della clientela dello studio.

Resta fermo che anche alla stregua della nuova disciplina positiva non rileva l’eventuale liceità o illiceità del costo o della spesa ma solo quella dell’atto o dell’attività (cui il costo è funzionale) che devono assumere rilevanza penale.

Passando poi ad esaminare gli illeciti rilevanti ai fini dell’applicazione della disciplina dell’indeducibilità, non sarà sfuggito all’attento lettore come il legislatore abbia sostituito il termine “reato” con quello di “delitto non colposo”, escludendo ogni rilevanza agli illeciti contravvenzionali e ai reati colposi, così ridotti al rango dei semplici illeciti amministrativi, già estranei alla precedente disciplina positiva.

Ma è sotto il profilo procedimentale che si riscontra la novità più rilevante della novella poiché il legislatore ha condizionato l’attività accertativa degli Uffici dell’Agenzia delle entrate all’esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero ovvero all’emissione da parte del giudice per le indagini preliminari del decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 424 c.p.p., cui il legislatore ha equiparato la sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 dello stesso codice, qualora sia fondata sulla sussistenza della prescrizione del reato prevista dall’art. 157 c.p.

In altri termini prima dell’avvio dell’azione penale i costi e le spese sono perfettamente deducibili e il contribuente che le abbia dedotte non sarà neppure passivo di sanzioni tributarie amministrative (22) o penali (23) per infedeltà della dichiarazione (24).

5. I costi relativi alle operazioni inesistenti

La disciplina positiva dei cosiddetti costi da reato doloso va integrata da quanto disposto dall’art. 8, secondo comma, del D.L. n. 16/2012, secondo cui «ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi. In tal caso si applica la sanzione amministrativa dal 25 al 50 per cento dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi».

Questa disposizione, di carattere procedurale, mentre ribadisce il principio secondo cui i costi esposti nelle fatture che si riferiscono ad operazioni oggettivamente inesistenti, pur non riguardando la materia dei costi illeciti, risultano comunque indeducibili in quanto non sono stati affatto sostenuti al fine di acquisire beni e servizi da utilizzare per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto (l’indeducibilità di tali componenti negativi discende infatti dall’ordinaria applicazione delle regole di determinazione del reddito indipendentemente dalla configurazione di un illecito penale) (25), dispone altresì che in sede di rettifica gli Uffici non possano determinare in via induttiva un maggior reddito a partire dai costi fittizi. L’indicazione nella dichiarazione dei redditi di spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati integra però il presupposto per l’irrogazione di una sanzione amministrativa dal 25 al 50 per cento dell’ammontare delle spese o degli altri componenti negativi fittizi.

Quanto alle operazioni soggettivamente inesistenti, la relazione illustrativa al decreto-legge ha chiarito che, per effetto di quanto disposto dalla normativa in discorso, «l’indeducibilità non trova applicazione per i costi e le spese esposte in fattura o altri documenti aventi analogo rilievo probatorio che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi», in quanto l’art. 14, comma 4-bis, della legge n. 537/1993, ha circoscritto l’indeducibilità ai soli costi e spese direttamente utilizzati per il compimento di reati non colposi.

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Da questo assetto normativo deriverebbe, secondo l’Agenzia delle entrate, che i costi relativi all’acquisizione di beni e servizi, ancorché documentati da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti che non siano state utilizzate per il compimento di alcun reato, sarebbero deducibili, ove ricorrano i requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, determinatezza o determinabilità, previsti dal TUIR. Con un’ardita interpretazione l’Amministrazione finanziaria ha poi ritenuto che l’importo esposto nella fattura per l’acquisizione di beni ai servizi non rappresenterebbe il costo del reato (ma il corrispettivo dello scambio) neppure nel caso in cui risulti realizzato il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture e altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000. In questo caso il costo sostenuto per commettere il reato sarebbe ravvisabile solo nel compenso pagato al soggetto che ha emesso il documento falso (la c.d. cartiera) (26) e non negli elementi passivi fittizi documentati in fattura che, a ben guardare, integrano la fattispecie delittuosa di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000, in quanto direttamente impiegati per il compimento del delitto (27).

In base ai principi generali che regolano l’IVA europea in tutti i casi di operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti l’imposta esposta in fattura risulterà indetraibile da parte del cessionario, ove l’Amministrazione finanziaria dimostri che costui era consapevole di partecipare ad un’operazione fraudolenta ovvero avrebbe potuto venirne a conoscenza con l’ordinaria diligenza (28), mentre il simulato cedente (o prestatore del servizio), sarà comunque tenuto al versamento dell’imposta indicata in fattura ai sensi dell’art. 21, settimo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

6. Conclusioni

Il descritto regime di indeducibilità dei costi del reato presenta due profili critici di non poca rilevanza. In primo luogo la disciplina, derogatoria delle ordinarie regole di determinazione del reddito d’impresa, denota il suo carattere sanzionatorio che la espone ai dubbi di costituzionalità già sollevati dalla Commissione tributaria regionale del Veneto con l’accennata ordinanza n. 79/2011. In secondo luogo la riproposta pregiudizialità penale renderà quanto mai complicata e incerta l’applicazione della disciplina procedimentale volta al recupero a tassazione del maggior reddito risultante dallo scomputo dei costi illeciti e, sotto il profilo processuale, finirà per imporre al giudice tributario, alla stregua della regola del doppio binario consacrata nell’art. 20 del D.Lgs. n. 74/2000, delle valutazioni incidentali sulla rilevanza penale dell’illecito, nelle more dello svolgimento del processo penale, con imprevedibili conseguenze in punto di certezza del diritto e di possibili contrasti tra giudicati (29).

Si pensi solo al caso in cui dopo la conclusione del processo tributario in cui sia stata delibata la sussistenza del reato e la funzionalizzazione di determinate spese alla sua realizzazione, con conseguente rettifica in aumento del reddito d’impresa, intervenga, anche sulla scorta del più ampio materiale probatorio utilizzabile dal giudice penale, una sentenza definitiva di non luogo a procedere per motivi diversi dalla prescrizione o una sentenza di assoluzione ovvero una sentenza di non doversi procedere ai sensi dell’art. 529 c.p.p. Nonostante il giudicato tributario l’Amministrazione finanziaria sarà obbligata al rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi per effetto di quanto disposto dall’art. 14, comma 4-bis, oppure no?

In conclusione, pur dovendosi valutare positivamente la disposizione relativa alla indeducibilità dei costi illeciti che pare espressione di principi fondamentali dell’ordinamento giuridico che tende a privare di efficacia gli atti illeciti e a sottrarre all’autore dello stesso, attraverso la confisca, le cose che ne costituiscono il frutto o il profitto, non sembra inutile invocare un meditato intervento riparatore del legislatore volto ad evitare il potenziale contrasto tra giudicato tributario e penale.

 

Dott. Fabrizio Cerioni

(1) In argomento R. Palumbo, L’economia aziendale nei suoi principi parametrici e modelli applicativi, Torino, 2011, 124 ss.; e P. Bastia, Principi di economia aziendale, Padova, 2013, 187 ss.

(2) Sulla determinazione del reddito d’impresa ai fini fiscali si vedano G. Tinelli, Il reddito d’impresa nel diritto tributario. Principi generali, Milano, 1991, 1 ss.; ID., Il principio di inerenza nella determinazione del reddito d’impresa, in Riv. dir. trib., 2002, I, 437 ss.; G. Zizzo, L’imposta sul reddito delle società, in G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte Speciale. Il Sistema delle imposte in Italia, Padova, 2010, 274 ss.; e da ultimo A. Meloncelli, in AA.VV., Commentario breve alle leggi tributarie, tomo III, a cura di A. Fantozzi, Padova, 2010, 407 ss.

(3) La disposizione è stata recentemente modificata dall’art. 8, primo comma, del D.L. marzo 2012, n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44), afferente “Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento”, più noto come “Decreto semplificazioni fiscali”, della cui portata si darà conto nel corso del presente lavoro.

(4) Per una rassegna delle ipotesi di costi indeducibili si rinvia a A. Giovannini, Principi costituzionali e nozione di costo nelle imposte sui redditi, in Rass. trib., 2011, 609 ss.; e O. Di Giovine, L’indeducibilità dei costi da reato ed il raddoppio di termini per l’accertamento fiscale: il punto di vista del penalista, ivi, 2012, 1383 ss.

(5) Sul punto si veda ancora A. Giovannini, op. cit., 632 ss.

(6) In questi termini S. Screpanti, L’indeducibilità dei costi da reato, in Rass. trib., 2004, 958 ss.

(7) R. Lupi, Redditi illeciti, costi illeciti, inerenza ai ricavi e inerenza all’attività, in Rass. trib., 2004, 1935 ss. Si vedano altresì C. Papa, Costi da reato: indeducibilità e disapplicazionedella sanzione per infedele dichiarazione, in Boll. Trib., 2013, 460, in nota a Comm. trib. prov. di Ragusa 17 aprile 2012, n. 258; D. Conte, Primi orientamenti giurisprudenziali sulla nuova disciplina dei costi da reato, ibidem, 1314.

(8) In Boll. Trib., 2005, 1484.

(9) In argomento A. Marcheselli, Le attività illecite tra fisco e sanzione, passim.

(10) Si vedano in proposito gli artt. 56 e 81 e segg. del TUIR.

(11) Art. 56 del TUIR.

(12) L’art. 71, secondo comma, del TUIR, disciplina la determinazione dei redditi derivanti dalla concessione in usufrutto e dalla sublocazione di beni immobili, dall’affitto, locazione, noleggio o concessione in uso di veicoli, macchine e altri beni mobili, dall’affitto e dalla concessione in usufrutto di aziende; nonché di lavoro autonomo e d’impresa non esercitati abitualmente.

(13) Questa impostazione è fatta propria da A. Giovannini, op. cit., ss. L’Autore con dotte argomentazioni giuridiche spiega il fondamento costituzionale delle diverse disposizioni normative volte a neutralizzare (con la nullità o l’inefficacia) gli effetti delle fattispecie delittuose.

(14) Giova incidentalmente ricordare che l’avviso di accertamento è atto recettizio che si perfeziona solo con la notifica al destinatario. Così P. Russo, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2002, 291; e M. Scuffi, La tutela cautelare nel doppio grado di giurisdizione, in Boll. Trib., 2013, 1460 ss.

(15) In questi termini circ. n. 42/E/2005, cit.

(16) Nell’ordinanza di remissione alla Corte Costituzionale sono evidenti le tesi di R. Lupi, Redditi illeciti, costi illeciti, inerenza ai ricavi e inerenza all’attività, cit., 1935 ss. Negli stessi termini V. Ficari, Reddito d’impresa e programma imprenditoriale, Padova, 2004, 303 ss.

(17) Cfr. Comm. trib. reg. del Veneto, sez. staccata di Verona, 11 aprile 2011, ord. n. 179, in Boll. Trib. On-line.

(18) In argomento sia consentito rinviare a F. Cerioni, L’indetraibilità dell’Iva relativa alle operazioni inesistenti tra frode ed abuso del diritto di detrazione, in Boll. Trib., 2013, 233, in nota a Cass., sez. trib., 20 giugno 2012, n. 10167, Cass., sez. trib., 6 giugno 2012, n. 9107, Cass., sez. trib., 23 settembre 2011, n. 19530, Cass., sez. trib., 12 gennaio 2011, ord. n. 608, Cass., sez. trib., 11 aprile 2011, n. 8132, Cass., sez. trib., 20 gennaio 2010, n. 867, Cass., sez. trib., 25 marzo 2011, n. 6943, e Cass., sez. trib., 11 giugno 2008, n. 15395.

(19) In Boll. Trib. On-line.

(20) In questi termini cfr. circ. 3 agosto 2012, n. 32/E, in Boll. Trib., 2012, 1182; e A. Carinci, La nuova disciplina dei costi da reato: superamento del doppio binario la dipendenza rovesciata con diversi dubbi e numerose incongruenze, in Rass. trib., 2012, 459 ss.

(21) Cfr. O. Di Giovine, op. cit., 1396.

(22) Cfr. l’art. 1, secondo comma, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.

(23) Cfr. gli artt. 2, 3 e 4 del D.Lgs. n. 74/2000.

(24) In questi termini A. Carinci, op. cit., 1477 ss.

(25) In questi termini circ. n. 32/E/2012, cit.

(26) Cfr. circ. n. 32/E/2012, cit.

(27) Come invece ritiene, con opinione che pare del tutto condivisibile, A. Giovannini, op. cit., 637 ss.

(28) Va ricordato che la Corte di Giustizia a partire dalla sentenza 6 luglio 2006, sez. III, cause riunite C-439/2004 e C-440/2004, Kittel e Recolta Recycling, in Boll. Trib. On-line, il giudice del Lussemburgo ha sancito che qualora risulti acclarato che una cessione è stata effettuata nei confronti di un soggetto passivo che sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare con il proprio acquisto ad un’operazione comportante una frode all’IVA, spetta al giudice nazionale negare al detto soggetto passivo il beneficio del diritto alla deduzione. In questi termini da ultimo anche Cass., sez. trib., 28 agosto 2013, n. 19746; e Cass., sez. trib., 19 luglio 2013, n. 17679; entrambe in Boll. Trib. On-line. Per approfondimenti sull’evoluzione della giurisprudenza europea e nazionale sia consentito rinviare ancora a F. Cerioni, op. cit., 233 ss.; e ID., L’onere di conoscenza del soggetto passivo nel sistema dell’IVA europea e i suoi limiti secondo la Corte di Giustizia, in Boll. Trib., 2013, 1397 ss.

(29) Analoghe preoccupazioni sono espresse da A. Carinci, op. cit., 1484.