22 Febbraio, 2019

Il D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, ha escluso ex se la rilevanza penale dell’abuso di diritto (1), punibile solo attraverso sanzioni amministrative (2), con il portato che in futuro il discrimen fra il penalmente lecito e il penalmente illecito diviene incerto verificata la natura “indeterminata” della clausola generale antiabuso. Significa che permane una difficoltà di riconduzione di quei fenomeni di evasione interpretativa che sono in un’area intermedia, una “terra di nessuno” ossia al confine fra il legittimo risparmio di imposta, ex quarto comma dell’art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, e il vantaggio fiscale indebito. È evidente che non potranno più criminalizzarsi quelle fattispecie che siano prive di sostanza economica in quanto inidonee a realizzare effetti diversi dai vantaggi fiscali.
Resta da capire quali contestazioni de facto ridondano in una contestazione di elusione fiscale penalmente irrilevante: così l’analisi riesumerà una casistica di operazioni che sostanzialmente configurano abuso di diritto e in cui la tassazione avviene attraverso il driver della similitudine (valutazione comparativa per “tassare” l’operazione mai conclusa, elusa ma sostanzialmente voluta). Il riferimento è al transfer pricing interno, ved. fair value nelle transazioni domestiche, ovvero alle contestazioni di antieconomicità, all’interposizione reale – quella fittizia integra una fattispecie di evasione – alla deduzione di interessi passivi nelle operazioni di LBO e alle scissioni plusvalenti di singoli beni. Ancora, l’exit societario sdoppiato fra un recesso e un’alternativa cessione a terzi delle partecipazioni affrancate (recte: rivalutate), i fenomeni di treaty shopping all’attenzione dell’action 6 del progetto OCSE nello sfruttamento dei regimi convenzionali, ved. triangolazioni nell’incasso di dividendi comunitari. In quest’ultima fattispecie la clausola antiabuso interna del citato art. 10-bis deve coordinarsi e soccombere a quella sovranazionale sul “beneficiario effettivo” inserita attraverso la Direttiva 2015-121 UE del Consiglio del 27 gennaio 2015. Fattispecie nelle quali l’imposta abusata nasce da una valutazione compartiva abilitata dall’art. 10-bis il quale ex se “libera” una tassazione per analogia c.d. da “differenziale”, al fine di rigenerare e “tassare” la transazione mai conclusa ma voluta.
In altri termini la norma de qua copre il vantaggio indebito in una dimensione che è necessariamente comparativa rivendicando una tassazione basata sull’argomento della similitudine tra il risultato di un’operazione e il risultato di un’altra.
L’analisi coinvolgerà altresì l’abuso di diritto nell’imposta di registro. Il riferimento è alle ben note contestazioni e riqualificazioni economiche ex art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, sull’unificazione di più atti, sulla base appunto della loro sostanza economica piuttosto che della loro forma giuridica: elementi ermeneutici extra-testuali, esterni all’atto, ancora comportamenti delle parti e valorizzazione del collegamento funzionale fra atti distinti nelle destrutturazioni antielusive ex art. 20. Nella norma de qua viene apprezzato il risultato economico unitario attraverso la conversione e la permutazione negoziale ovvero la sostituzione di una forma giuridica legittima con un’altra anche se l’effetto economico delle due operazioni è analogo ricorrendo ad elementi extratestuali non direttamente desumibili dall’atto. Attraverso tale norma l’Amministrazione finanziaria ha contestato la tangibilità e violabilità fiscale delle forme negoziali (apparenti): difatti l’art. 20 viene trasformato in una clausola di adattamento del sistema di tassazione degli atti negoziali governati da una diversa causa reale economica. Il riferimento è, ad esempio, alla cartolarizzazione delle aziende attraverso il loro conferimento “passante” neutro fiscalmente in una newco, le cui quote sono cedute dal conferente con tassazione finale di registro fissa. Tale cessione duale dell’azienda realizzata attraverso la cessione totalitaria dei titoli rivenienti da precedente conferimento è stata riclassificata dall’Amministrazione, con le coperture del superiore Giudice di legittimità, quale cessione di beni di primo grado, gravata di aliquote proporzionali di registro. Lo stesso dicasi per le cessioni totalitarie di partecipazioni non di rado convertite in cessione dei beni di primo grado detenuti in pancia dalla società ceduta. Profilo non secondario era anche la legittimazione passiva sugli atti elusivi di liquidazione dell’imposta di registro ex art. 20, la quale non competeva alla conferitaria essendo quegli atti notificati al conferente e al terzo cessionario delle partecipazioni. Ancora irrisolta è la competenza territoriale dell’Agenzia delle entrate sulla notificazione dell’imposta complementare abusata ex art. 20, sdoppiata fra quella del notaio che ha rogato il conferimento o quella del notaio che ha autenticato la cessione dei titoli.
Su questo tema di evasione interpretativa e di restaurazione l’art. 1, comma 87, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di stabilità 2018), ha sostanzialmente chiarito che il citato art. 20 non integra una clausola antielusiva essendo escluso il ricorso ad elementi extratestuali ovvero non direttamente desumibili dall’atto stesso, con il portato deve darsi preminenza agli effetti giuridici dell’atto registrato (svalutato il collegamento, unificazione funzionale fra distinti atti pluricausali). Pertanto rilevano ex se gli effetti giuridici dell’atto sottoposto alla sua registrazione attraverso la rimozione nella novella sia del collegamento funzionale e sia degli elementi extratestuali allo stesso.
Permane ancora praticabile la riqualificazione ex art. 20 del singolo atto, si veda infra cessioni totalitarie di titoli, avendo la novella rimosso il solo collegamento negoziale. Invero, limitatamente alla fattispecie in esame, nella relazione illustrativa alla norma si osserva che la cessione totalitaria di titoli non può essere assimilata a una cessione d’azienda ossia che la stessa integra una legittima scelta di tipo negoziale insindacabile in quanto coperta dal principio del legittimo risparmio d’imposta di cui all’art. 10-bis della legge n. 212/2000; dunque le contestazioni sulla causa reale dell’operazione e sull’apprezzamento del risultato finale complessivo con travalicamento dello schema negoziale traghetteranno – riassorbite in futuro – nell’art. 10-bis citato. In altri termini, ove si configuri un vantaggio fiscale che non potrà più essere rilevato mediante l’attività interpretativa di cui all’art. 20 (attività preclusa in futuro), tale benefit potrà essere valutato sulla base della sussistenza dei presupposti costitutivi dell’abuso del diritto. Nella relazione si osserva che, con le modalità del prefato art. 10-bis, potrà essere neutralizzata la cessione frazionata di azienda veicolata da plurimi atti di trasferimento di singoli assets. Invero tale fattispecie integrando un’ipotesi evasiva, ved. simulazione/dissimulazione, non potrà essere riassorbita e sindacata attraverso la clausola generale antielusiva.
Sul profilo del diritto intertemporale e sulle verosimili decorrenze retroattive, la novella potrebbe auspicabilmente avere natura interpretativa con impatto verosimile sui contenziosi ancora sub iudice. Permangono aree di incertezza sulla natura interpretativa dell’innovazione la quale, similmente ad ogni innovazione, dovrebbe avere in assenza di contrarie previsioni efficacia sugli atti registrati dal 1° gennaio 2018 senza interferire sui pregressi rapporti fiscali non definitivi lasciati per effetto inalterati.
Dunque la norma proposta rimuove il collegamento funzionale fra più atti (3), con l’effetto che la liquidazione ex art. 20 avverrà solo sugli assetti giuridici, cartolari e non economici dell’atto sottoposto alla registrazione; invero permane irrisolto il tema dei singoli atti, ved. le cessioni totalitarie di partecipazioni non collegate ad atti negoziali precedenti e susseguenti ossia senza che vi sia il prefato collegamento negoziale rimosso nella legge di stabilità 2018, con l’effetto deteriore che questa fattispecie potrà essere ancora “sindacata” dall’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986. L’ipotesi delineata si sostanzia nel recupero delle aliquote proporzionali di registro sulla cessione totalitaria di partecipazione di società, la quale oblitera de facto una cessione indiretta di beni di primo grado ovvero l’azienda (tassazione per analogia attraverso l’argomento della similitudine). Invero il passaggio dalla relazione illustrativa alla norma esclude l’assimilazione a una cessione di azienda della cessione totalitaria di quote, verificato il suo confinamento nell’indolore e legittimo risparmio d’imposta insindacabile (si veda il quarto comma dell’art. 10-bis dello Statuto).
La scelta legislativa sull’introduzione di una clausola generale antielusiva ossia la nuova definizione unificata di abuso/elusione d’imposta trova le sue “coperture” nella ben nota sentenza del 2005 “creativa” dell’abuso di diritto (4), sfociate nelle altrettanto note sentenze delle Sezioni Unite del 2008 (5), cui hanno fatto seguito decisum di segno contrario che hanno bocciato l’idea di un abuso di diritto immanente nel sistema “non tipizzato” ovvero al di fuori delle tipizzazioni dell’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. In questo scenario normativo controverso, turbato anche dalla rilevabilità d’ufficio dell’abuso non tipizzato (contraddittorio endoprocessuale ex art. 101 c.p.c. in caso di rilevazione ufficiosa dell’abuso) è emersa l’idea di un tentativo di stabilizzazione normativa della materia culminato nella novella del D.Lgs. n. 128/2015 che ha introdotto nello Statuto dei diritti del contribuente il nuovo art. 10-bis sulla definizione unificata dell’abuso/elusione d’imposta (depenalizzata).
Sull’elencazione esemplificativa delle fattispecie di operazioni abusive depenalizzate e non evasive si richiamano le contestazioni da transfer pricing (6) quando la transazione intercompany è priva di sostanza economica, realizzando vantaggi fiscali indebiti. Tali transazioni, non conformi a normali logiche di mercato, senza sostanza economica tra soggetti non indipendenti, sono governate dalle determinazioni volitive del gruppo che se volte all’ottenimento di un vantaggio fiscale indebito integreranno il presupposto per l’applicazione dell’art. 10-bis. Al di fuori di quest’ipotesi di “trasferimento infragruppo” privo di sostanza economica il transfer pricing integra ex se una fattispecie evasiva. Risolutivo in tal senso è il passaggio testuale della norma di cui all’art. 110, settimo comma, del TUIR, dalla quale emerge che la norma sulle valutazioni ha ad oggetto operazioni che hanno sostanza economica. L’esterovestizione potrebbe ridondare un’ipotesi di abuso depenalizzato, verificata la difformità fra la sede legale effettiva e quella formale apparente, con adesione anche del superiore Giudice di legittimità, il quale ha concluso che la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero integra un chiaro fenomeno di abuso del diritto (7). Lo stesso dicasi per le contestazioni di antieconomicità (8) o pseudo trasfer pricing interno, le quali ridondano in contestazioni de facto di abuso di diritto in quanto realizzano un risparmio di imposta indebito in mancanza di sostanza economica (ad esempio mancato conseguimento di proventi che sarebbero stati conseguiti). Le operazioni di LBO sono da ritenersi alternative (legittimo risparmio d’imposta, ved. il quarto comma dell’art. 10-bis) alla liquidazione della società o fusione della società target senza deduzione di interessi passivi.
Sull’elencazioni di fattispecie che non integrano l’abuso di diritto ma il legittimo risparmio d’imposta si riesuma la disciplina opzionale delle assegnazioni agevolate. Così non sarà sindacabile la cessione di immobili da parte del socio beneficiario di un’assegnazione agevolata avvenuta in base alla norma di cui alla legge 28 dicembre 2015, n. 208, con il portato che la cessione a terzi, senza oneri fiscali, di immobili “privatizzati” avvenuta successivamente all’assegnazione de qua non integra ex se abuso di diritto, mancando qui il carattere indebito del vantaggio fiscale (9). Il vantaggio fiscale indebito è stato altresì escluso dall’Agenzia delle entrate anche per l’ipotesi di scissione di società con attività mista (partecipazioni e immobili) seguita dalla trasformazione agevolata in società semplice della società beneficiaria del solo immobile, in quanto l’agevolazione fiscale così fruita non costituirebbe un vantaggio fiscale indebito. Ancora, sulle assegnazioni agevolate, sempre l’Agenzia (10) ha chiarito che il mutamento di destinazione dell’immobile, anche se finalizzato a usufruire dei benefici in questione, non può essere considerato comportamento abusivo, ma solamente scelta preordinata ad un legittimo risparmio d’imposta. Difatti rileva la non diretta utilizzazione del bene all’atto di assegnazione, per cui sarebbe possibile programmare un mutamento di destinazione dello stesso per recuperare, rigenerare legittimamente – destinazione compatibile con l’agevolazione quesita – il prerequisito per la sua assegnazione agevolata al socio.
Secondo la ris. 25 luglio 2017, n. 97/E (11), non costituirà abuso di diritto depenalizzato la scissione di un ramo immobiliare di una società operante nel comparto sanitario finalizzata alla successiva cessione dei titoli di una delle società risultanti dalla scissione, ponendosi le cessioni dirette ed indirette dell’azienda quali regimi fiscali alternativi aventi pari dignità fiscale. La risoluzione in parola è non meno importante nella misura in cui riesuma, superandole, le contrarie posizioni di prassi manifestate nella vigenza dell’art. 37-bis. Pertanto non vi potrà essere imposta abusata/depenalizzata negli esuberi di aliquota proporzionale (IRES) gravanti sulla cessione dei beni di I grado indirettamente ceduti attraverso la cessione dei titoli, queste ultime de facto detassate.
La casistica di fattispecie sostanzialmente abusive private di rilevanza penale non comprende la patologia dell’interposizione fittizia, ved. l’art. 37, terzo comma, del D.P.R. n. 600/1973, rappresentando quest’ultima un’ipotesi evasiva. Difatti l’elusione di imposta opera in via residuale ossia quando non è contestabile la violazione di specifiche disposizioni tributarie. L’interposizione reale, esclusa dall’art. 37, terzo comma, del D.P.R. n. 600/1973, vi dovrebbe rientrare ben potendosi attuare lo scopo elusivo mediante operazioni effettive e reali. In senso rafforzativo delle prefate conclusioni, sulla sussumibilità dell’interposizione reale nell’abuso di diritto si consideri la possibilità di presentare l’interpello ordinario non antielusivo per le fattispecie di interposizione fittizia (ex art. 7, settimo comma, del D.Lgs. n. 156/2015). Il teorema da abuso di diritto, depenalizzato, da interposizione reale è stato sostenuto nelle triangolazioni da circolazione/incasso di dividendi comunitari veicolati da società intermedie madri comunitarie, con traslazione offshore dei flussi cedolari, ved. la presenza di obbligazioni di ri-trasferimento dei dividendi incassati dalla società madre UE ai suoi soci extra UE. Il riferimento è alle strutture UE leggere, conduit realmente interposte da soggetti extra UE al fine di lucrare i benefici della Direttiva Madre-Figlia con esportazione dei benefit in favore di soggetti residenti in Paesi terzi (mantenimento dei dividendi comunitari in pancia alle società madri per ristretti termini, de facto nascenti obblighi di retrocessione in favore dei soci). In tali fattispecie vi è un abuso della forma giuridica dello strumento societario, de facto non effettivo, il cui uso deviante e distorto è neutralizzato dal citato art. 10-bis (abuso della libertà di stabilimento): dunque strutture artificiose senza sostanza economica, nel senso meglio descritto nella circ. 8 luglio 2011, n. 32/E (12), implementate all’unico scopo dello sfruttamento dei regimi convenzionali, ved. treaty shopping (riespansione, ripristino della tassazione fonte attraverso le aliquote ordinarie di questo Stato e non quelle minori convenzionali). Pertanto l’imposta abusata nello sfruttamento dei regimi convenzionali (come l’invocato regime di esenzione sui dividendi pagati a società madri UE partecipate da soggetti extra UE), dà luogo a fattispecie penalmente rilevanti. Sul riparto probatorio nei recuperi di queste imposte abusate nella circolazione dei dividendi comunitari de facto dirotttati e traslati in ambito extra UE (risolutivo è il mancato trattenimento, impiego dei dividendi dunque il loro scorrimento extra UE) non opera alcuna presunzione assoluta di elusività basato sull’esclusivo argomento della presenza nel libro soci della società madre UE di soggetti residenti in Paesi terzi (l’origine degli azionisti non incide sul diritto all’esenzione). Difatti una presunzione assoluta di siffatta latitudine violerebbe i principi euro-unionali di libertà di stabilimento e di non discriminazione e realizzerebbe un’indesiderata inversione dell’onere probatorio non previsto dall’art. 10-bis dello Statuto. Pertanto il fatto che la società madre è partecipata da soggetti terzi extra UE non priva il soggetto non residente del diritto di avvalersi della libertà di stabilimento e degli invocati regimi esonerativi: infatti l’origine degli azionisti non deve incidere su tale diritto.

Avv. Fabio Ciani
Università Roma Tre

(1) Ved. il comma 13 del nuovo art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212.
(2) Sull’applicazione dei profili sanzionatori amministrativi all’imposta abusata depenalizzata e sull’applicazione dell’esimente sistemica ovvero esclusione di cui all’art. 6, secondo comma, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, per la sussistenza di obiettive condizioni di incertezza, ved. MISCALI, Il transfer price tra abuso del diritto e riparto del potere impositivo tra gli Stati, in Boll. Trib., 2017, 993 ss., il quale osserva che «la vaghezza del principio abuso/elusione diviene un fattore di incertezza riconosciuto, che può fondare di per sé l’esclusione della punibilità. In prima conclusione sul punto possiamo dunque osservare come il problema della sanzionabilità delle condotte elusive/abusive è, allo stato, un problema (ancora) aperto cui possono seguire diverse opzioni: a un estremo si colloca la soluzione punitiva, ciò che comporta l’estensione dell’obbligo dichiarativo anche alle situazioni elusive, con la conseguente irrogabilità delle sanzioni; all’estremo opposto si colloca invece la soluzione non punitiva, fondata sull’incompatibilità ontologica delle sanzioni. Peraltro, qualunque tra le soluzioni predette venga accolta, appare inevitabile riconoscere come ad oggi emergano ancora indiscutibili profili di incertezza sul punto quanto dubbi di legittimità costituzionale … sotto un altro profilo potrebbe nondimeno sostenersi la tesi per cui le sanzioni amministrative sarebbero comunque applicabili alle fattispecie abusive e/o elusive; ma in tal caso si porrebbero necessariamente le questioni di verifica del riscontro dell’elemento oggettivo e soggettivo dell’illecito così come il tema dell’applicazione delle circostanze esimenti. Più precisamente, per quanto riguarda il profilo dell’esclusione della punibilità per la sussistenza delle obiettive condizioni di incertezza, di cui all’art. 6, secondo comma, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 … si tratta di una disposizione [ossia l’art. 110, settimo comma, del TUIR] che nulla ha a che fare con i fenomeni distorsivi e le integrazioni normative che tipicamente caratterizzano l’elusione di imposta; in questo caso gli illeciti sono vere e proprie violazioni frontali delle disposizioni in tema di determinazione dei componenti positivi e negativi di reddito».
(3) Sulla tangibilità delle forme negoziali attraverso la clausola interpretativa dell’art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, sul collegamento negoziale e sulla rilevanza degli elementi extratestuali, ved. TABET, Sulla competenza territoriale degli Uffici in caso di riqualificazione di negozi giuridici collegati, in Rass. trib., 2017, 821 ss., il quale osserva che la Corte conferma punto su punto la propria consolidata giurisprudenza inaugurata con la sentenza n. 14900/2001, che l’ha condotta a predicare, nell’applicazione del tributo del registro, la tangibilità sul piano fiscale delle forme negoziali (alias la riqualificazione), grazie al ruolo forte assegnato all’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986, trasformato – come è stato acutamente rilevato – in una clausola di adattamento del sistema di tassazione agli assetti negoziali complessi retti da un’unica causa; viene così ribaltata la tesi tradizionale della tassazione isolata dei singoli atti e dell’irrilevanza degli elementi desunti aliunde e la sua sostituzione con l’apprezzamento del risultato complessivo finale, realizzato attraverso il collegamento fra più documenti negoziali. Inoltre l’esasperata valorizzazione di criteri ermeneutici extratestuali ha condotto la Corte ad affermare che la considerazione di elementi interpretativi esterni eventualmente successivi all’atto può riguardare non soltanto altri negozi collegati con quello presentato alla registrazione ma anche atti non negoziali, ovvero semplici comportamenti delle parti, come ad esempio conseguimenti di pareri tecnici di edificabilità, presentazione di istanze di demolizione, e attività edilizia concretamente realizzata.
(4) Ved. Cass., sez. trib., 21 ottobre 2005, n. 20398, in Boll. Trib., 2006, 525, con nota di BRIGHENTI, Dividend washing ante 1992.
(5) Cfr. Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, nn. 30055, 30056 e 30057, rispettivamente in Boll. Trib., 2009, 484, in Boll. Trib. On-line, e in Boll. Trib., 2009, 481, su cui ved. anche MARINO, Considerazioni critiche sulla costante evoluzione giurisprudenziale in tema di elusione tributaria ed abuso del diritto, ibidem, 425.
(6) Sull’inapplicabilità della disciplina contenuta nell’art. 10-bis (motivazione rafforzata, contraddittorio tipizzato) alle contestazioni da transfer pricing, ved. MISCALI, op. cit., 993 ss., il quale osserva che «l’interesse protetto è la ripartizione equilibrata del potere impositivo fra gli Stati in attuazione del principio di libera concorrenza. Pertanto è a mio avviso pienamente giustificata la potestà punitiva poiché l’operazione caratterizzata dalla anormalità dal punta di vista economico può essere di per sé idonea a ripartire in modo distorto il carico tributario a svantaggio del nostro Paese, in altre parole se la condotta posta in essere dal gruppo internazionale è finalizzata alla sottrazione di materia imponibile da un lato l’operazione è rettificabile e dall’altra saranno applicabili le sanzioni. Una volta ritenute in astratto applicabili le sanzioni amministrative alla fattispecie di cui al settimo comma dell’art. 110 del TUIR, si pongono una serie di temi quali: la conformazione dell’esimente della non applicazione delle sanzioni pecuniarie a seguito dell’esimente ex art. 26 per l’obbiettiva incertezza piuttosto che per carenza degli elementi soggettivo od oggettivo dell’illecito».
(7) Cfr. Cass., sez. trib., 7 febbraio 2013, n. 2869, in Boll. Trib. On-line.
(8) Sulle contestazioni da antieconomicità ved. ESCALAR, Nuovo delitto di infedele dichiarazione e irrilevanza penale dell’elusione, in Corr. trib., 2016, 1215 ss., il quale osserva che l’Amministrazione ha fatto talora ricorso anche al c.d. principio di antieconomicità, e cioè al principio di sindacabilità delle scelte dell’imprenditore non rispondenti ai canoni dell’economia, non solo per contestare operazioni inesistenti ma anche per disconoscere la deduzione di costi che non sarebbero stati altrimenti sostenuti, nonché la detrazione dell’IVA relativa, indipendentemente dalla loro inerenza all’esercizio d’impresa, ovvero per recuperare a tassazione proventi che sarebbero stati altrimenti conseguiti.
(9) Ved. ris. 17 ottobre 2016, n. 93/E, in Boll. Trib., 2016, 1501.
(10) Ved. circ. 1° giugno 2016, n. 26/E, in Boll. Trib., 2016, 940, cap. I, parte I.
(11) In Boll. Trib., 2017, 1273.
(12) In Boll. Trib., 2011, 1126.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *