28 Febbraio, 2018

SOMMARIO: 1. GALATEO ISTITUZIONALE E “ORGOGLIO COSTITUZIONALE”; 1.1. La vicenda Taricco; 1.2. Le risposte dei giudici italiani – 2. UNA PREMESSA IN CHIAVE DI RAPPORTI TRA CORTE COSTITUZIONALE E GIUDICI COMUNI – 3. LE TRE MOSSE DELLA CORTE COSTITUZIONALE; 3.1. Primazia del diritto UE e supremazia costituzionale; 3.2. La legalità penale come “controlimite”; 3.3. Il giudice costituzionale custode dei “controlimiti”; 3.4. Il problema irrisolto degli “effetti diretti” dell’art. 325 TFUE – 4. I QUESITI PREGIUDIZIALI – 5. SCENARI PROSSIMI E FUTURI, SUL FRONTE EUROPEO E SUL FRONTE DOMESTICO.

1. GALATEO ISTITUZIONALE E “ORGOGLIO COSTITUZIONALE”

Garbata nella forma, rocciosa nella sostanza: l’ordinanza con cui la Corte Costituzionale decide di re-inviare la “questione Taricco” alla Corte di Giustizia – per una interpretazione “autentica” della precedente, celebre decisione (1) – è solo apparentemente interlocutoria, e comunque ben lontana da un fin de non recevoir (2).
Si tratta infatti di un’ordinanza ampiamente “vestita”, molto articolata e densa di contenuti assiologici, che mette a nudo tutti i rischi e le tensioni di una integrazione tra diritto UE e diritto penale “a marce forzate” o “a strappi”, e le ricadute scardinanti che essa minaccia per il patrimonio costituzionale domestico, e/o per i “controlimiti”, il cui innesco è declinato dal giudice delle leggi al tempo di un futuro possibile, ancorché solo eventuale e pure – si rimarca con toni volutamente esorcistici – “sommamente improbabile”.
Il tutto, con affermazioni insolitamente rigorose ed “alte”, sul fronte dell’integrazione europea come sul versante “nazionale”, dove la riaffermazione forte delle garanzie in materia penale, e l’evocazione di un assetto costituzionale edificato sulla soggezione del giudice alla legge, lascia comunque spazio alla Corte per indirizzare una censura in chiave di “responsabilità politica” allo Stato ed un monito al legislatore – pur solo en passant – sull’opportunità di contenere gli effetti “teratologici” della prescrizione al cospetto delle frodi tributarie (3).

1.1. La vicenda Taricco

Nota la vicenda scatenante la questione pregiudiziale sollevata dal giudice di Cuneo, ed altrettanto nota la risposta della Corte di Giustizia in re Taricco (4): i giudici europei, senza particolari scrupoli, facendo leva sull’art. 325 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) hanno affermato il potere/dovere del giudice interno di disapplicare in malam partem il termine massimo di prescrizione previsto dalla legislazione italiana (alla stregua della disciplina codicistica degli atti interruttivi: artt. 160 e 161 c.p.) per taluni reati in materia di frodi all’IVA, rompendo il “caos calmo” sino ad ora garantito dal principio per cui il diritto eurounitario non può produrre conseguenze deteriori sulla situazione giuridico-penale del singolo né in via diretta, né attraverso il medium dell’interpretazione conforme.

1.2. Le risposte dei giudici italiani

Come si sa, la risposta per molti versi innovativa e “propulsiva” del giudice di Lussemburgo – apparsa a molti un episodio di judicial adventourism – ha avuto ricadute eterogenee sul piano domestico (5), talune volte alla disapplicazione diretta ed integrale della disciplina degli atti interruttivi (6), altre fautrici di una disapplicazione solo parzialmente operante (7), altre ancora più pensose e riottose rispetto a soluzioni tanto tranchant, e consapevoli del “costo costituzionale” della soluzione suggerita.
Tra queste, appunto, le perspicue ordinanze con cui la Corte d’Appello di Milano, prima, e la Cassazione, dopo, hanno interrogato la Corte Costituzionale, evidentemente ammonite dai “bagliori costituenti” del problema (8).

2. UNA PREMESSA IN CHIAVE DI RAPPORTI TRA CORTE COSTITUZIONALE E GIUDICI COMUNI

La risposta della Corte Costituzionale conforta, anzitutto, la correttezza della strada opzionata dai giudici rimettenti sul piano del metodo: quando le interferenze tra il diritto eurounitario e l’ordinamento nazionale profilano possibili corrugamenti della cornice costituzionale – come “minaccia”, nel nostro caso, l’evidente tensione tra primauté e legalità penale – è la Corte, e non il giudice comune, a dover essere chiamato in gioco: «bene hanno perciò fatto i remittenti a investirla del problema, sollevando una questione di legittimità costituzionale» (punto 6).
Si tratta, come è chiaro, di un significativo momento di cesura nel processo di irradiazione in sede diffusa – ormai pienamente dispiegato – del controllo accentrato di costituzionalità, che ha un suo catalizzatore essenziale proprio nella diretta applicabilità del diritto UE e nel correlativo potere/dovere di disapplicazione “per saltum” del giudice comune – così come più in generale nella “domestification” del diritto sovranazionale (9) – in rapporto di interlocuzione diretta con le alte Corti (10).
Riappropriarsi di questo “dialogo” con il giudice di Lussemburgo, disponendo un rinvio anche in sede di ricorso incidentale – e così “uscendo dalla solitudine” (11) per la prima volta anche in ambito penale – significa dunque per la Corte Costituzionale ri-avocare a sé spazi di sindacato sottraendoli ai giudici a quibus (12); ma le garantisce anche un controllo immediato e diretto sui “controlimiti”, secondo un riparto di competenze espressamente ribadito nei confronti – come si vedrà – del giudice dell’UE (infra, § 3.3).

3. LE TRE MOSSE DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Nel merito, prima di precisare i quesiti pregiudiziali, la Corte Costituzionale affronta in tre mosse le questioni sul tappeto, e le diverse sollecitazioni a cui è esposto, nel caso concreto, lo statuto della legalità penale: principio che – si sottolinea quasi in via stipulativa – «comporta che le scelte relative al regime della punibilità siano assunte esclusivamente dal legislatore mediante norme sufficientemente determinate e applicabili solo a fatti commessi quando esse erano già in vigore»; e principio messo dunque seriamente a repentaglio dalla disapplicazione prospettata dalla Corte di Giustizia, a fronte dell’aggravamento retroattivo del regime di punibilità, così come della ambiguità e vacuità dei criteri alla cui stregua identificare le ipotesi in cui operare il découpage “comunitariamente conforme”, sostanzialmente rimesso, dunque, all’arbitrio del giudice.

3.1. “Primazia” del diritto UE e “supremazia” costituzionale

La Corte Costituzionale affronta, in primis, il rapporto tra “primauté” del diritto europeo e “controlimiti” (13), ribadendo il “predominio assiologico” della Costituzione, in caso di ipotetiche collisioni, sotto minaccia di una parziale, ma doverosa operazione di “ortopedia giuridica” sulle “condizioni di accettazione” degli accordi europei, e, dunque, sulla legge nazionale che ha autorizzato e resi esecutivi i Trattati «per la sola parte in cui essa consente che quell’ipotesi normativa si realizzi».
Il profilo dell’“integrazione condizionata”, affermato in apertura, è ribadito dalla Corte Costituzionale a più riprese, evidenziando come un regime della prescrizione – quale che ne sia la natura – sottratto alle «disposizioni e tradizioni costituzionali» (non è stato richiesto dalla sentenza Taricco e) non «sarebbe consentito nell’ordinamento italiano quando esse esprimono un principio supremo dell’ordine costituzionale, come accade per il principio di legalità in campo penale in relazione all’intero ambito materiale a cui esso si rivolge» (punto 4).
Non sono, peraltro, affermazioni apodittiche, giacché la stessa Corte argomenta diffusamente il doveroso rispetto dei “controlimiti” come parte delle “regole di ingaggio” del patto eurounitario: da questa angolatura, integrazione europea e controlimiti sarebbero, in sostanza, un unum et idem, cosicché per garantire la prima la Corte di Giustizia dovrebbe simultaneamente – e necessariamente – rispettare il «tasso di diversità minimo, ma necessario per preservare la identità nazionale insita nella struttura fondamentale dello Stato membro (art. 4, par. 2, del TUE» (punto 6) (14).
Dirà poi, la Corte, chi è tenuto a stabilire – e a custodire – la sagoma dei “controlimiti”, e dunque l’identità nazionale, venendo al punctum crucis del problema (infra, § 3.3).

3.2. La legalità penale come “controlimite”

Nel caso concreto, l’identità nazionale – come accennato – è intaccata giacché l’adempimento degli (asseriti) obblighi di matrice europea – per il tramite della disapplicazione – minaccia sotto diversi aspetti l’assetto del nullum crimen, nella precipua estensione riconosciuta in sede domestica.
È questa la “seconda mossa” della Corte Costituzionale, introdotta con intonazione retorica puntualizzando che «Se l’applicazione dell’art. 325 del TFUE comportasse l’ingresso nell’ordinamento giuridico di una regola contraria al principio di legalità in materia penale, come ipotizzano i ricorrenti, questa Corte avrebbe il dovere di impedirlo».
Come è chiaro, questo passaggio implica una precisa scelta di campo sulla prescrizione e la sua disciplina, condotta in linea con un consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, a ribadire che «la prescrizione è sostanza della legalità penale, e non semplice morte del processo» (15).
Ma con un chiarimento ulteriore.
Ove alla prescrizione è attribuita natura sostanziale (come in Italia e, tra gli altri, in Spagna), secondo i giudici è necessario che l’ordito di disciplina in cui si articola l’istituto della prescrizione «sia analiticamente descritto, al pari del reato e della pena, da una norma che vige al tempo di commissione del fatto», cosicché – ribadisce la Corte ad evitare ambiguità – occorre «che la disposizione scritta con cui si decide quali fatti punire, con quale pena, e, nel caso qui a giudizio, entro quale limite temporale, permetta “una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo”».
È su queste basi, peraltro, che la Corte si impegna in ulteriori puntualizzazioni – tutte di notevole significato – in punto di rapporti tra armonizzazione europea, prescrizione e nullum crimen.

3.2.1. Con la prima, di non poco momento, si evidenzia che la disciplina della prescrizione non entra – di per sé sola – nel campo di attrazione della need of harmonization del diritto UE, quasi riconoscendo, al riguardo, un necessario campo di gioco al “margine nazionale di apprezzamento” degli Stati (16).
E forse questa è l’unica notazione – cursoria ma rimarchevole – di “diritto materiale” mossa sul fronte delle competenze eurounitarie, giacché la Corte Costituzionale evita, come pure si vedrà, di prendere posizione sia sulla pertinenza della materia – la disciplina sanzionatoria dell’IVA – all’ambito di competenza della Corte sia, soprattutto, sulla assunzione – operata tanto dal giudice di Cuneo quanto dalla Corte di Giustizia – dell’art. 325 TFUE a “base giuridica” su cui edificare il potere/dovere di disapplicazione in malam partem, congeniale all’originale riconoscimento alla disposizione stessa di “effetti diretti”.
La Corte Costituzionale, dunque, non contesta la vorace “autoattribuzione di competenze” che pure, come noto, non ha mancato di suscitare reazioni di rigetto da parte di autorevoli tribunali costituzionali (17); né disputa in punto di “effetti diretti” (infra, § 3.4); si limita, piuttosto, a lavorare per sottrazione, eccettuando la prescrizione dal magnetismo centripeto dell’armonizzazione.

3.2.2. Così riconosciuta – ratione materiae – la discrezionalità degli Stati, si precisa tuttavia che ove il regime della prescrizione sia ricondotto al diritto sostanziale esso deve essere garantito e “coperto” dalle diverse declinazioni della legalità, e comunque assoggettato alla garanzia “astorica” della necessaria prevedibilità.
Tale conclusione è peraltro integrata da un richiamo corroborativo alla giurisprudenza di Strasburgo volto a sottolineare che la conclusione non muterebbe se la prescrizione fosse acquartierata in ambito processuale, giacché la Corte EDU «pur non negando che lo Stato aderente possa riconoscere alla prescrizione carattere processuale, ugualmente … si riserva di sanzionarlo quando, in materia penale, non vi sia una base legale certa e prevedibile a sorreggere l’estensione del potere punitivo pubblico oltre il limite temporale previsto al tempo del fatto» (18).
Si intende dunque sgombrare il campo da quelle letture che, non disconoscendo la natura sostanziale della prescrizione, vorrebbero attribuire alla disciplina di talune evenienze – come gli atti interruttivi – veste diversa, identificandoli come intarsi processuali affidati – secondo la tradizionale partizione – al regime del tempus regit actum. Viceversa, la Corte Costituzionale sembra finalmente chiarire che ogni modifica che comporti una ricaduta sulla “concreta minaccia di pena” – ivi comprese quelle che incidono sul margine temporale di “rischio penale” – deve essere assoggettata all’irretroattività, se imprevedibile, ciò imponendo una istanza di tutela individuale, di eguaglianza e di “affidamento” dei singoli di fronte allo Stato: non – si noti – l’affidamento sulla recondita speranza di poterla “fare franca” grazie all’intervento salvifico di quella “creatura teratologica” che è la prescrizione, ma l’affidamento sul fatto che lo Stato non “cambi le carte in tavola” a sorpresa, ossia alle spalle (e a detrimento) degli individui, dovendo sempre garantire – in un sistema basato sul principio di preééminence du droit e sulla rule of law – una fairness, sostanziale o processuale (19).
Sennonché, l’impegnativa affermazione è però stemperata adottando una lettura della prevedibilità non in chiave impersonale e oggettiva, come sembrerebbe doveroso alludendo alla “base legale” sottesa all’art. 7 CEDU, bensì soggettiva ed individuale, da parametrarsi dunque sul grado di forseeability dell’imputato nel caso concreto: in questa prospettiva, infatti, la Corte Costituzionale si dice «convinta che la persona non potesse ragionevolmente pensare, prima della sentenza resa in causa Taricco, che l’art. 325 del TFUE prescrivesse al giudice di non applicare gli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen. ove ne fosse derivata l’impunità di gravi frodi fiscali in danno dell’Unione in un numero considerevole di casi, ovvero la violazione del principio di assimilazione» (punto 5).
In cauda, dunque, il richiamo al concetto venefico di prevedibilità soggettiva rischia di contaminare, sviandolo, un discorso coraggiosamente impostato sulla “legalità legale”; ed è noto – ce lo ricordano le sentenze italiane sugli effetti della sentenza della Corte EDU, Contrada c. Italia (20) – quanto questa declinazione della prevedibilità sia in grado di depotenziarne, nei fatti, la portata.

3.2.3. È proprio su questo versante – ovvero sul crinale dei rapporti tra legalità e contenuto degli obblighi europei enucleati dalla sentenza Taricco, e posti in capo al giudice comune – che si registrano infatti le affermazioni più perentorie, e si apprezza la vera “cifra politica” della pronuncia, ritenendo la Corte Costituzionale «necessario interrogarsi, sia sul rispetto della riserva di legge, sia sul grado di determinatezza assunto dall’ordinamento penale in base all’art. 325 del TFUE, con riguardo al potere del giudice, al quale non possono spettare scelte basate su discrezionali valutazioni di politica criminale» (punto 5).
Era questo, come si sa, il profilo di criticità maggiormente evidenziato nelle critiche della dottrina, segnalando la palese ambiguità dei criteri indicati dalla Corte a presupposto della disapplicazione, la sostanziale delega al giudice di scelte politico-criminali rimesse al Parlamento, se non persino l’integrale sostituzione alla legge di un “giudice di scopo” – una sorta di “giudice bricoleur” eletto a “legislatore” del caso singolo (21).
Qui, come è stato detto, la vera “posta in gioco” nella vicenda Taricco (22).
La Corte Costituzionale, d’altronde, ne sembra pienamente consapevole, e si premura di evidenziare con nettezza che «il tempo necessario per la prescrizione del reato e le operazioni giuridiche da compiersi per calcolarlo devono essere il frutto dell’applicazione, da parte del giudice penale, di regole legali sufficientemente determinate»: «[i]n caso contrario, il contenuto di queste regole sarebbe deciso da un tribunale caso per caso, cosa che è senza dubbio vietata dal principio di separazione dei poteri di cui l’art. 25, secondo comma, Cost. declina una versione particolarmente rigida nella materia penale» (punto 5).
Sarà un segno dei tempi: ma in meno di un lustro – sia detto solo per inciso – è la seconda volta, a quanto ci consta, che il giudice costituzionale – dopo la celebre sentenza n. 230 del 2012 (23) che ha negato l’equiparabilità tra mutamento giurisprudenziale e abolitio criminis – si sente costretto ad evocare un “sovraprincipio” come la “separazione dei poteri” – a lungo assunto a premessa tacita di ogni discorso sulla penalità –, valorizzandolo nella giusta sinergia con la garanzia della riserva di legge. Il richiamo, quindi, sembra quasi voler arginare (o esorcizzare) trasformazioni in progress che comporterebbero – o stanno comportando – modifiche strutturali di un ordinamento a base legale, quale il nostro, se non una vera e propria “sovversione di sistema” (24): torsioni tutte incompatibili con l’assetto costituzionale degli Stati membri di civil law che «non affidano al giudice il potere di creare un regime legale penale, in luogo di quello realizzato dalla legge approvata dal Parlamento, e in ogni caso ripudiano l’idea che i tribunali penali siano incaricati di raggiungere uno scopo, pur legalmente predefinito, senza che la legge specifichi con quali mezzi e in quali limiti ciò possa avvenire» (punto 9).
Pure da questa angolatura, in ogni caso, la sentenza della Corte di Giustizia appare alla nostra Corte fortemente deficitaria, e meritevole di chiarimento poiché, da un lato, «non vi è modo di definire in via interpretativa con la necessaria determinatezza il requisito del numero considerevole dei casi, cui è subordinato l’effetto indicato dalla Corte di Giustizia»; dall’altro, e più radicalmente, «Non è invece possibile che il diritto dell’Unione fissi un obiettivo di risultato al giudice penale e che, in difetto di una normativa che predefinisca analiticamente casi e condizioni, quest’ultimo sia tenuto a raggiungerlo con qualunque mezzo rinvenuto nell’ordinamento» (punto 5).
Insomma: la legge penale deve fissare in modo chiaro il perimetro dei casi punibili e i margini di gioco dell’interpretazione giudiziale; tassatività e determinatezza – quale che sia l’attuale stato di crisi del concetto di “fattispecie” (25) – impongono che la concretizzazione giudiziale dei casi, e il procedimento di sussunzione nello schema legale astratto, debbano avere un “fondamento ermeneutico controllabile”, non potendo limitarsi ad indicare al giudice «il raggiungimento di uno scopo, pur legalmente predefinito, senza che la legge specifichi con quali mezzi e con quali limiti ciò possa avvenire».
Imperativi tutti disattesi dalla decisione para-normativa resa in re Taricco: infatti, l’art. 325 TFUE, «pur formulando un obbligo di risultato chiaro e incondizionato … omette di indicare con sufficiente analiticità il percorso che il giudice penale è tenuto a seguire per conseguire lo scopo», aprendo alla possibilità, per il potere giudiziario, «di disfarsi, in linea potenziale di qualsivoglia elemento normativo che attiene alla punibilità o al processo, purché esso sia ritenuto di ostacolo alla prescrizione del reato», così eccedendo «il limite proprio della funzione giurisdizionale nello Stato di diritto quanto meno nella tradizione continentale» in un modo che «non pare conforme al principio di legalità enunciato dall’art. 49 della Carta di Nizza» (punto 9).

3.3. Il giudice costituzionale custode dei “controlimiti”

Su queste premesse, già molto significative ed impegnative (per l’assetto domestico come) per la Corte di Giustizia, la terza affermazione è quella di maggior significato sul piano delle fonti nelle dinamiche multilevel, e delle relazioni intra-ordinamentali, perché – dopo aver chiarito i vincoli costituzionali alla primauté – la Corte si impegna a ribadire la propria concezione “costituzionalmente orientata” dei “controlimiti” (26), dei quali si riconosce ex professo “custode ultima” e – in buona sostanza – “unica”.
Secondo i giudici, infatti, spetta «alle autorità nazionali la verifica ultima circa l’osservanza dei principi supremi dell’ordinamento nazionale», giacché – nello spazio di decisione rimesso a ciascun ordinamento – «[l]a Costituzione della Repubblica italiana … la rimette in via esclusiva a questa Corte …», che ha dunque il dovere di «accertare, se del caso, l’incompatibilità e conseguentemente escludere che la regola possa avere applicazione in Italia» (punti 6 e 7).
Del resto, è questa l’unica via per evitare il paradosso – e la “plateale contradictio in adiecto” – di affidare il controllo sulle limitazioni poste ad un ordinamento – quello dell’UE – al garante principe di quel medesimo ordinamento, ossia la Corte di Giustizia, assicurando che «l’identità nazionale [recte: costituzionale] che l’Unione deve rispettare è solo quella che viene dichiarata dallo Stato interessato, nelle forme e nei modi che la sua Costituzione stabilisce» (27).
Come si vede, l’esatto contrario di quanto stabilito dal giudice europeo nel noto caso Melloni (28), precedente che infatti la Corte si affretta a neutralizzare con un puntuale distinguishing.
Tale distinzione, tuttavia, affonda le sue radici su un profilo inevaso, in punto di base giuridica, e su un’alternativa non chiarita: infatti, o si considera la materia delle frodi all’IVA “comunitarizzata” – sulla traccia della citata sentenza Åkerberg Fransson (29) –, ed allora è il distinguo con la sentenza Melloni (peraltro concernente una decisione quadro…) diventa più arduo; oppure non lo è (più), e allora quicumque faber fortunae suae.
La via di mezzo – materia “comunitarizzata”, tanto da fomentare “effetti diretti”, ma “a geometria variabile”, giacché tali effetti sarebbero soggetti, almeno in Italia, alla mannaia della Corte Costituzionale – sembrerebbe un compromesso (salvifico e condivisibile, beninteso, ma) forse non del tutto coerente con la concezione per così dire “monistica” seguita dalla giurisprudenza europea, fulcro dell’armonizzazione: la base giuridica – nel nostro caso, l’art. 325 TFUE – e la stessa primauté del diritto UE assomiglierebbero molto ai numeri immaginari del giovane Törless, utili per una dimostrazione scientifica dalla quale poi, fatalmente, scompaiono.

3.4. Il problema irrisolto degli “effetti diretti” dell’art. 325 TFUE

È da questa angolatura che si scorge, forse, una zona d’ombra, e un passaggio sul quale l’ordinanza decide di fare epoché, forse ad evitare valutazioni troppo sospinte in munere alieno: la Corte Costituzionale si limita infatti a prendere atto che – secondo la Corte di Giustizia – all’art. 325 TFUE va riconosciuta efficacia diretta, ed arresta la sua verifica di compatibilità alle potenziali ricadute di tali effetti sul piano “esclusivamente nazionale”, secondo un percorso argomentativo che – si premura di precisare – «non deriva da una interpretazione alternativa del diritto dell’Unione».
Sennonché, proprio questo punto era – per così dire – la madre di tutti i problemi, e sarebbe stato forse opportuno entrare in medias res, anche in vista di possibili evoluzioni future (infra, § 5): la tesi degli “effetti diretti” discendenti dall’art. 325 TFUE – aggirando l’art. 83 TFUE – implica infatti la legittimazione di iniziative promosse (non solo mediante “direttive di armonizzazione” bensì anche) con regolamenti, normative direttamente applicabili e dunque potenziali strumenti di competenza penale diretta (30). Con problemi – certo non solo in punto di “riserva di legge” – che rischiano di ripresentarsi in forma aggravata.

4. I QUESITI PREGIUDIZIALI

È su queste basi, comunque, che si sviluppano i questi pregiudiziali, proposti alla Corte di Giustizia, sollecitandola a chiarire se: a) l’art. 325, paragrafi 1 e 2, del TFUE «debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato»; b) se tale articolo «debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando nell’ordinamento dello Stato membro la prescrizione è parte del diritto penale sostanziale e soggetta al principio di legalità»; c) se la sentenza Taricco «debba essere interpretata nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione europea, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia in contrasto con i principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato membro o con i diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione dello Stato membro».
Come si vede, la formulazione dei quesiti riflette “a specchio” l’intonazione globale dell’iter argomentativo, giacché i giudici costituzionali – quasi con uno hysteron proteron – sembrano dire: “sappia la Corte di Giustizia qual è la nostra visione dei principi in gioco e l’impatto della questione sulla cornice costituzionale italiana; dica, dunque, se davvero l’interpretazione resa nella sentenza Taricco è quella che abbiamo inteso”.

5. SCENARI PROSSIMI E FUTURI, SUL FRONTE EUROPEO E SUL FRONTE DOMESTICO

Ad un giudizio di sintesi, sembrerebbe che la Consulta si sia “arroccata” nella scacchiera costituzionale, se non persino – vista la perentorietà di talune affermazioni, e le strettoie imposte alla Corte di Giustizia – che abbia messo “sotto scacco” la sentenza Taricco.
Ma chi conosce le cadenze del “dialogo tra Corti” sa bene che non può trattarsi di uno “scacco matto”, tante sono le strade percorribili dal giudice di Lussemburgo, che del resto – pur avendo lasciato aperta la comunicazione, nel caso concreto (31) – non ha mai dimostrato particolare soggezione o deferenza nei confronti dei tribunali costituzionali nazionali.
Una prima opzione – quasi un commodus discessus, suggerito dalla stessa Corte Costituzionale (punto 7, in coda) – potrebbe condurre la Curia a considerare superato il problema dell’inadeguatezza repressiva delle frodi all’IVA alla luce delle modifiche recentemente apportate alla normativa penal-tributaria, con aumento di un terzo dei tempi di prescrizione per i reati puniti dagli articoli da 2 a 10 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (32), accontentandosi della “vittoria politica” pur a fronte dell’inapplicabilità della modifica ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore della legge.
Una seconda via – che chiameremo del “dialogo passivo” – potrebbe invece condurre il giudice europeo ad una interpretazione “sterilizzante” della sentenza Taricco (33), ovvero – quale possibile variante – una “rilettura tassativizzante” dei criteri enunciati, rimettendo al giudice nazionale la soluzione dei profili intertemporali. Così facendo, peraltro, il giudice europeo “incasserebbe” nel bilancio dell’acquis un dividendo giuridico di non poco momento in punto di “efficacia diretta” dell’art. 325 TFUE, e pro futuro la definitiva legittimazione a trarne condizioni vincolanti per le politiche criminali degli Stati membri: ma questo eventuale revirement lascerebbe aperto il problema della compatibilità di un simile assetto (non con la tassatività bensì) con la riserva di legge, punto sul quale – come si è visto – la nostra Corte ha arrestato il giudizio; e solo il tempo dirà se si tratta di una valutazione soltanto rinviata.
Viceversa, un “dialogo attivo”, ispirato alla cross-fertilization e “cooperativamente” orientato al maximum standard dei diritti in gioco potrebbe condurre la Corte a superare – con una inattesa “mossa del cavallo” – i ravvisati ostacoli costituzionali domestici incorporandoli al proprio interno, facendo lievitare l’interpretazione del principio di legalità – quale principio generale di diritto dell’Unione riconosciuto dall’art. 49 della Carta di Nizza – secondo l’estensione garantistica riconosciuta in sede domestica, e così ricomprendendovi l’istituto della prescrizione (34): sembrerebbe del resto questa – nonostante i toni decisi – la direttrice vagheggiata dalla Corte Costituzionale, sottolineando il contributo (non solo dell’“identità costituzionale” ma anche) delle “tradizioni costituzionali” comuni quali condizioni essenziali della comunità giuridica europea, nel solco dello slogan europeo “unità nella diversità” (35) ma anche – sotto traccia – della ambizione etica votata alla “massima espansione delle garanzie” (36) (una ambizione coltivata, per vero, non senza intermittenze dalla Consulta).
Ovviamente, la dimensione “irenica” del cooperative constitutionalism nel “sistema corale” delle Corti non esclude il verificarsi, inter alia, di uno scenario ben più contrastivo, che veda il giudice europeo – a fronte della fermezza del tribunale costituzionale italiano – trincerarsi in posizioni simili a quelle adottate nel caso Melloni (non a caso fatto oggetto del segnalato distinguishing nell’ordinanza in commento, a scongiurare possibili “venti di guerra”…): a questa sorta di “arrocco a rovescio” seguirebbe una fase di “stallo costituzionale”, con conseguente “scelta tragica” – a valle – in capo al giudice costituzionale italiano: imitare la “ritirata strategica” del Tribunal constitucional spagnolo, nel caso Melloni, con accettazione obtorto collo degli standard (meno) garantistici comunitari (in punto di MAE e processo in absentia), ovvero – ipotesi che sembrerebbe forse più probabile, date le premesse – dare seguito agli avvertimenti, facendo applicazione dei controlimiti, sulla traccia della linea costituzionalmente più protezionistica e muscolare – rigidamente edificata sull’“identità costituzionale” – seguita, in diverse occasioni, dal Bundesverfassungsgericht.
Ciò che è certo è che, nelle more della decisione europea (richiesta con “procedimento accelerato”), l’ordinanza della Corte Costituzionale non potrà che avere un “effetto di congelamento” sul potere di disapplicazione dei giudici italiani investiti di casi analoghi, giacché rimuovere la disciplina degli atti interruttivi in forza dell’art. 325 TFUE risulta – allo stato – rimedio comunitariamente suggerito, ma costituzionalmente impercorribile, essendo stato chiaramente paventato «un impedimento di ordine costituzionale alla sua applicazione diretta da parte del giudice» (punto 8).
In conclusione, a noi sembra che l’ordinanza Taricco sia stata non solo occasione per sollecitare un doveroso “regolamento di confini”, mostrando al giudice del Kirchberg la sagoma delle mura costituzionali, ma anche spunto per impegnare la Corte Costituzionale in una riaffermazione “alta” – e “a tutto tondo” – dei diversi profili di garanzia del nullum crimen, che – se coltivata – potrebbe essere preziosa anche intra moenia: legalità estesa ad ogni profilo capace di incidere sulla punibilità (anche al di là delle paratie categoriali, e della distinzione diritto sostanziale/processuale); determinatezza e riserva di legge come presidi della separazione dei poteri e della rappresentatività democratica; esplicito e solenne “ripudio” del giudice di scopo; tutti tratti costitutivi del patrimonio costituzionale troppo opacizzati e sbiaditi nell’esperienza recente.
Chissà che questa decisione non inauguri una pausa di riflessione sulle spinte eccessive (ed illiberali) che può subire il processo di integrazione europea, «con l’effetto di degradare le conquiste nazionali in tema di libertà fondamentali» (punto 8); e che al contempo non possa contribuire – sul piano domestico – ad un riequilibrio dei rapporti, ormai sconnessi, tra legalità e giurisdizione.
La speranza, dunque, è che l’ordinanza in commento non sia solo una luminosa, ma fugace, «ship passing in the night» (37).

Prof. Vittorio Manes
Ordinario di diritto penale nell’Università di Bologna

* L’ordinanza della Corte Costituzionale 26 gennaio 2017, n. 24, è pubbl. in questo stesso fascicolo a pag. 409.
(1) Corte Giust. UE, sez. grande, 8 settembre 2015, causa C-105/14, Taricco c. Italia, in Boll. Trib., 2015, 1662, con nota di M. PROIETTI, Norme sulla prescrizione dei reati fiscali al vaglio della Corte di Giustizia europea: gli effetti dirompenti di una pronuncia di incompatibilità con il diritto sovranazionale. Ampia la schiera dei commenti: tra le voci tendenzial¬mente favorevoli F. VIGANÒ, Disapplicare le norme vigenti sulla prescrizione nelle frodi in materia di IVA? Primato del diritto UE e nullum crimen sine lege in una importante sen¬tenza della Corte di Giustizia (sent. 8 settembre 2015 (Grande Sezione), Taricco, causa C-105/14, in Dir. pen. cont., 14 settembre 2015; A. VENEGONI, La sentenza Taricco: una ulterio¬re lettura sotto il profilo dei riflessi sulla potestà legislativa dell’Unione in diritto penale nell’area della lotta alle frodi, ivi, 29 ottobre 2015; F. ROSSI, La sentenza Taric¬co e l’obbligo di disapplicazione in malam partem di norme penali: tra integrazione europea e controlimiti, in corso di pubblicazione in Riv. it. dir. proc. e pen., 2016; con variega¬ti accenti critici, si veda invece S. MANACORDA, Per la Corte di Giustizia le frodi gravi in materia di IVA si prescrivono troppo in fretta: note minime a prima lettura della sentenza “Taricco”, in Archivio pen., n. 3/2015; C. AMALFITANO, Da una impunità di fatto a una imprescrittibilità di fatto della frode in materia di imposta sul valore aggiunto?, in SIDIBlog (www.sidi-isil.org/sidiblog/), 15 settembre 2015; A. CIAMPI, Il caso Taricco impone la disapplicazione delle garanzie della prescrizione: un problema di rapporti fra diritto dell’UE e di¬ritto nazionale e di tutela dei diritti fondamentali, non solo di diritto processuale internazionale, in Int’l Lis, 2015, 113 ss.; G. CIVELLO, La sentenza “Taricco” della Corte di Giustizia: contraria al Trattato la disciplina italiana in tema di inter¬ruzione della prescrizione del reato, in Arch. pen., 2015, n. 3; P. GAETA, Rapporti tra fonti europee e cassazione in tema di legalità: alcune icone, relazione svolta al convegno di Parma, 9/10 ottobre 2015, dattiloscritto (in corso di pubblicazione nel volume a cura di A. CADOPPI), 4; G. SALCUNI, Legalità europea e prescrizione del reato, in www.archiviopenale.it; O. MAZZA, Il sasso nello stagno: la sentenza Taricco e il crepuscolo della legalità penale, in Rass. trib., 2015, 1554 ss.; L. EUSEBI, Nemmeno la Corte di Giustizia dell’Unione europea può erigere il giudice a legislatore. No¬te in merito alla sentenza Taricco, in Dir. pen. cont., Riv. trim., n. 2/2015, 40 ss.; E.M. AMBROSETTI, La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea in tema di disapplicazione dei termini di prescrizione: medioevo prossimo venturo?, in Proc. pen. giust., 2016, n. 1, 49 s.; M. CAIANIELLO, Dum Romae (et Brucsellae) Consulitur … Some considerations on the Taricco Judgement and Its Consequences at National and European Level, in European Journal of Crime, Criminal Law and Criminal Justice, 24 (2016), 1 ss.; R. CALVANO, La Corte Costituzionale e i “Controlimiti” 2.0, in www.federali¬smi.it, 20 febbraio 2016; A. CAMON, La torsione d’un siste¬ma. Riflessioni intorno alla sentenza Taricco, in Arch. nuova proc. pen., 2016, 2 ss.; V. MAIELLO, Prove di resilienza del nullum crimen: Taricco versus controlimiti, in Cass. pen., 2016, 1250 ss.; B. ROMANO, Prescrizione e ragionevole durata del processo: principi da difendere o ostacoli da abbattere?, in Dir. pen. cont., 15 febbraio 2016; C. SOTIS, I limiti del giudice come controlimiti, intervento al convegno di Milano, 15 aprile 2016, in corso di pubblicazione; A. VALLINI, La portata della sentenza della Corte di Giustizia “Taricco”, in corso di pubblicazione; M. BASSINI, Prescrizione e principio di legalità nell’ordine costituzionale europeo. Note critiche alla sentenza Taricco, in corso di pubblicazione; inoltre A. GAMBERINI, La crisi della tipicità. Appunti per una riflessione sulla trasformazione della giustizia penale, in Dir. pen. cont., 4 aprile 2016, 8 ss.; I. PELLIZZONE, Profili costituzionali del¬la riserva di legge in materia penale, Milano, 2016, 78 ss.; L. DANIELE, La triangolazione delle garanzie processuali fra diritto dell’Unione europea, CEDU e sistemi nazionali, in Dir. pen. cont., 11 aprile 2016, 17 ss.
(2) Tra i primi commenti F. PALAZZO, La Consulta risponde alla “Taricco”: punti fermi, anzi fermissimi, e dialogo aperto, in corso di pubblicazione in Dir. pen. proc., n. 3 del 2017; C. AMALFITANO, La vicenda Taricco nuovamente al vaglio della Corte di Giustizia: qualche breve riflessione a caldo, in Eurojus.it; C. CUPELLI, La Corte Costituzionale ancora non decide sul caso Taricco, e rinvia la questione alla Corte di Giustizia, in Dir. pen. cont., 30 gennaio 2017; P. FARAGUNA, The Italian Constitutional Court in re Taricco: “Gauweiler in the Roman Campagna”, VerfBlog, 31 gennaio 2017; O. POLLICINO – M. BASSINI, When cooperation means request for clarification, or better for “revisitation”, ivi, 30 gennaio 2017.
(3) Monito espresso (punto 7, in coda) fatta salva la verifica sull’efficacia delle recenti modifiche approntate nel settore penale tributario nel 2011, con l’aumento di un terzo dei termini dei reati puniti dagli artt. da 2 a 10 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
(4) Sulla questione, da diverse prospettive di inquadramento e con varietà di opinioni, si veda ora la ricca raccolta di saggi a cura di A. BERNARDI, I controlimiti. Primato delle norme europee e difesa dei principi costituzionali, Napoli, 2017, che si aggiunge al volume collettaneo C. PAONESSA – L. ZILLETTI (a cura di), Dal giudice garante al giudice disapplicatore delle garanzie. I nuovi scenari della soggezione al diritto dell’Unione europea: a proposito della sentenza della Corte di Giustizia Taricco, Pisa, 2016; ed ancora i contributi raccolti in occasione del convegno “Aspettando la Corte costituzionale. Il caso Taricco e i rapporti tra diritto penale e diritto europeo”, pubblicati in Riv. AIC, n. 4/2016.
(5) Per una sintesi sulle diverse posizioni dottrinali e giurisprudenziali, ved. altresì F. MAZZACUVA, I reati tributari nel contesto europeo, in R. BRICCHETTI – P. VENEZIANI (a cura di), Reati tributari, Torino, 2017, in corso di pubblicazione.
(6) Cass., sez. III pen., 20 gennaio 2016, n. 2210, in Boll. Trib. On-line; nonché in Dir. pen. cont., 22 gennaio 2016; e, in Giur. it., 2016, 965 ss., con nota di F. ROSSI, La Cassazione disapplica gli artt. 160 e 161 c.p. dopo la sentenza Taricco.
(7) Così Cass., sez. IV pen., 20 gennaio 2016, n. 7914 (in Boll. Trib. On-line; nonché in Dir. pen. cont., 3 marzo 2016, con nota di A. GALLUCCIO, La Cassazione di nuovo alle prese con Taricco: una sentenza cauta, in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale), ritenendo nel caso sottoposto non doverosa la disapplicazione degli artt. 160 e 161 c.p., non sussistendo – in particolare – i presupposti enucleati dalla sentenza della Corte di Giustizia, e diversificando comunque le opzioni percorribili a seconda che la prescrizione sia già maturata o meno.
(8) Così, in particolare, prima App. Milano 18 settembre 2015, ord. n. 6421 (in Boll. Trib., 2015, 1677, con nota di M. PROIETTI, Norme sulla prescrizione dei reati fiscali al vaglio della Corte di Giustizia europea: gli effetti dirompenti di una pronuncia di incompatibilità con il diritto sovranazionale, cit.; nonché in Dir. pen. cont., 21 gennaio 2015, con commento di F. VIGANÒ, Prescrizione e reati lesivi degli interessi finanziari dell’UE: la Corte d’Appello di Milano sollecita la Corte Costituzionale ad azionare i ‘controlimiti’), rilevando il contrasto con l’art. 25, secondo comma, Cost.; poi, ampliando i parametri di costituzionalità (artt. 3, 11, 27, terzo comma, 101, secondo comma, Cost.), la Cass., sez. III pen., 8 luglio 2016, ord. n. 28346 (in Boll. Trib. On-line; e in Dir. pen. cont., 15 luglio 2016).
(9) A. STONE SWEET, A Cosmopolitan Legal Order: Costitutionalism Pluralism and Rights Adjucation in Europa, in Global Costitutionalism, 2012, 53 ss.
(10) Sul punto, volendo, V. MANES, Dove va il controllo di costituzionalità in materia penale?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, 154 ss.
(11) Al riguardo S. CASSESE, Fine della solitudine delle corti costituzionali, ovvero il dilemma del porcospino, in Ars interpretandi, 2015, 21 ss.
(12) A conferma peraltro di una scelta di campo inaugurata nel recente passato: dopo la “svolta” intervenuta con l’ordinanza n. 103 del 15 aprile 2008 (in Boll. Trib. On-line), ove la Corte Costituzionale aveva appunto sollevato una questione pregiudiziale di interpretazione in un giudizio in via principale (riconoscendosi per la prima volta la natura di “giurisdizione nazionale” ai sensi dell’art. 267, terzo comma, TFUE), la possibilità di adire la Corte di Giustizia in un giudizio in via incidentale è stata affermata, come noto, nell’ordinanza 18 luglio 2013, n. 207 (ivi).
(13) Cfr. Corte Cost. 24 febbraio 1971, n. 30; e Corte Cost. 27 dicembre 1973, n. 183; entrambe in Boll. Trib. On-line.
(14) Sul punto ved. anche F. PALAZZO, La Consulta risponde alla “Taricco”, cit.
(15) P. GAETA, Rapporti tra fonti europee e Cassazione in tema di legalità, cit.
(16) Ma, sul punto, ved. i rilievi critici ed i richiami giurisprudenziali di C. AMALFITANO, La vicenda Taricco nuovamente al vaglio della Corte di Giustizia, cit., 2, richiamando l’orientamento della «Corte di Giustizia, secondo cui, anche quando il legislatore nazionale opera nell’esercizio di una competenza a lui riservata almeno in linea di principio (come nel caso di specie, trattandosi di definizione della portata dell’istituto della prescrizione), è comunque tenuto al rispetto del diritto dell’Unione».
(17) A seguito della sentenza Åkerberg Fransson (Corte Giust. UE 26 febbraio 2013, causa C-617/10, in Boll. Trib. On-line), il Bundesverfassungsgericht ha prontamente risposto con una decisione sul caso del c.d. “data base antiterrorismo” (BVerfG, 1 BvR, 1215/07 del 24 aprile 2013), minacciando la censura di atti ultra vires qualora la Corte avesse insistito nell’orientamento affermato nella citata pronuncia (sul punto M. PACINI, Lussemburgo e Karlsruhe a duello sull’applicabilità della Carta UE, in Osservatorio dell’Associazione dei costituzionalisti, settembre 2013).
(18) Corte EDU 20 settembre 2011, Oao Neftyanaya Kompaniya Yukos c. Russia, in Boll. Trib. On-line.
(19) Del resto non si comprenderebbe altrimenti perché la Corte EDU, con l’autorevolezza della Grande Camera (21 ottobre 2013, Del Rio Prada c. Spagna, in Boll. Trib. On-line), abbia sanzionato la retroattività occulta di un mutamento giurisprudenziale imprevedibile in materia sanzionatoria esecutiva.
(20) Corte EDU 14 aprile 2015, Contrada c. Italia, in Boll. Trib. On-line.
(21) Soprattutto L. EUSEBI, Nemmeno la Corte di Giustizia dell’Unione europea può erigere il giudice a legislatore, cit. (altresì, in C. PAONESSA – L. ZILLETTI (a cura di), Dal giudice garante al giudice disapplicatore delle garanzie, cit., 93 ss.).
(22) D. PULITANÒ, La posta in gioco nella decisione della Corte Costituzionale sulla sentenza Taricco, in Dir. pen. cont., Riv. trim., n. 1/2016, 228 ss.
(23) Corte Cost. 12 ottobre 2012, n. 230, in Boll. Trib. On-line.
(24) Al riguardo, volendo, V. MANES, La “svolta” Taricco e la potenziale “sovversione di sistema”, ora in A. BERNARDI (a cura di), I controlimiti, cit., 203 ss., 219 ss.; amplius ID., Common law-isation del diritto penale?: trasformazioni del nullum crimen e sfide prossime future, in Cass. pen., 2017 (in corso di pubblicazione).
(25) Crisi dalla quale trae spunto, ora, l’autorevole riflessione del Primo Presidente della Cassazione, G. CANZIO, Nomofilachia e diritto giurisprudenziale, in Dir. pen. cont., 6 febbraio 2017, 3 s.
(26) Sul tema, si veda ora il magistrale affresco di A. BERNARDI, Presentazione. I controlimiti al diritto dell’Unione europea e il loro discusso ruolo in ambito penale, in ID. (a cura di), I controlimiti, cit., VIII ss.
(27) M. LUCIANI, Il brusco risveglio. I controlimiti e la fine mancata della storia costituzionale, ora in A. BERNARDI (a cura di), I controlimiti, cit., 72 s.
(28) Come noto, nella decisione Melloni (Corte Giust. UE, sez. grande, 26 febbraio 2013, C-399/11, in Boll. Trib. On-line; e in Riv. dir. internaz., 2013, 971) la Corte di Giustizia – in risposta ad un quesito pregiudiziale posto dal Tribunal constitucional spagnolo – aveva negato la possibilità – invocata alla luce del diverso standard garantistico riconosciuto nella Costituzione spagnola – di aggiungere condizioni all’esecuzione di un mandato di arresto europeo; su queste basi, di fatto, il principio in tema di «livello di protezione» sancito dall’art. 53 CDFUE (Carta dei diritti fon¬damentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo), così come il principio del rispetto dell’identità nazionale degli Stati membri di cui all’art. 4.2 TUE hanno finito col soccombere, in sede di bilanciamento, rispetto ai principi del primato, unità ed effettività del diritto sovranazionale, nonché ai principi di fiducia e riconoscimento reciproci che la decisione quadro sul mandato d’arresto europeo mira a rafforzare, dimostrando chiaramente la «possibile “sterilizzazione” della protezione assicurata all’identità nazionale dalle corti domestiche attraverso i controlimiti» (così A. BERNARDI, Il difficile rapporto tra fonti interne e fonti sovranazionali, in C.E. PALIERO – S. MOCCIA – G. DE FRANCESCO – G. INSOLERA – M. PELISSERO – R. RAMPIONI – L. RISICATO (a cura di), La crisi della legalità. Il sistema vivente delle fonti penali, Napoli, 2017, 7 ss., 79, con ulteriori rilievi critici). Al riguardo, la Corte si premura di precisare – qui il distinguishing – che mentre in Melloni una differente soluzione avrebbe comportato «la rottura dell’unità del diritto dell’Unione in una materia basata sulla reciproca fiducia in un assetto normativo uniforme», nella vicenda Taricco non sarebbe posto in discussione il primato del diritto dell’Unione, quanto piuttosto l’esistenza di «un impedimento di ordine costituzionale alla sua applicazione diretta da parte del giudice», che «non dipende dalla contrapposizione di una norma nazionale alle regole dell’Unione ma solo dalla circostanza, esterna all’ordinamento europeo, che la prescrizione in Italia appartiene al diritto penale nazionale, e soggiace perciò al principio di legalità in materia penale» (punto 8).
(29) Cfr. nota 17. Sulla quale, tra i molti commenti, ved. S. MANACORDA, Dalle carte dei diritti a un diritto penale à la carte, in Dir. pen. cont., Riv. trim., 3, 2013, 242 ss., e ora A. BERNARDI, Il difficile rapporto tra fonti interne e fonti sovranazionali, cit., 60 ss., rilevando l’ambiguità (e la frequente contraddittorietà) delle argomentazioni dalla Corte di Giustizia.
(30) Sull’attribuzione di effetti diretti all’art. 325 TFUE, e sui relativi rischi di implicita espansione illimitata delle competenze UE, volendo, V. MANES, La “svolta” Taricco e la potenziale “sovversione di sistema”, 210 s., cit.
(31) Segnatamente, il punto 53 della sentenza di Corte Giust. UE, causa C-105/14, cit.: «Occorre aggiungere che se il giudice nazionale dovesse decidere di disapplicare le disposizioni nazionali di cui trattasi, egli dovrà allo stesso tempo assicurarsi che i diritti fondamentali degli interessati siano rispettati. Questi ultimi, infatti, potrebbero vedersi infliggere sanzioni alle quali, con ogni probabilità, sarebbero sfuggiti in caso di applicazione delle suddette disposizioni di diritto nazionale».
(32) Art. 2, comma 36-vicies semel, lett. l), del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, primo comma, della legge 14 settembre 2011, n. 148.
(33) C. CUPELLI, La Corte Costituzionale ancora non decide sul caso Taricco, cit.
(34) C. AMALFITANO, La vicenda Taricco nuovamente al vaglio della Corte di Giustizia, cit., secondo la quale, in tal modo, i «valori sottesi al controlimite verrebbero in un certo senso “acquisiti” dal sistema giuridico dell’Unione come principio generale del diritto e valorizzati quale fattore di integrazione dell’ordinamento sovranazionale, nei suoi rapporti con quelli degli Stati membri (come già accaduto, ad esempio, nei casi Omega e Dynamic Medien)».
(35) Accentuano questo profilo, in particolare, F. PALAZZO, La Consulta risponde alla “Taricco”, cit., e, con vigore, O. POLLICINO – M. BASSINI, When cooperation means request for clarification, or better for “revisitation”, cit., 4.
(36) Corte Cost. 4 dicembre 2009, n. 317, in Boll. Trib. On-line.
(37) Prendiamo a prestito la metafora Henry Wadsworth Longfellow, richiamata da s. CASSESE, Fine della solitudine delle Corti Costituzionali, cit., 22.

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