12 Gennaio, 2015


 

 

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Natura giuridica e irretroattività – 3. Gli elementi oggettivi – 4. La commissione di uno dei delitti previsti dal D.Lgs. n. 74/2000 – 5. La presenza di un profitto del reato e la quantificazione del suo valore – 6. L’impossibilità di confiscare il diretto profitto del reato – 7. Il successivo pagamento dell’imposta evasa all’erario – 8. Gli elementi soggettivi – 9. La presenza di una condanna – 10. Il concorso di persone nel reato – 11. I beni che possono essere oggetto di confisca – 12. La confisca nei confronti delle persone giuridiche.

 

1. Premessa

Ad oltre sei anni dall’introduzione della confisca per equivalente nel diritto penale tributario (1) si cercherà di delineare qual è stata, in giurisprudenza, l’applicazione data a questo istituto evidenziando gli elementi che appaiono oramai frutto di un consolidato orientamento giurisprudenziale e quelli che, invece, o non sono stati ancora compiutamente affrontati o sono oggetto di decisioni non sempre tra di loro conformi.

In termini generali può, innanzitutto, osservarsi che la concreta possibilità di incidere sul patrimonio del reo, attraverso l’apprensione di un valore corrispondente al profitto conseguito a seguito dell’avvenuta illecita sottrazione d’imposte all’erario (2), ha determinato una nuova vitalità del diritto penale tributario stimolando gli organi dell’accusa ad un maggiore attivismo in questo settore che ha, poi, portato, in modo conseguente, ad un’immediata richiesta di intervento, da parte delle difese, delle giurisdizioni superiori. Interventi giurisprudenziali che sono stati diretti a risolvere quelle difficoltà interpretative derivanti, tra l’altro, dalla tecnica legislativa utilizzata per introdurre la confisca per equivalente nel diritto penale tributario – attraverso il rinvio alla norma che prevede la confisca per equivalente per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica Amministrazione – che ha determinato delle specifiche difficoltà applicative non essendo stati compiutamente regolati quegli elementi propri alla materia nella quale questa andava ad inserirsi (3).

2. Natura giuridica e irretroattività

Pur essendo la confisca per equivalente un istituto già previsto per altre fattispecie penali (4), soprattutto con la sua introduzione nel diritto penale tributario si è posta la questione sulla possibile applicazione retroattiva (5) di tale misura ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore.

Per dirimere la questione è stato necessario verificare quale sia l’esatta natura di tale confisca accertando, tra l’altro, se la stessa coincida o sia, invece, diversa da quella propria della confisca diretta del reato disciplinata, in termini generali (6), dall’art. 240 c.p. tenendo conto che quest’ultima, quale misura di sicurezza, avendo natura cautelare e non punitiva, è applicabile retroattivamente anche ai fatti commessi prima della sua introduzione nell’ordinamento penale (7).

Al riguardo, da subito e con una giurisprudenza di legittimità costante, si è indicato come la confisca per equivalente, a differenza di quella regolata dall’art. 240 c.p., non possa essere valutata come una misura di sicurezza che viene a privare il condannato di un bene pericoloso in quanto per la sua adottabilità non solo non è richiesta ma, anzi, deve essere assente (8) ogni connessione tra il bene colpito e la condotta illecita.

Da questo mancato collegamento consegue la natura sanzionatoria di tale misura costituendo la stessa una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti, essendo diretta a ripristinare la situazione economica, modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, mediante l’imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile. Funzione questa che la connota di un carattere affittivo e di un rapporto conseguenziale alla commissione del reato proprio della sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione che costituisce, invece, la principale finalità delle misure di sicurezza (9).

Decisioni queste alle quali ha aderito anche la Corte Costituzionale che ha confermato la natura sanzionatoria di tale confisca mancando in essa ogni rapporto di pertinenzialità tra il reato e i beni oggetto della misura stessa e con esso, allora, l’assenza di una loro pericolosità che ne possa giustificare l’adozione (10).

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Dalla appena indicata natura sanzionatoria della confisca per equivalente e dalla sua non riconducibilità nell’ambito delle misure di sicurezza, deriva, allora, che questa non possa trovare applicazione retroattiva tenendo conto di quanto stabilito, in materia di sanzioni penali, sia dall’art. 25, secondo comma, Cost. (11), che dall’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (12) per come, peraltro, quest’ultima norma è stata interpretata dalla Corte di Giustizia europea (13).

Pertanto, la confisca per equivalente in ambito penale tributario può applicarsi solo con riferimento al profitto illecito conseguito a seguito della commissione di reati consumatisi dopo l’entrata in vigore della legge finanziaria per l’anno 2008 che ha esteso questa forma di confisca ai delitti regolati dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e indi dal 1° gennaio 2008 (14). In modo conseguente, laddove poi si proceda per reati commessi in parte prima del 1° gennaio 2008 e in parte dopo tale data, la confisca per equivalente potrà avere ad oggetto unicamente il valore corrispondente all’imposta evasa (o sottratta) a seguito della commissione dei secondi (15).

In ultimo si osserva come l’esatta individuazione della natura della confisca per equivalente ha rilevanza non solo con riferimento alla dichiarata irretroattività di tale misura ma anche per la sua corretta applicazione con riferimento alle diverse questioni che sono emerse e che verranno di seguito affrontate (16).

3. Gli elementi oggettivi

Dal punto di vista oggettivo per potersi procedere alla confisca per equivalente ex art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), è necessario che:

a) sia stato commesso uno dei delitti regolati dal D.Lgs. n. 74/2000;

b) a seguito della commissione di questo reato sia stato conseguito un profitto illecito;

c) non sia stato possibile procedere al sequestro e alla confisca del profitto direttamente conseguito a seguito di questa condotta illecita;

d) successivamente al fatto e prima della condanna definitiva non si sia stata, spontaneamente, pagata l’imposta dovuta oggetto dell’evasione per la quale si procede penalmente.

4. La commissione di uno dei delitti di cui al D.Lgs. n. 74/2000

Con riferimento a questo elemento la norma qui in esame elenca, in modo analitico, i reati tributari per i quali è possibile procedere all’applicazione dell’art. 322-ter c.p. e con esso alla confisca per equivalente.

Elencazione che comprende – con l’eccezione di seguito indicata – tutti i delitti previsti dal D.Lgs. n. 74/2000 in misura tale da far si che in presenza di uno di questi reati è sempre possibile – e, anzi, obbligatorio – procedere alla confisca del profitto del reato, eventualmente, per equivalente.

L’unico reato tributario, regolato dal D.Lgs. n. 74/2000, non richiamato dalla disposizione in esame è quello previsto dall’art. 10 avente ad oggetto l’occultamento e la distruzione dei documenti contabili per il quale, quindi, non si potrà procedere a confisca per equivalente (17). Esclusione questa che ha la sua ragione nella natura dell’illecito regolato dall’art. 10 il quale, essendo un reato di pericolo (18), diretto in via principale alla tutela della trasparenza fiscale (19), non ha tra i suoi elementi costitutivi l’avvenuto conseguimento di un profitto non essendo richiesto che, a seguito della sua commissione, vi sia stata un’evasione di imposta (20).

5. La presenza di un profitto del reato e la quantificazione del suo valore

Per potersi applicare la confisca per equivalente è necessario che, con la commissione del delitto tributario, sia stato conseguito, in modo certo, un profitto (21) non potendosi applicare detta misura laddove nessun concreto vantaggio economico vi sia stato a seguito della condotta illecita sanzionata dalla norma penale (22) avendo, come già indicato, questa confisca quale funzione quella di sottrarre al reo un valore corrispondente a quello – anche da altri – illecitamente conseguito.

Pertanto, prima della sua adozione deve innanzitutto verificarsi che in concreto, a seguito della condotta illecita sanzionata dal D.Lgs. n. 74/2000, sia stato conseguito un profitto, inteso quale vantaggio economico ricavato, in via immediata e diretta, dal reato (23).

Accertamento che per i reati tributari è necessario tenendo conto che vi sono alcuni di essi (le fattispecie di cui agli artt. 2, 8 e 11) che sono delineati quali reati di pericolo (24) che possono, pertanto, realizzarsi anche laddove, in concreto, nessun danno per l’erario e, indi, nessuna evasione (o sottrazione) di imposta si sia verificata essendo, in questi ultimi casi, evidente che, in assenza di un profitto derivante dalla condotta illecita, non potrà applicare alcuna confisca per equivalente.

Una volta verificata la presenza di un profitto conseguito a seguito del reato deve procedersi a quantificare, in modo preciso, quale sia il suo valore tenendo conto di come questo elemento sia delineato nella norma violata. Infatti, dovendo la confisca per equivalente intervenire «per un valore corrispondente a tale … profitto», il rispetto del principio di legalità impone al giudice di determinare l’esatto valore del profitto del reato per poi emettere il provvedimento di confisca in relazione a quei beni del reo aventi un valore equivalente e, comunque, non superiore ad esso.

Al riguardo, nei reati tributari il profitto è dato dall’importo dell’imposta evasa (25) – o non versata o sottratta – o dell’indebito rimborso ottenuto a seguito della condotta illecita per come questi elementi sono descritti e richiamati dalle singole fattispecie penali.

In tale ambito, nel compiere questa valutazione, si dovrà, tra l’altro, tenere conto che il D.Lgs. n. 74/2000 ha ad oggetto la tutela delle sole imposte sui redditi e dell’IVA e, pertanto, nella computazione del valore della somma confiscabile dovrà tenersi conto unicamente del profitto derivante dal mancato versamento di queste imposte senza che, invece, possa avere rilevanza quell’ulteriore profitto conseguente alla, concorrente e connessa, evasione di un’imposta non richiamata dalla fattispecie violata (26).

Inoltre non potranno considerarsi in questo valore gli accessori di legge derivanti dalla condotta di evasione d’imposta – interessi e sanzioni – se non nei casi nei quali il loro mancato pagamento (o meglio la loro sottrazione) (27) faccia parte della fattispecie penale violata dovendosi, allora, limitare – in termini generali – quanto oggetto di ablazione al solo importo dell’imposta evasa (28).

Dopo aver individuato il valore del profitto del reato deve effettuarsi una valutazione dei beni da assoggettare a confisca essendo necessaria un’equivalenza tra il valore dei beni confiscati e il profitto conseguito con la condotta illecita (29) sanzionata non potendosi imporre questo vincolo per un valore ad esso eccedente.

Questi accertamenti devono avvenire già nella fase di cognizione (30) non potendosi rinviare questa verifica alla fase dell’esecuzione trattandosi di elementi necessari per la legalità della misura ablatoria la cui valutazione da parte del giudice di merito è, peraltro, espressamente prevista dal comma terzo dell’art. 322-ter c.p. ove è indicato che «nei casi di cui ai commi primo e secondo il giudice con la sentenza di condanna determina le somme di denaro o individua i beni assoggettati a confisca … in quanto di valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato».

Principi questi che valgono anche nella fase cautelare, allorché viene emesso il provvedimento di sequestro (31).

Tuttavia in sede cautelare, essendo abitualmente il procedimento penale in una fase iniziale ove non necessariamente l’imposta evasa è stata determinata con esattezza, sarà possibile giungere a questa necessaria determinazione attraverso l’adozione di criteri presuntivi che tengono conto degli elementi emersi durante le indagini che poi chiaramente saranno oggetto di nuova valutazione in sede di merito quando le verifiche necessarie sono state compiute (32).

Inoltre, in questa fase, il giudice nell’emettere il provvedimento cautelare non dovrà necessariamente individuare i singoli beni oggetto della misura e il loro valore essendo sufficiente che lo stesso fissi la somma fino alla concorrenza della quale il sequestro deve essere eseguito lasciando poi all’organo demandato all’esecuzione – e cioè al Pubblico Ministero e/o alla polizia giudiziaria – la loro concreta individuazione (33) purché gli stessi si attengano al valore indicato e potendo, poi, il soggetto colpito chiedere una verifica sul punto al Tribunale del riesame (34).

6. L’impossibilità di confiscare il diretto profitto del reato

Come espressamente indicato dall’art. 322-ter c.p. e come emerge dalla ratio di questo istituto, la confisca per equivalente può essere attivata solo laddove non sia possibile sequestrare i beni costituenti il diretto profitto del reato dovendosi, in una tale ultima ipotesi, agire previamente su di essi. Infatti, trattasi di misura residuale che è stata prevista per ovviare all’eventuale impossibilità di reperire i beni confiscabili ex art. 240 c.p. essendo comunque preferibile, in una funzione di prevenzione speciale, intervenire, in via principale, colpendo proprio quei beni il cui illecito conseguimento sia stato alla base della spinta criminosa del reo, potendo allora questa essere adottata, stante anche la sua natura sanzionatoria, solo in caso di loro assenza o irreperibilità.

Pertanto il giudice, prima di emettere una tale misura, deve compiere questa preliminare verifica dandone poi un’adeguata motivazione nel suo provvedimento (35).

In questo contesto normativo, valido per tutte le ipotesi di confisca per equivalente, deve tuttavia evidenziarsi che in materia di reati tributari questo preventivo accertamento è, effettivamente, necessario solo per una limitata parte di essi.

Infatti, nella gran parte dei reati tributari, il profitto illecito è dato da un risparmio (36) derivante dal mancato pagamento delle imposte dovute e, allora, in tutte queste ipotesi non è mai possibile procedere alla confisca diretta del profitto del reato (37) non potendosi, oggettivamente, rinvenire un bene che sia ad esso direttamente collegato. Con ciò, quindi, in misura tale da rendere, in questi casi, inutile una tale preventiva verifica (38) potendo così il giudice limitarsi a dare atto di questo elemento.

Vi sono invece dei reati tributari ove è individuabile un bene direttamente conseguito a seguito della condotta illecita e ove è, quindi, possibile una confisca diretta del profitto del reato. In particolare, si fa riferimento ai casi di conseguimento di un illecito rimborso (39) o alle fattispecie di cui agli artt. 10-bis e 10-ter (40) del D.Lgs. n. 74/2000 (41) ove sono presenti dei beni conseguiti dal reo a seguito della condotta evasiva o sottrattiva che possono essere oggetto della confisca diretta. In questi casi, pertanto, è necessario che il giudice accerti l’impossibilità di reperimento e di sequestro dei beni – di cui pure sia certa l’esistenza – costituenti il diretto profitto del reato, condizionando una tale verifica la possibilità di adottare, prima, il provvedimento cautelare e, poi, quello definitivo di confisca per equivalente (42). A tale fini, tuttavia, per valutare la presenza di questa impossibilità non deve necessariamente richiedersi che questa sia assoluta e definitiva potendosi trattare anche di un’impossibilità transitoria o reversibile (43), purché esistente nel momento in cui la misura viene richiesta e disposta (44). Il tutto con un onere di motivazione del provvedimento cautelare, che va limitato al richiamo della indisponibilità del bene, sia pur momentanea, senza che sia necessario dare dettagliatamente conto delle attività volte alla ricerca dell’originario prodotto o profitto del reato (45).

Infine, qualora non tutti i beni tratti dall’attività illecita siano individuabili e confiscabili sarà possibile procedere alla confisca per equivalente del valore residuo del profitto (46).

7. Il successivo pagamento dell’imposta evasa all’erario

In assenza di un’esplicita regolamentazione, fin dal momento dell’entrata in vigore della confisca per equivalente in ambito penale-tributario ci si è posto – e per alcuni aspetti ancora ci si pone – la questione relativa ai rapporti tra questa misura e l’eventuale versamento, dopo la commissione del reato (oramai perfezionatosi), dell’imposta evasa, con particolare riferimento a quale sia l’effetto di questo pagamento rispetto ad un sequestro preventivo già emesso o che venga attivato successivamente.

Al riguardo infatti, come evidenziato in fase di primo commento da alcuni autori, l’autonomia tra il processo tributario e quello penale e l’assenza di un effetto estintivo del reato a seguito del versamento delle imposte avvenuto dopo la sua commissione (47) potevano far ritenere che questo tardivo pagamento non potesse escludere la successiva confisca per equivalente tenendo conto, tra l’altro, della natura sanzionatoria di questa misura che dovrebbe allora trovare applicazione – come avviene per tutte le sanzioni laddove non sia previsto diversamente – anche in una tale ipotesi in presenza di un delitto oramai realizzato (48).

Questi dubbi sono stati superati dalla giurisprudenza che – a fronte della prospettazione di un’eventuale questione di costituzionalità – ha rifiutato questa interpretazione indicando come la sanatoria della posizione debitoria, a mezzo della restituzione del dovuto all’Amministrazione finanziaria, fa venire meno lo scopo principale che si vuole perseguire con la confisca in quanto con essa, restituendosi il profitto derivante dal reato, si elimina in radice lo stesso oggetto sul quale dovrebbe incidere la confisca.

Si è aggiunto che un’opposta interpretazione darebbe luogo ad una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo cui l’espropriazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al profitto derivante dal reato (49). Il tutto, peraltro, in sintonia con la funzione della confisca per equivalente diretta, oltre che a sanzionare con questa ablazione chi ha commesso un reato, anche a recuperare un valore equivalente a quello illecitamente sottratto.

Si deve, tuttavia, aggiungere che il pagamento, per poter impedire la confisca per equivalente, deve avvenire, in modo diretto, da parte del contribuente/soggetto attivo del reato – o dell’ente in favore del quale lo stesso ha commesso la condotta illecita – attraverso il prelievo dal suo patrimonio di un valore corrispondente a quello illecitamente sottratto, in quanto solo una tale modalità è idonea ad eliminare il suo illecito arricchimento e con esso a rendere ingiustificata un’ablazione che si risolverebbe in una duplicazione sanzionatoria.

Principi questi ultimi che assumono un particolare rilievo in materia tributaria laddove il contribuente/imputato scelga di attivare la procedura di cui agli artt. 3 e 3-bis del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, che porta, in sede amministrativa, all’estinzione del debito tributario attraverso un pagamento rateale garantito da fideiussioni (50).

In questi casi infatti, per la revoca del sequestro o per la non adozione della confisca, non è sufficiente l’accordo con l’Amministrazione finanziaria e il rilascio delle fideiussioni essendo necessario il pagamento, per intero, delle rate stabilite con estinzione definitiva del debito tributario e con possibili revoche parziali del sequestro per un valore corrispondente al versato (51).

Né è possibile invocare, per ottenere l’immediato dissequestro dei valori sottoposti a vincolo per equivalente, la circostanza che, in ogni caso, il pagamento del debito tributario sarebbe garantito dal rilascio di fideiussioni potendo, allora, questi valori essere sostituiti da una tale garanzia da costituire presso un istituto di credito.

In senso diverso si è osservato che una tale soluzione non può essere accolta, innanzitutto, perché in questa maniera si verrebbe a sostituire, quale oggetto della futura confisca, un bene certo di pertinenza del condannato e di immediata escussione con una mera obbligazione di pagamento da parte di un terzo e, quindi, un bene non omologo ed equipollente rispetto a quello in sequestro.

Inoltre si è aggiunto che essendo lo scopo della confisca per equivalente di impedire che il reo usufruisca di quello che è stato il profitto del reato, tale obiettivo non può essere raggiunto con la fideiussione in quanto tale garanzia lascia il patrimonio del colpevole invariato finendo sotto sequestro denaro del garante lasciando, quindi, l’autore del reato libero di disporre del profitto (52). Considerazione questa che ha portato, in ultimo, a precisare come non sia, quindi, idoneo ad impedire la confisca per equivalente neanche il recupero da parte dell’erario del debito tributario attraverso l’escussione delle fideiussioni costituite da terzi garanti fino a quando questi ultimi non abbiano recuperato, esercitando l’azione di rivalsa, le somme corrisposte al danneggiato essendo solo con quest’ultimo versamento che viene meno per il colpevole il vantaggio economico conseguito con la sua azione (53).

Quanto fino ad ora indicato trova applicazione nei casi in cui il versamento dell’imposta da parte del reo – e/o dell’ente che lo stesso rappresentava al momento del fatto – avvenga prima della sentenza definitiva di condanna con la quale, pertanto, non si potrà più disporre la confisca per equivalente di un profitto che, a quel momento, non è più conseguito, dovendosi pertanto restituire al reo quanto allo stesso eventualmente sequestrato.

A diverse conclusioni deve invece giungersi laddove nessun versamento avvenga in questa fase mentre, solo dopo la sentenza di condanna definitiva – ove è stata disposta anche la confisca per equivalente – l’erario ottenga, nelle sedi tributarie proprie, il versamento di quello stesso tributo evaso per il quale vi è stato il processo penale.

Infatti, in assenza di una norma che regoli esplicitamente una tale vicenda (54), l’autonomia tra processo penale e quello tributario (55) fa si che, laddove l’Amministrazione finanziaria non si sia costituita nel processo penale come parte civile, legittimamente l’erario prosegua la propria azione in sede tributaria per ottenere il versamento dell’imposta evasa senza che ad esso – che non è stato parte di quel procedimento – possa opporsi la sentenza penale e la confisca ivi avvenuta (56). Il tutto tenendo peraltro conto che, in molti casi, l’ablazione in sede penale è avvenuta nei confronti del patrimonio del reo/persona fisica quale amministratore della società che ha evaso l’imposta – od anche nei confronti dell’extraneus concorrente nel reato – mentre in sede tributaria la pretesa impositiva avviene nei confronti della società.

Né la successiva esecuzione esattoriale in sede tributaria può comportare una richiesta da parte del condannato di riesame della confisca per equivalente disposta nei suoi confronti tenendo conto di quanto già indicato sull’autonomia tra i due processi e considerando che in sede di esecuzione penale non è possibile riesaminare una tale statuizione nei confronti dell’imputato ostandovi la preclusione del giudicato (57).

Ad analoghe conclusioni deve probabilmente giungersi anche laddove l’Agenzia delle entrate si costituisca parte civile chiedendo la condanna dell’imputato al risarcimento del danno dalla stessa subito e dato, in parte, anche dal valore dell’imposta evasa.

Infatti, in assenza di un’esplicita previsione normativa che ponga dei limiti alla misura ablatoria in tali ipotesi, si deve ritenere che il giudice penale debba disporre la confisca per equivalente anche laddove l’Amministrazione finanziaria si sia costituita parte civile, non interferendo questa misura con la contemporanea condanna dell’imputato in favore della persona offesa per i danni da quest’ultima subiti (58).

Né è possibile, a parere di chi scrive, non disporre in questi casi la confisca e destinare quanto in sequestro alla parte civile essendo una tale possibilità prevista dal legislatore, ex quarto comma dell’art. 323 c.p.p. – attraverso la conversione del sequestro preventivo in conservativo – solo laddove non si debba procedere a confisca di quei beni.

8. Gli elementi soggettivi

L’art. 322-ter c.p. stabilisce che la confisca per equivalente deve intervenire nei confronti di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a detto profitto, e, pertanto, è necessario (e anche sufficiente), dal punto di vista del soggetto che può essere colpito da questa misura, che:

a) la persona raggiunta dall’ablazione venga condannata, anche con sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p., per uno dei reati tributari per i quali è consentita la confisca per equivalente;

b) i beni da confiscare non appartengano a persona estranea al reato (59).

9. La presenza di una sentenza di condanna

Il primo requisito è che i beni oggetto della confisca siano nella disponibilità di un soggetto che venga giudicato come responsabile di uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74/2000 (con l’eccezione della fattispecie di cui all’art. 10) con una sentenza di condanna che deve, peraltro, valutarsi come presente, agli effetti qui in esame, anche laddove questa avvenga a seguito di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. (60).

Al riguardo, infatti, la natura sanzionatoria di questa confisca derivante dalla mancanza di un collegamento tra il bene colpito e il reato rendono necessaria la presenza di una condanna penale nei confronti di chi ha la disponibilità del bene assoggettato ad ablazione.

In tale ambito quindi non sarà possibile procedere a confisca, non solo laddove il detentore del bene venga assolto, ma anche qualora nei suoi confronti intervenga una decisione di non luogo a procedere per estinzione del reato qualunque sia la motivazione di una tale decisione anche, quindi, per prescrizione (61).

Nella fase antecedente alla condanna, presupposto del sequestro è che trattasi di beni di persona direttamente indagata per uno di questi delitti essendo necessaria una verifica, con una mirata disamina – soprattutto laddove oggetto di contestazione siano oltre a delitti tributari anche altri reati per i quali non è prevista questa misura reale – della riconducibilità all’indagato delle ipotesi delittuose per le quali viene applicato il sequestro per equivalente (62).

Sentenza di condanna nei confronti del soggetto detentore del bene che è elemento necessario ma anche sufficiente per potere procedere alla sua confisca senza che sia, invece, richiesto che questi, quale autore – anche eventualmente in concorso con altri – di uno dei delitti tributari regolati dal D.Lgs. n. 74/2000 abbia poi, in concreto, avuto personalmente un vantaggio economico da questa vicenda e/o comunque un vantaggio nella misura nella quale il suo patrimonio venga colpito.

Infatti la natura sanzionatoria di questa misura consente di adottarla a prescindere dalla presenza, nel soggetto colpito, di un suo effettivo arricchimento a seguito della commissione del reato essendo sufficiente – e necessario – che un tale arricchimento vi sia stato non rilevando che dello stesso abbia usufruito un soggetto diverso dall’imputato (63).

Principio che allora consente di procedere alla confisca per equivalente anche nei confronti dei beni del soggetto attivo persona fisica che abbia agito in nome e per conto di una persona giuridica che abbia poi per intero acquisito il profitto derivante dalla condotta illecita (64) senza che peraltro sia richiesta – non essendo neanche possibile – la preventiva escussione del patrimonio dell’ente (65).

Fattore questo di particolare importanza nei reati tributari tenendo conto che in essi, soprattutto nei casi di maggiore rilevanza, il soggetto attivo del reato agisce, non in proprio, ma quale rappresentante di una società in favore della quale ha conseguito l’evasione dell’imposta: elemento, peraltro – quello della diretta responsabilità per i fatti commessi in nome di un ente – già regolato dal D.Lgs. n. 74/2000 all’art. 1, lett. e).

Inoltre da ciò, tra l’altro, deriva che si possa procedere a confisca anche (o solo) nei confronti di beni nella disponibilità di un soggetto che da questa condotta non abbia tratto alcun diretto profitto illecito come avviene nelle ipotesi dell’extraneus che concorra nel reato proprio altrui (66).

10. Il concorso di persone nel reato tributario

L’applicazione del principio indicato nel paragrafo che precede – della non necessità che il soggetto colpito dalla confisca sia quello che ha acquisito il profitto illecito – assume particolare rilevanza nei casi in cui il reato tributario venga commesso in concorso tra più persone.

In questi casi infatti la confisca per equivalente è consentita nei confronti anche di uno solo dei soggetti attivi del reato (o comunque nei confronti solo di alcuni di essi) per l’intero profitto derivante da questa condotta illecita senza che sia richiesta una ripartizione tra i concorrenti nel reato di un tale valore che possa determinare una limitazione per ognuno di quanto ad essi confiscabile.

Conclusioni queste valide sia nei casi in cui il profitto sia stato conseguito solo da uno dei concorrenti sia qualora, invece, sia stato tra di loro ripartito (67) restando, in tale ambito, allora priva di rilievo la circostanza che il profitto non sia transitato nel patrimonio del soggetto colpito essendo stato materialmente appreso, in tutto od in parte, da altri (68) dovendosi prescindere da ogni accertamento circa l’effettiva diretta acquisizione del profitto, a seguito della commissione del reato, da parte di chi subisce la confisca (69).

Principi questi che trovano la loro ragione nel carattere preminentemente sanzionatorio della confisca per equivalente che stante la natura giuridica unitaria del concorso criminoso, non è collegata con l’arricchimento personale di ciascuno dei correi ma alla corresponsabilità di tutti nella commissione dell’illecito (70). Ciò tenendo anche conto che nel caso di illecito plurisoggettivo si deve applicare il principio solidaristico che implica l’imputazione dell’intera azione e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e, pertanto, una volta perduta l’individualità storica del profitto illecito, la sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato (71), salvo poi l’eventuale riparto tra i medesimi concorrenti che costituisce fatto interno a questi ultimi e che non ha rilievo penale (72).

L’unico limite che è presente in queste ipotesi è dato dalla circostanza che la confisca per equivalente – ma non anche il sequestro (73) – non può mai essere duplicata od eccedere, in relazione alla globalità dei soggetti ai quali è imposto, l’ammontare del suddetto profitto.

Da ciò deriva che la somma del valore dei beni complessivamente confiscati ai vari concorrenti nel reato – e anche eventualmente all’ente che dal medesimo reato ha tratto vantaggio – non può mai superare il profitto conseguito complessivamente dal reato stesso (74). In questi casi, infatti, una diversa interpretazione porterebbe al venire meno della funzione sanzionatoria e ripristinatoria di questa forma di confisca a mezzo di una acquisizione da parte dello Stato di un valore superiore al profitto del reato.

11. I beni che possono essere oggetto di confisca

La confisca per equivalente – come espressamente indicato dall’art. 322-ter c.p. – deve avere ad oggetto necessariamente beni del reo in quanto, ancora una volta, la sua natura sanzionatoria e l’assenza di un collegamento tra il bene e il reato consentono di colpire quel valore proprio in quanto facente parte del patrimonio di uno degli autori dell’illecito penale dal quale è derivato un profitto illecito corrispondente (75).

Per quanto riguarda l’ambito oggettivo dei beni che possono essere considerati del reo l’art. 322-ter c.p. fa riferimento ai «beni di cui il reo ha la disponibilità» con una nozione quindi che non richiede necessariamente la titolarità da parte del condannato di un diritto reale od obbligatorio su questi beni essendo sufficiente, ma anche necessaria, la presenza di elementi fattuali che indichino come questi abbia una disponibilità di fatto sul bene (76), agendo su di esso uti dominus, ponendosi quindi in una situazione assimilabile, dal punto di vista fattuale, a quella del proprietario, esercitando dei poteri di fatto ad esso corrispondenti con una signoria sulla res assimilabile al possesso per come questo è definito nell’art. 1140 c.c. Il tutto in misura tale da rendere prive di rilievo ostativo eventuali intestazioni fittizie o di comodo rientrando tra i beni qui rilevanti anche quelli che, pur essendo formalmente intestati a terzi, di fatto sono nella disponibilità dell’indagato/imputato essendo stati oggetto di una vera e propria interposizione fittizia avendo di essi il reo un controllo diretto od indiretto (77).

Disponibilità che, chiaramente, laddove non sia collegata ad un diritto formale dell’indagato, deve essere oggetto di una rigorosa prova da parte dell’organo procedente (il Pubblico Ministero) in relazione all’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi del carattere puramente formale di detta intestazione, funzionale all’esclusiva finalità di favorire il permanere del bene in questione nella effettiva e autonoma disponibilità di fatto del reo (78).

Si è poi aggiunto come l’elemento fattuale della disponibilità del bene da parte del reo assuma un valore prevalente anche rispetto alla presenza di eventuali diritti di natura civilistica in favore di persone estranee al reato non potendo essere di ostacolo alla disposta misura limitazioni provenienti da vincoli o presunzioni (79) operanti ai sensi del codice civile (80).

Irrilevanza di questi rapporti tra reo e soggetti estranei che nella fase cautelare ha la sua ragione nella necessità di evitare che, nelle more dell’adozione del provvedimento definitivo di confisca, vengano comunque dispersi i beni che si trovano nella disponibilità dell’indagato. Il tutto tenendo, comunque, conto che laddove la quota di spettanza di ciascuna parte sia definita, allora, in caso di sequestro di un bene dell’indagato in comproprietà con terzi estranei al reato, la misura reale può riguardare il bene nella sua interezza quando risulti dimostrato che lo stesso sia comunque nella disponibilità dell’indagato ovvero quando si tratti di cose indivisibili o sussistano comprovate esigenze di conservazione del bene medesimo, tanto per impedirne la dispersione quanto per assicurarne l’integrità del valore; negli altri casi, invece, la misura reale può essere contenuta entro la quota di proprietà di pertinenza dell’indagato sulla quale opererà, poi, la successiva confisca (81).

12. La confisca nei confronti delle persone giuridiche

Una delle questioni che maggiormente ha animato il dibattito sulla confisca per equivalente in materia tributaria è se la stessa possa trovare applicazione anche nei confronti dei beni delle persone giuridiche in nome delle quali il soggetto attivo abbia agito e in favore delle quali sia intervenuta l’evasione di imposta. Ciò tenendo conto che ai reati tributari non è applicabile la responsabilità amministrativa degli enti, prevista dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, e con essa la possibilità, ex art. 19, di procedere alla confisca per equivalente a carico di questi enti per i reati commessi dai propri rappresentanti.

Al riguardo, in una prima fase di applicazione dell’art. 1, comma 143, della legge n. 244/2007, qui in esame, la Corte di Cassazione – con decisioni che non affrontavano in modo compiuto la questione – ha indicato come fosse possibile il sequestro per equivalente anche di beni dell’ente che dal reato tributario abbia tratto vantaggio essendo questo stato commesso nel suo interesse. in queste decisioni si è osservato che il reato tributario debba essere addebitato, dal punto di vista della sanzione penale, alla persona fisica che ha agito ma che le conseguenze patrimoniali di questa condotta ricadono direttamente anche sull’ente a favore del quale è stata compiuta l’azione illecita – salvo che si dimostri che vi sia stata una rottura del rapporto organico – potendo, allora, la confisca per equivalente essere disposta anche sui suoi beni (82).

Conclusioni alle quali si è giunti valutandosi di come non sia di ostacolo – a questa prospettazione – la mancata previsione di una responsabilità dell’ente in questa materia ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001 tenendo conto del rapporto di immedesimazione organica che lega il rappresentante legale di un ente all’ente medesimo in virtù, tra l’altro, di un principio fissato dall’art., 1 lett. e), del D.Lgs. n. 74/2000 (per il quale il dolo di evasione della persona fisica che agisce in nome e per conto dell’ente è da riferirsi direttamente all’ente); il tutto in misura tale da fare valutare come i beni dell’ente non possano essere considerati come appartenenti a persona estranea al reato essendo proprio questo soggetto a conseguire il vantaggio patrimoniale della condotta illecita (83). D’altra parte, si è aggiunto di come non sia difficile applicare, in via interpretativa, la confisca per equivalente anche ai beni della società beneficiata dall’evasione fiscale realizzata dal suo amministratore, atteso che di tali beni il reo ha, comunque, la disponibilità proprio quale amministratore (al limite anche solo di fatto) o rappresentante della società contribuente (84).

L’unico limite a questa misura cautelare si ha – per questa giurisprudenza – laddove si sia proceduto al sequestro anche dei beni delle persone fisiche che hanno materialmente commesso il reato essendo, in questi casi, necessario che il vincolo cautelare – derivante dalla somma del valore dei diversi sequestri operati – non ecceda il valore complessivo del profitto conseguito con la condotta illecita (85).

Questa posizione ora è stata superata dalla più recente giurisprudenza della Suprema Corte che ha evidenziato – in sintonia con quanto indicato, in modo logico, dalla dottrina prevalente (86) – come non sia possibile procedere alla confisca per equivalente dei beni delle persone giuridiche non essendo una tale soluzione consentita dalla natura sanzionatoria di questo istituto che lo rende applicabile, in assenza di una norma che lo estenda anche a questi soggetti, solo nei confronti del reo, portando una soluzione diversa all’introduzione di una forma surrettizia di responsabilità non prevista che avverrebbe attraverso un’applicazione analogica dell’art. 19 del D.Lgs. n. 231/2001 che, non solo è vietata dall’art. 25, secondo comma, Cost., ma è in contrasto con una precisa e volontaria scelta politico criminale che ha portato ad escludere i reati fiscali tra quelli che possono fondare la responsabilità dell’ente, determinando un’opposta interpretazione l’applicazione di una sanzione nei confronti di un soggetto diverso dall’autore del reato con violazione dell’art. 27, primo comma, Cost. (87).

Orientamento quest’ultimo che ha trovato un, definitivo, avallo in una recente decisione delle Sezioni Unite ove queste hanno aderito a quello che, già prima dell’ordinanza di rimessione (88), appariva, oramai, l’orientamento consolidato della Suprema Corte con il quale si è esclusa la possibilità della confisca per equivalente nei confronti delle persone giuridiche per i reati tributari (89).

Sul punto deve aggiungersi che residuano, comunque, dei casi nei quali è possibile procedere a confisca per equivalente nei confronti delle persone giuridiche in relazione al profitto dalle stesse conseguito a seguito della commissione di un delitto tributario.

Innanzitutto – come indicato dalle stesse Sezioni Unite – laddove «la struttura societaria costituisca un apparato fittizio, utilizzato dal reo proprio per porre in essere i reati di frode fiscale ed altri illeciti, sicché ogni cosa fittiziamente intestata alla società sia immediatamente riconducibile alla disponibilità dell’autore» in quanto, in dette ipotesi, il bene può valutarsi nell’effettiva disponibilità della persona fisica autore del reato e, in quanto tale, essere assoggettato a confisca (90).

Inoltre, nei casi in cui si proceda nei confronti di un’associazione a delinquere, ex art. 416 c.p., o di un gruppo criminale organizzato nell’ambito di un reato transnazionale – secondo la definizione datane dalla legge 16 marzo 2006, n. 146 – la cui attività sia finalizzata alla commissione di delitti tributari. Infatti, per questi reati associativi è prevista una responsabilità amministrativa dell’ente (91) e con essa la possibilità di confiscare per equivalente nei suoi confronti il profitto derivante dalla condotta illecita che è dato dal complesso dei vantaggi conseguenti dall’insieme dei reati fine e indi, in una tale ipotesi, proprio dal profitto derivante dalla commissione dei reati tributari (92).

Per completezza, poi, si aggiunge che la, sopra indicata, impossibilità di procedere a confisca nei confronti delle società beneficiarie dell’evasione di imposta (con le eccezioni appena evidenziate) è limitata ai casi – peraltro i più frequenti – di confisca per equivalente potendosi, invece (e, anzi, dovendosi) disporre nei confronti di questi enti la confisca laddove sia possibile procedere all’apprensione del diretto profitto del reato (ex art. 322-ter c.p., prima parte, ove si stabilisce la confisca obbligatoria dei beni che costituiscono il profitto del reato) (93).

In queste ipotesi, infatti, anche in assenza di una responsabilità della persona giuridica ex D.Lgs. n. 231/2001, la confisca del bene così ottenuto è consentita considerando che il concetto di appartenenza, di cui all’art. 240 c.p., ha una portata più ampia del diritto di proprietà potendosi, allora, considerare come «terzo estraneo al reato» soltanto colui che in nessun modo partecipi alla commissione dell’illecito penale o all’utilizzazione dei profitti che ne sono derivati (94). Il tutto tenendo conto che la confisca diretta, quale misura di sicurezza, ha carattere non punitivo ma cautelare, fondato sulla pericolosità del bene di cui viene disposta l’ablazione derivante dalla circostanza che lo stesso servì a commettere il reato, ovvero ne costituisce il prezzo, il prodotto o il profitto (95). Al riguardo, nel diritto penale tributario si fa riferimento alle ipotesi di indebito rimborso ottenuto dalla società o di mancato versamento dell’IVA (art. 10-ter) o di quanto dovuto dalla stessa quale sostituto di imposta (art. 10-bis) trattandosi di fattispecie ove è possibile procedere a confisca di quanto giacente presso il conto corrente della società sul quale sono pervenute le somme indebitamente rimborsate o ricevuto o trattenuto a terzi.

In ultimo, appare opportuno, evidenziare come la Corte di Cassazione, sia nella recente sentenza delle Sezioni Unite che in una precedente decisione, abbiano sottolineato che l’attuale esclusione della confisca per equivalente nei confronti delle persone giuridiche per i reati tributari renda ormai non più procrastinabile l’estensione ad essi della disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti, di cui al D.Lgs. n. 231/2001, e con essa della confisca per equivalente prevista dall’art. 19 del medesimo decreto sia al fine di una più efficace repressione di questo tipo di illeciti sia per evitare disparità di trattamenti con riferimento a comportamenti evasivi analoghi (96).

Dott. Gian Luca Soana

 

 

(1) Istituto introdotto dall’art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), ove si è previsto che «nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74 si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322-ter del codice penale».

(2) Invero, prima dell’introduzione della confisca per equivalente, nel diritto penale tributario erano poco frequenti le confische del profitto del reato tenendo conto che l’unica forma di confisca possibile era quella regolata, in termini generali, dall’art. 240 c.p. per la cui adozione è necessario che siano colpiti i beni che sono il diretto profitto del reato richiedendosi, a tale fine, la presenza di una relazione diretta, attuale e strumentale tra il bene sequestrato e il reato del quale costituisce il profitto illecito ed essendo, allora, questa ammissibile solo quando il bene si identifichi proprio in quello che l’autore del reato ha appreso alla sua disponibilità per effetto diretto e immediato oppure in quello che lo stesso ha realizzato come conseguenza anche indiretta o mediata della sua attività criminosa (cfr. Cass., sez. II pen., 5 dicembre 2008, n. 45389, in Cass. pen., 2010, 2714; e Cass., sez. VI pen., 25 gennaio 1995, n. 4114, ivi, 1996, 2315). Principi questi che rendono, di fatto, impossibile questa misura non solo quando il bene conseguito non sia più reperibile nella disponibilità del reo ma anche – come avviene in gran parte dei reati tributari – quando il profitto sia dato da un risparmio che, in quanto tale, non può essere oggetto di confisca non traducendosi nel diretto conseguimento di un bene individuabile ma nel mancato sostenimento di costi che, in assenza della condotta illecita, si sarebbe dovuto sostenere.

(3) Si fa riferimento, ad esempio, al rapporto tra il sequestro, prima, e la confisca, poi, per equivalente e la domanda da parte degli Uffici finanziari di versamento dell’imposta valutata come evasa sia in sede tributaria che in sede penale (laddove l’Agenzia delle entrate si sia costituita parte civile).

(4) La confisca per equivalente non è una misura applicabile a tutti i reati non essendo prevista nella parte generale del codice penale ma essendo stata introdotta, nel tempo, con riferimento a singole fattispecie penali attraverso mirati interventi legislativi; la prima legge che l’ha prevista è stata la legge 7 marzo 1996, n. 108, con la quale si è proceduto ad una riformulazione complessiva della disciplina del delitto di usura (art. 644 c.p.); cfr., in termini generali sulla confisca per equivalente, Soana, La confisca per equivalente, Milano, 2013, 1-85.

(5) Infatti, per la confisca per equivalente introdotta dalla legge 29 settembre 2000, n. 300, sia per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica Amministrazione (art. 322-ter c.p.) che per la truffa ai danni dello Stato (art. 640-quater c.p.) è stata inserita una norma – l’art. 15 – che, in modo esplicito, ha regolato il periodo transitorio escludendone l’applicazione retroattiva. In una sola occasione si è, invece, intervenuti in materia di usura affermando – in modo contrario a quanto poi stabilito nella giurisprudenza di seguito richiamata – come la confisca per equivalente, in quanto misura di sicurezza, potesse trovare applicazione retroattiva, dichiarandosi, tra l’altro, manifestatamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale proposta dalla difesa con un richiamo all’art. 7 della Convezione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU): cfr. Cass., sez. II pen., 13 maggio 2002, n. 18157, in Riv. pen., 2002, 912.

(6) Quale forma generale di confisca regolata nel libro I del codice penale e applicabile a tutti i reati.

(7) Infatti, la confisca di cui all’art. 240 c.p. essendo una misura di sicurezza, è stata, da sempre, valutata come avente una natura cautelare (con finalità preventiva) e non punitiva essendo rivolta, come tutte tali misure, non a sanzionare il responsabile del reato ma a prevenire la commissione di analoghi reati (cfr. Cass., sez. VI pen., 2 giugno 1995, n. 775, in Mass. Cass. pen., 1995, fasc. 9, 1; in ultimo Cass., sez. IV pen., 29 settembre 2009, n. 38179, in Ced Cass., rv. 245307) attraverso la sottrazione al reo di un bene che, in quanto direttamente collegato al reato commesso, viene valutato come pericoloso ora soggettivamente (trattandosi di beni che, costituendo il prodotto, il prezzo o il profitto del reato – art. 240, primo e secondo comma, n. 1, c.p. – se lasciati al reo lo incoraggerebbero a compiere nuove analoghe azioni illecite) ora oggettivamente (trattandosi di beni usati per commettere il reato o la cui fabbricazione, detenzione, uso o porto costituisce reato: art. 240, primo e secondo comma, n. 2, c.p.); natura di questa forma di confisca che la rende applicabile anche con riferimento a reati commessi quando questa non era ancora legislativamente vigente essendo una tale soluzione giustificata dalla correlazione di tale misura alla situazione di pericolosità attuale del reo come, peraltro, previsto in termini generali dall’art. 200 c.p. e come non escluso dall’art. 25, terzo comma, Cost., che per tali misure richiede il rispetto unicamente del principio di legalità e non anche di quello di irretroattività: cfr. Cass., sez. I pen., 7 luglio 1999, n. 3717, in Cass. pen., 2000, 2635; e Cass., sez. IV pen., 5 marzo 2009, n. 9986, in Riv. pen., 2009, 655.

(8) La confisca per equivalente è un istituto residuale che trova applicazione proprio a seguito dell’accertata impossibilità di procedere alla confisca diretta del profitto, del prezzo o del prodotto del reato.

(9) Sulla natura eminentemente sanzionatoria della confisca per equivalente con riferimento ad un orientamento ormai consolidato: cfr. Cass., sez. un. pen., 22 novembre 2005, n. 41936, in Cass. pen., 2006, 1382; in materia di reati tributari: cfr. Cass., sez. un. pen., 23 marzo 2013, n. 18374; Cass., sez. III pen., 4 luglio 2012, n. 25774; Cass., sez. VI pen., 25 marzo 2009, n. 13098; Cass., sez. III pen., 28 luglio 2010, n. 29724; Cass., sez. III pen., 16 febbraio 2010, n. 6293; e Cass., sez. III pen., 20 ottobre 2008, n. 39172; tutte in Boll. Trib. On-line. In una sentenza si è indicato come questa misura abbia una natura poliedrica in quanto accanto all’elemento principale di natura sanzionatorio vi è in essa una finalità di recupero derivante dalla impossibilità di applicare tale misura sul diretto profitto del reato: cfr. Cass., sez. III pen., 19 luglio 2011, n. 28731, in Boll. Trib. On-line.

(10) Cfr. Corte. Cost. 20 novembre 2009, ord. n. 301, in Giur. cost., 2009, 4587; e Corte Cost. 2 aprile 2009, ord. n. 97, in Boll. Trib. On-line.

(11) Ove si stabilisce che «Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso».

(12) Ove si stabilisce che «Parimenti non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso».

(13) Cfr. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo 9 febbraio 1995, n. 307/A, in proc. Welch c. Regno Unito, ove è stata valutata illegittima l’applicazione retroattiva di una ipotesi di confisca per equivalente avendo questa carattere repressivo costituendo una pena.

(14) Cfr. Cass. n. 39172/2008, cit.; Cass., sez. III pen., 20 ottobre 2008, n. 39173, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. II pen., 28 maggio 2008, n. 21566, ivi; Cass. n. 29724/2010, cit.;Cass., sez. III pen., 25 febbraio 2009, n. 17212, in Riv. pen., 2009, 972; Cass., sez. II pen., 16 settembre 2009, n. 35968, in Boll. Trib. On-line; in ultimo Cass. n. 18374/2013, cit.

(15) Cfr. Cass., sez. V pen., 24 marzo 2010, n. 11288, in Boll. Trib. On-line.

(16) Si fa, ad esempio, riferimento – come si vedrà nei paragrafi successive – al concorso di persone nel reato nei confronti di quei soggetti attivi che da esso non hanno tratto alcuna utilità diretta o il suo rapporto con l’eventuale, preventivo o successivo, pagamento da parte del contribuente delle imposte per la cui evasione si procede in sede penale e da cui trae origine la misura ablatoria o, infine, in relazione alla sua possibile applicazione nei confronti delle persone giuridiche che hanno beneficiato dell’evasione di imposta.

(17) Cfr. Cass., sez. III pen., 13 gennaio 2011, n. 662, in Boll. Trib. On-line. Sul punto deve, per completezza, segnalarsi una sentenza – Cass. n. 28731/2011, cit. – con la quale si è confermato il sequestro per equivalente con riferimento al reato di cui al più volte citato art. 10 osservandosi la sua ammissibilità anche per questo delitto avendo con esso l’indagato recato un vantaggio alla società. Decisione che – in assenza di un’impugnazione sul punto – non sembra possa costituire un precedente significativo tenendo conto che in essa, da un lato, nulla si osserva sul dato letterale della norma che risulta ostativo ad una tale conclusione e dall’altra si indica in modo del tutto generico – per quanto si dirà di seguito – la presenza di un profitto che sarebbe stato illecitamente conseguito in misura tale da consentire l’impugnato sequestro.

(18) Cfr. Cass., sez. III pen., 27 gennaio 2003, n. 3881, in Boll. Trib. On-line, ove si indica di come trattasi di un reato di pericolo con dolo di danno rispetto all’evasione essendo, comunque, richiesto che chi agisce lo faccia per evadere le imposte.

(19) In ultimo Cass., sez. III pen., 21 febbraio 2012, n. 6752, in Boll. Trib. On-line.

(20) Valutazione questa che ha, sostanzialmente, trovato conferma in chi, pur evidenziando l’inopportunità di una tale esclusione, nel contempo sottolinea la difficoltà di procedere a confisca per equivalente per questo reato non essendo possibile per esso ricostruire il quantum cui ricondurre il profitto ove non sia possibile associare ad esso altro reato tributario: cfr. Di GregorioMainolfiRispoli, Confisca per equivalente e frode fiscale, Milano, 2011, 198.

(21) Nei reati tributari l’utilità illecitamente conseguita può essere data solo da un profitto – come di seguito definito – e mai da un prezzo che, quale compenso ottenuto dal reo come corrispettivo per la commissione del reato, non è mai presente in questi delitti.

(22) Cfr. Cass., sez. III pen., 8 marzo 2011, n. 8972, in Boll. Trib. On-line, ove si indica l’impossibilità di procedere alla confisca per equivalente in relazione ad un reato tributario che in concreto non aveva determinato alcun risparmio fiscale; in un caso ove è stato annullato – per mancanza di un accertato profitto – il sequestro disposto con riferimento al delitto di cui all’art. 8 non essendo stato verificato se chi aveva ricevuto le fatture false le avesse usate in dichiarazione, cfr. Cass., sez. III pen., 3 dicembre 2013, n. 48104, in Boll. Trib. On-line.

(23) Sulla necessità di questo preventivo accertamento proprio in materia di reati tributari cfr. Cass., sez. III pen., 31 luglio 2013, n. 33184, in Boll. Trib. On-line.

(24) Sulla natura di reati di pericolo di queste fattispecie per la cui consumazione non è necessario che poi vi sia stata una evasione o sottrazione di imposta: per la fattispecie di cui all’art. 11 cfr. Cass., sez. III pen., 27 settembre 2012, n. 37415, in Boll. Trib. On-line; per il delitto di cui all’art. 8 cfr. Cass., sez. III pen., 26 maggio 2010, n. 19907, ivi; per il delitto di cui all’art. 2 cfr. Cass., sez. III pen., 29 aprile 2003, n. 19781, ivi.

(25) La nozione di “imposta evasa” è definita dall’art. 1, lett. f), del D.Lgs. n. 74/2000.

(26) I delitti di cui al D.Lgs. n. 74/2000 hanno ad oggetto unicamente le violazioni in materia di imposte dirette e di IVA essendo, allora, fuori dalla tutela penale gli altri tributi; cfr. sul punto Cass., sez. III pen., 22 marzo 2012, n. 11147, in Boll. Trib. On-line, avente ad oggetto un caso ove per una condotta illecita dalla quale era conseguita un’evasione sia all’IVA che all’IRAP si era proceduto al sequestro di un valore dato dalla somma delle due imposte evase con un provvedimento censurato dalla Suprema Corte per la parte di profitto relativo all’IRAP non essendo l’evasione di questa imposta oggetto della tutela penale.

(27) Si fa riferimento al delitto di cui all’art. 11 che punisce la sottrazione all’esecuzione esattoriale non solo delle imposte ma anche degli interessi e delle sanzioni amministrative relative a dette imposte potendosi, allora, computare anche questi accessori al fine di determinare il valore confiscabile: cfr. Cass. n. 18374/2013, cit.; e Cass., sez. III, 17 gennaio 2012, n. 1843, in Boll. Trib. On-line.

(28) In tale direzione si è espressa una decisione intervenuta in materia di truffa ai danni dello Stato ove si è censurata la decisione del giudice di merito che aveva compreso nel valore sequestrabile, non solo la somma illecitamente conseguita a seguito della condotta illecita, ma anche gli interessi su di essa nel frattempo maturati; interessi che, invece, non potevano essere computati avendo la confisca natura sanzionatoria e non risarcitoria e dovendosi, allora, limitare il valore del profitto illecitamente conseguito: cfr.Cass., sez. VI pen., 18 giugno 2007, n. 30543, in Foro it., 2008, II, 173. Fanno riferimento, in materia di reati tributari alla sola imposta evasa – con l’eccezione citata nella nota precedente per il delitto di cui all’art. 11 – quale possibile oggetto di confisca per equivalente: cfr. Cass., sez. III pen., 22 novembre 2012, n. 45735, in Boll. Trib. On-line, ove si indica la coincidenza nel delitto di cui all’art. 10-ter del valore confiscabile con l’importo delle ritenute non versate; cfr. Cass., sez. III pen., 16 gennaio 2012, n. 1199, ivi. È da segnalare una recente decisione – Cass., sez. III pen., 13 marzo 2013, n. 11836, in Boll. Trib. On-line – che sembra estendere anche alle sanzioni e alle altre somme eventualmente dovute il valore che può essere oggetto di confisca con una valutazione, però, che avvenendo nella fase cautelare e attraverso un richiamo improprio a Cass. n. 1843/2011, cit. – avente ad oggetto l’art. 11 – rinvia, poi, alla fase di merito per l’esatta determinazione del valore confiscabile essendo, tra l’altro, in corso da parte del contribuente un pagamento rateale del dovuto.

(29) Cfr. Cass., sez. III pen., 25 novembre 2010, n. 41731, in Boll. Trib. On-line.

(30) Elemento che, chiaramente, si ricava in modo automatico laddove sia sottoposto a sequestro del denaro mentre richiede una valutazione motivata laddove si tratti di beni di cui non sia di automatica evidenza il valore per il quale il giudice dovrà dare atto dei criteri a tale fine utilizzati.

(31) Cfr. Cass., sez. III pen., 17 ottobre 2013, n. 42639, in Boll. Trib. On-line, ove è indicato che, già in questa fase, il valore delle cose sequestrate deve essere adeguato e proporzionale all’importo del credito garantito.

(32) Cfr. Cass., sez. III pen., 18 gennaio 2012, ord. n. 1893, in Boll. Trib. On-line.

(33) Cfr. Cass., sez. III pen., 31 marzo 2010, n. 12580, in Boll. Trib. On-line; il tutto a meno che il Pubblico Ministero, nella sua richiesta, non individui quali siano i beni di cui chiede il sequestro dovendo, in una tale ipotesi, il giudice attenersi a questa istanza non potendo estendere il suo provvedimento a beni ulteriori da quello indicati dal Pubblico Ministero: cfr. Cass., sez. III pen., 31 luglio 2013, n. 33200, in Boll. Trib. On-line.

(34) Sulla necessità che il Tribunale del riesame, laddove vi sia una impugnazione sul punto, valuti sia la correttezza dell’indicazione del valore del profitto illecitamente conseguito sia la congruità tra questo valore e quello dei beni oggetto di sequestro al fine di evitare che la misura cautelare si riveli eccessiva: cfr. Cass., sez. III pen., 19 novembre 2013, n. 46251; Cass., sez. III pen., 10 maggio 2012, n. 17465; e Cass., sez. III pen., 13 febbraio 2013, n. 7078; tutte in Boll. Trib. On-line.

(35) Cfr. Cass., sez. III pen., 24 luglio 2009, n. 30930, in Ced Cass., rv. 244934.

(36) Cfr. Cass., sez. III pen., 28 febbraio 2013, n. 9578, in Boll. Trib. On-line, ove si indica come «in tema di reati tributari il profitto del reato oggetto di sequestro per equivalente è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale»; anche Cass., sez. un., 5 marzo 2014, n. 10561, ivi; e Cass. n. 18374/2013, cit.

(37) Impossibilità che, da sempre, non ha consentito di procedere alla confisca del profitto nei reati tributari, per mancanza del necessario rapporto di derivazione diretta tra l’evasione ed eventuale denaro trovato nella disponibilità del contribuente (cfr. per tutte Cass., sez. III pen., 20 marzo 1996, n. 1343, in Giust. pen., 1997, III, 443) e che è alla base delle ragioni che hanno portato all’introduzione della confisca per equivalente in questo settore.

(38) Cfr. Cass., sez. III pen., 11 marzo 2011, n. 10120; e Cass., sez. VI pen., 28 ottobre 2011, n. 39239; entrambe in Boll. Trib. On-line, nella diversa materia della corruzione finalizzata ad ottenere il mancato pagamento di un imposta.

(39) Essendo possibile confiscare la somma di denaro illecitamente ricevuta; cfr. Cass., sez. III pen., 19 settembre 2003, n. 40462, in Giur. it., 2004, 2379.

(40) In questi casi, infatti, vi è una somma che è stata o trattenuta (nel caso del sostituto di imposta) o ricevuta dal contribuente (nel caso dell’IVA) per essere versata all’erario che allora, se reperita, può essere oggetto di confisca diretta; cfr. Cass., sez. III pen., 4 ottobre 2012, n. 38740, in Boll. Trib. On-line, in materia di 10-bis; anche per il 10-ter cfr. Cass. n. 10561/2014, cit.

(41) Potendo essere oggetto di confisca diretta, laddove questo non sia nella disponibilità di terzi estranei in buona fede, il bene che è stato sottratto all’esecuzione con gli atti simulati o con gli altri artifici.

(42) Cfr. Cass., sez. V pen., 14 dicembre 2011, n. 46500, in Boll. Trib. On-line; e Cass. n. 30930/2009, cit.

(43) È presente, ad esempio, una impossibilità reversibile e transitoria nel caso di beni che si trovino all’estero e per i quali l’Autorità giudiziaria si sia attivata per farli rientrare nel nostro Paese; in queste ipotesi, tuttavia, in attesa dell’esito – non sicuro (nel risultato e nei tempi) – di questa procedura, si può addivenire ad un sequestro per equivalente che verrà, poi, revocato laddove si riesca a porre sotto il vincolo cautelare quei beni.

(44) Cfr. Cass., sez. II pen., 21 gennaio 2009, n. 2823, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. II pen., 21 maggio 2007, n. 19662, ivi; e anche Cass. n. 10561/2014, cit., ove si richiama Cass. n. 2823/2008, cit.

(45) Cfr. Cass. n. 19662/2007, cit.

(46) Cfr. Cass., sez. II pen., 23 marzo 2011, n. 11590, in Boll. Trib. On-line.

(47) Prevedendo l’art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000 in queste ipotesi unicamente la ricorrenza di una attenuante.

(48) Ved. CovinoStefanato-TerracinaLupi, Confisca per equivalente per reati fiscali e possibile duplicazione rispetto al pagamento del dibattimento penale, in Dial. trib., 2008, 63; e Meoli, Confisca per equivalente nei reati tributari. Applicazione retroattiva?, in il fisco, 2008, 1971. Autori che allora auspicavano un intervento legislativo per evitare una duplicazione del pagamento della stessa imposta.

(49) Cfr. Cass. n. 10120/2011, cit.; in modo identico Cass., sez. III pen., 8 febbraio 2012, ord. n. 4956, in Boll. Trib. On-line; anche Musco-Ardito, Diritto penale tributario, Bologna, 2010, 74; Della Ragione, La confisca per equivalente nel diritto penale tributario, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; e Soana, Confisca per equivalente e sopravvenuto pagamento del debito tributario, in Riv. trim. dir. trib., 2012, 546. Decisione che, peraltro, è conforme ad analoghe sentenze emesse con riferimento all’art. 640-quater c.p. in relazione all’inammissibilità del sequestro per equivalente laddove l’utilità economica ricavata dalla truffa sia stata restituita al soggetto danneggiato: ved. Cass., sez. II pen., 5 dicembre 2011, n. 45054, in Boll. Trib. On-line.

(50) Stabilisce il comma 3-bis – inserito dall’art. 1 della legge n. 244/2007 e poi modificato dal D.L. 13 maggio 2011, n. 70 (convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106) – che le somme dovute, laddove siano superiori ai duemila euro, possono essere versate in rate trimestrali. In questi casi, qualora la somma dovuta sia superiore a 50.000,00 euro, il contribuente è tenuto a prestare idonea garanzia commisurata al totale delle somme dovute – anche a titolo di sanzione – per il periodo di rateizzazione aumentato di un anno; garanzia che, nella generalità dei casi, viene data con polizza fideiussoria o fideiussione bancaria (prevedendo la norma anche altre forme di garanzia come la dazione di ipoteca volontaria di primo grado su beni immobili di esclusiva proprietà del concedente, per un importo pari al doppio delle somme dovute, comprese quelle a titolo di sanzione in misura piena).

(51) Cfr. Cass., sez. III pen., 19 giugno 2012, n. 33587, in Boll. Trib., 2012, 1488.

(52) Cfr. Cass. n. 33587/2012, cit.; e Cass., sez. VI pen., 17 settembre 2009, n. 36095, in Cass. pen., 2011, 1112.

(53) Cfr. Cass., sez. VI pen., 2 luglio 2010, n. 25166, in Ced Cass., rv. 247770.

(54) Nelle diverse norme che regolano le singole ipotesi di confisca per equivalente solo quella in materia di usura stabilisce che la confisca per equivalente può intervenire «salvi i diritti della persona offesa del reato alle restituzioni ed al risarcimento dei danni».

(55) Cfr. Cass., sez. trib., 6 maggio 2011, ord. n. 10036, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. trib., 29 settembre 2004, n. 19481, ivi – in sede tributaria – e Cass., sez. III pen., 28 maggio 2008, n. 21213, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. III pen., 28 febbraio 2012, n. 7739, ivi – in sede penale – ove si è indicato che i due accertamenti anche in relazione all’imposta evasa sono autonomi non creando preclusioni reciproche.

(56) Cfr. in un caso diverso – ma per alcuni versi assimilabile – di persona condanna per un reato contro la pubblica Amministrazione che abbia in esso subito la confisca per equivalente e nei cui confronti, poi, legittimamente, si agisca dinanzi alla Corte dei Conti per i danni cagionati all’ente di appartenenza con la propria condotta infedele non comportando l’ablazione avvenuta in sede penale un beneficio per l’Amministrazione danneggiata: cfr. Corte Conti, sez. giur. reg. Lombardia, 29 giugno 2011, n. 407, in Riv. Corte Conti, 2011, 301.

(57) Sull’impossibilità di un tale riesame nei confronti dell’imputato che ha subito la confisca per equivalente: cfr. Cass., sez. III pen., 22 febbraio 2012, ord. n. 7036, in Ced Cass., potendosi in sede di esecuzione verificare unicamente la presenza di diritti di proprietà sui beni confiscati da parte di terzi estranei al processo.

(58) In tale direzione si esprime, in modo esplicito, l’art. 19 del D.Lgs. n. 231/2001 – nella diversa materia della responsabilità amministrativa degli enti – nella parte in cui stabilisce che le pretese del danneggiato sono idonee a determinare una limitazione a questa misura solo nei casi di confisca diretta e con riferimento alla parte di beni che «può essere restituita al danneggiato»; norma con la quale, allora, non si consente il sequestro, prima, e la confisca, poi, dei soli beni sui quali il danneggiato può accampare una specifica pretesa restitutoria rappresentando gli stessi il profitto o il prezzo diretto del reato (rivendicando la persona offesa, in modo diretto, un diritto di proprietà od altro diritto di garanzia o di godimento) e che non trova, allora, applicazione per la confisca per equivalente in quanto sui beni da essa colpiti il danneggiato non ha alcun diritto ad una loro restituzione potendo agire su di essi – quale parte del patrimonio del debitore – solo in relazione ad un preteso risarcimento per i danni derivanti dalla condotta illecita subita. Pretesa quest’ultima che non può impedire la confisca per equivalente in quanto una tale interpretazione bloccherebbe sempre questa forma di ablazione a fronte della possibile presenza di soggetti potenzialmente danneggiati e titolari di un diritto al risarcimento dei danni.

(59) Cfr. Cass., sez. V pen., 6 gennaio 2004, in Foro it., 2004, II, 68.

(60) Sul punto in più occasioni si è indicato come il giudice in sede di patteggiamento deve procedere alla confisca per equivalente non essendo, tra l’altro, vincolato da eventuali accordi intervenuti tra le parti al riguardo: ved. Cass., sez. III pen., 4 novembre 2013, n. 4445, inedita.

(61) Cfr., in materia di reati contro la pubblica Amministrazione ove è stata esclusa la confisca per equivalente in caso di reato prescritto, Cass., sez. VI pen., 29 aprile 2013, n. 18799, in Ced Cass., rv. 255164; Cass., sez. VI pen., 17 maggio 2013, n. 21192, ivi, rv. 255367; e anche Cass., sez. III pen., 7 ottobre 2010, n. 35970, ivi, rv. 248484, un caso di estinzione del reato per morte del reo ove è stata esclusa la possibile confisca per equivalente.

(62) Cfr. Cass., sez. III, 16 giugno 2011, n. 24169, in Ced Cass., rv. 251002.

(63) Soggetto quest’ultimo che può essere anch’esso imputato nel processo penale, quale concorrente nel reato, ma che può anche restare ad esso estraneo (come nel caso, di seguito indicato, della persona giuridica in favore della quale è stata commessa l’evasione di imposta).

(64) Cfr. Cass., sez. II pen., 27 settembre 2006, n. 31989, in Foro it., 2007, II, 266.

(65) Cfr. Cass., sez. III pen., 24 febbraio 2011, n. 7138, in Ced Cass., rv. 249398.

(66) Si è fatto, ad esempio, riferimento al caso del professionista – nel caso esaminato un commercialista – che ha agevolato il contribuente, suo cliente, a commettere un reato tributario dal quale sia derivato l’omesso versamento di imposte in misura tale da determinare un profitto da reato per il solo cliente: cfr. Cass. n. 39239/2011, cit.

(67) Cfr. Cass., sez. V pen., 30 marzo 2011, n. 13277, in Ced Cass., rv. 249839.

(68) Cfr. Cass. n. 12580/2010, cit.; Cass. n. 13277/2011, cit.; Cass., sez. III pen., 11 novembre 2010, n. 42462, in Boll. Trib., 2012, 310; Cass. n. 41731/2010, cit.; Cass. n. 662/2011, cit.; e Cass. n. 10838/2007, cit. Così superando quell’indirizzo, espresso in alcune decisioni, che limitava il sequestro funzionale alla confisca per equivalente alla sola quota del profitto conseguito dal concorrente assoggettato a questa misura: cfr. Cass., sez. VI pen., 5 giugno 2007, n. 31690, in Arch. nu. proc. pen., 2008, 33; e Cass., sez. VI pen., 23 giugno 2006, n. 25877, in Ced Cass., rv. 234850.

(69) Cfr. Cass., sez. III pen., 14 aprile 2011, n. 15167, in Boll. Trib. On-line.

(70) Cfr. Cass., sez. fer. pen., 28 luglio 2009, n. 33409, in Cass. pen., 2010, 3102.

(71) Cfr. Cass. n. 39239/2011, cit., che cita sul punto Cass., sez. un. pen., 2 luglio 2008, n. 26654, in Foro it., 2009, II, 36; in modo identico anche Cass., sez. III pen., 6 ottobre 2011, n. 36290, in Boll. Trib. On-line.

(72) Cfr. Cass. n. 10838/2007, cit.

(73) Nel caso di sequestro, infatti, è possibile sottoporre a vincolo per ciascun indagato un valore corrispondente all’intero profitto conseguito trattandosi di un provvedimento provvisorio diretto a garantire una possibile confisca per equivalente in assenza di certezza su quali (tutti o alcuni solo di essi) dei soggetti colpiti saranno, poi, condannati e assoggettati alla misura definitiva: cfr. Cass., sez. V pen., 11 aprile 2012, n. 13562, in Ced Cass., rv. 253581; Cass., sez. II pen., 22 febbraio 2013, n. 8740, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. II pen., 18 ottobre 2007, n. 38599, in Ced Cass., rv. 238160. Principio, in vero, che è stato smentito da una recente decisione, allo stato isolata, ove si è affermato che anche in materia di sequestro opera il limite presente nei casi di confisca: cfr. Cass., sez. III pen., 28 giugno 2013, n. 28264, in Ced Cass., rv. 255610.

(74) Cfr. Cass., sez. III pen., 18 gennaio 2012, ord. n. 1893, in Boll. Trib. On-line; Cass. n. 13277/2011, cit.; Cass., sez. VI pen., 5 maggio 2009, n. 18536, in Ced Cass., rv. 243190; Cass., sez. V pen., 19 marzo 2010, n. 10810, ivi, rv. 246364; Cass. n. 42462/2010, cit.; e Cass. n. 662/2011, cit.

(75) Di talché ogni eventuale intervento nei confronti di soggetti estranei al reato si ridurrebbe ad una illegittima espropriazione priva di ogni giustificazione.

(76) Cfr. Cass., sez. II pen., 24 giugno 2011, n. 25357, in Boll. Trib., 2012, 316; in ultimo Cass., sez. III pen., 31 luglio 2013, n. 33187, in Boll. Trib. On-line.

(77) Cfr. Cass. n. 19662/2007, cit. In applicazione di questi principi è stato, ad esempio, ritenuto legittimo il sequestro per equivalente avente ad oggetto dei beni conferiti ad un trust in un caso ove si è verificato di come l’indagato – che era il trustee – continuava, di fatto, ad amministrare i beni, conservandone la piena disponibilità di talché la costituzione in trust era stato un mero espediente per creare un diaframma tra il patrimonio personale e proprietà costituita in trust, con evidente finalità elusive delle ragioni creditorie dei terzi, comprese quelle dell’erario: cfr. Cass., sez. V pen., 30 marzo 2011, n. 13276, in Boll. Trib. On-line. In modo analogo nel caso di un patto fiduciario di retrovendita, laddove questo sia configurato come diritto potestativo del dante causa in misura tale da determinare una interposizione reale tale da non eliminare la signoria corrispondente alla disponibilità sostanziale dei beni suscettibile in ogni momento, ad libitum dell’alienante, di ritradursi, in dominica potestas, di diritto: cfr. Cass. n. 10838/2007, cit.

(78) Cfr. Cass., sez. III pen., 19 novembre 2013, n. 46252, in Boll. Trib. On-line; Cass. n. 33187/2013, cit.; e Cass., sez. III pen., 11 maggio 2011, n. 18527, ivi.

(79) Cfr. Cass., sez. III pen., 6 dicembre 2011, n. 45353, in Boll. Trib. On-line, con riferimento alla non rilevanza ostativa del rapporto di solidarietà tra creditori o debitori ai sensi dell’art. 1289 c.c. oppure del rapporto tra istituto bancario e soggetto o soggetti depositanti ai sensi dell’art. 1834 c.c.

(80) Cfr. Cass., sez. VI pen., 17 luglio 2006, n. 24633, in Guida dir., 2006, 90, con riferimento al caso, invero frequente, del conto bancario cointestato al reo e a soggetti estranei alla condotta illecita ove si è valutato legittimo il sequestro dell’intero conto indicandosi come, in mancanza di una prova che dimostri la reale consistenza degli incrementi pecuniari di pertinenza di ciascuno titolare, si debba dare rilievo alla presunzione che le somme in deposito siano spettanti a ciascuno dei cointestatari in parti uguali; in modo analogo: cfr. Cass., sez. I pen., 30 ottobre 2009, n. 41905, in Ced Cass., rv. 245049; e Cass., sez. VI pen., 30 ottobre 2007, n. 40175, ivi, rv. 238086.

(81) Cfr. Cass., sez. III pen., 23 febbraio 2011, n. 6894, in Riv. pen., 2011, 511.

(82) Cfr. Cass. n. 28731/2011, cit.; Cass., sez. III pen., 16 febbraio 2010, n. 6288, in Boll. Trib. On-line; indica una possibile responsabilità sussidiaria della società dopo quella delle persone fisiche che hanno agito per suo conto: Cass. n. 42462/2010, cit.; richiama i principi affermati sul punto da Cass. n. 28731/2011, cit.: Cass., sez. III pen., 13 aprile 2012, n. 13996, in Boll. Trib. On-line.

(83) Rispoli, op. cit., 203; e Di Gregorio, Illeciti tributari e misure ablatorie: alcune questioni pratiche, in il fisco, 2011, 6043.

(84) Cfr. Salcuni, I reati tributari, in Manna (a cura di), Corsi di diritto penale dell’impresa, Padova, 2010, 493; e Perini, Reati tributari, in Dig. disc. pen., 2008, 943.

(85) Cfr. Cass. n. 41731/2010, cit.; e Cass., sez. VI pen., 26 giugno 2009, n. 26611, in Cass. pen., 2010, 4274.

(86) Ved. Soana, Introdotta la confisca per equivalente anche nel diritto penale tributario, in Giust. trib., 2008, 8; Ardito, Reati tributari: irretroattività della confisca per equivalente, in Rass. trib., 2009, 874; Della Ragione, op. cit., 19; e Santoriello, Sul sequestro per equivalente dei beni della persona giuridica per i reati tributari commessi nel suo interesse, in il fisco, 2011, 1590.

(87) Cfr. Cass., sez. III pen., 16 ottobre 2013, n. 42477, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. III pen., 19 novembre 2013, n. 46249, ivi; Cass. n. 33187/2013, cit.; e Cass. n. 25774/2012, cit.

(88) Intervenuta con Cass., sez. III pen., 22 novembre 2013, ord. n. 46726, in Boll. Trib. On-line.

(89) Cfr. Cass. n. 10561/2014, cit.

(90) Si tratta, invero, di casi frequenti nel diritto penale tributario soprattutto in quelle fattispecie ove si vengono a creare delle società di comodo che hanno quale unica funzione quella di costituire un illecito filtro (cd. società cartiere) tra le effettive parti di un rapporto commerciale – rappresentando «una emanazione meramente strumentale degli autori del reato – persone fisiche, ossia un comodo e artificioso schermo al cui riparo agire indisturbati» (Cass. n. 1256/2013, cit.) – proprio al fine di evitare il pagamento delle imposte dovute; anche Cass. n. 10561/2014, cit.

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(91) Per quanto riguarda il delitto di cui all’art. 416 c.p. prevede questa responsabilità l’art. 24-ter, secondo comma, del D.Lgs. n. 231/2001, per come questa norma è stata inserita dall’art. 29 della legge 15 luglio 2009 n. 94; per il reato transnazionale la responsabilità amministrativa dell’ente e la possibilità di procedere a confisca per equivalente è prevista dagli artt. 10 e 11 della legge n. 146/2006 che ha introdotto questo reato nell’ordinamento.

(92) Cfr. Cass., sez. III pen., 6 giugno 2013, n. 24841, in Boll. Trib. On-line, ove è stato confermato un sequestro per equivalente al valore delle imposte sottratte nei confronti di una persona giuridica accusata di associazione a delinquere finalizzata alle frodi fiscali; in modo analogo per le frodi fiscali commesse nell’ambito di un programma associativo di un organizzazione criminale transnazionale: cfr. Cass., sez. III pen., 24 marzo 2011, n. 11969, in Boll. Trib. On-line.

(93) Cfr. Cass. n. 10561/2014, cit.

(94) Cfr. Cass., sez. un. pen., 9 luglio 2004, n. 29951, in Cass. pen., 2004, 3087.

(95) Cfr. Cass., sez. II pen., 14 ottobre 1992, n. 11173, in Ced Cass., rv. 193422.

(96) Cfr., oltre alla sentenza delle Sezioni Unite n. 10561/2014, cit., anche Cass. n. 1256/2013, cit., ove viene criticata – prendendone comunque atto – la scelta fatta dal legislatore di non consentire per i reati tributari la confisca per equivalente nei confronti delle persone giuridiche indicando di come con essa «l’attuale sistema punitivo, e soprattutto quello volto al recupero dei proventi del reato attraverso la confisca di valore, nella materia dei reati tributari sia inefficace ed evidenzi una disparità di trattamento in riferimento alla previsione della confisca non solo tra le persone fisiche e le persone giuridiche, ma tra le stesse persone giuridiche …».

 

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