19 Settembre, 2017

SOMMARIO: 1. Incipit – 2. I fatti di causa – 3. L’impugnazione degli atti della riscossione e l’annosa disputa sulla configurazione del rapporto tra ente creditore ed agente della riscossione – 4. Litisconsorzio facoltativo successivo e necessità della chiamata motu proprio, tramite litis denuntiatio – 5. Natura sostanziale della chiamata in causa e rispetto del principio della “ragionevole durata del processo” – 6. Considerazioni conclusive.

1. Incipit

L’agente della riscossione, laddove destinatario dell’impugnazione di una cartella di pagamento per motivi afferenti anche all’operato dell’Ufficio impositore, se non vuole rispondere dell’eventuale esito negativo della lite, ha l’onere ed il contestuale interesse a «chiamare in causa direttamente l’ente creditore interessato, ai sensi dell’art. 39 del D.Lgs. n. 112/1999, anziché procedere con una irrituale ed illegittima richiesta al giudice di autorizzare la sua chiamata in causa, allungando peraltro i termini del procedimento in contrasto con il principio del giusto processo sancito dall’art. 111 della Costituzione». Questa la pregevole ratio decidendi espressa dai giudici della Commissione tributaria provinciale di Palermo n. 6713/2015 (1) i quali, ritenendo fondate le doglianze della parte privata, accoglievano il ricorso dopo aver rigettato, in via pregiudiziale, la richiesta di autorizzazione alla chiamata in causa avanzata, con l’atto di controdeduzioni, dall’agente della riscossione.

2. I fatti di causa

Prima di passare alla disamina dei principi applicati dal giudice di primae curae nella sentenza sopra citata, si rende doverosa una breve illustrazione della fattispecie controversa.
Il ricorrente presentava ricorso avverso una cartella di pagamento notificatagli da Riscossione Sicilia s.p.a., emessa a seguito di controllo automatizzato della sua dichiarazione dei redditi, effettuato ai sensi dell’art. 36-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e dell’art. 54-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Egli domandava l’annullamento del provvedimento de quo, eccependo il suo difetto di notifica, il difetto di sottoscrizione del ruolo, il difetto di motivazione, dolendosi della omessa notificazione della comunicazione di irregolarità (ritenuto in fattispecie atto presupposto/necessario) e facendo rilevare, nel merito del rapporto controverso, l’inesistenza dell’obbligazione tributaria avanzata nei suoi confronti, in ragione del fatto che la dichiarazione dei redditi, oggetto di controllo automatizzato, non esprimeva alcuna imposta a debito nei confronti dell’erario.
La parte privata identificava quale suo unico avversario processuale il soggetto che aveva emesso l’atto opposto, vale a dire l’agente della riscossione il quale, nel costituirsi in giudizio, prendeva posizione sui motivi di doglianza afferenti al suo diretto operato e, relativamente agli altri motivi del contendere, dichiarava il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedeva, al giudice adito, di emettere un’ordinanza di autorizzazione alla chiamata in causa del terzo legittimato Ufficio impositore, in applicazione all’art. 14, terzo comma, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
Il ricorrente si opponeva, con articolata memoria di replica, alla prefata istanza per la chiamata in causa.
Ebbene, all’udienza di trattazione del merito, il decidente investito della controversia pronunciava, in via pregiudiziale, la reiezione della richiesta di autorizzazione – sostanzialmente accogliendo la tesi espressa dalla parte privata – e, per l’effetto, ritenendo perfettamente integro il contraddittorio così come costituito dalle due parti in causa, poneva in decisione la lite.
Indi, in applicazione del “principio di non contestazione” sancito dall’art. 115 c.p.c., accoglieva il ricorso, ritenendo fondate le doglianze di parte afferenti alla omessa notificazione della comunicazione di irregolarità (c.d. avviso bonario), al difetto di motivazione e all’inesistenza della pretesa tributaria, contestazioni tutte avanzate da parte ricorrente che non hanno subìto contrasto alcuno dalla parte costituita, agente della riscossione (2).

3. L’impugnazione degli atti della riscossione e l’annosa disputa sulla configurazione del rapporto tra ente creditore ed agente della riscossione

Il punto di partenza da cui muove il giudice del merito, nella citata sentenza della Commissione tributaria provinciale di Palermo n. 6713/2015, riguarda la configurazione giuridica da attribuire al rapporto intercorrente tra il soggetto che notifica l’atto della riscossione e l’ente titolare del diritto di credito avanzato nei confronti del contribuente notificatario.
Com’è noto è ex positivo iure previsto che il contribuente destinatario di un atto della riscossione possa anche indirizzare l’impugnazione nei confronti del solo agente della riscossione (3), pur dolendosi di violazioni di legge commesse dall’ente creditore nel procedimento di formazione del ruolo, dacché una scelta processuale di tale fatta non determinerà l’inammissibilità del ricorso, ma farà sorgere, in capo al destinatario dell’impugnazione, l’onere di «chiamare in causa l’ente creditore interessato» onde evitare di dovere rispondere dell’eventuale esito negativo della lite (4).
Sulla disposizione normativa de qua, l’attività nomofilattica della Suprema Corte ha dato vita ad un’interpretazione ormai tetragona, secondo cui tra agente della riscossione e Amministrazione finanziaria è configurabile una fattispecie di litisconsorzio facoltativo, circostanza da cui deriva inevitabilmente che:
i. il giudice investito della controversia non deve ordinare ex officio l’integrazione del contraddittorio;
ii. il contribuente è totalmente estraneo al rapporto di responsabilità sussistente tra l’ente della riscossione e l’Ufficio fiscale e, per tale ragione, egli può indifferentemente indirizzare la sua azione processuale nei confronti dell’uno, piuttosto che dell’altro, senza che l’impugnazione sia passibile di inammissibilità;
iii. sicché, l’onere della chiamata in causa non può che gravare solo sull’agente della riscossione, essendo rimessa alla sola sua volontà la facoltà di chiamare in causa l’ente creditore, con l’unico fine di mantenersi indenne dall’eventuale esito negativo della controversia (5).
In buona sostanza, alla luce del prospettato quadro normativo e del diritto vivente in essere, nel momento in cui il contribuente esperisce la sua azione di impugnativa avverso il solo agente della riscossione, il contraddittorio processuale così instaurato è, ab ovo, perfettamente integro, in quanto l’ente de quo, così come rammentato dagli stessi giudici del merito nella sentenza della Commissione tributaria provinciale di Palermo, riveste sostanzialmente la figura di adiectus solutionis causa nei confronti dell’Amministrazione finanziaria e, pertanto, all’interno del processo assume le vesti di sostituto processuale naturale dell’Ufficio impositore, ai sensi dell’art. 81 c.p.c.
L’unico caso – ovviamente non afferente al primo grado di giudizio – in cui si prospetta un’ipotesi di litisconsorzio necessario (processuale) tra Amministrazione finanziaria ed ente riscossore è rappresentato dalla fattispecie in cui l’ente impositore era stato evocato e aveva preso parte al processo di prima istanza, salvo poi essere pretermesso, dall’appellante, nel grado d’appello.
In ipotesi di tale fatta, l’Ufficio delle imposte deve essere considerato, nel secondo grado di giudizio, quale contraddittore necessario (in senso processuale) e, pertanto, laddove il gravame venga proposto nei confronti del solo agente della riscossione, in violazione dell’art. 53, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, il giudice investito della controversia dovrà ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti della parte processualmente necessaria, ex art. 331 c.p.c. (6).
Tanto pacificamente premesso, possiamo passare alla disamina della questione afferente alle modalità con cui l’Ufficio delle imposte debba trovare ingresso all’interno del processo, problematica da sempre oggetto di disputa dottrinale e giurisprudenziale.
Il giudice del merito, fermo restando che non possa ordinare ex officio l’integrazione del contraddittorio, può ordinare l’integrazione su istanza dell’agente della riscossione? Ovvero, trattandosi di chiamata in causa di natura meramente sostanziale e afferente squisitamente al rapporto di responsabilità Ufficio-agente, quest’ultimo dovrà procedere direttamente tramite litis denuntiatio?
È proprio questa la cavillosa problematica magistralmente affrontata dai giudici di primae curae nella sentenza in esame.

4. Litisconsorzio facoltativo successivo e necessità della chiamata motu proprio, tramite litis denuntiatio (7)

Nella fattispecie oggetto della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Palermo n. 6713/2015, come già anticipato, l’agente della riscossione convenuto in giudizio, nel suo atto di controdeduzioni, chiedeva al giudice adito di ordinare l’integrazione del contraddittorio, ai sensi e per gli effetti del terzo comma dell’art. 14 del D.Lgs. n. 546/1992.
Dal canto suo, il decidente di prima istanza, facendo proprie le argomentazioni della parte ricorrente, rigettava tale domanda avanzata dalla parte resistente, sulla base di un adamantino percorso argomentativo, che si cercherà di analizzare nel prosieguo.
La norma de qua, rubricata “Litisconsorzio ed intervento”, regolamenta le ipotesi di litisconsorzio necessario originario e litisconsorzio facoltativo originario ed è, pertanto, applicabile solo nei confronti delle parti private, ovverosia nei confronti del ricorrente e di altri soggetti che insieme a quest’ultimo sono parte, direttamente o indirettamente, del rapporto controverso.
Più nello specifico, i primi due commi della prefata disposizione normativa (8) disciplinano l’ipotesi del litisconsorzio necessario originario e la chiamata in causa, iussu iudicis, del terzo litisconsorte necessario che, essendo inscindibilmente parte dell’oggetto del ricorso, deve obbligatoriamente fare ingresso nel processo in quanto, laddove così non fosse, la sentenza successivamente emessa sarebbe inutiliter data.
Ictu oculi, il prefato precetto normativo non è applicabile al rapporto tra agente della riscossione e Ufficio impositore che, come ampiamente argomentato, è inquadrabile nell’alveo del litisconsorzio facoltativo.
Il successivo terzo comma, invero, sì come magistralmente statuito dai giudici palermitani, non può trovare applicazione alla fattispecie de qua, dacché disciplina le sole ipotesi di litisconsorzio facoltativo originario e, di conseguenza, al pari del dettato normativo di cui ai primi due commi involge le sole parti private del processo.
A ben vedere, il terzo comma del summenzionato art. 14 recita, apertis verbis: «Possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso».
Sicché, per come già statuito dai giudici di legittimità (9), il citato dettato normativo (così come tutto l’art. 14) ha una dimensione eminentemente processuale e afferisce alla fattispecie in cui si è in presenza di un atto impositivo unitario con pluralità di destinatari, ma l’impugnazione proposta da uno dei coobbligati non è fondata su elementi impositivi comuni a tutti i destinatari.
In buona sostanza, trattasi di due fattispecie ben specifiche:
i. un atto impositivo o dell’esazione viene notificato a più soggetti, ma la successiva impugnazione da parte di uno solo di essi non determina la necessità processuale di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri destinatari (10);
ii. un provvedimento impositivo o della riscossione viene notificato ad un solo soggetto, ma il rapporto sottostante alla pretesa afferisce anche ad altri soggetti, i quali potrebbero (ma non devono) essere chiamati in causa o intervenire volontariamente (11).
Peraltro più di recente (12), la Corte di Cassazione ha aperto ad un’interpretazione meno letterale del citato comma terzo dell’art. 14 che consentisse di ampliare il concetto di destinatario dell’atto – fino a ricomprendere in esso anche la figura del destinatario potenziale e mediato (e non solo quella del destinatario stricto iure) – nonché di rendere più elastica l’accezione di titolarità del rapporto controverso – fino a ricomprendere in essa anche la titolarità di un rapporto dipendente o connesso rispetto a quello costituito dall’atto impugnato, così ritenendo ammissibile una sorta di “intervento adesivo dipendente”, sulla scorta di quello positivizzato dall’art. 105 c.p.c. (13).
Ad ogni modo, anche l’interpretazione appena richiamata, peraltro non condivisa da diverse altre pronunce (14), circoscrive l’ambito di applicabilità dell’art. 14 alle sole parti private, seppure nei confronti di altri soggetti rispetto a quelli stricto sensu desumibili dal dettato normativo.
E ancora, a corroboramento della tesi sostenuta dai giudici della Commissione tributaria provinciale di Palermo n. 6713/2015, si rileva che la previsione di cui al successivo comma sesto dell’art. 14 del D.Lgs. n. 546/1992 in esame si riferisce espressamente a quanto disposto dal precedente comma terzo e ne delimita inequivocabilmente l’ambito di applicazione alle sole parti private, laddove statuisce che i soggetti chiamati in causa od intervenuti non possano impugnare autonomamente l’atto oggetto della lite se per essi, al momento della costituzione, è già decorso il termine decadenziale prescritto dall’ordinamento.
Di conseguenza, il giudice del merito ha ritenuto di non potere accogliere la domanda di autorizzazione alla chiamata in causa dell’ente creditore, avanzata dalla Riscossione Sicilia s.p.a., ex art. 14, terzo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, poiché tra le due parti ricorre un rapporto di litisconsorzio facoltativo sopravvenuto (o successivo) e non originario, di carattere sostanziale e non processuale, perciò estraneo all’ambito di applicazione dell’art. 14 del D.Lgs n. 546/1992.
In effetti, seguendo il percorso argomentativo del pronunciamento in commento, nelle ipotesi di cui all’art. 14, comma terzo, il rapporto di litisconsorzio facoltativo originario involge, sempre e comunque, l’oggetto del provvedimento impugnato e, in ragione di ciò, tale rapporto litisconsortile si manifesta come tale ab origine, in quanto, già nel momento in cui il destinatario (od uno dei destinatari) dell’atto tributario propongono l’impugnazione, automaticamente tutti i soggetti che presentano una delle caratteristiche prescritte dal dettato normativo assumono, automaticamente, la qualifica di litisconsorti facoltativi i quali, potenzialmente, possono essere evocati o intervenire nel giudizio incardinato.
Invero, così non è nel caso del litisconsorzio facoltativo successivo sussistente tra agente e Ufficio, rapporto litisconsortile che può eventualmente sopravvenire al verificarsi delle seguenti due condizioni:
• del comportamento tenuto dalla parte privata, la quale, nella sua qualità di attore in senso formale, potrà legittimamente decidere di proporre impugnazione avverso un atto della riscossione, dolendosi anche di vizi afferenti all’attività espletata dall’ente creditore, ma evocando in giudizio il solo agente della riscossione;
• della personale decisione dell’ente riscossore, il quale, a giudizio incardinato, potrà o meno denunciare l’esistenza della lite de qua nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, al fine di scongiurare la possibilità di dovere rispondere dell’eventuale esito negativo della lite, senza che l’ingresso nel processo dell’Ufficio delle imposte risponda a necessità di natura processuale.
In altri termini, il rapporto litisconsortile agente della riscossione-Agenzia delle entrate non sussiste in nuce nell’oggetto del processo, ma sopravviene al mero comportamento del contribuente e, soprattutto, all’esigenza privatistica e sostanzialistica dell’ente riscossore di indirizzare, pro domo sua, il rapporto di responsabilità intercorrente con l’Amministrazione finanziaria.
Sicché, è solo al verificarsi di tali eventualità che si ingenera una ipotesi di litisconsorzio facoltativo, appunto sopravvenuta, non sussistente ab ovo, ma soggiacente precipuamente all’onere/interesse incombente in capo all’agente della riscossione di integrare il contraddittorio, evocando in giudizio l’ente titolare del credito.

5. Natura sostanziale della chiamata in causa e rispetto del principio della “ragionevole durata del processo”

Pertanto, alla luce delle superiori argomentazioni, il giudice del merito, nel decisum in esame, ha rigettato la domanda di integrazione del contraddittorio avanzata da parte resistente ai sensi dell’art. 14, comma terzo, più volte menzionato, ritenendo che l’agente della riscossione avrebbe dovuto «chiamare direttamente l’ufficio impositore, motu proprio, con ogni mezzo (anche con una lettera raccomandata sostiene la giurisprudenza) per attivarne l’intervento nel processo».
Una tale visione di cose, secondo il decidente adito, oltre ad essere naturale conseguenza della intentio legis sulla quale si è già sopra argomentato, è altresì strettamente correlata ad altri due principi, da egli pregevolmente presi in disamina.
In primo luogo è lapalissiano che l’intervento dell’Ufficio fiscale per effetto della chiamata in giudizio da parte dell’Ente della riscossione sia qualificabile quale istituto di natura strettamente sostanziale, tant’è che trattasi di una facoltà disciplinata dall’art. 39 del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, che è una norma di carattere appunto non processuale.
In ragione di ciò, il giudice investito della controversia – la cui funzione preliminare è quella di garantire il rispetto delle “regole del gioco processuale” e della integrità del contraddittorio tra le parti – non può che ritenersi totalmente estraneo al rapporto di responsabilità intercorrente tra i due enti.
Pertanto, la disciplina speciale legittimerebbe un intervento sui generis da parte dell’Amministrazione finanziaria, non positivizzato né dal D.Lgs n. 546/1992 né, tantomeno, da alcuna norma del codice di procedura civile, ma che scaturisce dalla semplice litis denuntiatio con cui l’Ente della riscossione mette nelle condizioni l’Ufficio impositore di potere intervenire nel processo, con l’unico scopo di salvaguardare il suo interesse economico a non rispondere dell’esito negativo della lite, ma senza che sussista qualsivoglia ragione di natura processuale.
Tale incontrovertibile constatazione, concernente la sostanzialità dell’istituto della chiamata del terzo ex art. 39 del D.Lgs. n. 112/1999, se da un lato corrobora l’interpretazione sin qui esposta, afferente all’ambito di applicazione dell’art. 14 del D.Lgs. n. 54/1992, dall’altro lato parrebbe anche risolvere il problema della convivenza di una tale impostazione con il disposto di cui al comma terzo dell’art. 23 del D.Lgs. n. 546/1992 che impone alla parte resistente che voglia instare per la chiamata del terzo di costituirsi nel termine (in questo caso perentorio) (15) di sessanta giorni dalla ricezione del ricorso, avanzando appunto tale domanda nell’atto di controdeduzioni, limitandone la sfera di applicazione.
La seconda ragione per cui, secondo il decidente di prima istanza, l’agente della riscossione debba procedere alla chiamata diretta dell’ente creditore soggiace nella necessità di applicare le norme (processuali e non) nel senso costituzionalmente più orientato, garantendo, di tal guisa, il rispetto del principio della “ragionevole durata del processo”, sancito dal comma secondo dell’art. 111 della Cost.
Difatti, secondo la condivisibile ratio decidendi espressa dal giudice di Palermo, la richiesta di autorizzazione alla chiamata in causa avanzata dalla parte resistente allungherebbe inutilmente i termini del processo, in chiaro contrasto con il principio disposto dalla nostra Carta Costituzionale, dacché imporrebbe il rinvio dell’udienza di trattazione del merito della controversia, senza che sussistano fondate ragioni di carattere processuale.

6. Considerazioni conclusive

Le questioni processuali su cui si è pronunciata la Commissione tributaria provinciale di Palermo sono tutt’altro che pacifiche atteso che, ad oggi, non si registra né nel diritto vivente (soprattutto nella giurisprudenza di merito) né tantomeno in dottrina un orientamento consolidato che rappresenti un approdo sicuro per gli operatori del settore.
Ciò detto, i principi espressi dai giudici di merito nel decisum in commento forniscono, innegabilmente, una visuale per così dire “intrigante” della problematica de qua, fornendo una strada che appare – seppure con qualche inevitabile punto di domanda in sospeso – abbastanza lineare, agevolmente percorribile, sicuramente armonica rispetto ai caratteri peculiari del processo tributario e dell’ordinamento di riferimento, organicamente esaminati.

Dott. Carlo Ferrari – Dott. Piergiacomo Giusto

(1) Cfr. Comm. trib. prov. di Palermo, sez. VII, 17 dicembre 2015, n. 6713, in Boll. Trib. On-line.
(2) Cfr. Comm. trib. prov. di Palermo n. 6713/2015, cit.
(3) Nel senso dell’individuazione del legittimato passivo con riferimento all’agente della riscossione, quale soggetto da cui proviene l’atto, già antecedentemente alla novella introdotta nell’ordinamento dall’art. 39 del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, si veda C. GLENDI, Aspetti sostanziali e processuali della cd. chiamata in causa dell’ente impositore da parte dell’esattore, in Dir. prat. trib., 1974, I, 9, ove la tesi della legittimazione passiva del concessionario nel caso di atti da lui emessi veniva fondata sull’art. 77 del T.U. delle leggi sui servizi della riscossione delle imposte dirette, approvato con D.P.R. 15 maggio 1963, n. 858; e ID., Ricorso avverso avviso di mora: notifica al concessionario che ha emesso l’avviso, in Riv. giur. trib., 1997, 1068, in nota a Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, sez. V, 6 maggio 1997, n. 52.
(4) L’art. 39 del D.Lgs. n. 112/1999 tanto statuisce: «Il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite»
(5) Cfr., ex multis, Cass., sez. un., 25 luglio 2007, n. 16412, in Boll. Trib., 2007, 1555, con nota di L. FERLAZZO NATOLI – G. INGRAO, Nullità degli ‘’atti successivi’’, non preceduti dalla notifica degli ‘’atti presupposto”; Cass., sez. VI, 2 dicembre 2014, n. 25523, ivi, 2016, 139; Cass., sez. VI, 14 aprile 2014, ord. n. 8701; Cass., sez. trib., 29 maggio 2013, n. 13311; Cass., sez. trib., 18 dicembre 2013, n. 28298; e Cass., sez. trib., 26 settembre 2012, n. 16372; tutte in Boll. Trib. On-line.
(6) Cfr. Cass., sez. VI, 6 novembre 2013, ord. n. 24868, in Boll. Trib. On-line; e Cass. n. 25523/2014, cit.
(7) In termini di mera litis denuntiatio si è espressa autorevole dottrina: cfr. C. GLENDI, Aspetti sostanziali e processuali della cd. chiamata in causa dell’ente impositore da parte dell’esattore, cit., 17.
(8) L’art. 14 del D.Lgs. n. 546/1992, ai commi primo e secondo, così recita: «Se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi. Se il ricorso non è stato proposto da o nei confronti di tutti i soggetti indicati nel comma 1 è ordinata l’integrazione del contraddittorio mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza».
(9) Cfr. Cass., sez. trib., 15 giugno 2010, n. 14378, in Boll. Trib. On-line.
(10) Il caso del rapporto di coobbligazione che si crea tra acquirente e venditore a seguito di notificazione ad entrambi i soggetti de quibus di un avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta di registro.
(11) In tale caso, si pensi ad un avviso di rettifica notificato ad uno solo dei coobbligati.
(12) In termini, Cass., sez. trib., 12 gennaio 2012, n. 255, in Boll. Trib., 2012, 859, con nota di P. ACCORDINO, Ammissibilità dell’intervento adesivo dipendente nel processo tributario.
(13) Secondo i giudici di legittimità una simile interpretazione, peraltro ritenuta costituzionalmente orientata, consentirebbe di «ammettere nel processo tributario l’intervento di quei soggetti che, pur non destinatari diretti dell’atto impugnato, potrebbero essere chiamati successivamente ad adempiere in luogo di altri, ipotesi nelle quali il condebitore non è soggetto passivo di imposta ma è tuttavia considerato, dalla disciplina civile o fiscale, solidalmente responsabile per l’adempimento dell’obbligazione tributaria insieme con il contribuente, come nel caso dei soci di una società di persone – illimitatamente responsabili per le obbligazioni societarie, comprese quelle tributarie -, nel caso dei rappresentanti legali del soggetto passivo di imposta – talora ritenuti solidalmente responsabili con quest’ultimo – oppure nel caso (ricorrente nella specie) del cessionario di azienda o di un ramo di essa – responsabile in solido ex art. 14 del D.Lgs. n. 472 del 1997, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda, per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle irrogate e contestate nel medesimo periodo, anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore».
(14) Si veda, senza pretese di esaustività, Cass., sez. trib., 31 luglio 2007, n. 16937, in Boll. Trib. On-line, nel quale si esclude perentoriamente l’ammissibilità, nel processo tributario, dell’“intervento adesivo dipendente”, sulla base del fatto che esso sarebbe «incompatibile sia con la natura impugnatoria del giudizio, la cui introduzione è subordinata ad un termine di decadenza sia con l’art. 14 del D.Lgs. n. 546 del 1992, che, consentendo all’interveniente di proporre domande diverse da quelle avanzate dalle parti originarie soltanto qualora l’intervento abbia luogo entro il termine assegnato per l’impugnazione, riconosce la legittimazione ad intervenire ai soli soggetti che, in qualità di destinatari dell’atto o parti del rapporto controverso, potrebbero proporre autonoma impugnazione, escludendo quindi la possibilità di spiegare intervento a tutela di interessi sui quali l’atto può produrre un effetto di pregiudizio o di vantaggio (v. cass. n. 24064 del 2006)».
(15) In termini, ex multis, Cass., sez. trib., 10 giugno 2009, n. 13331, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. trib., 28 marzo 2008, n. 8039, ivi; e Cass., sez. trib., 8 ottobre 2007, n. 21059, in Boll. Trib., 2008, 339.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *