15 Settembre, 2017

LA NORMA SULLA SOLIDARIETÀ SCRITTA PRIMA DELLA CONCENTRAZIONE
DELLA RISCOSSIONE E LA NORMA SULLA SOPRAVVIVENZA SCRITTA
CON FORMULAZIONE DAVVERO INFELICE. DOV’È IL FILO DI ARIANNA?

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. La disciplina codicistica dei debiti relativi all’azienda ceduta – 3. Le deroghe alla disciplina codicistica dei debiti relativi all’azienda ceduta – 4. Presupposto dell’effettività del beneficium excussionis – 5. L’inquadramento sistematico delle deroghe alla disciplina codicistica – 6. L’operatività della disciplina codicistica non derogata – 7. Il caso della società cedente cancellata, la disciplina codicistica sostanziale – 8. Il caso della società cedente cancellata, la disciplina codicistica processuale – 9. Le deroghe alla disciplina codicistica della cancellazione: la novella della sopravvivenza fiscale delle società estinte – 10. Il caso della società cedente cancellata, le deroghe alla disciplina codicistica sostanziale.

1. Premessa

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11972/2015 (1), ha affrontato il tema della responsabilità solidale del cessionario del ramo d’azienda. Ricorreva, infatti, l’Agenzia delle entrate contro una società a responsabilità limitata in liquidazione e contro l’agente della riscossione Equitalia Sud, avverso una sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 513/2012. La vicenda riguardava una cartella di pagamento recante l’iscrizione a ruolo per IVA e IRAP, relativa all’anno d’imposta 2004, notificata alla società, nella sua qualità di soggetto cessionario di un ramo d’azienda, cedutole da una società per azioni. Secondo la Commissione tributaria regionale, sulla scorta della cessione del ramo di azienda risalente all’anno 2004, l’Ufficio finanziario aveva notificato la cartella di pagamento alla cessionaria nel 2010, senza considerare l’intervenuta risoluzione del contratto di cessione del ramo di azienda per inadempimento, sempre nell’anno 2004, pochi mesi dopo la relativa stipulazione. Di qui la soccombenza dell’Agenzia delle entrate in appello. Avanti alla Suprema Corte, allora, l’Ufficio finanziario invocava la violazione e la falsa applicazione dell’art. 14 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, e degli artt. 1376, 1458, 1372, 2704, 2556 e 2193 c.c., per non avere considerato il giudice dell’appello che la transazione intercorsa fra cedente e cessionario, anche sulla base dell’interpretazione data dal giudice di merito quale risoluzione per inadempimento, non era opponibile ai terzi alla stregua della normativa civilistica, «spiegando effetti solo per il periodo ad essa successivo e lasciando così inalterata l’efficacia della cessione per l’anno 2004. La transazione, d’altra parte, non era mai stata trascritta nel Registro delle Imprese ed era priva di data certa».
La pronuncia, che ha accolto la tesi erariale, offre lo spunto per analizzare la norma recata dall’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997, recentemente novellata dal legislatore (2), che introduce una disciplina speciale in tema di cessione di azienda quanto ai rapporti tributari, derogatoria rispetto alla disciplina codicistica. Ed è proprio nel corso dell’esame delle deroghe valevoli per il comparto tributario, rispetto alla disciplina codicistica, nonché dell’operatività residua di quest’ultima ove le deroghe non siano espresse, che ci si imbatte in un percorso labirintico dal quale non sembra agevole fuoriuscire.

2. La disciplina codicistica dei debiti relativi all’azienda ceduta

L’art. 2560 c.c., rubricato “Debiti relativi all’azienda ceduta”, prevede che l’acquirente dell’azienda possa essere chiamato a rispondere delle obbligazioni del dante causa afferenti all’azienda ceduta o al ramo d’azienda ceduto solo se le obbligazioni stesse risultano annotate nei libri contabili obbligatori. Recentemente la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13319/2015 (3), ha ribadito il concetto: «alla cessione di ramo di azienda è applicabile l’art. 2560 c.c., e l’acquirente del ramo di azienda dovrà rispondere dei debiti pregressi risultanti dai libri contabili obbligatori inerenti alla gestione del ramo di azienda ceduto».

3. Le deroghe alla disciplina codicistica dei debiti relativi all’azienda ceduta

L’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997 si pone in rapporto di spiccata specialità (4) (5) rispetto all’art. 2560 c.c. in quanto il legislatore ha voluto concedere al creditore erario una tutela maggiore rispetto a quella riconosciuta alla generalità dei creditori del dante causa di un contratto di cessione d’azienda, per i crediti vantati in relazione all’esercizio dell’azienda medesima.
L’art. 14 richiamato, infatti, innanzitutto prescinde dalla condizione delle annotazioni dei debiti nei libri contabili obbligatori (6) e individua negli atti dell’Amministrazione finanziaria il luogo fisico in cui il debito debba trovare un concreto riscontro (7). A ben vedere, la differenza tra norma generale e speciale è relativa, almeno nell’interpretazione prevalente (8), non solo alla reperibilità dei dati che numericamente esprimono l’oggetto della responsabilità, ma anche all’oggetto stesso: i debiti in senso proprio nella disciplina codicistica, i debiti in senso lato, ossia comprensivi delle mere pretese fiscali non ancora formalmente opposte al contribuente, nella disciplina tributaria.
A seconda della natura che si voglia riconoscere all’atto impositivo, infatti, possiamo considerare che il debito d’imposta nasca nel momento in cui viene a esistenza l’atto impositivo (teoria costitutiva, che inquadra l’atto che reca la pretesa fiscale nell’ambito della categoria dei provvedimenti amministrativi), oppure che il debito nasca al verificarsi del presupposto (teoria dichiarativa, che inquadra l’atto che reca la pretesa fiscale nell’ambito della categoria delle provocatio ad opponendum). Certo è che, per entrambe le scuole di pensiero, l’erario è creditore in senso compiuto solo dopo il perfezionamento della notifica dell’atto, che ha natura indubitabilmente recettizia, di talché nessuno pretende l’annotazione nelle scritture contabili oggi di un debito in relazione alle imposte che l’ente impositore potrebbe, magari, far oggetto di accertamento domani. Nella formulazione dell’art. 14, invece, e precisamente nel passaggio tra il primo e il secondo comma, si rinviene lo spunto per ritenere ricomprese nell’ambito di applicazione della disciplina speciale, le imposte dovute in senso ampio, maggiorate delle relative sanzioni, e non soltanto i debiti d’imposta conclamati in atti impositivi notificati (9). Ne consegue che la fonte materiale delle informazioni possa essere collocata negli atti degli Uffici finanziari ove, ad esempio, sono annotate anche le risultanze dei processi verbali di constatazione, non già nelle scritture contabili, ove gli atti impositivi sono, o almeno dovrebbero essere, annotati nei conti patrimoniali di debito, mentre non sono annotate, se non nei cosiddetti conti d’ordine o nei fondi di copertura dei rischi, le pretese che emergono dai processi verbali di constatazione.
Per la verità, il dato letterale della norma, laddove cita il «debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici», farebbe deporre per la tesi più purista dell’oggetto della responsabilità limitato alle somme per le quali l’erario possa dirsi creditore in senso compiuto. Eppure la lettera del terzo comma, ove si legge dell’esistenza «di contestazioni in corso» da aggiungere alle contestazioni «già definite per le quali i debiti non siano stati soddisfatti», riporta nell’alveo più ampio, già delineato dal primo comma, tipico della teoria dichiarativa: responsabilità per il «pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore».
In questo andamento circolare del fraseggio normativo, la tesi più limitativa della responsabilità trova un definitivo ostacolo nell’assist che il legislatore procura all’Amministrazione finanziaria con la previsione dell’obbligo a suo carico del rilascio di un certificato sull’esistenza. Prevedere un adempimento a carico della Parte pubblica significa aprire la strada a un chiarimento unilaterale in merito alle modalità operative di assolvimento. E, puntualmente, nella prassi a commento dei confini e dei connotati dell’obbligo di Parte pubblica, si rinviene, come prevedibile, l’adesione all’interpretazione onnivora (10).
All’alba dalla digressione sull’estensione del perimetro dell’oggetto della responsabilità, si potrebbe, dunque, riflettere sulla natura soggettiva da riconoscere all’erario, fino a negare che l’ente impositore sia creditore in relazione a somme per le quali non abbia già provveduto al perfezionamento della notificazione dell’atto impositivo. Ha isolatamente sposato tale interpretazione anche la giurisprudenza di merito (11), negando la sussistenza del credito il quale, finché l’atto recettizio non abbia inciso la sfera giuridico patrimoniale del destinatario contribuente, è solo in potenza. Come dire che, nel caso dell’avviso non ancora notificato, l’erario non avrebbe titolo per una “domanda”, ossia per la richiesta di adempimento dell’obbligazione che il creditore rivolge al debitore.
Questo è il primo aspetto della questione a manifestare profili d’interesse per il caso in cui il cedente sia una società che, successivamente alla cessione, venga cancellata e dunque possa dirsi estinta (12), laddove al cedente non fossero stati notificati, antecedentemente alla cessione, atti impositivi, ma solo processi verbali di constatazione.
In secondo luogo, l’art. 14 distingue l’ipotesi del negozio lecito da quella del negozio in frode e prevede, per i due casi, soluzioni differenti.
Nel dettaglio la norma disciplina, al primo comma, gli effetti fiscali del negozio lecito: responsabilità in solido, salva la previa escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda, per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore a tale triennio. Pertanto, dovrà sussistere il requisito della riconducibilità dell’oggetto della pretesa all’arco temporale con riferimento al quale la norma spiega i propri effetti: anno della cessione e due precedenti, per il caso di violazioni non ancora irrogate o contestate alla data della cessione (13); oppure, irrogazione e contestazione nell’anno della cessione e nei due precedenti di violazioni commesse anche in epoca anteriore. Per il secondo caso, ossia quello di violazioni più risalenti, si potrebbe aprire un primo fronte di dibattito: l’irrogazione si prova con la notificazione di un atto di irrogazione delle sanzioni separato o contestuale a un atto impositivo, sul punto non c’è margine di discussione; la contestazione, invece, è solo quella degli atti di contestazione delle sanzioni (14) o è anche – tanto sul lessico bisogna soprassedere – la contestazione contenuta nei processi verbali di constatazione? Tuttavia, la linea di fuoco resiste appena un attimo, per effetto dell’interpretazione onnivora di cui si è detto sopra.
La norma disciplina poi, al quarto comma, gli effetti fiscali del negozio in frode ai crediti tributari: responsabilità non soggetta alle limitazioni previste per il negozio lecito. Per tale inquadramento del negozio servirà il requisito della sussistenza del consilium fraudis, ossia l’Amministrazione finanziaria non potrà limitarsi ad assumere l’intento in capo al cedente e al cessionario dell’azienda o della pretesa azienda, ma dovrà anche argomentare e provare in relazione all’elemento psicologico che connota la condotta del cedente e del cessionario.
A titolo esemplificativo l’Amministrazione finanziaria dovrebbe: indicare l’ammontare dei crediti tributari che l’erario vanterebbe al momento a cui risale la cessione o pretenderebbe far risalire la cessione della pretesa azienda, da considerarsi anche solo fiscalmente surrogabile alle cessioni di singoli beni già concluse dalle parti; descrivere gli elementi di prova in punto di effettiva conoscenza in capo al cessionario dell’intenzione del cedente di sottrarsi alle proprie responsabilità; descrivere l’alternativa lecita alla condotta effettivamente posta in essere; descrivere gli elementi di prova in punto di effettiva conoscenza in capo al cessionario dell’asserito nesso causale tra la detta intenzione del cedente e il supposto fine di sottrarsi al pagamento dei crediti tributari; descrivere gli elementi di prova in punto di conseguimento, da parte del cessionario, di un qualche indebito vantaggio; descrivere gli elementi di prova in punto di consapevole compartecipazione del cessionario al prospettato disegno del cedente funzionale al riferito scopo di non soddisfare l’erario.
Questo è il secondo aspetto della questione a manifestare profili d’interesse per il caso in cui il cedente sia una società che, successivamente alla cessione, venga cancellata e dunque possa dirsi estinta, laddove la pianificazione della cancellazione, in genere preceduta da una delibera di messa in liquidazione, altrettanto prospettata dal cedente a sé stesso, fosse o meno ricompresa nel patrimonio informativo acquisito dal cessionario in fase di trattativa della cessione.

4. Presupposto dell’effettività del beneficium excussionis

Per il caso del negozio lecito, la norma prevede la responsabilità sussidiaria. A ciò consegue che si dovrebbe poter sostenere che la disciplina circoscriva la propria operatività all’avveramento di un presupposto: la solidarietà potrebbe operare esclusivamente al verificarsi dell’esperibilità effettiva del tentativo di escussione del cedente, debitore principale nel rapporto d’imposta. Senza tale preventiva esperibilità, infatti, mai potrebbe esserci esperimento in un contesto positivo. Tale presupposto, infatti, è espressamente prescritto dalla norma (15), con la conseguenza che il medesimo corrisponde all’intentio legis nell’identica misura stringente e ineludibile in cui è trasferita all’interprete dalla littera legis. Ne viene che tale presupposto dovrebbe essere connotato dal requisito della concretezza, ossia il meccanismo compensativo della solidarietà potrebbe operare esclusivamente in presenza dell’effettiva esperibilità del tentativo di escussione del debitore principale, non quando detto tentativo, astrattamente percorribile, si riveli nel caso concreto solo apparentemente praticabile. Ciò, a evidenza, sul piano di una valutazione meramente astratta e teleologica, a prescindere dalle potenzialità del tentativo di andare a buon fine. Infatti, non pare possibile snaturare la voluntas legis di porre un presupposto necessario per la responsabilità solidale, facendola scattare indipendentemente dall’effettività dell’esperibilità del tentativo di escussione del cedente. Del resto, il beneficium excussionis costituisce una vera e propria limitazione per il creditore, che è privato di quella libertà di scelta fra più debitori che, in assenza di una prescrizione di contenimento, caratterizza la posizione del creditore nell’obbligazione solidale. Tale esegesi trova, peraltro, riscontro nella risoluzione n. 112/E/1999 (16), ove è stato esaminato il rapporto tra l’art. 14 esaminato e l’art. 51 della legge fallimentare nella formulazione allora vigente, in punto di divieto di esperire tentativi di esecuzione individuale sui beni del fallimento. In relazione a tale rapporto tra disposizioni, il documento di prassi ha escluso che possa trovare applicazione l’art. 14 citato per la natura della preventiva escussione del cedente quale «presupposto giuridico per l’operatività dell’istituto medesimo» della solidarietà, escluso il quale per l’impossibilità di esperire effettivamente il tentativo di escussione, si «finirebbe per configurare sistematicamente in concreto – attesa la innanzi dimostrata impossibilità di attuazione della condizione della preventiva escussione nei casi di specie – di una sorta di responsabilità “esclusiva” (e non solidale) in capo al cessionario … responsabilità che sicuramente non è quella delineata dalla norma».
Questo è il terzo aspetto della questione a manifestare profili d’interesse per il caso in cui il cedente sia una società che, successivamente alla cessione, venga cancellata e dunque possa dirsi estinta, laddove il presupposto dell’effettiva esperibilità del tentativo di escussione del cedente della pretesa azienda, invece, potrebbe risultare, già sul piano di una previsione astratta, soltanto apparente.

5. L’inquadramento sistematico delle deroghe alla disciplina codicistica

L’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997 è norma della fase riscossiva, oggi concentrata nella fase accertativa a mezzo dell’intimazione ai sensi dell’art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122). La norma risale, infatti, nella sua prima formulazione a un’epoca in cui non era ancora entrata in vigore la disciplina della concentrazione della riscossione, quando la riscossione era affidata alle iscrizioni a ruolo, giacché gli atti impositivi non contenevano l’intimazione. La maggiore tutela concessa all’erario concerne, dunque, giusta la collocazione sul piano diacronico della genesi normativa dalla quale promana, la riscossione dei crediti, non certo l’origine degli stessi, ossia il titolo in ragione del quale gli stessi possono essere vantati. Ne consegue che l’ordinamento, nel riconoscere all’erario una tutela nella fase riscossiva maggiore di quella concessa agli altri creditori, non intende trasformare il cessionario dell’azienda o del suo ramo in un contribuente chiamato a concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva (art. 53 Cost.).
Da tale considerazione, attinente alla collocazione della norma nell’ambito della disciplina della fase di applicazione del tributo successiva a quella dell’accertamento, discendono delle conseguenze quantomeno in tema di delimitazione dell’oggetto della responsabilità solidale e in tema di garanzie. Quanto all’oggetto della responsabilità, si può concludere che la stessa debba essere riferita solo ed esclusivamente al pagamento di somme afferenti all’azienda acquistata o al ramo d’azienda acquistato. In relazione a tale delimitazione, appare evidente l’onere dell’Amministrazione finanziaria di circoscrivere la pretesa opposta al cessionario in via solidale all’azienda o al ramo d’azienda, alla stregua dell’applicazione di un principio di inerenza. Sotto il profilo dell’assolvimento dell’onere probatorio, circoscrivere la pretesa in funzione del confine dell’oggetto della compravendita (la res azienda ceduta in cambio del prezzo, oggetto che deve essere lecito, possibile, determinato o almeno determinabile, vale a dire già individuato o, comunque, individuabile successivamente a opera degli stessi contraenti o di un terzo) comporta per l’Ufficio finanziario quantomeno l’onere di una modesta due diligence. Non è, infatti, sufficiente che l’Amministrazione finanziaria dimostri la pretesa, è necessario che la prova riguardi anche la riferibilità della pretesa all’azienda compravenduta (17). L’assolvimento di tale onere sarà di più complessa attuazione qualora la cessione riguardi un ramo dell’azienda, non l’intera azienda, e qualora il ramo s’individui per effetto della cessione, non essendo nel periodo antecedente dotato di contorni perfettamente definiti, in ragione dell’appartenenza a unico soggetto titolare. Il principio è stato enunciato, con riferimento alla disciplina codicistica, dalla Corte di Cassazione nella già citata sentenza n. 14169/2013 ove si legge: «per cui, accertata, in base alla sentenza, la avvenuta successione, in quanto derivante dal conferimento del ramo aziendale e dall’affermata inclusione, tra le preesistenti obbligazioni a questo relative (art. 2560, comma 2, c.c.), di tutti i debiti esistenti».
In secondo luogo, sempre per quanto attiene all’oggetto della responsabilità, si dovrebbe poter concludere che la stessa debba essere riferita solo ed esclusivamente al pagamento di importi che siano già approdati alla fase riscossiva. È ben vero, infatti, che la norma, come si è detto in precedenza, pare allargare il perimetro fino a ricomprendere le contestazioni in corso, ma rimane sempre vero anche che il veicolo per domandare al responsabile solidale di adempiere dovrebbe essere un atto della riscossione. Più precisamente, all’epoca dell’entrata in vigore dell’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997, nella sua originaria formulazione, l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto avanzare la domanda mediante un atto della riscossione. Oggi il fenomeno della domanda potrebbe palesarsi in una veste un pò ritoccata. Tale conclusione apre due ulteriori fronti: il fronte della distinzione tra iscrizione a ruolo a titolo provvisorio e iscrizione a ruolo a titolo definitivo e quello, di cui si è già fatto cenno, delle garanzie.
Il primo riguarda, in sostanza, il dubbio circa l’opponibilità della pretesa al responsabile solidale in ipotesi di titolo del credito non definitivo, come avviene per le iscrizioni a ruolo a titolo provvisorio. Risponde il cessionario delle iscrizioni a ruolo ex art. 15, primo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602? Rispondeva il cessionario delle iscrizioni a ruolo in pendenza di giudizio, ex art. 68 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546? Risponde il cessionario degli affidamenti in carico dell’agente della riscossione e delle intimazioni previste dall’art. 29 del D.L. n. 78/2010, in sostituzione delle iscrizioni a ruolo per le medesime fattispecie di cui sopra?
La risposta, sempre alla luce dell’ampiezza della portata applicativa orizzontale della norma, pare essere affermativa. Non rimane molto spazio per sostenere che si possa pretendere la definitività dell’atto impositivo o il passaggio in giudicato della sentenza che sull’atto si pronunzi. Eppure, anche in tale intrico di sovrapposizioni delle obbligazioni, a titolo principale e a titolo solidale, non ci si può esimere dallo sforzo di ricercare un presupposto dotato del requisito della certezza che, sul piano procedimental-processuale, prende il nome di definitività.
Se la cessione era stata pattuita tra le parti come cessione d’azienda, nulla questio sulla solidarietà.
Se la cessione era stata pattuita nella forma di cessione di singoli beni, che l’Agenzia delle entrate converta in cessione frazionata di singoli beni, passibile della reductio ad unum nella riqualificata cessione d’azienda o di ramo d’azienda, perché scatti la solidarietà dovrebbe servire la definitività dell’atto con il quale viene opposta tale riqualificazione o il passaggio in giudicato della sentenza che decida sull’impugnazione avverso il medesimo atto.
Se la cessione d’azienda o di ramo, originaria o riqualificata che sia, sia ritenuta in frode dei crediti tributari, perché scatti la solidarietà dovrebbe servire la definitività dell’atto con il quale viene opposto tale disegno in frode o il passaggio in giudicato della sentenza che decida sull’impugnazione avverso il medesimo atto.
Nelle more degli eventuali giudizi pregiudicati dalla controversia instaurata sull’atto presupposto (riqualificazione della cessione frazionata, per il negozio lecito; frode, per il negozio non lecito), la riscossione pare più irta di ostacoli, anche in considerazione del fatto che i giudizi pregiudicati potrebbero conoscere la fase della sospensione ex art. 295 c.p.c. ora (18) riprodotto più esplicitamente nell’art. 39 del D.Lgs. n. 546/1992.
Più complesso, invece, il tema delle garanzie procedimentali e della tutela giurisdizionale.
In vigore della disciplina della concentrazione della riscossione, il destinatario dell’atto impositivo che reca in sé l’intimazione avrebbe diritto ad aver già consumato un contraddittorio endoprocedimentale di tutela. Secondo una scuola di pensiero, infatti, il diritto al contraddittorio è immanente nell’ordinamento positivo nazionale, di talché per qualsivoglia atto impositivo sarebbe applicabile l’art. 41 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea (19) (20); secondo altra scuola di pensiero tale diritto sarebbe riconosciuto per le sole pretese in punto di tributi armonizzati (21). Secondo una terza scuola di pensiero si dovrebbero distinguere gli accertamenti condotti in ufficio da quelli condotti “in azienda”, a seguito di accesso presso il contribuente, per i quali l’operatività dell’art. 12, settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), è fuori discussione. Quindi, in tanto oscillare, almeno par certo che in tema di IVA, oggetto di verifica nei locali del contribuente, tale diritto sia generalmente riconosciuto.
Quale diritto ha pertanto, volendo prendere a riferimento una fattispecie non più oggetto di diatribe in giurisprudenza, il cessionario cui venga opposta la pretesa in un atto impositivo contenente l’intimazione, in materia di IVA, scaturente da un accesso dei verificatori nei locali del cedente? Posto che la solidarietà scatta in relazione all’intimazione ad adempiere e che l’intimazione è ora insita nella fase accertativa, si dovrebbe concludere per un riconoscimento ampio delle garanzie e ammettere il cessionario al rango di titolare del diritto a essere sentito nella fase istruttoria, pena la mancata integrazione del contraddittorio o il contraddittorio non perfezionato, che si traduce in un ingiusto procedimento, che a sua volta sfocia in un atto impositivo emesso in eccesso di potere. E tale tutela dovrebbe essere riconosciuta anche per l’ipotesi in cui al cedente fosse stato precedentemente garantito il contraddittorio, laddove l’atto impositivo con cui l’Ufficio finanziario pretenderebbe di opporre la pretesa, sarebbe comunque destinato a un soggetto diverso da quello passivo dell’imposta (il presupposto dell’imposta potrebbe al più essersi verificato in capo al cedente) e conterrebbe comunque il quid pluris della solidarietà. E tale quid pluris, qui sta il nocciolo della questione, viene qualificato dall’Amministrazione stessa, che lo oppone in un atto impositivo a effetti plurimi – impositivo e riscossivo – concomitanti, non più solo consecutivi come presupposto anche della fase dell’accertamento del tributo, non solo della fase squisitamente riscossiva, oggi concentrata nella prima (22).
L’instaurazione di un contraddittorio dedicato, dunque, parrebbe doverosa, tanto più laddove si considerasse che anche la fase più squisitamente riscossiva, anzi la terminale fase della riscossione preordinata all’esecuzione, quella della misura dell’iscrizione ipotecaria, secondo le Sezioni Unite richiede l’istaurazione del contraddittorio (23). Al cessionario sarebbero riservate le garanzie di legge, infatti, solo mediante l’instaurazione del contraddittorio ab origine, a mezzo di una remissione nei termini per contraddire, o quantomeno mediante una nuova e autonoma notificazione del processo verbale di constatazione, già emesso a carico del cedente, anche al soggetto sul quale si pretenderebbe si riverberassero le conseguenze pregiudizievoli dell’avviso di accertamento, almeno 60 giorni prima della notifica dell’avviso medesimo, cosicché possa innescarsi la reazione della replica difensiva in contraddittorio. Corrobora tale conclusione il risvolto processuale della solidarietà opposta dall’Agenzia delle entrate, basti porre mente all’art. 1306 c.c. per comprendere che il debitore solidale ha diritto a un giudizio autonomo per ogni questione attinente al debito e prima di ogni autonomo giudizio, in base ai principi comunitari e nazionali, dunque, serve un autonomo contraddittorio (24). E tale approdo è tanto più obbligato quanto più si considerino stringenti le norme in materia di riscossione provvisoria, fino a reputarle estensivamente applicabili anche per il solidale pretermesso nel contraddittorio endoprocedimentale e coinvolto nell’iscrizione a ruolo frazionata o negli affidamenti in pendenza di giudizio.
Inoltre andrebbe valutata la possibilità d’inquadrare la fattispecie astratta nell’ambito della contestazione di condotte abusive (25), per le quali, con riferimento ad accadimenti meno recenti, la Consulta ha confermato l’obbligatorietà della previa redazione del processo verbale di constatazione, nella specie per le ipotesi dell’abuso del diritto (in cui ben potrebbe rientrare il negozio, apparentemente lecito, in frode al creditore erario) nonché della riqualificazione degli atti ex art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (in cui potrebbe ben rientrare la cessione frazionata di singoli beni, riqualificata in cessione di azienda), obbligatorietà che discende, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata, direttamente dai principi comunitari in materia di garanzie del contraddittorio (26). Sulla stessa scia della Consulta si è posto anche il legislatore della recente riforma (art. 10-bis della legge n. 212/2000 rubricato “Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale”).
Infine, se si stimasse meritevole di attenzione l’inquadramento della fattispecie astratta nell’ambito delle norme antielusive (27) (28), si dovrebbe concludere anche per l’obbligo a carico di Parte pubblica di far precedere l’emissione dell’atto impositivo da una specifica richiesta di chiarimenti. Sia nel caso del negozio lecito ma frutto di una riqualificazione di plurime cessioni di beni, ritenute artatamente frazionate, sia in quello di negozio in frode, infatti, il gergo normativo dell’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997, insieme alle conseguenze dal medesimo previste in tema di solidarietà di cui può valersi l’Amministrazione finanziaria, hanno il sapore dell’elusione e conseguentemente non sarebbe fuori luogo pretenderne le garanzie che si estrinsecano tradizionalmente in un contraddittorio tipizzato, a segmenti predeterminati dalla legge. La contestazione, infatti, ha la natura e mira a recare gli effetti dell’accertamento di un’operazione elusiva: l’Ufficio finanziario disapplica il regime tributario che caratterizza i negozi giuridici conclusi, che rimangono validi ed efficaci sul piano civilistico e pretende di sostituirlo con il regime tributario che connota un diverso negozio giuridico, civilisticamente mai concluso, ma che si pretenderebbe recante effetti fiscali muniti d’efficacia. In sostanza, per giungere alla valutazione dell’applicabilità o meno dell’art. 14 citato è necessario un impegnativo esame di un ragionamento deduttivo, ontologicamente interpretativo. Diversamente, ossia nel caso in cui non si dovesse far opera interpretativa, la materia del contendere in relazione a una serie di cessioni di beni, ad esempio, si ridurrebbe al vaglio dell’applicabilità della solidarietà di cui all’art. 14 al cessionario di beni e la risposta sarebbe immediata: no, l’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997 si applica al cessionario di un’azienda, non di beni.
La mancanza del requisito dell’appartenenza dell’operazione al numerus clausus dell’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come noto, non solleva certo l’Ufficio finanziario dall’onere di concedere alla parte privata le garanzie che la legge prevede siano riservate nel caso di contestazione di una operazione elusiva (29).
Parimenti, deve essere garantita al responsabile solidale un’adeguata tutela giurisdizionale (30).

6. L’operatività della disciplina codicistica non derogata

Esaminate le principali deroghe valevoli per il comparto tributario, rispetto alla disciplina codicistica, va rammentato che quest’ultima mantiene operatività residua per tutta la parte non espressamente derogata dalla normativa fiscale.
Lo ribadisce la già citata sentenza della Corte di Cassazione n. 11972/2015: «l’art. 14, comma 1, introduce una disciplina speciale in tema di cessione di azienda quanto ai rapporti tributari – Cass. n. 5979/2014 –, regolando diversamente gli effetti della cessione sui debiti del cedente rispetto alla normativa codicistica che, nelle parti in cui non viene derogata, deve comunque ritenersi pienamente operante. Ora, essendo pacifico che il credito fiscale dell’amministrazione riguardava l’anno 2004 e che la cessione del ramo d’azienda conclusa fra il debitore e il cessionario E … srl era stata stipulata il 19.1.2004, a fronte dell’accordo successivamente concluso il 16.11.2004, non può revocarsi in dubbio la piena operatività della cessione ai fini della responsabilità del cessionario in ordine alle obbligazioni relative all’anno di conclusione dell’accordo di trasferimento d’azienda in forza del ricordato art. 14 del D.Lgs. n. 472 del 1997, posto che l’accordo transattivo, anche ad essere interpretato come contenente un negozio teso allo scioglimento del rapporto contrattuale, non poteva [testo originale non comprensibile, n.d.r.] efficacia retroattiva in relazione a quanto previsto dall’art. 1372 c.c. – Cass. n. 4366/2011 – né poteva avere valenza nei confronti dei terzi se qualificato come risoluzione per inadempimento – per come ha erroneamente ritenuto la CTR –, in relazione a quanto previsto dall’art. 1458 comma 2, c.c.».
Questo è il quarto aspetto della questione a manifestare profili d’interesse per il caso in cui il cedente sia una società che, successivamente alla cessione, venga cancellata e dunque possa dirsi estinta, laddove il presupposto della disciplina del novellato codice civile, di cui si dirà tra poco, aveva in un primo tempo risolto completamente la tematica.

7. Il caso della società cedente cancellata, la disciplina codicistica sostanziale

A tenore dell’art. 2495 c.c. (31), a seguito della cancellazione della società dal Registro delle Imprese, la società non esiste più come soggetto giuridico: la cancellazione assume efficacia non solum dichiarativa, sed etiam costitutiva, quale titolo necessario e sufficiente a determinare l’estinzione della società. In precedenza, invece, nella vigenza dell’art. 2456 c.c. ante riforma, la cancellazione dal Registro delle Imprese era atto a mera valenza dichiarativa ed era costantemente riconosciuto, sia in dottrina sia in giurisprudenza, che l’effetto costitutivo dell’estinzione della società si determinava soltanto con il completo esaurirsi dei rapporti giuridici, a prescindere dalla detta cancellazione dal Registro delle Imprese.
Ante 2004 l’Ufficio finanziario che avesse dimostrato di essere creditore sociale (munito di titolo durante societate) avrebbe potuto agire nei termini decadenziali nei confronti di un soggetto “cancellato”, atteso che la cancellazione non importava di necessità l’estinzione (32). Il legislatore della riforma del codice civile ha preso posizione nettamente contraria rispetto alla esposta interpretazione, chiarendo che, dal 1° gennaio 2004, l’iscrizione nel Registro delle Imprese della cancellazione della società costituisce il suggello definitivo dell’estinzione della società, a prescindere dalla sopravvivenza di attività e passività (33). Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato, infatti, che «in tema di società di capitali, la cancellazione dal Registro delle Imprese determina l’immediata estinzione della società, indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici ad essa facenti capo, soltanto nel caso in cui tale adempimento abbia avuto luogo in data successiva all’entrata in vigore dell’art. 4 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, che, modificando l’art. 2495, secondo comma, cod. civ., ha attribuito efficacia costitutiva alla cancellazione: a tale disposizione, infatti, non può attribuirsi natura interpretativa della disciplina previgente, in mancanza di un’espressa previsione di legge, con la conseguenza che, non avendo essa efficacia retroattiva e dovendo tutelarsi l’affidamento dei cittadini in ordine agli effetti della cancellazione in rapporto all’epoca in cui essa ha avuto luogo, per le società cancellate in epoca anteriore al 1° gennaio 2004 l’estinzione opera solo a partire dalla predetta data» (34).

8. Il caso della società cedente cancellata, la disciplina codicistica processuale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12040/2015 (35), ha ribadito poi la propria posizione sulla (in)capacità di stare in giudizio della società a responsabilità limitata cancellata: «in base all’indirizzo giurisprudenziale accolto da Sez. un. 6070-13, che il Collegio, ai limitati fini, condivide, la cancellazione della società dal Registro delle Imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio (con la sola eccezione della fictio iuris contemplata dall’art. 10 della L. Fall.); pertanto, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dall’art. 299 c.p.c. e ss., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 c.p.c.; e qualora l’evento non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constare in tali modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso (e v. pure Sez. 6^ n. 6468-14, Sez. 5^ n. 21517-13)» (36).
Sul piano processuale dunque «la cancellazione volontaria dal Registro delle Imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società medesima, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio. Se l’estinzione della società cancellata dal Registro intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dall’articolo 299 e segg. c.p.c., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. Ove invece l’evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta».
Conseguentemente, è necessario che gli ex soci di società estinte tempestivamente ed espressamente oppongano la limitazione di responsabilità, in modo da rivestirla del connotato dell’efficacia (37). La Suprema Corte infatti «individua invece sempre nei soci coloro che son destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata ma non definiti all’esito della liquidazione (anche, come si dirà, ai fini processuali), fermo però restando il loro diritto di opporre al creditore agente il limite di responsabilità cui s’è fatto cenno. Il successore che risponde solo intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore; e se il suaccennato limite di responsabilità dovesse rendere evidente l’inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sul requisito dell’interesse ad agire (ma si tenga presente che il creditore potrebbe avere comunque interesse all’accertamento del proprio diritto, ad esempio in funzione dell’escussione di garanzie) ma non sulla legittimazione passiva del socio medesimo».
Infatti, la Suprema Corte, con la sentenza n. 19611/2015 (38), aveva già avuto modo di ribadire, con riferimento al caso di una società di capitali, che «hanno invero ulteriormente chiarito le SS.UU. (6070/13; 6071/13; 6072/13) che a seguito dell’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal Registro delle Imprese, viene a determinarsi un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono – il che sacrificherebbe ingiustamente i diritto dei creditori sociali – ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate. Ne discende che i soci peculiari successori della società subentrano, altresì, nella legittimazione processuale facente capo all’ente – la cui estinzione è in parte equiparabile alla morte della persona fisica, ai sensi dell’art. 110 c.p.c. – in situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ovverosia a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale (21188/14)».
In sostanza l’intervenuto fatto estintivo dovrebbe determinare la necessità dell’integrazione del contraddittorio, onde realizzare il litisconsorzio necessario, strumento processuale di attuazione del fenomeno successorio.
L’interesse ad agire degli ex soci, poi, ben potrebbe essere limitato al solo scopo di opporre che per nessuna quota del patrimonio potenzialmente aggredibile sussista riconducibilità al percepito dalla liquidazione.

9. Le deroghe alla disciplina codicistica della cancellazione: la novella della sopravvivenza fiscale delle società estinte

L’art. 28, quarto comma, del D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175 (39), ha ottenebrato il quadro già sufficientemente fosco della materia in argomento, introducendo una sorta di sopravvivenza fiscale delle società, già estinte per effetto dell’art. 2495 c.c. La norma soffre di una formulazione trasandata e di una zoppicante coerenza con il sistema.
Sotto il profilo lessicale, la disposizione è stata criticata in dottrina (40) e in giurisprudenza (41).
Sotto il profilo contenutistico, la società è considerata ancora esistente, al solo fine del recupero delle imposte (e di contributi, interessi e sanzioni), il cui presupposto si è realizzato prima della cancellazione, ma che non sono state accertate e/o riscosse entro tale termine. Mentre si faceva chiarezza sul piano civilistico, dunque, sul piano fiscale la norma di difficile lettura – anche in ragione delle discutibili scelte lessicali e sintattiche dell’estensore – fin da subito, innescava un contenzioso tra posizioni conservatrici (del contribuente) e posizioni immediatamente innovatrici (dell’Amministrazione finanziaria). Prontamente, l’Agenzia delle entrate (42) si sbilanciava per la natura procedimentale della norma, natura che comporterebbe l’applicabilità della disciplina anche per attività di controllo riferite a società che hanno già chiesto la cancellazione dal Registro delle Imprese o già cancellate dallo stesso Registro prima del 13 dicembre 2014, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 175/2014, nonché per attività di controllo riguardanti periodi precedenti a tale data, ovviamente nel rispetto dei termini di prescrizione e decadenza previsti dalla legge.
Altrettanto prontamente, la posizione assunta dall’Agenzia delle entrate veniva smentita dalla Corte di Cassazione che, con la testé citata sentenza n. 6743/2015 (con posizione ribadita nella già citata sentenza n. 18385/2015): criticati con dovizia di dettagli i refusi del testo normativo, la formulazione equivoca, le imprecisioni e la conoscenza grammaticale dell’estensore, la Suprema Corte decideva per la natura sostanziale della norma che comporta l’irretroattività della disciplina che essa reca. L’art. 28 del D.Lgs. n. 175/2014 infatti «non si risolve in una diversa regolamentazione dei termini processuali o dei tempi e delle procedure di accertamento o di riscossione». Secondo la Suprema Corte, corrobora la conclusione la considerazione che il differimento dell’estinzione di cui all’art. 28 del D.Lgs. n. 175/2014 solo per avventura è individuato nella misura di cinque anni, non certo per una ragione di sistematico collegamento con il termine quinquennale di cui all’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973: basti il riferimento all’art. 11, primo comma, delle preleggi, nonché all’art. 3, primo comma, della legge n. 212/2000, entrambe di disciplina del divieto della retroattività della disposizione sostanziale. L’art. 28 del D.Lgs. n. 175/2014 non ha dunque efficacia retroattiva, giacché il legislatore non gli ha impresso la deroga esplicita rispetto all’irretroattività delle norme di legge e della legge tributaria in particolare (art. 3, primo comma, della legge n. 212/2000), deroga che, in ogni caso, a opera del D.Lgs. n. 175/2014 avrebbe contraddetto la delega di cui alla legge 11 marzo 2014, n. 23, né è norma interpretativa e conseguentemente non ha efficacia sanante di notificazioni inefficaci ante riforma. La non retroattività della norma, tuttavia, non risolve tutte le questioni, soltanto induce a procrastinarne le soluzioni.

10. Il caso della società cedente cancellata, le deroghe alla disciplina codicistica sostanziale

Nel caso in cui il cedente, soggetto societario, successivamente alla stipula dell’atto di cessione dell’azienda o del ramo d’azienda venga cancellato e dunque si estingua, la trama è intrisa di tutti i bivi di cui si è detto.
Al cessionario la pretesa impositiva viene opposta, invocando l’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997.
Al cedente la pretesa impositiva viene opposta, invocando l’art. 28, quarto comma, del D.Lgs. n. 175/2014.
All’interprete non resta che districarsi tra le parafrasi biforcute di entrambe le norme, per cercare l’uscita dal labirinto: la tutela in sede istruttoria e giurisdizionale per tutte le parti coinvolte nel negozio e per i loro soci, nonostante il carattere decettivo – la nostra non è certo contumelia – del combinato disposto delle due norme.
Se la novella del codice civile aveva carattere adamantino, la deroga tributaria alla disciplina codicistica, indipendentemente dalle considerazioni semantiche, è infatti nebulosa e la combinazione della deroga sulle società cancellate con quella sulla solidarietà tra cedente e cessionario è criptica. L’art. 28 del D.Lgs. n. 175/2014 altro non è del resto che l’epitome della frustrazione dei crediti erariali rimasti insoddisfatti dall’entrata in vigore del novellato art. 2495 c.c., ma potrebbe anche risolversi in un fuoco di paglia, ove si osservi che la sopravvivenza non riapre la liquidazione (43) né la fase della vita della società deputata alla gestione corrente. L’art. 2495 c.c. dispone infatti che dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possano far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi, con domanda notificabile presso l’ultima sede della società, purché entro l’anno dalla cancellazione. La deroga tributaria ambirebbe a postergare l’effetto dell’estinzione della società di cui all’art. 2495 c.c. di cinque anni dalla richiesta di cancellazione. Ciò detto, anche ai fini fiscali la liquidazione rimane conclusa e la gestione corrente è ormai defunta (44), di talché se ci sono margini di recuperare il credito erariale, tali margini si consumano inevitabilmente dentro i confini del patrimonio dei soci. La soddisfazione del creditore sarà completamente depauperante se si tratta di soci illimitatamente responsabili, mentre sarà solo parzialmente invasiva se vige la limitazione della responsabilità dei soci, ma la deroga dell’art. 28 del più volte citato D.Lgs. n. 175/2014 non modificherà i principi generali. Ne consegue che prima facie la norma sembra offrire soltanto una soluzione al tema delle notificazioni, soluzione con ogni probabilità chiamata giacenza postale.
Preliminarmente si osservi che il costume degli Uffici finanziari nel caso di accertamento a carico del cedente, che nel frattempo abbia trasferito l’azienda, in relazione all’annualità del trasferimento o ad annualità antecedenti al trasferimento, prevede la doppia notifica al cedente e al cessionario. Mentre la notificazione al cessionario non presenta particolari criticità, quella al cedente apre – forse apriva – un primo fronte di interrogativi. L’intestazione dell’avviso di accertamento alla società cedente cancellata, sovente asseritamente rappresentata dall’ex liquidatore (45), costituisce errore di per sé sufficiente a cagionare l’inefficacia della notificazione, che risulta soltanto tentata, sostenevano i difensori nella vigenza dell’art. 2495 c.c. non derogato dalla disciplina fiscale. Gli Uffici finanziari, se nei termini decadenziali, rinotificavano agli ex soci, altrimenti resistevano. Nella peggiore delle ipotesi per la Parte pubblica, il giudice avrebbe potuto dichiarare l’inefficacia della notificazione (46), mente nella migliore, il giudice avrebbe potuto offrire l’ormeggio, un poco irrituale, della chiamata in causa del terzo pretermesso, dopo aver estromesso la società priva di legittimazione, onde realizzare il litisconsorzio necessario intravisto dalla Suprema Corte nella fattispecie in parola.
L’avviso di accertamento intestato alla società estinta, infatti, pur non risultando emesso nei confronti di un soggetto che potesse rimanerne inciso né potesse ritenersi legittimato a riceverne la notifica, trovava un paracadute nella sfera degli ex soci. Ciò anche in relazione alla verificazione del presupposto dell’esperibilità concreta del beneficium excussionis. Il tentativo di notificazione alla società estinta, se inefficace, infatti, reca l’inesorabile conseguenza dell’esclusione dell’operatività dell’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997. Del resto la norma di cui al più volte citato art. 14 è stata scritta nella vigenza del previgente art. 2456 c.c. ante riforma e nessun intervento di coordinamento legislativo è stato previsto per adeguare la norma regolatrice della solidarietà del cessionario dell’azienda al caso dell’estinzione del cedente ex art. 2495 c.c., antecedente alla notificazione dell’atto impositivo per cui tale solidarietà dovrebbe trovare compiuta realizzazione. Allora, l’art. 28 del D.Lgs. n. 175/2014 non introduce una novella sulle modalità e sulle tempistiche del controllo (dell’accertamento o della liquidazione), bensì differisce nel tempo gli effetti dell’estinzione limitatamente alla categoria dei crediti dell’erario. Non avrebbe potuto, del resto, il legislatore dell’art. 28 del D.Lgs. n. 175/2014 ridestare la società già cancellata e dunque già estinta.
Infine, la novella non interviene sui poteri di rappresentanza. La novella, in definitiva, è norma sulle notificazioni, che legittima l’Amministrazione finanziaria a raggiungere direttamente la società, anziché gli ex soci. Ne viene che, per il futuro, le società che intendono cancellarsi dovranno predisporre delle procedure di controllo delle notificazioni dirette all’indirizzo dove avevano la sede. Ne consegue che, per il passato, il campo è sgombrato dalla possibilità di opporre la pretesa a mezzo di atti impositivi già notificati, successivamente alla cancellazione, a società che si sono estinte ex art. 2495 c.c. Se fosse stato sufficiente l’art. 2495 c.c. per affermare l’efficacia della notificazione alla società cancellata, presso la sua ultima sede, non sarebbe stata necessaria l’introduzione dell’art. 28 del D.Lgs. n. 175/2014. Ciononostante la legittimazione di Parte pubblica a raggiungere la società cancellata a mezzo di una notificazione (47) non equivale alla legittimazione a raggiungere il patrimonio sociale, con la conseguenza che la notificazione presso l’ultima sede della società dovrebbe ritenersi comunque finalizzata al solo scopo finale di aggredire il patrimonio degli ex soci, limitatamente o illimitatamente, a seconda dei casi.

Dott. Mara Pilla – Dott. Luigi Scappini

(1) Così Cass., sez. VI, 9 giugno 2015, ord. n. 11972, in Boll. Trib. On-line.
(2) A opera dell’art. 16, primo comma, lett. g), del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, per la cui applicazione a decorrere dal 1° gennaio 2016 dispone l’art. 32, primo comma, del medesimo D.Lgs. n. 158/2015. È rimodulata anche la responsabilità del cessionario d’azienda, con estensione della relativa disciplina a tutti i casi di trasferimento dell’azienda, eccezione fatta per i casi di procedura concorsuale. Sul punto cfr. B. AIUDI, Cenni sulla responsabilità solidale del cessionario d’azienda, in Boll. Trib., 2013, 1301; e L. LOVECCHIO, Note minime in tema di responsabilità del cessionario d’azienda, ibidem, 533, in nota a Comm. trib. I grado di Bolzano, sez. I, 15 maggio 2012, n. 56.
(3) Cfr. Cass., sez. III, 30 giugno 2015, n. 13319, in Boll. Trib. On-line.
(4) Cfr. Cass., sez. trib., 5 giugno 2013, n. 14169, in Boll. Trib. On-line.
(5) Per la non applicabilità della norma ai crediti contributivi e previdenziali, cfr. Cass., sez. lav., 24 febbraio 2016, n. 3646, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. lav., 16 giugno 2001, n. 8179, in Mass. giur. lav., 2001, 836.
(6) Cfr. Cass., sez. trib., 18 giugno 2008, n. 16473, in Boll. Trib. On-line.
(7) Ai sensi dell’art. 14, secondo comma, del D.Lgs. n. 472/1997, l’obbligazione del cessionario è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli Uffici dell’Amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza.
(8) Cfr. circ. 10 luglio 1998, n. 180/E, in Boll. Trib., 1998, 1173; e provv. 25 giugno 2001.
(9) Pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse (primo comma); debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli Uffici finanziari (secondo comma).
(10) Cfr. circ. n. 180/E/1998, cit.; e provv. 25 giugno 2001.
(11) Cfr. Comm. trib. reg. della Lombardia, sez. XXXV, 3 giugno 2014, n. 2927, in Boll. Trib. On-line.
(12) Art. 2495 c.c.
(13) Cfr. art. 14, primo comma, primo periodo, del D.Lgs. n. 472/1997.
(14) Cfr. art. 16, primo e secondo comma, del D.Lgs. n. 472/1997, per l’irrogazione separata previa contestazione e art. 17, primo comma, dello stesso decreto, per l’irrogazione contestuale e immediata.
(15) Il cessionario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda, per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore (primo comma dell’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997).
(16) Cfr. ris. 12 luglio 1999, n. 112/E, in Boll. Trib., 1999, 1365.
(17) Sulla modalità di riqualificazione della cessione di beni in cessione d’azienda: cfr. circ. n. 180/E/1998, cit.; Comm. trib. prov. di Milano, sez. XL, 23 novembre 2015, n. 9430; Cass., sez. VI, 19 marzo 2013, ord. n. 6835; e Cass., sez. trib., 16 aprile 2010, n. 9162; tutte in Boll. Trib. On-line.
(18) Per effetto del disposto dell’art. 9, primo comma, lett. o), del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, con decorrenza dal 1° gennaio 2016, ai sensi di quanto disposto dall’art. 12, primo comma, del medesimo decreto.
(19) Norma che assicura al contribuente la possibilità di essere ascoltato prima che venga adottato nei suoi confronti un provvedimento individuale potenzialmente pregiudizievole, laddove è espressione del diritto a una buona amministrazione il diritto di ogni persona a ché le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale ed equo ed entro un termine ragionevole. La norma sarebbe applicabile altresì all’ipotesi in cui al contribuente siano stati semplicemente chiesti dei documenti o sia stato semplicemente inviato un questionario (cfr. Cass., sez. un., 29 luglio 2013, n. 18184, in Boll. Trib., 2013, 1428, con note di V. AZZONI, Sessanta e non più sessanta: la violazione del termine dilatorio dello Statuto dei diritti del contribuente costituisce un vizio invalidante dell’accertamento?, F. DEL TORCHIO, Contraddittorio preventivo e ragioni di motivata urgenza, e U. PERRUCCI, La ‘’sanzione’’ dell’invalidità dell’avviso di accertamento emesso anticipatamente rispetto al termine dilatorio di 60 giorni di cui all’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte; e Comm. trib. prov. di Varese, sez. V, 21 marzo 2014, n. 174, in Boll. Trib. On-line), se poi da questi scaturisca, come nel caso di specie, un atto impositivo lesivo.
(20) Cfr. Cass., sez. trib., 9 luglio 2014, n. 15634, in Boll. Trib. On-line; nello stesso tempo e senso ved. Cass., sez. un., 18 settembre 2014, nn. 19667 e 19668, in Boll. Trib., 2014, 1742, con nota di P. ACCORDINO, Il diritto del contribuente al contraddittorio preventivo nei procedimenti tributari concepito come un principio fondamentale dell’ordinamento la cui violazione determina la nullità dell’atto non preavvisato.
(21) Almeno tutte le volte in cui il contribuente nel contraddittorio avrebbe potuto concretamente opporre elementi difensivi; cfr. Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823, in Boll. Trib., 2016, 223, con nota di B. AIUDI, Il contraddittorio? Non ce lo possiamo permettere!
(22) Cfr. art. 29 del D.L. n. 78/2010.
(23) Cfr. Cass. n. 19667/2014, cit.
(24) Cfr. Comm. trib. II grado di Alessandria, sez. I, 22 giugno 1985, n. 337, in Boll. Trib. On-line.
(25) Cfr. Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, sez. II, 7 luglio 2015, in Boll. Trib. On-line.
(26) Cfr. Corte Cost. 7 luglio 2015, n. 132, in Boll. Trib., 2015, 1272, con nota di V. AZZONI, Elusione fiscale e tutela del contribuente nell’accertamento ex art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973.
(27) Cfr. Cass., sez. trib., 14 marzo 2014, n. 5979, in Boll. Trib. On-line.
(28) A prescindere dal fatto che la contestazione si ancori allo specifico riferimento dell’appartenenza dell’operazione contestata alla casistica tassativa di cui all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, la contestazione promana da un’attività interpretativa delle norme dell’ordinamento in generale. L’esclusione dall’ambito di applicazione della fattispecie astratta tipica non ne inficia l’essenza squisitamente interpretativa (così Cass., sez. trib., 30 aprile 2015, n. 8760, in Boll. Trib. On-line).
(29) Ex multis, Cass., sez. VI, 14 gennaio 2015, ord. n. 527, in Boll. Trib., 2015, 138, con nota di A. VOGLINO, La necessitata espansione del diritto al contraddittorio a tutti i procedimenti tributari di ogni genere e specie; Comm. trib. reg. della Lombardia, sez. II, 13 gennaio 2014, n. 90, in Boll. Trib. On-line; e Comm. trb. prov. di Milano, sez. XL, 4 giugno 2012, n. 153, in Boll. Trib., 2015, 230, con nota di M. BEGHIN, Contratti programmatici, spese di trasporto fisse e viaggi degli amministratori in luoghi di vacanza in balia della regola generale di inerenza.
(30) Cfr. Comm. trib. reg. del Lazio, sez. XXXV, 16 marzo 2015, n. 1573; e Comm. trib. reg. della Lombardia, sez. LXVI, 18 maggio 2015, n. 2142; entrambe in Boll. Trib. On-line.
(31) Per unanime giurisprudenza di legittimità, il principio indicato dall’art. 2495 c.c. si applica, oltre che alle società di capitali, anche alle società di persone, con conseguente identico trattamento per i terzi creditori: «l’enunciato principio relativo agli effetti della cancellazione dell’iscrizione del Registro dell’Impresa delle società garantisce una soluzione unitaria al problema degli effetti della iscrizione della cancellazione di tutti i tipi di società o imprese collettive ed è coerente anche con l’art. 10 della L. Fall. novellata, facendo comunque decorrere dalla data della iscrizione della cancellazione stessa, l’anno per la dichiarazione di fallimento ed evitando incertezze su tale punto» (così Cass., sez. un., 22 febbraio 2010, n. 4060, in Foro it., 2011, I, 1499).
(32) La giurisprudenza ante riforma aveva, infatti, introdotto il principio per cui la cancellazione dal Registro delle Imprese determinava, solamente, una presunzione iuris tantum di estinzione della società, e come tale suscettibile di prova contraria; sicché i creditori sociali muniti di titolo, ma rimasti insoddisfatti, nonostante l’avvenuta cancellazione, potevano ancora agire nei confronti della società, in persona del liquidatore, fino ad arrivare ad invocare la dichiarazione di fallimento.
(33) L’art. 2456 c.c. ante novella, infatti, non faceva menzione alcuna dell’effetto estintivo: «Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal Registro delle Imprese [c.c. 2188] … dopo la cancellazione della società i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi [c.c. 31, 2312, 2324]».
(34) Così Cass. n. 4060/2010, cit.; cfr. inoltre una delle tre cosiddette sentenze gemelle: Cass., sez. un., 12 marzo 2013, n. 6070, in Boll. Trib., 2013, 701, con nota di M. PROIETTI, La cancellazione delle società dal Registro delle Imprese tra profili di diritto sostanziale e conseguenze processuali: in attesa che la Consulta si pronunci sulla costituzionalità degli artt. 2495 c.c. e 328 c.p.c., ‘’risponde’’ la Corte di Cassazione; Cass., sez. un., 12 marzo 2013, n. 6071, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. un., 12 marzo 2013, n. 6072, ivi. Al centro delle citate pronunce, si pone il principio secondo cui gli ex soci sono successori universali della società estinta. Tale principio viene nel corpo delle sentenze dapprima declinato sul piano sostanziale (dal punto 3 delle sentenze medesime), separatamente per i rapporti passivi e poi (al punto 4) per i rapporti attivi, e poi sul piano processuale (dal punto 5), distinguendo tra causa non ancora iniziata e causa già iniziata al momento dell’estinzione, e poi tra cancellazione che intervenga nel corso di un grado di giudizio (al punto 5 e 5.1) e cancellazione che intervenga solo dopo il completamento di un grado di giudizio (al punto 5.2). Al successivo punto 5.3 le Sezioni Unite indicano le conseguenze della violazione dei principi da esse posti nei paragrafi precedenti, «quando cioè l’impugnazione non sia diretta nei confronti della “giusta parte”, o non provenga da essa»: «l’impugnazione medesima dev’essere dichiarata inammissibile».
(35) Cfr. Cass., sez. trib., 10 giugno 2015, n. 12040, in Boll. Trib. On-line.
(36) Dispone, infatti, l’art. 331 c.p.c. che: «se la sentenza pronunciata tra più parti in causa inscindibile o in cause tra loro dipendenti non è stata impugnata nei confronti di tutte, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio fissando il termine nel quale la notificazione deve essere fatta e, se è necessario, l’udienza di comparizione».
(37) Nella fattispecie della società in accomandita semplice figurano due distinte categorie di soci: il socio accomandatario, illimitatamente responsabile, e il socio accomandante limitatamente responsabile. Quest’ultima categoria di socio, dunque, rappresenta il punto di contatto con la fattispecie delle società di capitali, ove i soci sono limitatamente responsabili, con la precisazione, sul piano fiscale, di cui all’art. 36 del D.P.R. n. 602/1973: «i liquidatori dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Tale responsabilità è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti. La disposizione contenuta nel precedente comma si applica agli amministratori in carica all’atto dello scioglimento della società o dell’ente se non si sia provveduto alla nomina dei liquidatori. I soci o associati, che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al primo comma nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile. Il valore del denaro e dei beni sociali ricevuti in assegnazione si presume proporzionalmente equivalente alla quota di capitale detenuta dal socio od associato, salva la prova contraria».
(38) Cfr. Cass., sez. trib., 1° ottobre 2015, n. 19611, in Boll. Trib. On-line.
(39) La norma dispone quanto segue: «4. Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle Imprese».
(40) Cfr. G. FRANSONI, L’estinzione postuma della società ai fini fiscali ovvero della società un poco morta e di altre amenità, in Rass. trib., 2015, 47.
(41) Cfr. Cass., sez. trib., 2 aprile 2015, n. 6743; e Cass., sez. trib., 18 settembre 2015, n. 18385; entrambe in Boll. Trib. On-line.
(42) Cfr. circ. 30 dicembre 2014, n. 31/E, in Boll. Trib., 2015, 59, con posizione ribadita nella successiva circ. 19 febbraio 2015, n. 6/E, ibidem, 271.
(43) Dal momento dello scioglimento della società, quando la stessa viene posta in liquidazione, lo scopo sociale non è più la creazione di ricchezza nuova, mediante l’esercizio dell’attività statutariamente prevista, ma la conservazione del patrimonio (cfr. art. 2449, primo comma, c.c., nella formulazione allora vigente «gli amministratori, quando si è verificato un fatto che determina lo scioglimento della società, non possono intraprendere nuove operazioni») e la liquidazione dell’attivo.
(44) Cfr. Trib. Napoli, giudice del Registro delle Imprese, ord. 22 settembre 2015, in Boll. Trib. On-line.
(45) Al rapporto giuridico sostanziale di cui si è appena detto, ossia all’efficacia costitutiva della cancellazione, che importa la decadenza del liquidatore dalla carica, con relativa perdita dei poteri di rappresentanza dell’ente, da cui discende l’inefficacia delle notificazioni destinate alla società estinta, fa da contraltare strumentale il rapporto giuridico processuale e la correlativa incapacità di stare in giudizio.
(46) Cfr. Comm. trib. prov. di Vercelli, sez. II, 7 dicembre 2015, n. 135, in Boll. Trib. On-line.
(47) Anche per l’applicazione dell’ultimo periodo del secondo comma dell’art. 2495 c.c. di disciplina della domanda del creditore insoddisfatto nei confronti dei soci, fino a concorrenza delle somme riscosse, e dei liquidatori se colpevoli, serve una notificazione efficace, giusta la natura amministrativa degli atti che manifestano la pretesa fiscale, che comporta il connotato dei requisiti dell’atto recettizio, valevole all’instaurazione del contraddittorio prima e a giustificare il decorso del termine d’impugnazione poi.

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