Circolare 22 luglio 2016, n. 33/E, dell’Agenzia delle entrate
SOMMARIO
PREMESSA
1. RICHIESTE DI RIMBORSO IVA PRESENTATE DALLE SOCIETÀ NON OPERATIVE E/O IN PERDITA SISTEMATICA
1.1. Aspetti sanzionatori
2. SOSPENSIONE DEL RIMBORSO AI SENSI DELL’ARTICOLO 23 DEL DECRETO LEGISLATIVO 18 DICEMBRE 1997, N. 472
2.1. Comunicazioni di irregolarità
2.2. Pagamenti rateizzati in base agli istituti definitori e agli avvisi di liquidazione delle dichiarazioni di successione
2.3. Pagamenti rateizzati a seguito di cartelle di pagamento
3. APPLICABILITÀ AI RIMBORSI IVA DEL FERMO AMMINISTRATIVO DI CUI ALL’ARTICOLO 69 DEL REGIO DECRETO 18 NOVEMBRE 1923, N. 2440
4. RIMBORSI IVA SENZA PRESTAZIONE DI GARANZIA IN PRESENZA DI AVVISI DI ACCERTAMENTO E RETTIFICA
5. RIMBORSI IVA CHIESTI DA CONTRIBUENTI CHE HANNO AVVIATO L’ATTIVITÀ DA MENO DI DUE ANNI E DA SOGGETTI IN LIQUIDAZIONE – PRESTAZIONE DI GARANZIA
- SANZIONE PER OMESSA PRESTAZIONE DELLA GARANZIA NELL’IVA DI GRUPPO IN CASO DI FRANCHIGIA.
“PREMESSA
Con la presente circolare vengono forniti chiarimenti in merito agli effetti, in materia di rimborsi IVA, delle novità introdotte dai decreti legislativi attuativi della legge delega 11 marzo 2014, n. 23, per la revisione del sistema fiscale.
In attuazione della suddetta delega, sono stati emanati, fra gli altri, il decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, recante le misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, e il decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158, recante la revisione del sistema sanzionatorio.
Il decreto legislativo n. 156 del 2015, modificando l’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, cosiddetto “Statuto dei diritti del contribuente” (d’ora in poi Statuto), ha riformulato l’istituto dell’interpello, sostituendo il riferimento all’interpello ordinario con cinque diverse categorie di interpello: ordinario “puro”, qualificatorio, probatorio, antiabuso e disapplicativo. Con la circolare n. 9/E del 1° aprile 20161 sono stati forniti chiarimenti in merito alla nuova disciplina degli interpelli.
Nella nuova categoria dell’interpello probatorio rientrano le istanze presentate dalle società che hanno i requisiti per essere considerate non operative o dalle società in perdita sistematica (cosiddette “società di comodo”), ai sensi dell’articolo 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni.
Le predette istanze, in base alla nuova disciplina in materia di interpello, sono divenute facoltative. Ciò comporta che in assenza di istanza di interpello, ai fini del riconoscimento del diritto al rimborso, il contribuente possa non applicare la disciplina delle società di comodo mediante un’autovalutazione della sussistenza delle “oggettive situazioni” di cui all’articolo 30, comma 4-bis.
Il decreto legislativo n. 158 del 2015 ha revisionato il sistema sanzionatorio per violazioni tributarie, sia in campo penale sia in campo amministrativo.
Nell’ambito di tale revisione è stato modificato l’articolo 23 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 (1), che nella nuova formulazione prevede un’operatività più ampia dei provvedimenti di sospensione e di compensazione dei rimborsi, in presenza di un atto con il quale vengono accertati maggiori tributi. La sospensione ora opera non solo per l’importo relativo alle sanzioni ma per tutti gli importi dovuti in base all’atto.
Con la presente circolare vengono, inoltre, fornite ulteriori precisazioni riguardo le disposizioni recate dall’articolo 38-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, così come sostituito dall’articolo 13 del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175.
In particolare, si esaminano:
- la possibilità di erogare rimborsi IVA senza la presentazione della garanzia, in presenza di avvisi di accertamento o rettifica;
- l’applicabilità ai rimborsi IVA dell’istituto del fermo amministrativo;
- l’obbligo di garanzia per i contribuenti con meno di due anni di attività e per i soggetti in liquidazione volontaria;
- la sanzione per omessa prestazione della garanzia nell’IVA di gruppo in caso di franchigia.
1. RICHIESTE DI RIMBORSO IVA PRESENTATE DALLE SOCIETÀ NON OPERATIVE E/O IN PERDITA SISTEMATICA
In base alla nuova formulazione dell’articolo 11, comma 1, lettera b), dello Statuto, il contribuente “può interpellare” l’amministrazione per ottenere una risposta riguardante “la sussistenza delle condizioni e la valutazione della idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l’adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti“.
Ai sensi del comma 3 dello stesso articolo 11, l’amministrazione risponde all’istanza nel termine di centoventi giorni; nel caso in cui la risposta non sia comunicata al contribuente entro il predetto termine, il silenzio equivale a condivisione della soluzione prospettata dal contribuente stesso (2).
Nella nuova categoria dell’interpello probatorio rientrano, come anticipato in premessa, le istanze presentate dalle società che hanno i requisiti per essere considerate non operative o dalle società in perdita sistematica, ai sensi dell’articolo 30 della legge n. 724.
In base al comma 4 del suddetto articolo 30, le società non operative o in perdita sistematica non possono richiedere il rimborso o la compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, dell’eccedenza del credito risultante dalla dichiarazione annuale IVA, né tale eccedenza – se richiesta a rimborso – può essere oggetto di cessione ai sensi dell’articolo 5, comma 4-ter, del decreto legge 14 marzo 1988, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 154.
Tuttavia, ai fini della non applicazione della normativa sulle società di comodo, ai sensi del successivo comma 4-bis, come modificato dal decreto legislativo n. 156 del 2015, “in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito ( ) la società interessata può interpellare l’amministrazione ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera b), della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo Statuto dei diritti del contribuente“.
Inoltre, in base al comma 4-quater: “Il contribuente che ritiene sussistenti le condizioni di cui al comma 4-bis ma non ha presentato l’istanza di interpello prevista dal medesimo comma ovvero, avendola presentata, non ha ricevuto risposta positiva deve darne separata indicazione nella dichiarazione dei redditi“.
In sostanza, la società che ritenga sussistenti le “oggettive situazioni” di cui al comma 4-bis può disapplicare la disciplina delle società di comodo mediante presentazione di istanza di interpello oppure mediante autovalutazione della sussistenza delle “oggettive situazioni“, di cui deve essere data indicazione in sede di compilazione della dichiarazione dei redditi.
Inoltre, nella dichiarazione dei redditi la società deve dare indicazione dell’eventuale avvenuta presentazione dell’istanza di interpello e dell’esito della relativa risposta.
La circolare n. 9/E del 2016, nel fornire chiarimenti in merito al nuovo istituto dell’interpello, al paragrafo 1.2, precisa che le società di comodo che intendano richiedere il rimborso IVA possono, a tal fine, attestare la presenza delle “oggettive situazioni” di cui al comma 4-bis del richiamato articolo 30 della legge n. 724, presentando una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ai sensi degli articoli 47 e 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, mediante compilazione dell’apposito campo del quadro VX della dichiarazione IVA (3).
La presenza della dichiarazione sostitutiva e l’assenza di ulteriori cause ostative consentono l’erogazione del rimborso in procedura semplificata o ordinaria.
In alternativa alla dichiarazione sostitutiva, le società hanno facoltà di presentare, prima della richiesta di rimborso, l’istanza di interpello ai fini della disapplicazione della disciplina delle società non operative e/o della disciplina delle società in perdita sistematica (4).
Al riguardo si forniscono le seguenti precisazioni.
Nel caso in cui siano presentate preventivamente le istanze di interpello, sia in qualità di società non operative sia in qualità di società in perdita sistematica, il rimborso viene erogato o denegato a seguito dell’esito, anche tacito, degli interpelli (5).
Se la società presenta solo l’istanza ai fini della disapplicazione della disciplina delle società non operative, l’ufficio, in attesa della risposta all’interpello, verifica che la società non sia in perdita sistematica sulla base del periodo di osservazione. Qualora l’interpello abbia esito positivo e la società non risulti essere in perdita sistematica il rimborso può essere erogato. Diversamente, qualora l’interpello abbia un esito negativo, o la società sia in perdita sistematica, oppure si verifichino entrambe le suddette condizioni, il rimborso è denegato.
Se la società, invece, presenta solo l’istanza di interpello ai fini della disapplicazione della disciplina delle società in perdita sistematica, l’Agenzia, in attesa della risposta, chiede alla società di produrre il test di operatività, di cui all’articolo 30, comma 1, della legge n. 724. In questo caso il rimborso è erogato a seguito di esito favorevole al test di operatività e all’interpello presentato. Qualora la società non dia riscontro alla richiesta dell’amministrazione e la risposta all’interpello sia favorevole al contribuente, il rimborso può essere erogato sulla base degli elementi di operatività desumibili dalla dichiarazione dei redditi.
In assenza sia della dichiarazione sostitutiva, di cui al quadro VX della dichiarazione IVA, sia delle istanze preventive di interpello, nell’ottica di collaborazione con il contribuente e alla luce delle novità normative in commento, il rimborso può essere erogato qualora la società presenti un’autonoma dichiarazione sostitutiva su richiesta dell’ufficio, effettuata nell’ambito dell’attività istruttoria. Diversamente, l’operatività e l’assenza di perdita sistematica sono riscontrate nella dichiarazione dei redditi.
Qualora dalla predetta dichiarazione emerga che la società ha attestato di trovarsi nelle “oggettive situazioni” autovalutate, l’ufficio procede all’esecuzione del rimborso, restando impregiudicate le ordinarie attività di accertamento.
L’operatività “ex lege” della società è un requisito sostanziale ai fini del riconoscimento del diritto al rimborso IVA e, in assenza di elementi, quali la dichiarazione sostitutiva, l’istanza di interpello, il test di operatività o la dichiarazione dei redditi, che attestino l’esistenza di tale operatività, la richiesta di rimborso non può considerarsi completa e, pertanto, il rimborso non può essere erogato.
Quanto sopra precisato, occorre altresì chiarire che la mancata o ritardata presentazione della documentazione necessaria per la verifica dell’operatività o dell’assenza della perdita sistematica esplica effetti anche ai fini della decorrenza degli interessi.
A tale proposito, il comma 1 dell’articolo 38-bis del d.P.R. n. 633 del 1972 dispone che: “Sulle somme rimborsate si applicano gli interessi in ragione del 2 per cento annuo, con decorrenza dal novantesimo giorno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, non computando il periodo intercorrente tra la data di notifica della richiesta di documenti e la data della loro consegna, quando superi quindici giorni“.
Pertanto, qualora il periodo intercorrente tra la data di richiesta del test di operatività o dell’autonoma dichiarazione sostitutiva e la data della loro consegna o la data di presentazione della dichiarazione dei redditi, in caso di mancato riscontro alla richiesta, sia superiore a quindici giorni, in detto periodo non maturano interessi.
In caso di presentazione di istanza di interpello e tenuto conto che la stessa deve essere preventiva rispetto alla richiesta di rimborso, fatto salvo quanto disposto al comma 1 citato articolo 38-bis, gli interessi decorrono dalla data di risposta all’interpello o dalla data di formazione del silenzio-assenso.
1.1. Aspetti sanzionatori. Quanto, infine, agli aspetti sanzionatori di una richiesta di rimborso dell’eccedenza di credito IVA fatta in presenza della sola dichiarazione sostitutiva o della sola attestazione in dichiarazione dei redditi di trovarsi nelle “oggettive situazioni” autovalutate, laddove sia successivamente accertata dall’ufficio l’assenza delle condizioni di cui all’articolo 30, comma 4-bis e, quindi, la non spettanza del rimborso del credito IVA, tornano applicabili le disposizioni contenute nell’articolo 5, comma 4, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, secondo cui “Se dalla dichiarazione presentata risulta un’imposta inferiore a quella dovuta ovvero un’eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante, si applica la sanzione amministrativa dal novanta al centoottanta per cento della maggior imposta dovuta o della differenza di credito utilizzato.” (in questo caso “rimborsato).
Per completezza si precisa che, laddove l’eccedenza di credito IVA non sia chiesta a rimborso, ma sia compensata ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997 e sia constatata l’assenza delle condizioni richieste dalla norma, torna applicabile la sanzione di cui all’articolo 13, comma 4, del decreto legislativo n. 471 del 1997, secondo cui “Nel caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti si applica, salva l’applicazione di disposizioni speciali, la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato.“. Trattasi, infatti di un credito esistente, perché maturato a seguito di operazioni di acquisto effettuate, e rilevabile dalle scritture contabili e dai dati della dichiarazione annuale, ma non disponibile.
Giova ricordare che detta violazione può integrare il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti, ai sensi dell’articolo 10-quater, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, al superamento della soglia annuale di cinquantamila euro.
Infine, laddove si constati l’indebito utilizzo dell’eccedenza di credito a scomputo dell’IVA a debito relativa ai periodi di imposta successivi (in violazione di quanto disposto dall’ultimo periodo dell’articolo 30, comma 4 che – al verificarsi di determinate condizioni e decorso il triennio – nega anche la cosiddetta compensazione “verticale”), torna applicabile la sanzione di cui all’articolo 6, comma 6 del decreto legislativo n. 471 del 1997, secondo cui “Chi computa illegittimamente in detrazione l’imposta assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa, è punito con la sanzione amministrativa pari al novanta per cento dell’ammontare della detrazione compiuta“.
2. SOSPENSIONE DEL RIMBORSO AI SENSI DELL’ARTICOLO 23 DEL DECRETO LEGISLATIVO 18 DICEMBRE 1997, N. 472
L’articolo 16, comma 1, lett. h) del decreto legislativo n. 158 del 2015, recante la riforma del sistema sanzionatorio, ha modificato il comma 1 dell’articolo 23 del decreto legislativo n. 472 del 1997, ampliando il campo di applicabilità della sospensione e della compensazione dei rimborsi.
Nello specifico il nuovo articolo 23 prevede, al comma 1, che: “Nei casi in cui l’autore della violazione o i soggetti obbligati in solido, vantano un credito nei confronti dell’amministrazione finanziaria, il pagamento può essere sospeso se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione o provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi. La sospensione opera nei limiti di tutti gli importi dovuti in base all’atto o alla decisione della commissione tributaria ovvero dalla decisione di altro organo” e al comma 2, rimasto invariato, che: “In presenza di provvedimento definitivo, l’ufficio competente per il rimborso pronuncia la compensazione del debito“.
Con la modifica apportata dal citato decreto legislativo n. 158, viene prevista la possibilità di sospendere e, in caso di provvedimento definitivo, compensare il credito chiesto a rimborso non solo con gli importi dovuti a titolo di sanzioni, come disposto dal testo previgente dell’articolo 23, ma con tutti gli importi dovuti in base all’atto (imposta e interessi).
Pertanto, nel caso di atti, ancorché non definitivi, relativi a tributi, sanzioni e interessi, il rimborso del credito può essere temporaneamente sospeso e, una volta che l’atto sia divenuto definitivo, il credito può essere compensato. In alternativa, può essere richiesto al contribuente di garantire i carichi pendenti mediante presentazione di una fideiussione a tempo indeterminato. Come precisato dalla risoluzione n. 86/E del 12 giugno 20012, “la nozione di “carichi pendenti” deve essere riferita anche a crediti e sanzioni riferibili a tributi erariali, ad esclusione delle imposte doganali e delle imposte sulla produzione e sui consumi”.
La sospensione di cui al citato articolo 23 può essere disposta dal competente ufficio sulla base degli elementi e dei dati risultanti agli atti d’ufficio o al sistema informativo dell’Anagrafe Tributaria ed il relativo provvedimento deve essere notificato all’autore della violazione e ai soggetti obbligati in solido.
Quanto sopra premesso, si forniscono di seguito chiarimenti in merito agli effetti sull’erogazione dei rimborsi IVA prodotti dalla presenza di comunicazioni di irregolarità o di debiti erariali in corso di pagamento mediante rateazione.
2.1. Comunicazioni di irregolarità. Le comunicazioni di irregolarità, di cui agli articoli 36-bis, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e 54-bis, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, vengono inviate al contribuente nei casi in cui dal controllo automatizzato emerga un risultato diverso rispetto a quello indicato in dichiarazione.
L’invio della comunicazione, nel rispetto dei principi sanciti dall’articolo 6, comma 5, dello Statuto, consente la regolarizzazione degli errori commessi dal contribuente, evitando l’iscrizione a ruolo e la reiterazione delle irregolarità.
Ricevuta la comunicazione, il contribuente, qualora ritenga che non siano stati valutati correttamente alcuni elementi nella liquidazione dei tributi, ha trenta giorni di tempo per fornire tutte le informazioni utili agli uffici per provare la correttezza dei dati dichiarati e far rettificare gli esiti della liquidazione (6).
Nel caso in cui il contribuente non richieda assistenza, ovvero l’ufficio confermi gli esiti della comunicazione, in assenza del pagamento delle somme dovute entro trenta giorni, viene eseguita l’iscrizione a ruolo (7).
Da quanto sopra, emerge che, sebbene le predette comunicazioni non possano essere considerate una pretesa impositiva definitiva, esse rappresentano comunque una fase intermedia del procedimento amministrativo tributario finalizzato al recupero del credito erariale e, pertanto, in presenza di determinate condizioni, possono esplicare effetti sul processo di lavorazione dei rimborsi IVA.
In particolare, nel caso in cui i trenta giorni dal ricevimento della comunicazione non siano ancora decorsi o si sia in presenza di comunicazioni di irregolarità per le quali il contribuente ha intrapreso un piano di rateazione che sta regolarmente onorando, l’ufficio, in assenza di ulteriori cause ostative, procede con l’esecuzione del rimborso.
Viceversa, nel caso di mancato pagamento delle somme dovute in un’unica soluzione, scaduti i trenta giorni, o nel caso di decadenza dalla rateazione (8), l’ufficio può procedere con la sospensione totale o parziale del rimborso IVA.
Si precisa, infine, che le considerazioni svolte per le comunicazioni inviate ai sensi degli articoli 36-bis del d.P.R n. 600 del 1973 e 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972 valgono, ai fini della sospensione dei rimborsi IVA, anche per le comunicazioni inviate ai sensi dell’articolo 36-ter del d.P.R. n. 600 del 1973, a seguito del controllo formale sulle dichiarazioni.
2.2. Pagamenti rateizzati in base agli istituti definitori e agli avvisi di liquidazione delle dichiarazioni di successione. L’articolo 23, commi da 17 a 19, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ha soppresso l’obbligo di presentazione della garanzia nei casi di versamento rateale delle somme dovute a seguito di accertamento con adesione, acquiescenza all’accertamento e conciliazione giudiziale per importi delle rate successive alla prima superiori a 50.000 euro.
Con riferimento all’accertamento con adesione e all’acquiescenza, l’articolo 15-ter, comma 2, del d.P.R. n. 602 del 1973, introdotto dal decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 159, prevede che: “il mancato pagamento di una delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva comporta la decadenza dal beneficio della rateazione e l’iscrizione a ruolo dei residui importi dovuti a titolo di imposta, interessi e sanzioni, nonché della sanzione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, aumentata della metà e applicata sul residuo importo dovuto a titolo di imposta” (9).
La decadenza dalla rateazione viene esclusa in caso di lieve inadempimento (10).
Con riferimento alla conciliazione giudiziale, l’articolo 48-ter, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, inserito dal decreto legislativo n. 156 del 2015, prevede che: “In caso di mancato pagamento delle somme dovute o di una delle rate, compresa la prima, entro il termine di pagamento della rata successiva, il competente ufficio provvede all’iscrizione a ruolo delle residue somme dovute a titolo di imposta, interessi e sanzioni, nonché della sanzione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, aumentata della metà e applicata sul residuo importo dovuto a titolo di imposta” (11).
Anche in materia di reclamo/mediazione si applica il citato articolo 15-ter del d.P.R. n. 602, in virtù del richiamo, contenuto nell’articolo 17-bis, comma 6, del decreto legislativo n. 546, alle disposizioni previste per l’accertamento con adesione, di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 (cfr. circolare n. 17/E del 20163
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).
Ciò premesso, si ritiene che le rate non ancora pagate relative all’accertamento con adesione, all’acquiescenza, alla conciliazione giudiziale e al reclamo/mediazione non debbano essere considerate carichi pendenti ai fini della sospensione dei rimborsi IVA, ad eccezione delle ipotesi in cui l’omesso o il ritardato pagamento di rate comporti la decadenza dal beneficio della rateazione.
La predetta conclusione risponde alla ratio dell’articolo 23 del decreto legge n. 98 del 2011, tesa ad agevolare, con la soppressione dell’obbligo di presentazione della garanzia, i contribuenti che hanno optato per il versamento rateale non potendo pagare in un’unica soluzione. Infatti, se le rate non ancora pagate fossero riconosciute come carico pendente e se, solo per questo, venisse sospeso l’eventuale rimborso IVA richiesto dal contribuente, l’agevolazione nel risparmio dei costi relativi alla presentazione della garanzia risulterebbe vanificata.
La decadenza dalla rateazione può implicare la sospensione totale o parziale del rimborso e, a seconda dei casi, determinare l’iscrizione a ruolo delle somme ancora dovute o l’intimazione ad adempiere.
Si precisa, al riguardo, che il lieve inadempimento non determina la decadenza dalla rateazione, ma il carente o tardivo versamento comporta comunque l’iscrizione a ruolo dell’eventuale frazione non pagata, con l’applicazione della sanzione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997, commisurata all’importo non pagato o pagato in ritardo, e dei relativi interessi (articolo 15-ter, comma 5, del d.P.R. n. 602 del 1973). Pertanto, l’importo relativo a tale iscrizione a ruolo è considerato un carico pendente ai fini della sospensione del rimborso (12).
Non si considerano carichi pendenti, altresì, le somme riammesse al piano di rateazione ai sensi dell’articolo 1, commi 134-138, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016).
In particolare, il citato comma 134 prevede che: “Nelle ipotesi di definizione degli accertamenti o di omessa impugnazione di cui al decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, i contribuenti che, nei trentasei mesi antecedenti al 15 ottobre 2015, sono decaduti dal beneficio della rateazione, sono riammessi al piano di rateazione inizialmente concesso ai sensi dello stesso decreto legislativo n. 218 del 1997, limitatamente al versamento delle imposte dirette, a condizione che entro il 31 maggio 2016 riprendano il versamento della prima delle rate scadute“.
Come precisato dalla circolare n. 13/E del 22 aprile 20164, la riammissione è limitata alle somme dovute a titolo di imposte dirette ed è circoscritta agli istituti di cui al decreto legislativo n. 218 del 1997, ossia all’adesione all’accertamento, al processo verbale di constatazione (consegnato entro il 31 dicembre 2015), all’invito a comparire (notificato entro il 31 dicembre 2015) e all’acquiescenza.
Si evidenzia, infine, che, anche con riferimento agli avvisi di liquidazione delle dichiarazioni di successione, di cui all’articolo 38 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, come modificato dal citato decreto legislativo n. 159 del 2015, l’accesso alla rateazione non è più subordinato alla presentazione di garanzie.
Pertanto, per le motivazioni fin qui esposte, le rate non ancora pagate, relative ai predetti avvisi di liquidazione, non comportano la sospensione totale o parziale del rimborso IVA, ad eccezione delle ipotesi in cui l’inadempimento del contribuente determini la decadenza dal beneficio della rateazione.
Al riguardo, il comma 3 del citato articolo 38 prevede che: “Il mancato pagamento della somma pari al venti per cento dell’imposta liquidata, entro il termine di cui al comma 1, ovvero di una delle rate entro il termine di pagamento della rata successiva, comporta la decadenza dalla rateazione e l’importo dovuto, dedotto quanto versato, è iscritto a ruolo con relative sanzioni e interessi“.
Anche in questo caso, la decadenza è comunque esclusa in caso di lieve inadempimento (13).
2.3. Pagamenti rateizzati a seguito di cartelle di pagamento. Con riferimento alla rateazione di cartelle di pagamento, l’obbligo di presentazione della garanzia era già stato abrogato dall’articolo 83, comma 23, lettera a), del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
L’articolo 19, comma 3, del d.P.R. n. 602, così come modificato dal decreto legislativo n. 159, prevede che il debitore decada automaticamente dal beneficio della rateazione in caso di mancato pagamento di cinque rate, anche non consecutive, e che l’importo residuo iscritto a ruolo sia immediatamente e automaticamente riscuotibile in un’unica soluzione.
Il carico può comunque essere nuovamente rateizzato se, all’atto della presentazione della richiesta, le rate scadute alla stessa data sono integralmente saldate. In questo caso, il nuovo piano di dilazione può essere ripartito nel numero massimo di rate non ancora scadute alla medesima data (comma 3, lettera c), del citato articolo 19).
Ciò considerato e coerentemente con quanto disposto dal provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 24 febbraio 2012 relativamente alla compensazione di cui all’articolo 28-ter del d.P.R n. 602 (14), ai fini dell’esecuzione dei rimborsi IVA, anche le rate non ancora versate di una cartella di pagamento non sono considerate carichi pendenti e non comportano la sospensione totale o parziale del rimborso, ad eccezione delle ipotesi in cui l’inadempimento del contribuente determini la decadenza dalla rateazione.
Si precisa, parimenti, che non si considerano carichi pendenti le rate non ancora versate nel caso in cui il contribuente abbia intrapreso e stia regolarmente onorando un piano di rateazione relativo a cartelle di pagamento derivanti da iscrizioni a ruolo delle somme dovute a seguito di decadenza dal beneficio della rateazione, di cui all’articolo 15-ter del d.P.R. n. 602 del 1973.
Infine, considerata la particolare situazione economico-finanziaria del contribuente o la sopravvenuta incertezza della pretesa tributaria, si ritiene che gli atti la cui riscossione è stata oggetto di sospensione amministrativa o giudiziale non comportino la sospensione del rimborso.
3. APPLICABILITÀ AI RIMBORSI IVA DEL FERMO AMMINISTRATIVO DI CUI ALL’ARTICOLO 69 DEL REGIO DECRETO 18 NOVEMBRE 1923, N. 2440
Con riferimento alle ipotesi di sospensione dei rimborsi IVA, si coglie l’occasione per fornire alcuni chiarimenti in relazione all’istituto del fermo amministrativo di cui all’articolo 69 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440.
Il citato articolo 69, sesto comma, dispone che “Qualora un’amministrazione dello Stato che abbia, a qualsiasi titolo, ragione di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni, richieda la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento definitivo“. (15)
Il fermo amministrativo costituisce, quindi, un provvedimento di natura cautelare diretto alla tutela delle ragioni di credito delle amministrazioni statali.
A tale proposito, ai fini dell’individuazione dei presupposti circa la sua applicazione, la circolare n. 4/E del 15 febbraio 20105, paragrafo 6, ha specificato che “L’istituto del fermo amministrativo ha carattere generale ed è utilizzabile quando la pretesa creditoria della pubblica amministrazione non è ancora certa, liquida ed esigibile” e che “La ragione di credito è caratterizzata dal fumus boni iuris, vale a dire dalla sussistenza di elementi tali da determinare nell’Amministrazione il convincimento che esiste una ragionevole fondatezza del suo diritto“.
Inoltre è chiarito che “Si tratta di una norma che introduce un generico “fermo” temporaneo dell’esecuzione di un pagamento a carico della Pubblica Amministrazione. Ai sensi della predetta norma, tale misura è richiesta dall’Amministrazione creditrice (fra le Amministrazioni legittimate è espressamente inclusa l’Agenzia delle entrate) alle altre Amministrazioni eventualmente debitrici nei confronti del medesimo contribuente, le quali sono tenute ad eseguirla in attesa di un successivo provvedimento definitivo di incameramento o di sblocco del pagamento oggetto del provvedimento cautelare“.
La “ragione di credito” posta alla base del fermo amministrativo deve comunque avere una “rappresentazione formale” e, quindi, il debito tributario “deve essere espresso almeno a livello di processo verbale di constatazione“. (16)
Si evidenzia, inoltre, che lo strumento del fermo amministrativo, incidendo sulle disponibilità finanziarie del contribuente derivanti da crediti che lo stesso vanta nei confronti di altre amministrazioni, può essere utilizzato previa attenta valutazione degli effetti che avrebbe sull’attività economica del contribuente, in ragione del fatto che la sua adozione potrebbe impedire la riscossione dei crediti, per esempio per appalti o forniture, che il soggetto vanta nei confronti di altri comparti della pubblica amministrazione.
In merito all’applicabilità ai rimborsi IVA dell’articolo 69 del regio decreto n. 2440 del 1923, la Corte di Cassazione ha puntualizzato come il provvedimento di sospensione del pagamento ivi previsto “ha portata generale in quanto mira a garantire la certezza dei rapporti patrimoniali con lo Stato, mediante la concorrente estinzione delle poste reciproche (attive e passive). Ne consegue l’applicabilità della norma ai rimborsi dell’IVA“. (17)
Quanto sopra precisato, si osserva che, con riferimento alla materia dei rimborsi IVA, il legislatore tributario ha disciplinato alcuni strumenti di tutela cautelare quali la sospensione di cui all’articolo 23 del decreto legislativo n. 472 del 1997 o la sospensione di cui al comma 8 dell’articolo 38-bis nei casi di fattispecie penalmente rilevanti.
Ne consegue che il fermo amministrativo, quale istituto di carattere generale nell’ambito della contabilità pubblica, può trovare applicazione esclusivamente in via residuale, e con i limiti sopra delineati, in tutte quelle ipotesi nelle quali non siano utilizzabili gli specifici strumenti di tutela del credito erariale disciplinati dalla normativa tributaria.
4. RIMBORSI IVA SENZA PRESTAZIONE DI GARANZIA IN PRESENZA DI AVVISI DI ACCERTAMENTO E RETTIFICA
La disciplina relativa all’esecuzione dei rimborsi IVA, di cui dell’articolo 38-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, è stata significativamente innovata in quanto, al fine di semplificare e accelerare l’erogazione dei rimborsi IVA, è stato eliminato l’obbligo generalizzato di prestazione della garanzia, che ricorre, limitatamente ai rimborsi superiori a 15.000 euro, solo quando si verificano situazioni di rischio.
Al riguardo, fermo restando quanto già precisato nelle circolari n. 32/E del 30 dicembre 20146 e 35/E del 27 ottobre 21057, per quel che qui interessa, si ricorda che l’articolo 38-bis dispone che i rimborsi IVA di ammontare superiore a 15.000 euro sono eseguiti previa prestazione della garanzia quando richiesti da soggetti passivi ai quali, nei due anni antecedenti la richiesta di rimborso, sono stati notificati avvisi di accertamento o di rettifica da cui risulti, per ciascun anno, una differenza tra gli importi accertati e quelli dell’imposta dovuta o del credito dichiarato superiore:
- al 10 per cento degli importi dichiarati se questi non superano 150.000 euro;
- al 5 per cento degli importi dichiarati se questi superano 150.000 euro ma non superano 1.500.000 euro;
- all’1 per cento degli importi dichiarati, o comunque a 150.000 euro, se gli importi dichiarati superano 1.500.000 euro.
In merito all’ambito di applicazione della citata previsione, in via interpretativa è già stato chiarito che gli atti da considerare in base alla lettera b) del comma 4 del nuovo articolo 38-bis sono sia gli avvisi di accertamento e rettifica ai fini IVA, sia quelli relativi agli altri tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate.
Con successiva circolare n. 35/E del 2015 è stato, inoltre, precisato che quando la pretesa erariale sia rideterminata per effetto di accertamento con adesione, di conciliazione giudiziale o reclamo/mediazione, anche successivamente all’istanza di rimborso, il raffronto tra l’imposta dichiarata e quella accertata andrà eseguito con riferimento agli importi rideterminati e non a quelli originariamente accertati.
Nondimeno, si ritiene conforme al principio di proporzionalità, al fine di attribuire rilievo all’adempimento integrale del contribuente rispetto alla pretesa erariale, operare in conformità agli orientamenti espressi dalla scrivente con riferimento all’articolo 38 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (“Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”, di seguito, Codice), ora abrogato e riformulato, con modificazioni, dall’articolo 80 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (18), recante “Motivi di esclusione“. In particolare, il comma 4 del citato articolo 80 prevede che l’esclusione dalla partecipazione a una procedura d’appalto in caso di commissione di violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali non si applichi “ quando l’operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, purché il pagamento o l’impegno siano stati formalizzati prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande“.
Si evidenzia che rispetto alla previgente formulazione è stato previsto, tra le cause di inapplicabilità dell’esclusione dalle procedure di appalto, anche l’impegno in modo vincolante a pagare, oltre all’effettivo versamento, ampliandone la portata.
Con circolare n. 41/E del 3 agosto 20108, con riferimento alla previgente formulazione, è stato chiarito che l’irregolarità fiscale può dirsi integrata in presenza del definitivo accertamento di una qualunque delle violazioni relative agli obblighi di pagamento di imposte e tasse amministrate dall’Agenzia delle entrate. Al fine di evitare che la violazione possa pregiudicare qualunque successiva partecipazione a procedure di affidamento, nello stesso documento è stato, altresì, chiarito che l’irregolarità può considerarsi venuta meno nel caso in cui il contribuente abbia integralmente soddisfatto la pretesa dell’amministrazione finanziaria, anche mediante definizione agevolata.
A sostegno di tale ricostruzione sono le indicazioni desumibili, oltre che dalla giurisprudenza amministrativa – sentenze del Consiglio di Stato, Sez. VI, 21 aprile 2010, n. 2226, e del Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana 13 luglio 2010, n. 2529, che hanno recepito la posizione espressa dalla Corte di Giustizia CE nella sentenza 9 febbraio 2006, Cause C- 226/04 e C- 228/04 – anche dalle istruzioni dettate sul punto dalla Determinazione n. 1 del 12 gennaio 2010 dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti pubblici di Lavori, Servizi e Forniture (cfr., in particolare, par. 9).
Applicando i richiamati principi alla diversa fattispecie del rimborso IVA, per quanto a questa applicabili, si ritiene che l’avvenuto integrale soddisfacimento della pretesa erariale nei termini di legge da parte del soggetto passivo – il quale non abbia reso necessaria alcuna ulteriore attività di riscossione da parte dell’Amministrazione ed abbia spontaneamente versato quanto richiesto, anche a seguito di istituti di definizione agevolata – possa considerarsi idoneo a rimuovere gli effetti pregiudizievoli dell’avvenuta notifica dell’avviso di accertamento ai fini dell’erogazione del rimborso IVA.
Del resto, tale condotta appare anche più significante, in relazione alle finalità perseguite dall’articolo 38-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, rispetto al mero decorso del biennio previsto dalla norma per “ricostituire” l’affidabilità del soggetto passivo IVA.
La ratio della disposizione in argomento è, infatti, quella di individuare nell’avviso di accertamento o rettifica notificato un indicatore del grado di solvibilità del contribuente che ha chiesto il rimborso IVA e, pertanto, se nel periodo di osservazione lo stesso soddisfa integralmente le proprie pendenze, attraverso uno qualunque degli istituti di definizione messi a disposizione dalla legge, può considerarsi reintegrato tra i contribuenti non “a rischio” e non tenuto alla presentazione della garanzia.
Pertanto, deve intendersi superata l’indicazione fornita nella circolare n. 32/E del 2014, con la quale era stato precisato che la mera circostanza dell’avvenuta notificazione dell’atto nei due anni precedenti – salvo annullamento dello stesso in autotutela o in caso di sentenza favorevole al contribuente passata in giudicato – fosse causa ostativa alla possibilità di ottenere il rimborso senza prestazione di garanzia, a prescindere dalla circostanza che il contribuente abbia o meno definito la pretesa erariale.
Non sembra invece applicabile, ai fini dell’esonero della prestazione della garanzie per l’erogazione dei rimborsi IVA, l’impegno in modo vincolante a pagare le imposte dovute, in quanto, per sua natura, tale impegno, applicato alla fattispecie in esame, richiederebbe la prestazione di forme di garanzia.
Le predette conclusioni sono, ovviamente, valide anche con riferimento agli obblighi di garanzia nell’ambito della disciplina dell’IVA di gruppo di cui all’articolo 73 del d.P.R. n. 633 del 1972, stante il rinvio alla disciplina dell’articolo 38-bis del citato d.P.R. contenuto nell’articolo 6 del D.M. 13 dicembre 1979 (concernente “Norme in materia di imposta sul valore aggiunto relative ai versamenti e alle dichiarazioni delle società controllate“).
5. RIMBORSI IVA CHIESTI DA CONTRIBUENTI CHE HANNO AVVIATO L’ATTIVITÀ DA MENO DI DUE ANNI E DA SOGGETTI IN LIQUIDAZIONE – PRESTAZIONE DI GARANZIA
Come ricordato nel precedente paragrafo, al fine di rendere più semplici e rapide le procedure di rimborso IVA, il nuovo articolo 38-bis del d.P.R. n. 633 ha eliminato l’obbligo di prestare la garanzia, con la sola eccezione delle ipotesi di rischio elencate al comma 4 della medesima norma.
In particolare, l’obbligo di prestare la garanzia ricorre per i rimborsi IVA di importo superiore ad euro 15.000 chiesti da soggetti in attività d’impresa da meno di due anni – diversi dalle start-up di cui al decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179 – e per il rimborso del credito IVA risultante all’atto della cessazione dell’attività.
In riferimento al soggetto che esercita l’attività di impresa da meno di 24 mesi, con la circolare n. 6/E del 19 febbraio 20159, paragrafo 8.3, è stato chiarito che, “ per esercizio dell’attività di impresa si intende l’effettivo svolgimento dell’attività stessa, che ha inizio con la prima operazione effettuata e non con la sola apertura della partita Iva ”. La medesima circolare ha chiarito che, “il termine temporale di due anni è riferito ai due anni antecedenti la data di richiesta del rimborso annuale o trimestrale“.
Al fine di meglio precisare cosa si intenda per “prima operazione effettuata“, torna utile richiamare la risoluzione 9 giugno 2009, n. 147/E10, con cui è stato chiarito che “la spettanza del diritto alla detrazione non è, comunque, necessariamente esclusa dalla iniziale esiguità delle operazioni imponibili attive, in quanto in virtù del principio della neutralità dell’Iva anche le spese di investimento, effettuate ai fini dell’esercizio di un’impresa, devono essere ricondotte all’attività economica esercitata. La mancanza di ricavi nei primi anni di attività non può essere configurata, di per sé, come un impedimento alla detrazione dell’Iva quando gli acquisti sono relativi a beni e servizi impiegati nell’attività di impresa e in funzione di operazioni imponibili. Sarebbe, infatti, in contrasto con il richiamato principio ritenere che l’attività imprenditoriale propriamente detta abbia inizio soltanto in corrispondenza di operazioni attive, e in presenza di un reddito imponibile (cfr. sentenze Corte di Cassazione n. 1863 del 2 febbraio 2004; n. 5739 del 16 marzo 2005)“.
Pertanto, ai fini del computo dei due anni cui fa riferimento la norma, occorre verificare l’effettiva esistenza dell’organizzazione aziendale e l’effettivo esercizio d’impresa che, in taluni casi, può essere desunto anche dagli investimenti realizzati, dai lavori eseguiti, dai contratti, aventi data certa, stipulati, o dalle operazioni passive effettuate in funzione di future operazioni attive.
Ai sensi dell’articolo 38-bis, comma 4, lettera d) del d.P.R. n. 633 del 1972, ricorre l’obbligo di prestare garanzia anche nel caso di rimborso del credito IVA “risultante all’atto della cessazione dell’attività“.
Con riferimento, tuttavia ai crediti IVA maturati nel corso del periodo di liquidazione ordinaria, nulla esclude che gli stessi possano essere chiesti a rimborso senza prestare garanzia, purché – nonostante il contribuente non si trovi più in un uno stato di normale operatività e continuità aziendale – lo stesso possa dichiarare la presenza delle condizioni elencate al comma 3 dell’articolo 38-bis, ossia che:
a) il patrimonio netto non è diminuito di oltre il 40% rispetto all’ultimo periodo d’imposta né, nel medesimo arco temporale, la consistenza immobiliare si è ridotta di oltre il 40% in conseguenza di cessioni non effettuate nell’ambito della normale gestione dell’attività esercitata;
b) se la società richiedente è quotata nei mercati regolamentari, non sono state cedute azioni o quote della stessa di ammontare superiore al 50%;
c) i versamenti contributivi previdenziali e assicurativi sono stati eseguiti.
Dato il riferimento testuale al credito risultate dall’atto di “cessazione dell’attività“, è evidente, infatti, che non si possa estendere tout court l’obbligo di garanzia ai crediti maturati e chiesti a rimborso – in presenza dei requisiti di cui all’articolo 30 del d.P.R. n. 633 del 1972 – durante la fase liquidatoria.
6. SANZIONE PER OMESSA PRESTAZIONE DELLA GARANZIA NELL’IVA DI GRUPPO IN CASO DI FRANCHIGIA
Con circolare n. 35/E del 27 ottobre 201511 è stato chiarito che la franchigia di cui all’articolo 21 del decreto del Ministero delle Finanze 28 dicembre 1993, n. 567 – che esonera dall’obbligo di prestazione di garanzia i rimborsi il cui ammontare non sia superiore al dieci per cento dei complessivi versamenti eseguiti nei due anni precedenti la data della richiesta e registrati nel conto fiscale – si applica anche nell’ambito della liquidazione IVA di gruppo, di cui all’articolo 73 del D.P.R. n. 633, per determinare l’importo oggetto della garanzia o dell’assunzione diretta dell’obbligazione, di cui all’articolo 38-bis del D.P.R. n. 633. Pertanto, nelle ipotesi in cui nell’ambito della liquidazione IVA di gruppo la compensazione debba essere assistita da garanzia, la stessa può riferirsi all’importo eccedente la franchigia in commento, se spettante.
Con riferimento all’aspetto sanzionatorio, si osserva che, a seguito dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 158 del 2015, è stata introdotta una specifica disciplina relativa all’obbligo di prestazione della garanzia nell’IVA di gruppo, risultante dal combinato disposto di due fattispecie contenute nel decreto legislativo n. 471 del 1997: il comma 7-bis dell’articolo 11, che prevede una sanzione formale per le tardività nei 90 giorni, e il comma 6 dell’articolo 13, che prevede una sanzione proporzionale per le tardività oltre i 90 giorni e per le omissioni nella prestazione della prescritta garanzia.
In particolare, con riferimento all’ipotesi disciplinata dall’articolo 13, comma 6, è previsto che “quando la garanzia di cui all’articolo 38-bis del medesimo decreto è presentata oltre il termine di novanta giorni dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione annuale” è applicata la sanzione per l’omesso versamento “sull’ammontare delle eccedenze di credito risultanti dalla dichiarazione annuale dell’ente o società controllante ovvero delle società controllate, compensate in tutto o in parte con somme che avrebbero dovuto essere versate dalle altre società controllate o dall’ente o società controllante“.
La prestazione della garanzia entro il termine di presentazione della relativa dichiarazione annuale IVA, infatti, rappresenta elemento costitutivo di perfezionamento delle compensazioni IVA infragruppo. In caso di tardiva prestazione della garanzia, le compensazioni effettuate nel gruppo producono comunque i propri effetti, ma solo dalla data in cui l’obbligo (che, come già detto, ha natura costitutiva) è stato adempiuto.
Pertanto, in ipotesi di tardività nella prestazione della garanzia superiore a 90 giorni, si applica la sanzione per omesso versamento commisurata all’eccedenza di credito indebitamente compensata per effetto della tardiva prestazione della garanzia e fino alla prestazione della stessa.
Si evidenzia che, in ipotesi di tardiva prestazione della garanzia superiore ai 90 giorni, resta fermo il recupero dell’ammontare degli interessi relativi all’imposta oggetto di compensazione, calcolati a decorrere dal termine ordinario di presentazione della dichiarazione IVA e fino alla data di prestazione della garanzia.
In assenza della prestazione della suddetta garanzia, la compensazione effettuata non si perfeziona, con la conseguenza di rendere dovuto ex tunc il versamento dell’imposta indebitamente compensata. Pertanto, salvo che il contribuente provveda a prestare la garanzia nelle forme previste, è emanato apposito atto di recupero ai sensi dell’articolo 1, comma 421, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, dell’imposta indebitamente compensata con l’applicazione dei relativi interessi a decorrere dal termine previsto per la presentazione della dichiarazione IVA e della sanzione nella misura del 30 per cento, di cui al comma 1 dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997, per l’omesso versamento conseguente al mancato perfezionamento della compensazione. La sanzione, anche in tale ipotesi, è commisurata all’ammontare dell’eccedenza di credito indebitamente compensata, per effetto della mancata prestazione della garanzia che ha impedito il perfezionamento della compensazione.
Tanto premesso, con riferimento alle ipotesi in cui la garanzia sia presentata in relazione all’importo eccedente la franchigia di cui all’articolo 21 del decreto n. 567 del 1993, considerato il tenore del nuovo precetto che ha ad oggetto espressamente l’obbligo di prestazione della garanzia, la sanzione per omesso versamento deve essere determinata con riferimento all’ammontare dell’eccedenza rispetto alla quale il soggetto passivo è tenuto a prestare la garanzia, senza che, a tale fine, assuma rilievo l’ammontare oggetto di eventuale franchigia ai sensi del citato articolo 21. Infatti, per la parte dell’eccedenza di credito oggetto di compensazione per la quale non è dovuta la garanzia (franchigia), la compensazione si perfeziona senza la prestazione della stessa.
Coerentemente con le regole sopra richiamate in relazione all’applicazione della sanzione, in caso di omessa prestazione della garanzia, il recupero avrà ad oggetto l’imposta indebitamente compensata al netto della franchigia”.
NOTE:
(1) Vedi l’articolo 16, comma 1, lett. h), del decreto legislativo n. 158 del 2015.
(2) Vedi il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 4 gennaio 2016 contenente le nuove disposizioni procedurali applicabili alle istanze di interpello.
(3) Si rammenta che la circolare chiarisce che, tramite la dichiarazione sostitutiva, la società attesta:di essere una start-up innovativa; di superare il test di operatività previsto dall’articolo 30, comma 1, della legge n. 724 e di non essere in perdita sistematica ai sensi dell’articolo 2, commi da 36-decies a 36-duodecies del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138;la sussistenza dei motivi di esclusione dalla disciplina sulle società di comodo, di cui all’articolo 30, comma 1, della legge n. 724, rilevante anche ai fini della non applicazione della disciplina sulle società in perdita sistematica;la sussistenza delle situazioni oggettive di disapplicazione della disciplina sulle società non operative e sulle società in perdita sistematica stabilite nei provvedimenti del Direttore dell’Agenzia emanati ai sensi del comma 4-ter dell’articolo 30;la sussistenza delle condizioni oggettive di cui al comma 4-bis del citato articolo 30 e di non aver presentato istanza di interpello.
(4) Vedi la circolare n. 23/E dell’11 giugno 2012 [in Boll. Trib., 2012, 928] e circolare n. 32/E del 14 giugno 2010 [in Boll. Trib., 2010, 966], ivi richiamata.
(5) Nel caso in cui l’istanza ai fini della disapplicazione della disciplina delle società non operative riguardi solo alcuni “asset” considerati dal comma 1 dell’articolo 30 della legge n. 724 del 1994 e successive modificazioni, ovvero riguardi solo parte del triennio rilevante per la determinazione dei ricavi presunti (vedi circolare 25/E del 4 maggio 2007 [in Boll. Trib., 2007, 779]), a seguito di risposta favorevole al contribuente, ed esclusa la perdita sistematica, l’ufficio chiede alla società di produrre il test di operatività opportunamente rielaborato in base alle risultanze dell’interpello.
(6) In caso di invio telematico della comunicazione all’intermediario che ha trasmesso la dichiarazione (se previsto nell’incarico di trasmissione), il tempo a disposizione del contribuente per fornire chiarimenti in merito agli esiti di liquidazione è di 90 giorni (articolo 2-bis del decreto legge 30 settembre 2005, n. 203).
(7) Ad esclusione dei casi in cui si applica l’istituto del lieve inadempimento, ai sensi dell’articolo 15-ter, commi 3 e seguenti, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.
(8) In tali casi si procede all’iscrizione a ruolo degli importi residui dovuti a titolo di imposta, sanzioni e interessi.
(9) Per l’acquiescenza, in caso di pagamento rateale a seguito di avvisi di accertamento c.d. esecutivi, emessi ai sensi dell’articolo 29 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, a seguito della decadenza dalla rateazione, l’ufficio procede al recupero delle somme dovute non tramite iscrizione a ruolo ma mediante apposita intimazione ad adempiere (da ultimo circolare n. 17/E del 29 aprile 2016 [in Boll. Trib., 2016, 688]).
(10) Vedi articolo 15-ter, commi 3 e seguenti, del d.P.R. n. 602 del 1973. La disciplina del lieve inadempimento si applica anche alla conciliazione giudiziale e al reclamo/mediazione (circolare n. 17/E del 2016).
(11) Nel caso in cui l’oggetto della conciliazione sia un avviso di accertamento c.d. esecutivo, emesso ai sensi dell’articolo 29 del decreto legge n. 78 del 2010, a seguito della decadenza dalla rateazione, l’ufficio procede al recupero delle somme dovute non tramite iscrizione a ruolo ma mediante apposita intimazione ad adempiere (da ultimo circolare n. 17/E del 2016).
(12) Non si procede ad iscrizione a ruolo nel caso in cui il contribuente si avvalga del ravvedimento operoso (articolo 15-ter, comma 6, del d.P.R. n. 602 del 1973).
(13) Vedi articolo 38, commi 4 e seguenti, del decreto legislativo n. 346 del 1990.
(14) Si tratta del provvedimento che disciplina la compensazione dei rimborsi da erogare con le modalità previste dal decreto del Ministero delle finanze 29 dicembre 2000.
(15) La disciplina del fermo amministrativo è stato oggetto di chiarimenti con circolare n. 21 del 29 marzo 1999 del Ministero del Tesoro – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato.
(16) Si veda la citata circolare n. 4/E del 2010 [in Boll. Trib., 2010, 281].
(17) Massima della sentenza della Corte di Cassazione n. 7320 del 28 marzo 2014.
(18) Il nuovo codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 reca “Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”.
1In Boll. Trib., 2016, 505.
2In Boll. Trib., 2001, 1175.
3Circ. 29 aprile 2016, n. 17/E, in Boll. Trib., 2016, 688.
4In Boll. Trib., 2016, 610.
5In Boll. Trib., 2010, 281.
6In Boll. Trib., 2015, 116.
7In Boll. Trib., 2015, 1490.
8In Boll. Trib., 2010, 1228.
9In Boll. Trib., 2015, 271.
10In Boll. Trib. On-line.
11In Boll. Trib., 2015, 1490.
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