28 Ottobre, 2012

Q. – Sono il liquidatore di una ex grande azienda che a suo tempo produceva giocattoli – trattasi di una Srl.

Tale azienda è partecipata al 100% dalla casa madre che in pratica possiede tutte le quote sociali al 100% (socio unico).

La proprietà è anch’essa una società a responsabilità limitata.

Fatte queste premesse, la società in questione, ha smesso di svolgere la propria attività alla fine del 2005.

Ho seguito contabilmente l’azienda dal 2007, la quale essendo inoperativa, ha solo ricevuto fatture di acquisto relativamente ai servizi prestati dal commercialista (il sottoscritto), dai revisori contabili, dal collegio sindacale e dai legali dell’azienda che seguivano il residuo contenzioso nei confronti dei vari clienti e fornitori ancora aperti.

Le fatture ricevute dai vari professionisti, naturalmente erano gravate dell’IVA (sino al 16 settembre 2011 del 20% – dopo del 21%) che alla data del 31 dicembre 2011 hanno creato un credito IVA in capo alla società in questione, complessivamente di oltre euro 65.000 (formatosi dall’1 gennaio 2007 al 31 dicembre 2011).

La società è stata messa in liquidazione in data 9 novembre 2011, nominando il sottoscritto liquidatore.

Inoltre dal 2007 al 2011, per ogni anno, la società ha emesso fatture di addebito di interessi attivi di tesoreria nei confronti della casa madre (la società che detiene le quote sociali al 100%) a fronte del credito che la società ora in liquidazione, vantava e vanta nei confronti della casa madre (circa euro 8.000.000).

A suo tempo, quando la società operava in condizioni normali, questi interessi erano accessori dell’attività principale e quindi non incidevano sulla deducibilità dell’IVA sugli acquisti in quanto rientranti nella casistiche dal n. 1 al n. 9 dell’art. 10 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

Ora, in funzione di quanto detto sopra in premessa, e cioè che dal 2006 tale società non svolge più alcuna attività, gli unici proventi che incassa sono appunto gli interessi di tesoreria esenti da IVA ex art. 10 del D.P.R. n. 633/1972.

Il quesito è questo: è legittimo ritenere ancora l’addebito di interessi di tesoreria accessori all’attività principale (rientranti quindi ancora nelle casistiche dal n. 1 al n. 9 dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972) anche se non più svolta dal 2006 e quindi non incidenti sulla deducibilità IVA, indi per cui chiedere a rimborso tutto il credito IVA formatosi dal 2007 sino alla data odierna, oppure il fatto che l’attività principale non viene più svolta dal 2007 preclude qualsiasi possibilità di richiesta di rimborso per effetto delle disposizioni circa il pro-rata di deducibilità IVA in presenza di operazioni esenti art. 10 (chiaramente avendo la società emesso solo fatture esenti art. 10 il pro-rata di deducibilità IVA è zero)?

 

R. – 1. Il caso oggetto di esame del presente parere

Un’azienda (d’ora in poi anche “Società”) che a suo tempo produceva giocattoli, sotto forma di S.r.l., è partecipata al 100% dalla casa madre che in pratica possiede tutte le quote sociali al 100% (socio unico). La proprietà è anch’essa una società a responsabilità limitata.

La “Società” ha smesso di svolgere la propria attività alla fine del 2005.

Il liquidatore ha seguito contabilmente l’azienda dal 2007, la quale essendo inoperativa, ha solo ricevuto fatture di acquisto relativamente ai servizi prestati dal commercialista, dai revisori contabili, dal Collegio Sindacale e dai legali dell’azienda che seguivano il residuo contenzioso nei confronti dei vari clienti e fornitori ancora aperti.

Le fatture ricevute dai vari professionisti hanno creato un credito IVA in capo alla società in questione, complessivamente di oltre euro 65.000 (formatosi dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2011). La “Società” è stata messa in liquidazione in data 9 novembre 2011.

Inoltre dal 2007 al 2011, per ogni anno, la “Società” ha emesso fatture di addebito di interessi attivi di tesoreria nei confronti della casa madre (la società che detiene le quote sociali al 100%) a fronte del credito che la società ora in liquidazione, vantava e vanta nei confronti della casa madre stessa (circa euro 8.000.000).

A suo tempo, quando la società operava in condizioni normali, questi interessi erano accessori dell’attività principale e, quindi, non incidevano sulla deducibilità dell’IVA sugli acquisti in quanto rientranti nella casistica dal n. 1 al n. 9 dell’art. 10 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

Ora, in funzione di quanto detto sopra in premessa, ovvero che dal 2006 tale società non svolge più alcuna attività, gli unici proventi che incassa sono appunto gli interessi di tesoreria esenti da IVA ex art. 10 del citato D.P.R. n. 633/1972.

 

2. Il quesito posto

In relazione alla fattispecie descritta, si rappresenta qui di seguito il quesito posto:

«È possibile ritenere l’addebito di interessi di tesoreria accessori all’attività principale (rientranti quindi ancora nelle casistiche dal 1 al 9 dell’art. 10 D.P.R. n. 633/1972) anche se non più svolta dal 2006 e, quindi, non incidenti sulla deducibilità IVA, indi per cui chiedere a rimborso tutto il credito IVA formatosi dal 2007 sino alla data odierna, oppure il fatto che l’attività principale non venga più svolta dal 2007 preclude qualsiasi possibilità di richiesta di rimborso per effetto delle disposizioni circa il pro-rata di deducibilità IVA in presenza di operazioni esenti art. 10% (chiaramente avendo la società emesso solo fatture esenti art. 10 il pro-rata di deducibilità IVA è zero)»?

 

3. Il regime del pro-rata di detraibilità: esclusione delle attività non tipiche

L’art. 19, comma 5, della legge IVA, dopo la riforma operata con il D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 313, non fa più riferimento alle operazioni ma alle attività esenti e, in particolare statuisce che: «Ai contribuenti che esercitano sia attività che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione sia attività che danno luogo ad operazioni esenti ai sensi dell’art. 10, il diritto alla detrazione dell’imposta spetta in misura proporzionale alla prima categoria di operazioni …».

Il riferimento alle attività esenti significa che il “sistema” del pro-rata è applicabile solo nel caso di operazioni esenti riconducibili all’attività propria d’impresa; al contrario, non è applicabile nel caso in cui l’effettuazione di operazioni esenti sia effettuata in via contingente e occasionale ([1]).

In tali casi, per determinare l’imposta detraibile, il contribuente dovrà applicare il criterio base dell’imputazione specifica di cui all’art. 19, secondo comma, che prevede l’indetraibilità delle spese specificamente imputabili alle attività esenti o escluse da IVA.

La non rilevanza ai fini del pro-rata delle operazioni “non tipiche” si desume anche dalla disposizione contenuta nell’art. 19-bis del D.P.R. n. 633/1972, secondo il quale non sono rilevanti ai fini del pro-rata di detraibilità le operazioni di cui all’art. 10, numeri da 1 a 9, del D.P.R. n. 633/1972, quando:

– non formano oggetto dell’attività propria del contribuente oppure

– sono accessorie alle attività imponibili.

Queste due condizioni sono alternative nel senso che è sufficiente che ricorra una delle due ipotesi per non considerare tali attività nella determinazione del volume d’affari e del pro rata di detraibilità.

Non vi è dubbio, che nel caso oggetto del presente parere, l’addebito di interessi attivi esenti da IVA alla casa madre non sia un’attività tipica e, per questo motivo, non possa comportare l’indetraibilità sulle spese per i servizi (fattura dei professionisti) sostenute nel periodo di liquidazione.

La non rilevanza delle attività esenti, che esulano dall’oggetto tipico dell’attività, ai fini della determinazione del pro-rata e, più in generale, del volume d’affari è confermata anche dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria.

La Corte di Cassazione ([2]) ha precisato che l’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972 impone di tener conto delle operazioni esenti, indicate ai numeri da 1 a 9 dell’art. 10 dello stesso decreto, ai fine della determinazione della percentuale di indetraibilità solo quando formino oggetto dell’attività propria dell’impresa ([3]) ([4]).

Da un altro punto di vista, ma in linea con i principi sinora esaminati la Corte di Giustizia ha precisato che sono irrilevanti ai fini della limitazione del diritto alla detrazione le operazioni che implichino solamente un uso estremamente limitato di beni o di servizi per i quali l’IVA è dovuta ([5]).

La neutralizzazione dell’effetto delle operazioni esenti sulla generalità degli acquisti può essere fatta in dichiarazione IVA attraverso la barratura della casella VF53

 

4. Il regime di detraibilità sulla base del principio di imputazione specifica

Come sopra esposto, l’esclusione dal pro-rata e dal volume d’affari delle fatture di addebito di interessi attivi di tesoreria della “Società” nei confronti della casa madre a fronte del credito che la società, ora in liquidazione, vantava e vanta nei confronti della casa madre, comporta l’applicabilità degli ordinari principi in tema di detraibilità dell’IVA.

Ai sensi dell’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972, la detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti è ammessa se l’acquisto è effettuato nell’esercizio dell’impresa, arte o professione (principio di inerenza) e se il bene o il servizio acquistati sono concretamente utilizzati per effettuare operazioni imponibili o assimilate (principio di afferenza), con esclusione delle operazioni esenti, o, comunque, non soggette all’imposta, che comportano l’indetraibilità del tributo.

Effettuato un breve cenno ai principi generali che caratterizzano l’istituto della detrazione nell’IVA, ci si deve chiedere se i predetti requisiti di inerenza e afferenza si debbano ritenere soddisfatti nel caso specifico, posto che la “Società” dall’anno 2006 non ha realizzato alcuna attività d’impresa.

Il tema della spettanza del diritto di detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti senza che a valle sia compiuta alcuna operazione è stato più volte affrontato dalla giurisprudenza, relativamente alla fase di start-up dell’impresa.

Secondo la Corte di Cassazione il diritto alla detrazione spetta anche se l’attività imprenditoriale non si sia ancora manifestata in operazioni attive e, quindi, imponibili ai fini IVA. In particolare i giudici di legittimità hanno precisato che «la stretta connessione degli acquisti con le finalità imprenditoriali, in virtù della quale è consentito il recupero dell’Iva corrisposta, non è necessariamente esclusa dalla mancanza di operazioni attive» ([6]).

Dello stesso avviso è la Corte di giustizia che in diverse occasioni ha affermato che, salvo nei casi di situazioni fraudolente o abusive, la qualità di soggetto passivo Iva (e, quindi, il diritto alla detrazione) non può essere disconosciuto, nel caso in cui una società non abbia realizzato attività imponibili, per eventi indipendenti dalla propria volontà ([7]).

D’altro canto, anche l’Amministrazione finanziaria, dopo aver generato negli anni passati diversi contenziosi sulla questione specifica, con la risoluzione 11 febbraio 2002, n. 40/E (in Boll. Trib., 2002, 776), pur pronunciandosi su una fattispecie molto particolare, ha convenuto, in via generale, che il diritto alla detrazione dell’IVA spetti in tali situazioni ([8]).

Sulla base di quanto detto, è quindi possibile giungere a una prima conclusione così sintetizzabile: pur in mancanza di operazioni attive, spetta al soggetto passivo il diritto alla detrazione dell’imposta di cui all’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972.

Ciò perché:

1. l’assenza di operazioni attive, non comportando il mancato esercizio di un’attività imprenditoriale, non impedisce che si realizzi il requisito dell’inerenza (ovviamente è necessario, ai fini del riconoscimento del diritto di detrazione, che gli acquisti avvengano in stretta connessione con le finalità imprenditoriali);

2. l’afferenza degli acquisti alle operazioni imponibili può ritenersi sussistente, dal momento che il contribuente è sempre chiamato a effettuare una valutazione critica e prospettica in merito alla destinazione funzionale dei beni e dei servizi acquistati.

Affermato tale principio, resta ora da vedere se lo stesso possa essere fatto valere anche per la “Società” che è attualmente nella fase di liquidazione, e che comunque da diversi anni ha cessato l’attività d’impresa.

L’applicabilità dei principi esposti al caso in esame sembra possibile per le seguenti ragioni:

1) Per un principio costantemente ribadito sia dalla giurisprudenza sia dalla prassi ministeriale la messa in liquidazione di una società non comporta la cessazione dell’attività ai fini Iva, che avviene solo con l’ultimazione delle operazioni di liquidazione ([9]);

2) il principio di afferenza può risultare soddisfatto, anche nel caso di specie, visto che tra le operazioni passive e quelle attive non è detto che debba configurarsi necessariamente un nesso immediato e diretto. A tale proposito, la relazione governativa al D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 313 (che ha profondamente modificato il D.P.R. n. 633/1972) ammette la detrazione dell’imposta per le operazioni passive “indirettamente e funzionalmente” ricollegabili ad altre operazioni imponibili.

A conferma di questa posizione, si è pronunciata la Corte di Giustizia europea, con la sentenza 3 marzo 2005, causa C-32/03 ([10]), nella quale viene affrontato il caso di una società che, successivamente alla messa in liquidazione, aveva continuato a detrarre l’imposta sul canone di affitto dei locali, anche se di fatto questi ultimi, in effetti, erano inutilizzati.

Nella citata pronuncia, la Corte di Giustizia ha precisato che non può essere negato a una società in liquidazione il diritto di detrazione per spese comunque connesse a un’attività d’impresa, anche se vi è assenza di operazioni attive.

In definitiva, i giudici europei concludono che «il diritto alla detrazione dell’Iva in ragione della messa in liquidazione della società deve essere pertanto riconosciuto nella misura in cui la sua messa in atto non dia luogo a situazioni fraudolente o abusive».

 

5. Conclusioni

 

In relazione al quesito posto, si formulano le seguenti conclusioni:

1) L’addebito di interessi attivi esenti da IVA alla casa madre non può essere ritenuto oggetto dell’attività e, per questo motivo, non deve essere tenuto in considerazione ai fini della determinazione del volume d’affari e del pro-rata. Tali operazioni esenti dovrebbero essere indicate nel rigo VF53 della dichiarazione IVA.

2) Si ritiene ammissibile la richiesta del credito a rimborso del credito IVA che deriva dalle spese professionali sostenute nel periodo di liquidazione, considerato che nella fattispecie si possono ritenere soddisfatti i requisiti di inerenza e afferenza.

3) Nell’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria dovesse dare esito negativo alla richiesta di rimborso, non sarebbero applicabili sanzioni e il diniego potrebbe essere impugnato, con la finalità ottenere il riconoscimento giudiziale del credito IVA.

 



[1] Ciò significa, come ben precisato dalla circ. 24 dicembre 1997, n. 328/E, in Boll. Trib., 1998, 106, che «l’occasionale effettuazione di operazioni esenti da parte di un contribuente che svolge essenzialmente un’attività soggetta ad Iva (come pure l’occasionale effettuazione di operazioni imponibili da parte di un soggetto che svolge essenzialmente un’attività esente) non dà luogo all’applicazione del pro-rata».

 

[2] Cass. n. 11085 del 7 maggio 2008, in Boll. Trib., 2008, 1460.

[3] In senso conforme si vedano anche Cass. n. 293 del 13 gennaio 1999, in Boll. Trib. On-line; e Comm. Trib. Centr. n. 5356 del 15 giugno 2004, ivi.

[4] In altre sentenze la Corte di Cassazione ha affermato il principio che rientrano nella nozione di attività propria dell’impresa, ai fini della riduzione di cui all’art. 19 in questione, non solo gli atti che esprimano tipicamente il raggiungimento del fine produttivo dell’impresa, come definito nel negozio costitutivo, ma anche gli ulteriori atti che si configurino strumento normale per il raggiungimento di quel fine secondo parametri di regolarità causale o che siano comunque ad esso legati da un nesso di carattere funzionale non meramente occasionale (Cass. 12 gennaio 1999, n. 236, in Boll. Trib., 1999, 1396; Cass. 1° giugno 2001, n. 7423, ivi, 2001, 1433; e Cass. 3 maggio 2001, n. 6194, in Boll. Trib. On-line). Questo principio come corollario comporta che sono da escludere dal pro-rata tutte le attività che, pur se previste nell’atto costitutivo, siano eseguite solo in modo occasionale o accessorio per un migliore svolgimento dell’attività propria d’impresa.

[5] Corte Giust. UE 29 aprile 2004, causa C-77/01, in Boll. Trib., 2004, 791.

[6] Cass. n. 8583 del 12 aprile 2006, in Boll. Trib. On-line. In senso conforme, la Corte di Cassazione, con la sentenza 9 dicembre 2002, n. 17514, in Boll. Trib., 2004, 143, si è pronunciata su una questione di prolungata inerzia nell’inizio dell’attività d’impresa che aveva indotto l’ufficio a contestare l’indetraibilità dell’IVA assolta sugli acquisti. I giudici di legittimità hanno sostenuto che «si tratta di stabilire se le spese di investimento sostenute in vista dello svolgimento dell’attività lucrativa d’impresa siano da considerare già attività imprenditoriale e se, conseguentemente, le relative imposte siano detraibili senza che si debba aspettare l’inizio dell’altra attività d’impresa consistente nelle operazioni attive». La stessa Corte di Cassazione è tornata sul tema con la sentenza 2 febbraio 2004, n. 1863, in Boll. Trib., 2004, 715. Anche in tale situazione, la conclusione è stata che una società ha diritto alla detrazione dell’IVA anche se in un determinato periodo non ha compiuto alcuna operazione attiva, ponendo quale unica condizione che le operazioni passive siano realmente effettuate nell’esercizio d’impresa e purché si tratti di beni acquistati in stretta connessione con le finalità imprenditoriali.

[7] In particolare, nella sentenza 29 febbraio 1996, causa C-110/94, in Boll. Trib. On-line, si legge che «quando l’amministrazione fiscale ha riconosciuto la qualità di soggetto passivo Iva di una società che ha dichiarato la sua intenzione di avviare un’attività economica che dà luogo ad operazioni imponibili, ordinare uno studio sulla redditività dell’attività programmata può essere considerato come un’attività economica ai sensi di tale articolo, anche se questo studio ha come fine di esaminare in quale misura l’attività programmata sia redditizia» e che «salvo nei casi di situazioni fraudolente o abusive, la qualità di soggetto passivo Iva non può essere revocata con effetto retroattivo a tale società, qualora, in considerazione dei risultati di tale studio, si sia deciso di non passare alla fase operativa e di metterla in liquidazione, di modo che l’attività economica prevista non ha dato luogo ad operazioni imponibili».

[8] In effetti, nel richiamare diverse pronunce della Corte di Giustizia europea, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che il sistema delle detrazioni è volto a neutralizzare interamente l’IVA pagata o dovuta dall’imprenditore nell’ambito di tutte le attività economiche, purché queste siano in linea di principio soggette ad IVA. In definitiva, l’Agenzia delle entrate, facendo leva sulle posizioni dei giudici europei, finisce per affermare che il diritto alla detrazione, una volta nato, rimane acquisito «anche quando il soggetto passivo non abbia potuto utilizzare i beni o i servizi che hanno dato luogo a detrazione per l’effettuazione di operazioni imponibili a causa di circostanze estranee alla sua volontà».

 

[9] Tra le tante cfr. circ. n. 64/351942 del 3 agosto 1982, in Boll. Trib., 1982, 1389.

[10] In Corr. trib., 2005, 1278.

 

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