22 Ottobre, 2012

L’esenzione dall’Iva per le cessioni di beni destinati all’esportazione prevista dall’art. 8, primo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, postula l’effettivo perfezionamento di tutte le operazioni di esportazione, delle quali assume per intero la responsabilità il cedente, a carico del quale incombe, nell’ipotesi di mancato perfezionamento dell’esportazione stessa, l’onere della prova dell’avvenuta presentazione delle merci alla dogana di destinazione, che peraltro può essere fornita con ogni mezzo, purché abbia carattere di certezza e incontrovertibilità, quale può essere l’attestazione di pubbliche Amministrazioni del Paese di destinazione dell’avvenuta presentazione delle merci in dogana, mentre i documenti di origine privata, come la documentazione bancaria dell’avvenuto pagamento, non possono costituire prova idonea allo scopo.

 

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Lupi, rel. D’Alessandro), 24 giugno 2010, ord. n. 15256, ric. Agenzia delle entrate]

 

FATTO E DIRITTO – Considerato che il Consigliere relatore, nominato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione scritta prevista dall’art. 380-bis, nei termini che di seguito si trascrivono:

«L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte che ha rigettato l’appello dell’Ufficio contro la pronuncia di primo grado, che aveva accolto il ricorso della società avverso un avviso di accertamento IVA.

La società non si è costituita.

Il ricorso contiene due motivi. Può essere trattato in camera di consiglio (art. 375, n. 5, c.p.c.) ed accolto, per manifesta fondatezza, alla stregua delle considerazioni che seguono:

Con i due motivi, da esaminarsi congiuntamente, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, l’Agenzia censura la sentenza impugnata quanto al giudizio di equipollenza dei documenti prodotti dalla società a quelli richiesti dall’art. 8, lettera a), del d.P.R. n. 633 del 1972 ai fini della prova della cessione di beni all’esportazione.

I due motivi sono manifestamente fondati.

Questa Corte ha affermato che l’esenzione dall’I.V.A. per le cessioni di beni destinati all’esportazione, prevista dall’art. 8, primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, postula l’effettivo perfezionamento di tutte le operazioni di esportazione, delle quali assume per intero la responsabilità il cedente, a carico del quale incombe, nella ipotesi di mancato perfezionamento della esportazione stessa (nella specie, per mancato apprestamento del prescritto mod. T2 da parte della dogana di destinazione), alla stregua della disciplina del diritto interno come del diritto doganale comunitario, l’onere della prova della presentazione delle merci alla dogana di destinazione. Tale prova, peraltro, può essere fornita con ogni mezzo, purché essa abbia carattere di certezza ed incontrovertibilità, quale può essere l’attestazione di pubbliche amministrazioni del Paese di destinazione dell’avvenuta detta presentazione delle merci in dogana, mentre documenti di origine privata, come la documentazione bancaria dell’avvenuto pagamento, non possono costituire prova idonea allo scopo (Cass. 6351/02[1]).

Nel caso di specie, la documentazione prodotta dalla società e ritenuta idonea dai giudice tributario non proveniva da pubbliche amministrazioni del Paese di destinazione, cosicché la sentenza impugnata deve essere cassata, quanto all’accertamento IVA”;

che le parti non hanno presentato memorie;

che il collegio condivide la proposta del relatore;

che pertanto, accolto il ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo della società;

che appare equo compensare le spese dei gradi di merito, condannando la società al pagamento di quelle di cassazione, liquidate in Euro 1.100,00 di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M. – la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della società; compensa le spese dei gradi di merito e condanna la società al pagamento di quelle di cassazione, liquidate in Euro 1.100,00 di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

 

La Suprema Corte riconferma quasi testualmente il precedente avviso espresso con la sentenza 3 maggio 2002, n. 6351 (in Boll. Trib. On-line), sul valore da attribuirsi ai mezzi probatori utilizzati per ottenere l’esenzione dall’iva, ai sensi degli artt. 7, ultimo comma, e 8, primo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, delle cessioni di beni destinati all’esportazione.

Punto di partenza del ragionamento è che, anche in sede doganale, il cedente della merce ha l’onere di dimostrare il perfezionamento dell’operazione, e cioè la presentazione della merce stessa alla dogana di destinazione, come unico mezzo per ottenere l’esenzione.

Dispone in proposito l’art. 211 del codice doganale comunitario approvato col regolamento CEE 12 ottobre 1992, n. 2913, che «l’obbligazione sorge nel momento in cui la merce ha ricevuto una destinazione diversa da quella che ha permesso l’uscita dal territorio doganale della Comunità in esonero totale o parziale dai dazi all’esportazione, o, se l’autorità doganale non ha avuto la possibilità di determinare tale momento, quando scade il termine stabilito per fornire la prova che sono state soddisfatte le condizioni previste per aver diritto a tale esonero».

Indi conclude che «il debitore è il dichiarante. In caso di rappresentanza indiretta, è parimenti debitrice la persona per conto della quale è fatta la dichiarazione».

Parallelamente la giurisprudenza ha ritenuto che anche  ai fini dell’iva competa al cedente della merce la prova, ovviamente documentale, della presentazione delle merci alla dogana di destinazione.

Di norma tale prova è offerta attraverso la compilazione e presentazione del mod. T2 che viene redatto e rilasciato dalla dogana di destinazione e che, una volta pervenuto alla dogana di partenza, realizza il cosiddetto “appuramento” dell’intera operazione.

Nondimeno, dopo qualche iniziale oscillazione nel passato, la giurisprudenza è pervenuta a riconoscere che tale dimostrazione può essere offerta con qualsiasi altro mezzo, purché certo ed incontrovertibile, come le attestazioni provenienti da pubbliche amministrazioni del Paese di destinazione.

Non è stata invece ritenuta idonea, come viene confermato nel caso di specie, la prova costituita da documenti di origine privata, che non offrono le stesse garanzie di attendibilità, quale ad esempio la documentazione bancaria dell’avvenuto pagamento.

Opinione, questa, certamente rigorosa ma condizionata dalla relativa frequenza di frodi relative al commercio internazionale.

 



[1] Cass. 3 maggio 2002, n. 6531, in Boll. Trib. On-line.

 

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