11 Luglio, 2013

Ris. 8 luglio 2013, n. 48/E, dell’Agenzia delle entrate

 

“Sono pervenute a questa Direzione richieste di chiarimenti in ordine alle modalità di calcolo della riduzione dell’imposta estera ai sensi del comma 10 dell’articolo 165 del TUIR nel caso di redditi da lavoro dipendente prestato all’estero di cui all’articolo 51, comma 8-bis, del TUIR.

Il comma 10 dell’articolo 165 del TUIR stabilisce che, quando il reddito estero concorre parzialmente alla formazione del reddito complessivo, l’imposta estera detraibile deve essere ridotta in misura corrispondente.

La disposizione soprarichiamata si rende applicabile anche nel caso di redditi derivanti da attività di lavoro subordinato prestata all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro di cui all’articolo 51, comma 8-bis, del TUIR, determinati in base alle retribuzioni convenzionali definite annualmente con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

Infatti, l’articolo 36, comma 30, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, ha introdotto una norma di interpretazione autentica secondo la quale in caso di reddito calcolato convenzionalmente in misura ridotta – in base a quanto previsto dall’articolo 51, comma 8-bis, del TUIR – il prestatore di lavoro residente fruisce, per le imposte pagate all’estero, di un credito d’imposta non pieno ma proporzionale al reddito estero che concorre alla formazione del proprio reddito complessivo.

A tal fine, per la determinazione del credito d’imposta ex articolo 165 del TUIR, si ritiene che le imposte pagate all’estero a titolo definitivo dovrebbero essere ridotte in proporzione al rapporto tra la retribuzione convenzionale determinata ex articolo 51, comma 8-bis, del TUIR ed il reddito di lavoro dipendente che sarebbe stato tassabile in via ordinaria – e non in misura convenzionale – in Italia. E’ solo il caso di osservare che se, al contrario, la retribuzione convenzionale fosse rapportata al reddito determinato secondo le regole di tassazione dello Stato della fonte, la riduzione dell’imposta estera detraibile rifletterebbe il livello di generosità che il sistema fiscale domestico riserva ad una categoria di reddito rispetto al trattamento previsto, per il medesimo reddito, dal sistema impositivo estero di volta in volta preso a riferimento.

Oltre a non essere coerente con la finalità della norma, tale impostazione rischia evidenti effetti distorsivi e discriminatori: basti pensare che a parità di corrispettivo per il lavoro prestato all’estero e a parità di trattamento fiscale ricevuto in Italia da quel corrispettivo, il prelievo subìto nello Stato della fonte potrebbe essere ridotto o meno, in applicazione del comma 10 dell’articolo 165 del TUIR, sulla base della modalità di tassazione adottata dallo specifico Stato estero in cui la prestazione lavorativa si è effettivamente svolta. Inoltre, l’imposta estera potrebbe essere ridotta anche nell’ipotesi in cui il corrispettivo percepito concorra al reddito complessivo in Italia “in via ordinaria”, o non ridursi sebbene concorra in misura parziale, ma comunque maggiore rispetto alla modalità con cui ha concorso a tassazione nello Stato estero.

L’interpretazione proposta trova conferma, oltre che nella ratio della norma, nel dato letterale dell’articolo 165, comma 10, del TUIR, che trova applicazione, si ricorda ancora una volta, “nel caso in cui il reddito prodotto all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo”.

La disposizione, dunque, prevede espressamente un confronto tra “reddito prodotto all’estero” e “reddito complessivo” e tale operazione di confronto non può che svolgersi tra valori omogenei. Pertanto, il termine “reddito” deve essere inteso in senso tecnico, ossia come risultato dell’operazione che dal compenso percepito giunge, sulla base delle regole di determinazione previste dall’ordinamento italiano, a definire la base imponibile. Di conseguenza, per individuare l’ammontare del “reddito prodotto all’estero” dovranno applicarsi, trattandosi nel caso in esame di lavoro dipendente, le disposizioni contenute nell’articolo 51 del TUIR, ad esclusione del comma 8-bis. Questa impostazione consente di utilizzare un valore coerente con il “reddito complessivo” che ai sensi dell’articolo 8 del TUIR “si determina sommando i redditi di ogni categoria che concorrono a formarlo”. Utilizzando, invece, il “reddito tassato all’estero”, si verificherebbe una contraddizione, dal momento che quest’ultimo, essendo afferente ad un ordinamento tributario non italiano, non concorre alla formazione del reddito complessivo.

La relazione illustrativa all’articolo 36, comma 30, del citato decreto legge n. 223 del 2006, offre un conforto in tal senso ove si afferma che “con l’interpretazione autentica proposta, si chiarisce che in caso di reddito calcolato convenzionalmente in misura ridotta – secondo le disposizioni dell’articolo 51, comma 8-bis, del TUIR – il prestatore di lavoro all’estero fruisce, per le imposte pagate all’estero, di un credito d’imposta non pieno, ma proporzionale al reddito determinato ai sensi del predetto articolo 51, comma 8-bis. Conseguentemente, il “credito d’imposta pieno” di cui avrebbe fruito il reddito in caso di tassazione analitica deve essere ridotto nella misura in cui effettivamente il reddito è assoggettato ad imposizione in capo al dipendente residente.

D’altra parte, la necessità di analizzare le fattispecie dei redditi che si sono prodotti all’estero attraverso l’utilizzo di istituti e criteri propri dell’ordinamento tributario nazionale è confermata dalla disposizione contenuta nell’articolo 165, comma 2, del TUIR, secondo cui “i redditi si considerano prodotti all’estero sulla base di criteri reciproci a quelli previsti dall’articolo 23 per individuare quelli prodotti nel territorio dello Stato”. Ai fini del credito di imposta, dunque, non rileva che un dato reddito sia considerato prodotto nello Stato estero dalla legislazione locale, ma è necessario valutare se, alla luce dei criteri interni fissati dall’articolo 23 del TUIR, quel reddito si può considerare prodotto in Italia. Ciò significa, in altri termini, che il concetto di reddito estero prende sempre le mosse dall’ordinamento italiano e gli strumenti utilizzati per la sua determinazione non possono non essere quelli propri del sistema fiscale nazionale.

Un’ulteriore argomentazione a sostegno della interpretazione proposta è rappresentata dal limite generale di detraibilità dell’imposta estera, previsto dal comma 1 dell’articolo 165 del TUIR secondo cui “se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo”. Anche ai fini di tale disposizione, non vi è dubbio che i “redditi prodotti all’estero” rilevanti non siano quelli effettivamente tassati nel Paese estero, ma, nel caso di lavoro dipendente, quelli ritratti dallo svolgimento di un’attività lavorativa all’estero che hanno concorso alla formazione del reddito complessivo. Di conseguenza, il reddito prodotto all’estero, costituendo un di cui del reddito complessivo, deve essere inteso come reddito determinato secondo le norme dell’ordinamento tributario italiano.

La locuzione “reddito prodotto all’estero” contenuta nel comma 10 dell’articolo 165 del TUIR non può che essere interpretata in conformità all’intero articolato normativo disciplinante, sotto profili diversi, l’istituto del foreign tax credit e, dunque, come riferita al reddito che, sebbene prodotto all’estero, è determinato secondo le regole proprie del TUIR.

In conclusione, per le motivazioni sopra esposte, ai fini del calcolo dell’imposta estera detraibile, si ritiene più aderente al dettato normativo dell’articolo 165, comma 10, del TUIR, rapportare il reddito estero, determinato in misura convenzionale, al reddito che risulterebbe tassabile, in via ordinaria, se la medesima attività lavorativa fosse prestata in Italia”.