11 Luglio, 2013

Come è noto, l’art. 12 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, hadisposto che «i debitori possono estinguere il debito» [1], originariamente contenuto nei «carichi inclusi in ruoli emessi» fino ad una certa data (più volte prorogata), con il pagamento di una somma pari al 25 per cento dell’importo iscritto a ruolo.

La stessa norma aveva previsto le modalità di versamento del quantum dovuto. In particolare, si dispose che si potesse versare l’importo dovuto (il 25 per cento) in due rate, la prima in misura dell’80 per cento e la seconda per il residuo 20 per cento.

È accaduto che alcuni contribuenti, versata la prima rata (80 per cento), non abbiano versato (o abbiano versato in ritardo) la seconda rata (20 per cento).

In conseguenza di ciò, la sanatoria non è stata più riconosciuta e i concessionari della riscossione, previa “decurtazione” della rata già pagata (quale acconto sull’intero importo originariamente dovuto), hanno provveduto a recuperare i residui importi della cartella (originaria) non pagati.

Nella risoluzione 19 ottobre 2005, n. 150/E [2], al fine di dare soluzione ad un problema sorto a seguito delle varie proroghe di termini e ampliamenti dei ruoli definibili, l’Amministrazione finanziaria, invece di ritenere subito inammissibile la definizione e al fine di “salvare” la manifestazione di volontà del contribuente, ha esortato il concessionario ad «invitare il contribuente … attraverso il pagamento del relativo 25 per cento».

A titolo istintivo e secondo un ragionamento solo logico, la questione sopra prospettata si sarebbe potuta risolvere nello stesso modo. La definizione sarebbe dovuta essere rigettata, facendo risorgere l’originario debito contenuto in cartella, solo a seguito dell’inadempimento (della residua rata del 20 per cento) ad un invito specifico al pagamento.

 

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La questione, però, si è complicata, in considerazione del motivo principale esposto nei ricorsi presentati. Nella maggior parte dei casi, i contribuenti  hanno ritenuto che si potesse applicare, analogicamente, la disciplina contenuta negli artt. 7, comma 5, 8, comma 3, 9, comma 12, 15, comma 5, e 16, comma 2, della stessa legge n. 289/2002: l’eventuale omissione o ritardo delle rate successive alla prima non determina l’inefficacia della definizione, e le rate non versate sono recuperate con iscrizione a ruolo a titolo definitivo (art. 14 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602) con applicazione delle sanzioni pari al 30 per cento [3].

Questa tesi non è stata accolta dalla Corte di Cassazione, la quale, nell’ipotesi di condono ex art. 12 della legge n. 289/2002, è concorde nel dichiarare inefficace la definizione, qualora le rate del versamento dovuto non siano pagate alle scadenze previste [4].

Per la soluzione del problema, allora, occorre richiamarsi ai principi generali e, in particolare, a quelli del codice civile.

Nella considerazione della generale applicabilità all’obbligazione tributaria delle regole previste per le obbligazioni civili, occorre, innanzitutto ricordare l’art. 1175 c.c. («Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza»).

Con questa norma, che si fonda sul più generale principio etico-giuridico di buona fede nell’esercizio dei propri diritti e nell’adempimento dei propri doveri [5], il contenuto del rapporto obbligatorio si arricchisce dei cosiddetti obblighi collaterali: di protezione, cooperazione ed informazione.

Secondo la dottrina tradizionale [6], l’obbligazione può rimanere inadempiuta o perché viene a mancare la possibilità obiettiva di eseguire la prestazione oppure perché il debitore personalmente non è in grado o non vuole adempiere.

Nel caso in esame, trattandosi di una prestazione fungibile, l’adempimento è ancora possibile nella maggior parte dei casi e non sussiste l’ipotesi che il contribuente non voglia adempiere il pagamento della rata scaduta [7].

Chiarito ciò, si evidenzia che il codice civile disciplina la mora del creditore prima del capo relativo all’inadempimento delle obbligazioni, perché essa importa un ostacolo all’adempimento. Ai sensi dell’art. 1206 c.c. il creditore è in mora quando, senza legittimo motivo, non compie quanto sia necessario perché il debitore possa adempiere l’obbligazione [8].

Una importante e autorevolissima conferma dell’onere posto a carico del creditore di cooperare con il debitore per rendergli più agevole l’adempimento, si ricava da una sentenza del Consiglio di Stato [9]. I giudici amministrativi hanno avuto modo di affermare che «il divieto di abuso concerne, oltre che la fase fisiologica del rapporto, anche quella patologica: il creditore, cioè, deve cooperare col debitore non solo per agevolare l’adempimento, ma anche per non aggravare la sua posizione una volta che si è verificata la violazione dell’impegno obbligatorio. E tanto si ricava proprio dal secondo comma dell’art. 1227, il quale impone a colui che abbia subito l’inadempimento (o il fatto illecito) di porre in essere in base a buona fede anche comportamenti attivi, entro i limiti del sacrificio non apprezzabile, per evitare l’aggravamento del danno» [10].

In ragione di ciò, auspicando una soluzione “di buon senso”, il giudice tributario, applicando d’ufficio la disciplina civilistica [11] e preso atto (sempre d’ufficio) dell’assenza dell’invito (del concessionario della riscossione) ad adempiere il pagamento del 20 per cento residuo, dovrebbe accogliere i ricorsi e annullare le cartelle di pagamento.

L’erario non resterebbe senza tutela, perché il concessionario potrà invitare il contribuente al pagamento della seconda rata, con l’avvertenza che in caso di inadempimento rivivrà il debito originario.

In questo particolare momento storico, che vede “Equitalia” nell’“occhio del ciclone”, l’ente preposto alla riscossione potrebbe in autotutela annullare le cartelle de quibus ed invitare [12] i contribuenti al pagamento della seconda rata.

In caso contrario, l’Agenzia delle entrate [13] potrebbe supplire con una risoluzione analoga a quella emanata in tema di fermo amministrativo, con la quale, rivolgendosi alle società concessionarie della riscossione, «ritenne opportuno che l’iscrizione del fermo sul veicolo a motore … sia preceduta da un preavviso, contenente un ulteriore invito a pagare le somme dovute, … entro i successivi venti giorni, decorsi i quali, il preavviso stesso assumerà il valore di comunicazione di iscrizione di fermo».

 

Avv. Carlo Papa

Università Cattolica del Sacro Cuore di Cremona

 

 

 



[1] Questa facultas consente la nascita di una obbligazione facoltativa, ancorchè avente ad oggetto la stessa prestazione in denaro, tenuto conto che il debitore può estinguere l’obbligazione originaria e principale mediante un pagamento inferiore, purché effettuato entro un determinato termine.

[2] In Boll. Trib., 2005, 1723.

[3] Esempio: cartella originaria euro 20.000, pagamento cum facultas ex art. 12 della legge n. 289/2002 euro 5.000 (pari al 25 per cento), pagamento effettuato prima rata euro 4.000 (80 per cento), inadempimento seconda rata euro 1.000 (20 per cento).

[4] Così Cass., sez. trib., 6 ottobre 2010, n.20746, in Boll. Trib. On-line: «Ritiene il Collegio che il condono previsto dall’art. 12 della L. n. 289 del2002 ha struttura e funzione diversa rispetto alle altre forme di sanatoria previste dagli artt. 7, 8, 9, 15 e 16 della L. n. 289 del 2002 … Trattasi, invero, di una particolare forma di sanatoria (cd. condono clemenziale) di natura diversa rispetto a quelle previste dagli artt. 7, 8, 9, 15 e 16 della L. n. 289/2002 (cd. condono premiale), le quali ultime attribuiscono al contribuente il diritto potestativo di chiedere un accertamento straordinario, da effettuarsi secondo regole peculiari e diverse da quelle ordinarie, del proprio rapporto tributario. Diversamente da tali ipotesi, all’istanza di sanatoria non consegue invero una necessaria attività di liquidazione ex art. 36-bis del d.p.r. 600/73 non comportando in realtà il condono ex art. 12 incertezza alcuna … in ordine al quantum normativamente indicato da versarsi da parte del contribuente per definire favorevolmente la vicenda fiscale. A tale stregua, il condono in argomento è pertanto condizionato all’integrale pagamento di quanto dovuto, conseguendone in difetto, quand’anche come nella specie si tratti di mero ritardo nel versamento dell’ammontare residuo dovuto, la definitiva inefficacia della sanatoria» (conforme Cass., sez. trib., 1° dicembre 2010, n. 24316, ivi).

[5] L’art. 2 del codice civile svizzero dispone che «Ciascuno nell’esercizio dei propri diritti e nell’adempimento dei propri obblighi deve comportarsi secondo buona fede. L’abuso evidente di un diritto non trova tutela giuridica».

[6] a. trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Padova, 2012.

[7] Richiamando l’esempio della precedente nota n. 3, è illogico ed inverosimile ritenere che il contribuente non voglia pagare 1.000 euro, consapevole che questo inadempimento importerà la reviviscenza dell’originario debito di 20.000 euro.

[8] Secondo la dottrina prevalente, la posizione del creditore, riguardo alla necessità di una sua cooperazione, va inquadrata nello schema dell’onere.

[9] Così Cons. Stato, ad. plen., 23 marzo 2011, n.3, in Boll. Trib., 2012, 284.

[10] Secondola Corte di Cassazione la prova della violazione del dovere di intervento ex art. 1227, secondo comma, c.c., grava sul danneggiante. Secondo la dottrina (Bianca) questa violazione può essere rilevata anche d’ufficio.

 

[11] Cfr. Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n.30055, in Boll. Trib., 2009, 484, che ci ha ricordato che l’abuso del diritto, fondato sui principi costituzionali, possa essere rilevato d’ufficio dal giudice di legittimità, ancorchè non eccepito nelle fasi processuali di merito.

[12] «Levius laedit, quicquid praevidimus ante» (ferisce meno tutto ciò che è stato previsto) dicevano i latini. «Uomo avvisato mezzo salvato», si dice oggi.

[13] Cfr. ris. 9 gennaio 2006, n. 2/E, in Boll. Trib., 2006, 51.

 

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