24 Marzo, 2016

 

 

1. Premessa

La questione di maggiore interesse che si affronta nella pronuncia in rassegna, ad avviso di chi scrive, riguarda la procedibilità del ricorso per cassazione, che nel caso di specie i Supremi Giudici hanno ritenuto sussistere sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 369 c.p.c.

Sembrerebbe trattarsi, a prima vista, di una questione dal rilievo esclusivamente processuale e, peraltro, con specifica attinenza al solo giudizio di legittimità.

In realtà, le considerazioni svolte dal Supremo Collegio a supporto dell’annotata sentenza, in «ossequio al principio del giusto processo», perseguono prioritariamente e opportunamente lo scopo di «evitare oneri tali da rendere particolarmente difficoltosa la tutela giurisdizionale», motivo per il quale esse hanno, e non possono non avere, una valenza generale, che si estende ad ogni fase del processo, comprese quindi la fase cautelare e quella di merito.

Nella presente nota intendiamo verificare, in particolare, la valenza e l’incidenza che possono avere le suddette considerazioni giuridiche nell’ambito del contenzioso tributario.

2. La vicenda processuale

La vicenda processuale sulla quale si è pronunciata la Suprema Corte, con la sentenza che si annota, trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento mediante il quale era stato rettificato il reddito d’impresa dichiarato da una società per azioni per l’anno d’imposta 1997, ai fini dell’IRPEG e dell’ILOR.

Tra i diversi rilievi contenuti nell’atto impositivo si contestava: a) la violazione dell’art. 76, quinto comma, del TUIR, in materia di «prezzi di trasferimento infragruppo»; b) «l’indebita deduzione di quote di ammortamento connesse all’impianto di trasporto interno e convogliamento, per erronea applicazione dei coefficienti di ammortamento».

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La Commissione tributaria provinciale giudicava infondate le riprese a tassazione scaturite dai suddetti rilievi, con decisione successivamente confermata dalla sentenza di appello.

In particolare, relativamente al primo rilievo, i giudici di secondo grado hanno ritenuto che «il metodo del costo maggiorato, applicato dall’ufficio per la determinazione del valore normale dei beni, ai sensi degli artt. 76, comma 5, e 9, comma 3, del TUIR, era illegittimo, in quanto residuale rispetto al criterio principale del confronto del prezzo, senza che l’Ufficio stesso avesse provato in giudizio l’impossibilità di utilizzare quest’ultimo».

Con riferimento al secondo rilievo, la Commissione tributaria regionale ha affermato che «appariva insufficiente, al fine di valutare l’unitarietà e la specificità di un impianto e, quindi, l’applicazione del più giusto coefficiente di ammortamento, l’esclusivo esame della classificazione delle singole macchine operatrici nei registri contabili, ma che era necessaria una idonea valutazione tecnica che considerasse l’impianto nel suo insieme, nonché il grado di specificità».

Tale valutazione, sottolineavano inoltre i giudici di appello, era stata effettuata con una perizia prodotta in giudizio dalla contribuente, «che aveva concluso nel senso della correttezza del coefficiente di ammortamento dalla stessa applicato in relazione all’impianto di trasporto e convogliamento».

Avverso la sentenza di seconde cure l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione.

Prima di pronunciarsi sull’ammissibilità e sulla fondatezza delle singole censure formulate dall’Amministrazione finanziaria, la Suprema Corte ha esaminato, d’ufficio, la questione della procedibilità del ricorso per cassazione, concludendo, come abbiamo anticipato in premessa, per la sussistenza della stessa in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 369 c.p.c.

Passando al merito della causa, la Suprema Corte ha preliminarmente chiarito di non potere prendere in considerazione il precedente della stessa Commissione tributaria regionale del Lazio, relativo ad altra annualità e favorevole alla società, allegato al controricorso e invocato «quale giudicato esterno sulla questione relativa alle quote di ammortamento», per l’assorbente motivo che l’esemplare della sentenza prodotto dalla controricorrente era «privo della certificazione di passaggio in giudicato prevista dall’art. 124 disp. att. c.p.c.».

Il primo motivo di ricorso, con cui l’Agenzia delle entrate ha eccepito la nullità della sentenza di appello per violazione dell’art. 113, primo comma, c.p.c., assumendo che la Commissione tributaria regionale avesse annullato l’avviso di accertamento, relativamente alla presunta violazione delle norme in materia di prezzi di trasferimento infragruppo, per asserito contrasto con le circolari dell’Amministrazione finanziaria, è stato giudicato infondato in quanto, ha osservato la Corte di Cassazione, dall’esame della sentenza impugnata risulta che la stessa «si fonda sull’esame e sull’interpretazione delle norme di legge rilevanti (artt. 76, comma 5, e 9, comma 3, del TUIR) assumendo il richiamo alle circolari ministeriali un valore meramente rafforzativo».

Il secondo motivo di ricorso con cui, sempre relativamente alla prima questione, si è contestata la violazione dell’art. 39 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e di alcune norme in materia di processo tributario, è stato invece giudicato fondato dalla Suprema Corte.

L’Ufficio finanziario, in particolare, ha formulato un quesito di diritto con cui ha chiesto se in presenza di un accertamento di maggiori ricavi risultante da una contestata valutazione del valore normale di cui agli artt. 76, quinto comma, e 9, terzo comma, del TUIR, l’eventuale inidoneità dei criteri adottati dall’Ufficio finanziario per la determinazione di quel valore legittimasse l’annullamento integrale dell’atto impositivo piuttosto che la rideterminazione, da parte del giudice tributario, dei ricavi non dichiarati.

La Suprema Corte, uniformandosi al consolidato principio secondo cui il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’Ufficio, ha stabilito che nel caso in esame la Commissione tributaria regionale, dopo avere ritenuto che il metodo corretto per la determinazione del valore normale dei beni ceduti dalla contribuente non era quello del “costo maggiorato” adottato dall’Ufficio, bensì quello diverso del “confronto del prezzo”, non poteva limitarsi, come ha fatto, ad annullare integralmente l’atto impugnato, ma avrebbe dovuto procedere ad una nuova determinazione del suddetto valore, secondo il criterio ritenuto legittimo.

Infine, il terzo motivo di gravame, con cui è stata denunciata l’insufficiente motivazione della sentenza di appello in ordine alla seconda questione (indebita deduzione di quote di ammortamento connesse all’impianto di trasporto interno e convogliamento), è stato giudicato inammissibile perché privo dei requisiti prescritti dall’art. 366-bis c.p.c., nella formulazione applicabile ratione temporis.

3. La procedibilità del ricorso per cassazione

Relativamente al merito della controversia riteniamo che la sentenza in esame non contenga statuizioni di particolare rilievo o, comunque, degne di segnalazione.

Rileviamo, in tal senso, che a fronte di tre censure formulate dalla ricorrente, soltanto pronunciandosi sul secondo motivo di ricorso la Suprema Corte ha affrontato una questione di diritto tributario sostanziale, risolvendola, peraltro, attraverso il mero richiamo e l’applicazione di un principio consolidatissimo e ormai ben noto agli studiosi della materia (1).

Più interessanti, come abbiamo anticipato, sono le considerazioni giuridiche sviluppate dal Supremo Consesso a conforto della decisione, assunta d’ufficio, sulla procedibilità del ricorso per cassazione.

Richiamando i principi enunciati nella sentenza n. 9005/2009 delle Sezioni Unite (2), la Corte di Cassazione ha preliminarmente evidenziato che la previsione di cui all’art. 369, secondo comma, c.p.c., dell’onere di deposito a pena di improcedibilità del ricorso, entro il termine di venti giorni dall’ultima notifica alle parti contro le quali è proposto, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della stessa Corte, della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione che, come è noto, ove la sentenza impugnata sia stata notificata, deve essere esercitato entro il c.d. termine breve, ovvero entro sessanta giorni dalla notifica.

Di conseguenza, ove il ricorrente per cassazione, esplicitamente o implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, se produce una copia della stessa senza la relata di notificazione il ricorso deve essere dichiarato improcedibile.

Nell’ambito della verifica sulla procedibilità del ricorso, precisa poi la Suprema Corte, non assume alcun rilievo l’eventuale «non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell’impugnazione».

In altri termini, il ricorrente per cassazione evita la sanzione di improcedibilità soltanto se assolve in proprio all’onere di produrre copia della sentenza impugnata e della relata di notifica, sempre che si tratti, vale ripeterlo, del ricorso avverso una sentenza che una delle parti abbia provveduto a notificare.

Potrebbe peraltro accadere che il ricorrente per cassazione nulla alleghi, né esplicitamente, né implicitamente, in ordine alla notifica della sentenza impugnata, ipotesi nella quale la Suprema Corte verificherà la tempestività del ricorso avendo riguardo all’osservanza del c.d. termine lungo di impugnazione.

Se, tuttavia, nella suddetta ipotesi, per eccezione del controricorrente o per le emergenze del diretto esame documentale da parte della Corte di Cassazione, risultasse che la sentenza impugnata è stata notificata, il Collegio deve accertare se il ricorrente abbia ottemperato all’onere del deposito della copia della sentenza impugnata e della relata di notifica e, in mancanza, deve dichiarare l’improcedibilità del ricorso, anche nell’ipotesi in cui l’impugnazione risulti tempestiva, ovvero eseguita nel rispetto del c.d. termine breve, poiché, ha chiosato la Corte, «il riscontro della improcedibilità precede quello dell’eventuale inammissibilità».

Fatta questa ricognizione dei principi fondamentali in materia di procedibilità del ricorso per cassazione, la Suprema Corte è passata all’esame del caso concreto, rilevando che l’Agenzia delle entrate non aveva allegato che la sentenza impugnata le era stata notificata e, tuttavia, dall’esame degli atti è emerso che in calce alla copia della suddetta sentenza depositata dalla ricorrente vi era un timbro dell’ufficiale giudiziario attestante l’avvio del procedimento di notifica – su istanza della contribuente – mediante spedizione a mezzo del servizio postale in data «28 maggio 2008».

Alla stessa copia, inoltre, era allegata una busta verde indirizzata all’Agenzia delle entrate, con timbro di partenza.

La Suprema Corte, infine, ha osservato che nella prima pagina del ricorso per cassazione vi era l’annotazione «si notifichi entro il 5/9/08» e che la controricorrente, nel suo atto difensivo, aveva affermato che la sentenza impugnata era stata «notificata a mezzo posta in data 27 maggio 2008».

Dagli elementi conoscitivi innanzi indicati, e nonostante il silenzio della ricorrente sull’avvenuta notificazione della sentenza impugnata, la Corte di Cassazione ha ritenuto potersi considerare «comprovata l’avvenuta notificazione a mezzo posta della sentenza, anche se non risulta la data di ricezione del plico raccomandato».

Inoltre, risultava che la notifica del ricorso si era perfezionata, dal lato della ricorrente Agenzia, il 26 agosto 2008, mediante consegna dello stesso all’ufficiale giudiziario, quindi oltre il termine di sessanta giorni dalla data di avvio del procedimento notificatorio (28 maggio 2008).

Tale rilievo, naturalmente, non implicava ex se l’inammissibilità del ricorso per cassazione, visto che il termine breve (sessanta giorni) entro il quale detto ricorso deve essere proposto inizia a decorrere non dalla data in cui è stata chiesta la notifica della sentenza (data di avvio del procedimento notificatorio con consegna dell’atto all’agente notificatore), bensì dalla data in cui la notifica della sentenza si è perfezionata per il destinatario, ovvero, nel nostro caso, dalla data in cui l’Agenzia delle entrate ha ricevuto (o è stata messa nelle condizioni di ricevere) la sentenza di appello.

Tuttavia, per quanto più sopra rilevato, la circostanza che la notifica del ricorso per cassazione si fosse perfezionata oltre i sessanta giorni dalla data in cui era stato avviato il procedimento di notificazione della sentenza impugnata, non consentiva di applicare al caso de quo il principio in virtù del quale ove dall’esame degli atti risulti che tra le suddette date non è trascorso un tempo superiore a sessanta giorni è comunque assicurato, di fatto, lo scopo cui tendono le prescrizioni del codice di procedura civile, ovvero consentire al giudice dell’impugnazione di verificarne la tempestività in relazione al termine breve, in virtù, afferma la Suprema Corte, di una sorta di “prova di resistenza”.

In sostanza, per riepilogare, dall’esame dei documenti e degli atti processuali non emergeva con certezza che il ricorso fosse stato notificato entro sessanta giorni dalla data di notifica della sentenza impugnata, perché non era stata allegata dalla ricorrente la relata di notifica di quella sentenza, né poteva applicarsi la “prova di resistenza” innanzi evocata essendo trascorsi più di sessanta giorni tra la data di consegna della sentenza all’ufficiale giudiziario, perché provvedesse alla sua notifica, e la data di notifica del ricorso per cassazione.

Ergo, nel caso che ci occupa la verifica della tempestività del ricorso per cassazione non poteva prescindere dall’esame della relata di notifica della sentenza impugnata e l’omessa produzione di tale relata, da parte della ricorrente Agenzia delle entrate, non avrebbe potuto che determinare la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per cassazione, conformemente al consolidato (e rigoroso) orientamento della richiamata giurisprudenza di legittimità.

Tuttavia, leggiamo nella pronuncia in esame, la portata di tale giurisprudenza, pure «condivisibile in linea generale», deve essere «precisata, limitatamente ai casi di notificazione della sentenza a mezzo del servizio postale», in virtù di considerazioni «ispirate ad una interpretazione costituzionalmente orientata» dell’art. 369, secondo comma, c.p.c., «che eviti, in ossequio anche al principio del giusto processo, oneri tali da rendere particolarmente difficoltosa la tutela giurisdizionale».

Nei casi di notifica a mezzo del servizio postale, ha osservato la Suprema Corte, la «relazione di notificazione» è quella scritta dall’ufficiale giudiziario «sull’originale e sulla copia dell’atto, facendovi menzione dell’ufficio postale per mezzo del quale spedisce la copia al destinatario in piego raccomandato con avviso di ricevimento» il quale ultimo «è allegato all’originale» (art. 149, secondo comma, c.p.c.; art. 3, primo comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890).

Peraltro, a norma degli artt. 5 e segg. della citata legge n. 890/1982, l’avviso di ricevimento, una volta completato dall’agente postale con le prescritte indicazioni, viene restituito al notificante unitamente all’originale dell’atto.

Ne consegue, «quanto alla fattispecie in esame, che il destinatario della notificazione di una sentenza eseguita a mezzo posta non ha la materiale disponibilità dell’avviso di ricevimento, solo dal quale risulta la data del perfezionamento del procedimento notificatorio», costituente dies a quo per la notificazione del ricorso per cassazione nel termine breve.

Alla luce di tali considerazioni, ha precisato la Suprema Corte, perché risultino osservate le prescrizioni dell’art. 369, secondo comma, c.p.c., nel caso in cui il ricorrente alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata a mezzo posta, o comunque ciò risulti dall’esame degli atti di causa, è sufficiente che lo stesso ricorrente «depositi copia autentica della sentenza con la relazione di notificazione, cioè con l’attestazione dell’ufficiale giudiziario della spedizione dell’atto, spettando al controricorrente l’onere di contestare, attraverso il deposito dell’avviso di ricevimento in suo possesso, che la notifica del ricorso sia avvenuta nel termine breve decorrente dalla data del perfezionamento del procedimento notificatorio della sentenza, da lui attivato».

Poiché nel caso di specie la contribuente nulla aveva eccepito al riguardo, i Supremi Giudici hanno tratto la conclusione che «il ricorso sfugge alla sanzione della improcedibilità».

4. I risvolti applicativi nel contenzioso tributario

Le considerazioni giuridiche poste dal Supremo Consesso a fondamento della decisione appena illustrata, evidentemente, se valgono per il ricorso per cassazione, disciplinato nel nostro codice di procedura civile da rigorosissime regole e disposizioni procedimentali, certamente valgono anche per il giudizio di merito e, per quanto qui rileva, per il giudizio che si svolge dinanzi alle Commissioni tributarie.

Riteniamo, peraltro, che tale valenza non si estenda ai soli giudizi di impugnazione delle sentenze tributarie – primo fra questi al giudizio di appello – ma si estenda all’intero processo tributario, sin dal suo atto introduttivo (ricorso).

Infatti, il processo tributario, per pacifica e comune definizione, è «strutturato secondo le regole proprie del processo impugnatorio di provvedimenti autoritativi e, in particolare, di quelli enumerati all’art. 19 d.lg. 31 dicembre 1992 n. 546» (3), motivo per il quale, nel processo che ci occupa, il diritto di impugnazione va esercitato tempestivamente, a pena di inammissibilità dell’impugnazione medesima, non solo con riferimento alle sentenze, bensì già con riferimento all’atto impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio.

Ricordiamo, inoltre, che in materia di termini per la proposizione del ricorso alle Commissione tributarie la giurisprudenza di legittimità ha fissato principi di carattere generale che nel tempo si sono graniticamente consolidati e che è sempre opportuno tenere presenti.

È stato stabilito, per quanto di rilievo nella presente nota, che il rispetto del termine di impugnazione previsto dall’art. 21 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (sessanta giorni dalla notifica dell’atto impugnato) «costituisce condizione dell’azione d’impugnazione e pertanto, secondo i principi generali in materia di esercizio di azioni sottoposte a termini di decadenza, grava sul ricorrente l’onere di provare la tempestività del proprio ricorso. Quando la decadenza sia rilevabile di ufficio, come nel caso dell’impugnativa degli atti tributari, l’onere probatorio gravante sul ricorrente risulta soddisfatto dalla produzione delle documentazione dimostrativa della data di notifica dell’atto impugnato» (4).

Ed ancora, la Suprema Corte ha da tempo precisato che «in materia di contenzioso tributario, il termine previsto dall’art. 21, comma 1, d.lg. 31 dicembre 1992 n. 546 per la proposizione del ricorso giudiziale avverso il provvedimento impositivo è, per sua natura, di carattere perentorio, sicché, venuto esso a scadenza, risulta irrilevante il successivo contegno del convenuto, stante l’imperatività ed indisponibilità delle norme in materia di decadenza» (5).

In sintesi, incombe sul ricorrente l’onere di fornire alle Commissioni tributarie la prova della tempestiva proposizione del ricorso introduttivo del giudizio, il giudice tributario verifica quella tempestività anche d’ufficio, e rispetto a tale verifica nessun rilievo assume l’eventuale silenzio della parte resistente.

Principi, come abbiamo visto, in larga parte applicabili al ricorso per cassazione, con le specificità che conosciamo e che la Suprema Corte ci ha ricordato nella pronuncia in rassegna.

Ora, com’è noto a molti degli addetti ai lavori, la gran parte degli atti impugnabili dinanzi alle Commissioni tributarie viene notificata mediante il servizio postale e, circostanza anche questa nota ai più, succede con inspiegabile e ingiustificata frequenza che il ricorso introduttivo del giudizio venga proposto in prossimità della scadenza del termine di impugnazione, spesso l’ultimo giorno.

Potrebbe perciò accadere, come in effetti spesso è accaduto, che il giudice tributario, chiamato a verificare, preliminarmente e d’ufficio, la tempestività di un ricorso proposto avverso un atto notificato per posta, disponga soltanto del ricorso, della ricevuta di presentazione o spedizione dello stesso e della sola copia di quell’atto notificato al ricorrente, alla quale, nella migliore delle ipotesi, è allegata la busta utilizzata dall’agente postale per la spedizione.

Il ricorrente, infatti, come ha evidenziato la Corte di Cassazione nella sentenza annotata, non ha la materiale disponibilità dell’avviso di ricevimento della raccomandata con cui è stato notificato l’atto impugnato, visto che l’agente postale deve restituirla all’Ufficio finanziario che quella notifica ha richiesto.

Lo stesso Ufficio, peraltro, quasi mai si premura di depositare in giudizio copia dell’atto notificato al ricorrente con la relata di notifica stesa in calce, né di depositare l’avviso di ricevimento della raccomandata utilizzata per la notifica.

E quest’ultimo, come ci ha ricordato l’annotata pronuncia, è il solo atto deputato per legge a certificare la data di perfezionamento della notifica per posta dal lato del notificatario.

Ebbene, se dal confronto della copia dell’atto depositata dal ricorrente con la ricevuta di presentazione o spedizione del ricorso, il giudice tributario riscontri il superamento del termine di impugnazione, ben potrebbe dichiarare l’inammissibilità del ricorso, anche in assenza di specifica eccezione al riguardo da parte del resistente.

L’esperienza, invero, insegna che alcuni presidenti di sezione delle Commissioni tributarie hanno dichiarato quella inammissibilità già in sede di esame preliminare del ricorso, con decreto emesso ai sensi dell’art. 27 del D.Lgs. n. 546/1992.

Oggi, possiamo ritenere che tale eventualità non possa (e non debba) più verificarsi, naturalmente per i ricorsi proposti avverso gli atti notificati mediante il servizio postale, alla luce delle considerazioni giuridiche svolte dal Supremo Collegio nella sentenza in esame che, vale sottolinearlo ancora, se pure riferite alla procedibilità del ricorso per cassazione, hanno di certo una valenza che si estende, anche, al processo tributario di merito.

Ergo, il giudice tributario che in base agli elementi conoscitivi prodotti in giudizio dalle parti dubiti della tempestiva impugnazione di un atto notificato per posta, ove la parte resistente nulla abbia eccepito al riguardo, non potrà dichiarare d’ufficio l’inammissibilità del gravame, e se proprio ritiene di dover ulteriormente indagare sul punto, dovrà ordinare all’Ufficio impositore di depositare copia dell’atto impugnato, corredato della relata di notifica e dell’avviso di ricevimento della raccomandata di spedizione.

Non ci resta che attendere e verificare se i giudici tributari di merito avranno la voglia e la capacità di recepire l’insegnamento della Suprema Corte.

Domenico Carnimeo

(1) La Suprema Corte, nell’annotata sentenza, ha richiamato Cass., sez. VI, 21 novembre 2013, ord. n. 26157, ma nello stesso senso possiamo citare anche Cass., sez. VI, 24 luglio 2012, ord. n. 13034, nonché Cass., sez. trib., 12 luglio 2006, n. 15825, tutte in Boll. Trib. On-line.

(2) Cfr. Cass., sez. un., 16 aprile 2009, ord. n. 9005, in Corr. giur., 2009, 1355.

(3) Cfr. Cass., sez. trib., 21 aprile 2011, n. 9183, in Boll. Trib. On-line.

(4) Cfr. Cass., sez. VI, 20 febbraio 2013, ord. n. 4247, in Boll. Trib., 2013, 699.

(5) Cfr. Cass., sez. trib., 30 luglio 2002, n. 11222, in Boll. Trib. On-line.

 

 

Procedimento – Ricorso per cassazione – Deposito della copia della sentenza impugnata con la relata di notificazione – Costituisce onere indispensabile al riscontro della tempestività dell’impugnazione – Mancato deposito della copia della sentenza con la relata di notifica – Improcedibilità del ricorso per cassazione notificato nel termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c. – Consegue – Mancata contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente o presenza nel fascicolo d’ufficio della copia della sentenza con la relata di notifica – Irrilevanza.

Procedimento – Ricorso per cassazione – Impugnazione della sentenza nel termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c. – Contestazione da parte del controricorrente della mancata osservanza del termine breve o emersione dal diretto esame delle produzioni delle parti o del fascicolo d’ufficio dell’avvenuta notifica della sentenza impugnata – Mancato deposito della copia della sentenza con la relata di notifica – Improcedibilità del ricorso – Consegue.

Procedimento – Ricorso per cassazione – Deposito della copia della sentenza impugnata con la relata di notificazione – Sufficienza – Onere del controricorrente di contestare, attraverso il deposito dell’avviso di ricevimento in suo possesso, la tempestività del ricorso avversario – Consegue – Mancanza di specifica contestazione – Improcedibilità del ricorso – Non si configura.

Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Natura ed oggetto del giudizio – È di merito e non solo di annullamento, quando riguarda vizi sostanziali – Potere-dovere del giudice di esaminare nel merito la pretesa tributaria operandone una motivata valutazione sostitutiva nei limiti delle domande di parte – Sussiste.

La previsione di cui all’art. 369, secondo comma, n. 2), c.p.c., dell’onere di deposito a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al primo comma della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione, a tutela dell’esigenza pubblicistica (e quindi non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale, della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l’osservanza del c.d. termine breve, di talché nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev’essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto dell’art. 372, secondo comma, c.p.c., applicabile estensivamente, purché entro il termine di cui all’art. 369, primo comma, c.p.c., e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell’eventuale non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell’impugnazione.

Nell’ipotesi in cui il ricorrente per cassazione non alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, la Corte di cassazione deve ritenere che lo stesso ricorrente abbia esercitato il diritto di impugnazione entro il c.d. termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., procedendo all’accertamento della sua osservanza; tuttavia, qualora o per eccezione del controricorrente o per le emergenze del diretto esame delle produzioni delle parti o del fascicolo d’ufficio emerga che la sentenza impugnata era stata notificata ai fini del decorso del termine di impugnazione, la Suprema Corte, indipendentemente dal riscontro della tempestività o meno del rispetto del termine breve, deve accertare se la parte ricorrente abbia ottemperato all’onere del deposito della copia della sentenza impugnata entro il termine di cui all’art. 369, primo comma, c.p.c., e, in mancanza, deve dichiarare improcedibile il ricorso, atteso che il riscontro della improcedibilità precede quello dell’eventuale inammissibilità.

Ai fini dell’osservanza dell’art. 369, secondo comma, n. 2), c.p.c., e, quindi, della procedibilità del ricorso, è sufficiente, nel caso in cui il ricorrente alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata a mezzo del servizio postale o comunque tale circostanza risulti dall’esame degli atti prodotti, che il ricorrente stesso depositi, insieme al ricorso, la copia autentica della sentenza con la relazione di notificazione, cioè con l’attestazione dell’ufficiale giudiziario della spedizione dell’atto, spettando al controricorrente l’onere di contestare, attraverso il deposito dell’avviso di ricevimento in suo possesso, che la notifica del ricorso sia avvenuta nel termine breve decorrente dalla data del perfezionamento del procedimento notificatorio della sentenza, da lui attivato, di talché in mancanza di specifica contestazione il ricorso non può essere dichiarato improcedibile.

Il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’Ufficio finanziario, con la conseguenza che il giudice tributario, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale e non meramente formale, è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Cappabianca, rel. Virgilio), 19 settembre 2014, sent. n. 19750, ric. Agenzia delle entrate c. Vdc Technologies s.p.a.]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – 1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sez. staccata di Latina, indicata in epigrafe, con la quale, rigettando sia l’appello principale dell’Ufficio, sia quello incidentale della Videocolor s.p.a. (ora VDC Technologies s.p.a.), è stata confermata la parziale illegittimità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della contribuente per IRPEG ed ILOR relative all’anno 1997.

In particolare, per quanto ancora rileva, era stata contestata alla società: a) l’omessa contabilizzazione di ricavi relativi alla vendita di cinescopi alla consociata statunitense Thomson Consumer Electronics (TCE), per violazione della normativa (art. 76, comma 5, del d.P.R. n. 917 del 1986) in materia di prezzi di trasferimento infragruppo e per violazione dell’onere della prova; b) l’indebita deduzione di quote di ammortamento connesse all’impianto di trasporto interno e convogliamento, per erronea applicazione dei coefficienti di ammortamento.

Il giudice di appello ha ritenuto, sulla prima questione, che il metodo del costo maggiorato, applicato dall’Ufficio per la determinazione del valore normale dei beni, ai sensi degli artt. 76, comma 5, e 9, comma 3, del TUIR, era illegittimo, in quanto residuale rispetto al criterio principale del confronto del prezzo, senza che l’Ufficio stesso avesse provato in giudizio l’impossibilità di utilizzare quest’ultimo; sulla seconda questione, ha affermato che appariva insufficiente, al fine di valutare l’unitarietà e la specificità di un impianto e, quindi, l’applicazione del più giusto coefficiente di ammortamento, l’esclusivo esame della classificazione delle singole macchine operatrici nei registri contabili, ma che era necessaria una idonea valutazione tecnica che considerasse l’impianto nel suo insieme, nonché il grado di specificità: e tale valutazione era stata effettuata da una perizia della Praxis s.p.a., prodotta dalla contribuente, che aveva concluso nel senso della correttezza del coefficiente di ammortamento dalla stessa applicato in relazione all’impianto di trasporto e convogliamento.

2. La VDC Technologies s.p.a. (già Videocolor s.p.a.) resiste con controricorso e successiva memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE – 1.1. Deve, innanzitutto, esaminarsi la questione della procedibilità del ricorso, alla stregua del disposto dell’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., secondo il quale, insieme col ricorso, deve essere depositata, a pena di improcedibilità, “copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta”.

Occorre muovere dai principi enunciati dalla sentenza delle sezioni unite n. 9005 del 2009, secondo i quali: a) la previsione – di cui al secondo comma, n. 2, dell’art. 369 cod. proc. civ. – dell’onere di deposito a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al primo comma della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione – a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale – della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l’osservanza del cosiddetto termine breve. Nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev’essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto del secondo comma dell’art. 372 cod. proc. civ., applicabile estensivamente, purché entro il termine di cui al primo comma dell’art. 369 cod. proc. civ., e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell’eventuale non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell’impugnazione (in senso conforme, ex aliis, Cass. nn. 11376, 19271 e 25070 del 2010);

b) nell’ipotesi in cui il ricorrente per cassazione non alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, la Corte di cassazione deve ritenere che lo stesso ricorrente abbia esercitato il diritto di impugnazione entro il c.d. termine lungo di cui all’art. 327 cod. proc. civ., procedendo all’accertamento della sua osservanza. Tuttavia, qualora o per eccezione del controricorrente o per le emergenze del diretto esame delle produzioni delle parti o del fascicolo d’ufficio emerga che la sentenza impugnata era stata notificata ai fini del decorso del termine di impugnazione, la S.C., indipendentemente dal riscontro della tempestività o meno del rispetto del termine breve, deve accertare se la parte ricorrente abbia ottemperato all’onere del deposito della copia della sentenza impugnata entro il termine di cui al primo comma dell’art. 369 cod. proc. civ., e, in mancanza, deve dichiarare improcedibile il ricorso, atteso che il riscontro della improcedibilità precede quello dell’eventuale inammissibilità (conf., Cass. n. 6706 del 2013).

Nella fattispecie, la ricorrente Agenzia delle entrate non ha allegato che la sentenza le è stata notificata; tuttavia, dall’esame degli atti risulta che: a) in calce alla copia autentica della sentenza depositata vi è un timbro dell’ufficiale giudiziario che attesta l’avvio del procedimento di notifica della sentenza – su istanza della contribuente – all’Agenzia delle entrate, Ufficio di Frosinone, mediante spedizione a mezzo del servizio postale in data “28 maggio 2008”; b) in allegato alla stessa copia autentica vi è una busta verde indirizzata all’Agenzia delle entrate, Ufficio di Frosinone, con timbro di partenza; c) nella prima pagina del ricorso si legge in alto a destra la scritta “si notifichi entro il 5/9/08”; d) la controricorrente afferma che la sentenza “è stata notificata a mezzo posta in data 27 maggio 2008”.

Dal complesso di tali elementi sintomatici il Collegio ritiene che debba considerarsi comprovata l’avvenuta notificazione a mezzo posta della sentenza, anche se non risulta la data di ricezione del plico raccomandato.

Va, poi, rilevato che la notificazione del ricorso si è perfezionata, dal lato della ricorrente, mediante consegna dello stesso all’ufficiale giudiziario il 26 agosto 2008, quindi oltre il termine di sessanta giorni dalla data di avvio del procedimento notificatorio della sentenza (28 maggio 2008), con la conseguenza che non è possibile, nella fattispecie, applicare il principio in virtù del quale il raffronto tra quest’ultima data e quella della notificazione del ricorso, dal quale risulti che tra le due date non è trascorso un tempo superiore ai sessanta giorni, assicura comunque, in virtù di una sorta di “prova di resistenza”, lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine breve di cui all’art. 325, secondo comma, cod. proc. civ. (Cass. n. 16817 del 2014; cfr., già, Cass. nn. 21077 del 2012 e 17066 del 2013).

1.2. Ritiene, peraltro, il Collegio che la portata della giurisprudenza sopra citata (del tutto condivisibile in linea generale) debba essere precisata, limitatamente ai casi di notificazione della sentenza a mezzo del servizio postale ad opera della parte non ricorrente, in virtù delle considerazioni che seguono, ispirate ad una interpretazione costituzionalmente orientata della norma in esame, che eviti, in ossequio anche al principio del giusto processo, oneri tali da rendere particolarmente difficoltosa la tutela giurisdizionale.

L’art. 369, secondo comma, n. 2, cod. proc. civ., richiede, a pena di improcedibilità del ricorso, che insieme con esso deve essere depositata, per quanto qui interessa, “copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta”.

Ora, da un lato, la “relazione di notificazione”, per le notificazioni a mezzo del servizio postale, è quella scritta dall’ufficiale giudiziario “sull’originale e sulla copia dell’atto, facendovi menzione dell’ufficio postale per mezzo del quale spedisce la copia al destinatario in piego raccomandato con avviso di ricevimento”, il quale ultimo “è allegato all’originale” (art. 149, secondo comma, cod. proc. civ.; art. 3, primo comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890); dall’altro, l’avviso di ricevimento, una volta completato dall’agente postale con le indicazioni del caso, viene restituito alla parte notificante unitamente all’originale dell’atto (art. 5 e segg. legge n. 890 del 1982 cit.). Ne consegue, quanto alla fattispecie in esame, che il destinatario della notificazione di una sentenza eseguita a mezzo posta non ha la materiale disponibilità dell’avviso di ricevimento, solo dal quale risulta la data del perfezionamento del procedimento notificatorio, costituente dies a quo per la notificazione del ricorso per cassazione nel termine breve ex art. 325 cod. proc. civ.

Alla stregua di tali considerazioni, deve ritenersi, in conclusione, che, ai fini dell’osservanza del citato art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., e, quindi, della procedibilità del ricorso, è sufficiente, nel caso in cui il ricorrente alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata a mezzo del servizio postale, o comunque tale circostanza risulti dall’esame degli atti prodotti, che il ricorrente stesso depositi, insieme al ricorso, copia autentica della sentenza con la relazione di notificazione, cioè con l’attestazione dell’ufficiale giudiziario della spedizione dell’atto, spettando al controricorrente l’onere di contestare, attraverso il deposito dell’avviso di ricevimento in suo possesso, che la notifica del ricorso sia avvenuta nel termine breve decorrente dalla data del perfezionamento del procedimento notificatorio della sentenza, da lui attivato.

Nella fattispecie, la società controricorrente nulla ha eccepito al riguardo, con la conseguenza che il ricorso sfugge alla sanzione della improcedibilità.

2. Passando al merito della causa, va preliminarmente rilevato che non può essere presa in considerazione la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sez. staccata di Latina, n. 417/39/12 del 1° ottobre 2012, allegata dalla controricorrente alla memoria ed invocata quale giudicato esterno sulla questione relativa alle quote di ammortamento connesse all’impianto di trasporto e convogliamelo, per l’assorbente ragione che la pronuncia è priva della certificazione di passaggio in giudicato prevista dall’art. 124 disp. att. c.p.c. (Cass. n. 19135 del 2010 (1)).

3. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 113, comma 1, cod. proc. civ., per avere il giudice a quo annullato l’avviso di accertamento (sulla prima questione) per asserito contrasto con il contenuto di circolari dell’Amministrazione, prive di natura normativa.

Il motivo è infondato, risultando dalla sentenza impugnata che questa si fonda sull’esame e sull’interpretazione delle norme di legge rilevanti (artt. 76, comma 5, e 9, comma 3, del TUIR), assumendo il richiamo alle circolari ministeriali un valore meramente rafforzativo.

4. Col secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, degli artt. 2 e 35, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, e dell’art. 277 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.: formula il quesito “se in presenza di un accertamento di maggiori ricavi risultante da una contestata valutazione del ‹valore normale› di cui agli artt. 75 comma 6 (recte, 76, comma 5) e 9 del DPR n. 917/1986 (nel testo in vigore nel 1997), l’eventuale inidoneità di taluni criteri adottati dall’Ufficio per la determinazione del ‹valore normale› comporti o meno l’obbligo per le Commissioni tributarie quali giudici del merito di rideterminare l’effettiva quantità dei ricavi non dichiarati e se conseguentemente sia censurabile la sentenza che in tale situazione disponga l’annullamento integrale del rilievo”.

Il motivo (che, contrariamente a quanto eccepito dalla resistente, è ammissibile, essendo assorbente rilevare che la rubrica è sostanzialmente coerente con il contenuto della censura) è fondato.

Dopo aver ritenuto che il metodo corretto (almeno in via principale) per la determinazione del “valore normale” dei beni ceduti dalla contribuente, ai sensi delle norme citate, è quello, non del “costo maggiorato”, bensì del “confronto del prezzo”, il giudice di merito avrebbe dovuto procedere alla nuova determinazione di tale valore secondo il criterio ritenuto legittimo, anziché annullare in toto la rettifica operata dall’Ufficio: ciò in applicazione del consolidato principio secondo il quale il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio, con la conseguenza che il giudice tributario, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formale), è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (da ult., Cass. n. 26157 del 2013 (2)).

5. (Omissis).

6. In conclusione, va accolto il secondo motivo del ricorso, che va per il resto rigettato, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio, la quale procederà a nuovo esame della controversia, conformemente al principio enunciato al par. 4, e provvederà in ordine alle spese anche del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.(Omissis).

(1) Cass. 7 settembre 2010, n. 19135, in Boll. Trib. On-line.

(2) Cass. 21 novembre 2013, n. 26157, in Boll. Trib. On-line.