30 Marzo, 2016

IL RILASCIO DEL PROCESSO VERBALE A GARANZIA DEI DIRITTI DEL CONTRIBUENTE

Il giudice di legittimità rivede, rovesciandola radicalmente, la decisione impugnata, con cui il Collegio lombardo, in totale adesione all’appello dell’Agenzia delle entrate, aveva rigettato il ricorso introduttivo del contribuente, accolto in primo grado, nell’erroneo convincimento che «il rilascio al contribuente di copia del processo verbale di chiusura delle operazioni di verifica è necessario unicamente in presenza di verifica fiscale», non viceversa nei casi, come quello oggetto di contesa, in cui l’intervento del personale erariale presso la sede imprenditoriale si risolva in un semplice «accesso per la raccolta di documentazione … al solo scopo di reperire direttamente la documentazione che l’Ufficio aveva ritenuto di acquisire».

In tal modo – bocciando l’impostazione di fondo della pronuncia impugnata, quella per cui l’acquisizione di documenti non integra attività di verifica – i supremi giudici chiudono un cerchio, ponendo una pietra miliare (non la prima, presumibilmente non l’ultima) nel sancire che tutte le operazioni condotte dagli operatori dell’Amministrazione finanziaria (anche le meno eclatanti, anche le più routinarie) possiedono un loro peso procedurale nell’economia del rapporto fisco-contribuente, rapporto che, dovendo essere per sua essenza orientato al dialogo e non alla repressione preconcetta, non può dirsi immune da tutti quei passaggi che nel dialogo confluiscono e si estrinsecano. Facendo difetto la premessa (l’attestato formale della avvenuta verifica, contenuto nel verbale), non possono decorrere i sessanta giorni pieni offerti al contribuente per dedurre e documentare (con la locuzione “pieni” si vuole significare che il diritto non è consumato neanche se, prima della scadenza, il titolare si è avvalso dell’opportunità, ben potendo in prosieguo completare o al limite correggere le proprie argomentazioni).

Oltre che costituzionalmente orientata, e per ciò stesso accreditata al più alto livello (1), l’interpretazione infine prevalsa si rispecchia totalmente – la Corte è la prima a sottolinearlo – nella disciplina tributaria (dettata sì per l’IVA, ma applicabile anche in materia di imposte dirette alla stregua dello specifico richiamo contenuto nel primo comma dell’art. 33 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600). Disciplina che si radica:

a) nel combinato disposto dei commi primo e sesto dell’art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, i quali rispettivamente statuiscono che «gli uffici dell’imposta sul valore aggiunto possono disporre l’accesso di impiegati dell’amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, artistiche, agricole o professionali per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni» e che «di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute. Il verbale deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta ovvero indicare il motivo della mancata sottoscrizione. Il contribuente ha diritto di averne copia»;

[-protetto-]

b) nonché nell’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente (legge 27 luglio 2000, n. 212), anche qui letto secondo il combinato disposto dei commi 1 e 7, sicché, ove l’intervento della mano pubblica si concretizzi in «accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali», sempre deve darsi al contribuente la fondamentale opportunità di partecipare al confezionamento dell’atto finale, se è vero che «dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può [o no, a sua totale discrezione, n.d.r.] comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono [obbligatoriamente e non superficialmente, n.d.r.] valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza». Ciò, secondo la finalità espressa della norma, in ossequio al principio di cooperazione, pilastro del dialogo fra le diverse posizioni.

Di qui la puntuale, cartesiana conclusione tratta dai supremi giudici (2), destinata a contribuire, ci si augura in un arco temporale ragionevolmente breve, allo stravolgimento delle regole del gioco come siamo abituati a conoscerle perché il lavoro sulla rinnovata strutturazione del rapporto porta ineluttabilmente – più un gioco di logo, mattoncino dopo mattoncino, che non tradizionale puzzle – al primato e pertanto alla costante, insormontabile necessità del contraddittorio. Ovverosia, a prescindere dallo specifico contesto fattuale e in barba al principale argomento speso in giudizio dalla difesa erariale, arroccata al tenore letterale del dictum legislativo, in forza del quale le verifiche cosiddette a tavolino, proprio perché prive di “accesso”, non abbisognerebbero di informazione alla controparte e non farebbero scattare il termine in parola.

Acquista così maggiore attendibilità la prospettiva da più parti affacciata, accreditata dal responso del magistero europeo (3), per cui preme l’obiettivo (il contraddittorio, il confronto, il dialogo, la discoperta reciproca e preventiva delle carte) al di là della specificità del contesto, ingiustamente demarcato a monte. Ciò – riflessione non secondaria – a beneficio della stessa pubblica Amministrazione, prima interessata al “buon andamento” del proprio apparato (art. 97 Cost.).

Uno stimolo in più per lo stesso giudice delle leggi chiamato a esprimersi sull’estensibilità o meno del precetto (4). Estensibilità che, ad avviso di chi scrive, vanta al suo arco un argomento vincente, quello per cui la concessione o meno del termine a difesa finirebbe per dipendere da una scelta dell’ente impositore: scelta di parte e, pertanto, potenzialmente arbitraria.

Avv. Valdo Azzoni

(1) Cfr. la fondamentale e meritatamente rinomata Cass., sez. un., 29 luglio 2013, n. 18184, in Boll. Trib., 2013, 1428, con note di V. Azzoni, Sessanta e non più sessanta: la violazione del termine dilatorio dello Statuto dei diritti del contribuente costituisce un vizio invalidante dell’accertamento?; F. Del Torchio, Contraddittorio preventivo e ragioni di motivata urgenza, e U. Perrucci, La “sanzione” dell’invalidità dell’avviso di accertamento emesso anticipatamente rispetto al termine dilatorio di 60 giorni di cui all’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte.

(2) Così riassumibile: se, nei casi enunciati, la redazione del verbale delle operazioni svolte si profila come necessaria, sempre ad essa deve tenere dietro il lasso temporale idoneo, ope legis fissato in sessanta giorni, a disposizione esclusiva del soggetto verificato (fatta eccezione per documentate, e soprattutto documentande, ragioni di urgenza) con la conseguenza, ormai metabolizzata dal sistema, per cui la violazione del termine dilatorio, perpetrata con l’emanazione di un atto impositivo ante tempus, ne determina automaticamente (“di per sé”) l’invalidità. Ciò in quanto «detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva».

(3) Cfr. Corte Giust. UE, sez. V, 3 luglio 2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Worldwide Logistics BV c. Staats-secretaris van Financiën, in Boll. Trib., 2015, 457, con nota di M.V. Serranò, Innovativo e sostanziale contributo della Corte di Giustizia europea in tema di contraddittorio endoprocedimentale tributario, cui si rimanda per l’ampio corredo giurisprudenziale e dottrinario di riferimento.

(4) Cfr. Cass., sez. VI, 14 gennaio 2015, ord. n. 527, in Boll. Trib., 2015, 137, con nota di A. Voglino, La necessitata espansione del diritto al contraddittorio a tutti i procedimenti tributari di ogni genere e specie, secondo una posizione illustrata ulteriormente dal Presidente del Collegio rimettente M. Cicala, Attività di accertamento e contraddittorio amministrativo: verso un nuovo intervento delle Sezioni Unite, ibidem, 86.

 

Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Avviso di accertamento – emissione di avviso di accertamento non preceduto dal processo verbale di chiusura delle operazioni di verifica né dall’invito al contraddittorio – Illegittimità dell’accertamento – Consegue.

Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Avviso di accertamento – Termine dilatorio di 60 giorni per l’adozione dell’accertamento previsto dall’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000 – È posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale che costituisce primaria espressione dei principi di collaborazione e buona fede tra l’Amministrazione e il contribuente – Inosservanza del termine – Determina l’invalidità dell’avviso di accertamento emesso ante tempus.

È illegittimo l’avviso di accertamento emesso a seguito di verifica fiscale che non sia stato preceduto né dalla comunicazione del processo verbale di chiusura delle operazioni di verifica né dall’invito al contraddittorio, da considerarsi presupposti essenziali per assicurare l’attuazione dei principi costituzionalmente rilevanti della partecipazione del contribuente al procedimento di accertamento tributario e del diritto di difesa, che senza l’emissione di uno dei predetti atti vengono lesi e pregiudicati, impedendo il pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale al quale il contribuente ha diritto.

L’art. 12, settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente) deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Cappabianca, rel. Di Iasi), 17 aprile 2015, sent. n. 7843]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – S.G. ricorre con due motivi nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che non ha resistito) per la cassazione della sentenza n. 104/36/07 con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di avvisi di accertamento per Iva e Irpef relativi agli anni di imposta 2001 e 2002 – la CTR Lombardia, in accoglimento dell’appello dell’Agenzia, rigettava il ricorso introduttivo del contribuente.

In particolare, per quel che in questa sede ancora rileva, i giudici d’appello evidenziavano che il rilascio al contribuente di copia del processo verbale di chiusura delle operazioni di verifica è necessario unicamente in presenza di verifica fiscale mentre nella specie vi era stato solo un accesso per la raccolta di documentazione, ossia eseguito al solo scopo di reperire direttamente la documentazione che l’Ufficio aveva ritenuto di acquisire.

Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

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MOTIVI DELLA DECISIONE – Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 33 d.p.r. 600/73, 52 d.p.r. 633/72 e 12 l. n. 212/2000, il ricorrente chiede a questo giudice di affermare che è illegittimo l’avviso di accertamento emesso a seguito di verifica fiscale che non sia preceduto né dalla comunicazione del p.v.c. di chiusura delle operazioni di verifica né dall’invito al contraddittorio quali presupposti essenziali per assicurare l’attuazione dei principi costituzionalmente rilevanti della partecipazione del contribuente al procedimento di accertamento tributario e del diritto di difesa.

La censura è fondata.

A norma del primo comma dell’art. 52 d.p.r. n. 633 del 1972, “gli uffici dell’imposta sul valore aggiunto possono disporre l’accesso di impiegati dell’amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, artistiche, agricole o professionali per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni”, e, a norma del comma 6 del medesimo articolo, “di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute. Il verbale deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta ovvero indicare il motivo della mancata sottoscrizione. Il contribuente ha diritto di averne copia”.

Le suddette previsioni sono applicabili anche con riguardo alle imposte dirette in virtù del richiamo al citato sesto comma dell’art. 52 d.p.r. n. 633 del 1972 contenuto nel primo comma dell’art. 33 del d.p.r. n. 600 del 1973.

Come è evidente, pertanto, l’art. 52 citato impone la redazione di verbale in ogni caso di accesso per procedere ad ispezioni documentali, verifiche, ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile, pertanto non è corretta l’affermazione – contenuta nella sentenza impugnata – secondo la quale nella specie, trattandosi di un accesso per la raccolta di documentazione, non sarebbe stato necessario il rilascio al contribuente di copia del processo verbale di chiusura delle operazioni.

È da aggiungere che l’art. 12 l. n. 212 del 2000 (proprio in tema di “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”, giusta la previsione di cui al comma 1) prevede al comma 7, che “nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.

Tale norma collega pertanto alla consegna del processo verbale di chiusura delle operazioni al contribuente (nella specie pacificamente non intervenuta) la decorrenza del suddetto termine di sessanta giorni.

Sulla natura e valenza di tale termine si sono recentemente pronunciate le SU di questa Corte affermando, con la sentenza n. 18184 del 2013 (1), che l’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, “poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva”.

Il motivo in esame deve essere pertanto accolto, con assorbimento del secondo motivo col quale si deduce violazione di legge in relazione alla valenza attribuibile agli studi di settore.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito con l’accoglimento del ricorso introduttivo. Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Considerato che la giurisprudenza in materia in tema di contraddittorio procedimentale tra amministrazione e contribuente è stata ed è in parte ancora in evoluzione ed in particolare che il sopra richiamato arresto delle sezioni unite risale solo al 2013 (ed è quindi di molto successivo alla emissione degli avvisi opposti ed allo svolgimento del giudizio di merito), si dispone la compensazione delle spese dei gradi di merito.

P.Q.M. – La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e accoglie il ricorso introduttivo. Condanna la soccombente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in 5.000,00 oltre le spese forfetarie nella misura del 15% e gli accessori di legge. Compensa le spese dei gradi di merito.

 

(1) Cass. 29 luglio 2013, n. 18184, in Boll. Trib., 2013, 1428.

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