4 Giugno, 2013

Imposte e tasse – Statuto del contribuente – Interpretazione delle norme tributarie – Va condotta alla luce dei principi generali di cui alla legge n. 212/2000 – Interpretazione della disposizione che non comporti la retroattività della misura fiscale più sfavorevole per il contribuente – Va preferita.

In caso di possibilità di fornire due interpretazioni alternative della stessa disposizione, deve essere preferita quella che non comporti la retroattività della misura fiscale più sfavorevole, in considerazione del principio generale dell’ordinamento tributario posto dall’art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo Statuto dei diritti del contribuente, il quale ha inteso attribuire alle proprie disposizioni (e tra queste quella sulla irretroattività delle leggi fiscali) il valore di principi generali dell’ordinamento tributario, con una autoqualifìcazione che dà attuazione alle norme costituzionali richiamate dallo Statuto stesso, e che costituiscono orientamento ermeneutico ed applicativo vincolante nell’interpretazione del diritto, cosicché qualsiasi dubbio interpretativo o applicativo deve essere risolto dall’interprete nel senso più conforme a questi principi, a cui la legislazione tributaria, anche antecedente allo Statuto, deve essere adeguata.

La materia dell’efficacia temporale delle leggi tributarie è regolata dall’art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), il quale, al primo comma, stabilisce inequivocabilmente che salvo casi eccezionali in cui è ammessa l’emanazione di norme interpretative, “le disposizioni tributarie non hanno effetti retroattivi”, secondo una previsione che deve essere interpretata ed applicata alla luce di quanto statuito nell’art. 1 della stessa legge n. 212/2000, il quale, al primo comma, afferma che le sue disposizioni, in attuazione degli artt. 3, 23 e 53 e 97 della Costituzione, costituiscono princìpi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali.

Nella categoria dei principi giuridici è insita, come si desume dal secondo comma dell’art. 12 delle disp. prel. c.c., la funzione di orientamento ermeneutico e applicativo vincolante nell’interpretazione del diritto, di talché qualsiasi dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla legge 27 luglio 2000, n. 212, deve essere risolto dall’interprete nel senso più conforme ai principi dello Statuto dei diritti del contribuente, cui la legislazione tributaria, pure antecedente, deve essere adeguata anche al di là delle modificazioni, relativamente modeste, introdotte nella normativa previgente con il D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, in applicazione della delega contenuta nell’art. 16 della stessa legge n. 212/2000.

L’istituto del coacervo delle donazioni, introdotto dal D.L. 3 ottobre 2006, n. 262 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286), non è applicabile alle donazioni intervenute nell’arco temporale intercorso tra l’abrogazione della previgente imposta sulle successioni di cui alla legge 18 ottobre 2001, n. 383, e l’istituzione della nuova imposta sulle successioni introdotta con il citato D.L. n. 262/2006.

 [Commissione trib. provinciale di Verona, sez. III (Pres. Bartezzolo, rel. Barbetta), 21 agosto 2012, sent. n. 208]

 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – I ricorrenti con atto in data 30/3/2011 hanno ricevuto in donazione dal padre la somma, pro-indivisa ed in parti uguali tra loro, di duemilioni di euro ed hanno dichiarato nello stesso atto che quella era la prima donazione effettuata dal donante nei confronti degli stessi donatari. L’atto è stato registrato a tassa fissa il 4/4/2011.

L’Agenzia delle Entrate ha però rilevato due precedenti donazioni del 21/12/2004 (n. 1000864 serie 1°) e del 23/12/2005 (n. 1500 serie 1°) con le quali il padre ha donato ai figli, attuali ricorrenti, con la prima azioni di una Società per azioni per un valore di € 696.670,00 ciascuno, e con la seconda azioni della stessa Società per azioni per un valore di € 1.040.000,00 ciascuno.

Di conseguenza l’Agenzia delle Entrate – richiamato il 1° co. dell’art. 57 del T.U. 346/90, e ritenuto che tutti gli atti debbano essere oggetto di coacervo e che fosse esaurita la franchigia di € 1.000.000,00 per ogni donatario prevista dal D.L. 262/06 – ha applicato l’aliquota del 4% sulle ultime donazioni e la sanzione ex art. 57, IP co., T.U. 346/90, pari alla maggiore imposta dovuta, per l’omessa indicazione nell’ultimo atto delle donazioni precedenti; ha quindi notificato l’avviso di liquidazione dell’imposta e di irrogazione delle sanzioni per complessivi € 108.976,52 per ciascuno dei contribuenti.

L’avviso è stato impugnato da entrambi i donatari con distinti ricorsi, poi riuniti, contestando che le donazioni di azioni siano oggetto di coacervo, dal momento che le stesse sono intercorse nell’arco temporale (tra il 2001 ed il 2006) in cui non vi era alcuna imposta sulle donazioni e ritenendo che costituiscano, quindi, trasferimenti non soggetti all’imposta. Per lo stesso principio vengono contestate dai ricorrenti le irrogazioni delle sanzioni.

L’Agenzia delle Entrate si è ritualmente costituita ed ha ribadito la legittimità dell’avviso impugnato, richiamando la Circolaren. 3/2008 [1] che evidenzia come per la determinazione delle franchigie fruibili si debbano considerare tutti gli atti intercorsi tra le stesse parti. L’Agenzia delle Entrate ritiene inoltre che il rinvio dell’art. 2, comma 47, del D.L. 262/06 al DLgs 31/10/1990 n. 346, pur nella parte compatibile con la nuova normativa, abbia “riportato in vita la precedente disciplina”, per quanto applicabile. L’Ufficio insiste, inoltre, nella validità delle sanzioni.

All’udienza del 14 aprile 2012 è stata accolta l’istanza di sospensione dell’esecutorietà dell’avviso impugnato.

In previsione dell’udienza di discussione le parti ricorrenti hanno dimesso memorie nelle quali, ribadite le posizioni di merito, viene osservato chela Circolareha solo valore interno all’Amministrazione Finanziaria.

 
[-protetto-]

 

MOTIVI DELLA DECISIONE –La Commissione ritiene – pur nella novità di diritto della questione proposta – fondati i ricorsi riuniti dei contribuenti e ne dispone, pertanto, l’accoglimento. Per meglio inquadrare la fattispecie di causa, vanno ricordate le norme legislative che si sono susseguite in materia e che vanno correlate con l’art. 3 dello Statuto del Contribuente (L. 212/2000) sulla efficacia temporale delle norme tributarie, che non hanno effetto retroattivo:

– con il DLgs 31/10/1990 n. 346 (in G.U. 277 del 27/11/90) vi è stata l’approvazione del Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, con le indicazioni delle relative norme ed in particolare, dall’art. 55 alla fine, l’applicazione delle aliquote sulle donazioni;

– con la Legge383 del 18/10/2001 (in G.U. 248 del 24/1/2001) vi è stata la soppressione dell’imposta “(… art. 13: l’imposta sulle successioni e donazioni è soppressa)”;

– con Decreto Legge n. 262/2006 (in G.U. 230 del 3/10/2006), convertito nella L. 286/2006 (in G.U. 277 del 28/11/2006), è stato disposto: art. 2, comma 47: “È istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti in causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni di cui al DLgs 31/10/1990 n. 346, nel testo vigente alla data del 24/10/2001, fatto salvo quanto previsto dai commi dal 48 al54”.

Da dette norme va ricavata la disciplina da applicare alla fattispecie di causa che, nello svolgimento dei fatti è chiara e non contestata neppure tra le parti: due atti di donazione sono intercorsi tra padre e figli negli anni 2004 e 2005 (vigente la legge n. 383/01) e un atto è intervenuto, tra gli stessi soggetti, nell’anno 2011 (vigente la legge n. 286/06) nei limiti di franchigia indicati da quella norma. In questo contesto ritiene l’Agenzia delle Entrate, con l’avviso impugnato e nelle proprie difese, che in applicazione dell’art. 57 del T.U.S. – introdotto dal comma 47 dell’art. 2 del D.L. 262/06 (che ha previsto che il valore globale netto dei beni oggetto della donazione sia maggiorato di un importo pari al valore complessivo di tutte le donazioni anteriormente fatte dal donante al donatario: c.d. “coacervo”) e che quindi negli atti di donazione successivi debbano essere indicati anche gli atti precedenti – vada applicato anche con riferimento alle donazioni degli anni 2004 e 2005 l’istituto del coacervo; con la conseguenza che avendo tali atti esaurito la franchigia, l’atto di donazione del 2011 è soggetto all’imposizione del 4%. Ritengono, invece, i ricorrenti inapplicabile alla fattispecie il coacervo delle donazioni (con la conseguenza che l’ultima donazione è nei limiti della franchigia attuale), perché l’istituto – introdotto solo dalla L. 286/2006 – non è applicabile alle donazioni intervenute nell’arco temporale intercorso tra la abrogazione della previgente imposta sulle successioni (L. 383 del 18/10/2001) e l’istituzione della nuova imposta sulle successioni introdotta conla Legge286/2006. I ricorrenti ritengono, inoltre, inapplicabile, e comunque di validità interna solo all’Ufficio, la circolare 3/E del 22/1/2008.

La Commissioneritiene, attesa la successione delle norme richiamate ed il limitato valore della circolare invocata dall’Ufficio, che neppure al fine del solo coacervo, si possa e/o si debba tenere conto delle donazioni intercorse nel periodo di tempo tra il 25/10/2001 (data di entrata in vigore della L. 383/01 di soppressione del T.U.S. del 1990) ed il 2/10/2006 (data di entrata in vigore della nuova normativa ora vigente).

Pertanto i ricorsi riuniti devono essere accolti, con l’annullamento sia della pretesa tributaria conseguente al coacervo, sia della sanzione, dal momento che nel periodo temporale indicato non esisteva alcuna imposta sulle donazioni e che, pertanto, le donazioni avvenute nel 2004 e nel 2005 sono fiscalmente irrilevanti, anche solo al fine del coacervo.

Determinanti per addivenire alla presente conclusione sono gli artt. 1 e 3 dello Statuto del Contribuente che, come è noto, prevedono il primo che le norme di quella Legge (n. 212/2000) costituiscono principi generali dell’Ordinamento Tributario, ed il terzo che le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. In proposito la Commissionerichiama, facendone proprie le argomentazioni di diritto ivi esposte, la sentenza n. 7080/2004 [2] della Corte di Cassazione, Sez. Tributaria, che nella massima si è così pronunciata: “In caso di possibilità di fornire due interpretazioni alternative della disposizione, deve essere preferita quella che non comporti la retroattività della misura fiscale più sfavorevole, in considerazione del principio generale dell’ordinamento tributario posto dall’art. 3 dello Statuto del Contribuente di cui all’art. 212/2000. Infatti, il c.d. “Statuto del Contribuente” ha inteso attribuire alle proprie disposizioni (e tra queste quella sulla irretroattività delle leggi fiscali) il valore di principi generali dell’ordinamento tributario, con una autoqualifìcazione che dà attuazione alle norme costituzionali richiamate dallo Statuto, e che costituiscono orientamento ermeneutico ed applicativo vincolante nell’interpretazione del diritto, cosicché qualsiasi dubbio interpretativo o applicativo deve essere risolto dall’interprete nel senso più conforme a questi principi, a cui la legislazione tributaria, anche antecedente allo Statuto, deve essere adeguata”.

La Suprema Cortenella motivazione della stessa sentenza si è inoltre così pronunciata: “La materia dell’efficacia temporale delle Leggi Tributarie è oggi regolata dall’art3 L. 212/2000 in materia di disposizioni in materia di Statuto dei diritti del Contribuente che, al primo comma, stabilisce inequivocabilmente che – salvo casi eccezionali in cui è ammessa l’emanazione di norme interpretative – “le disposizioni tributarie non hanno effetti retroattivi”. Questa disposizione deve essere interpretata ed applicata alla luce di quanto affermato nell’art. 1 della stessa Legge che al 1° comma afferma altrettanto che “le disposizioni della presente legge, in attuazione degli artt. 3, 23 e 53 e 97 della Costituzione, costituiscono princìpi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”.

In questo modo la L.212/2000 ha inteso attribuire alle proprie disposizioni il valore di principi generali dell’ordinamento tributario. Come già sottolineato da questa Corte (Cass. 17576/02[3]) questa autoqualificazione “trova puntuale rispondenza nella effettiva natura della maggior parte delle disposizioni stesse, quale si desume dal loro contenuto normativo, dal loro oggetto, dal loro scopo e dalla loro incidenza nei confronti di altre norme della legislazione e dell’ordinamento tributario, nonché dei relativi rapporti”.

A queste specifiche “clausole rafforzative” di autoqualificazione delle disposizioni stesse deve essere attribuito perciò un preciso valore normativo ed interpretativo sia perché hanno la funzione di dare attuazione alle norme costituzionali richiamate dallo Statuto, sia perché costituiscono “principi generali dell’ordinamento tributario”.

Il Legislatore, infatti, ha manifestato esplicitamente l’intenzione dì attribuire ai principi espressi nelle disposizioni dello Statuto, o desumibili da esso, una rilevanza del tutto particolare nell’ambito della Legislazione tributaria ed una sostanziale superiorità rispetto alle altre disposizioni vigenti in materia.

Nella categoria dei principi giuridici è insita, inoltre – come si desume dal 2° co. dell’art. 12 delle preleggi – la funzione dì orientamento ermeneutico e applicativo vincolante nell’interpretazione del diritto. Qualsiasi dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla L. 212/2000, deve perciò essere risolto dall’interprete nel senso più conforme ai principi dello Statuto del Contribuente, cui la legislazione tributaria, anche antecedente, deve essere adeguata anche al di là della modificazioni, relativamente modeste, introdotte nella normativa previgente con il DLgs 26/1/2001, in applicazione di una delega contenuta nell’art. 16 della stessa L. 212/2000.

Questa prescrizione non è diretta soltanto al futuro legislatore tributario, ma sì riflette come criterio interpretativo sull’esercizio della stessa attività applicativa dell’interprete, che è chiamato ad applicare quei principi anche con riferimento a leggi tributarie che non siano state oggetto di correzione, vale a dire virtualmente tutte le altre norme dell’ordinamento tributario” … omissis … “Ogniqualvolta una normativa fiscale sia suscettibile di una duplice interpretazione, una che ne comporti la retroattività ed una che la escluda, l’interprete dovrà dare preferenza a questa seconda interpretazione come conforme ai criteri generali introdotti con lo Statuto del Contribuente e attraverso di esso ai valori costituzionali intesi in senso ampio ed interpretati direttamente dallo stesso Legislatore attraverso lo statuto”.

Pertanto, per i motivi indicati, in accoglimento dei ricorsi riuniti, va dichiarata la nullità degli avvisi di liquidazione e di irrogazione delle sanzioni, impugnati dai contribuenti.

L’accoglimento della domanda principale è prevalente ed assorbente rispetto alla domanda subordinata svolta dai ricorrenti e, pertanto, il contenuto di quella domanda non viene esaminata.

La novità della questione di diritto giustifica la compensazione tra le parti delle spese di procedura.

 

P.Q.M. – Accoglie i ricorsi riuniti. Spese compensate.


La funzione ermeneutica dello Statuto dei diritti del contribuente

 

Le norme dello Statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212, pur non assumendo rango costituzionale (1), costituiscono principi generali (2) del diritto tributario cui affidarsi quali canoni inspiratori nell’interpretazione delle altre disposizioni fiscali (3).

La particolare superiorità assiologica dello Statuto dei diritti del contribuente e la sua funzione di canone interpretativo delle altre norme tributarie sono state la chiave di volta dell’annotata sentenza.

La commissionetributaria provinciale di Verona, con l’annotata sentenza, ha annullato due avvisi di liquidazione e irrogazione delle sanzioni per imposta sulle donazioni, oggetto di distinti ricorsi, successivamente riuniti, da parte dei beneficiari di una donazione di denaro.

La ricostruzione storica della vicenda è fondamentale per la corretta comprensione della sentenza.

Nel corso del 2004, infatti, i due ricorrenti furono beneficiari di una prima donazione cui ne seguì, nel 2005 una seconda. In entrambi i casi il donante era il medesimo soggetto.

Successivamente, nel corso del 2011, avvenne un’ulteriore donazione di denaro, per un importo non superiore alla franchigia prevista dal comma 49 dell’art. 2 del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262 (convertito, con modificazioni, dalla legge del 24 novembre 2006, n. 286).

Alla ricostruzione cronologica dei fatti è opportuno affiancare l’evoluzione storica della norma sulle successioni e donazioni.

L’imposta sulle successioni e donazioni, infatti, era disciplinata, a partire dal 1990, dal testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, c.d. T.U.S., di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346. Il T.U.S. venne soppresso nel 2001 ai sensi degli articoli da13 a17 della legge 18 ottobre 2001, n. 383. Infine, nel 2006, l’imposta sulle successioni e donazioni venne nuovamente istituita nell’ordinamento tributario nazionale dai commi da47 a54 dell’art. 2 del D.L. n. 262/2006.

L’art. 2, comma 47, del citato D.L. n. 262/2006, infatti, dispone che «è istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54».

Delle donazioni sopra richiamate, pertanto, due (quelle del 2004 e del 2005) avvennero in un periodo in cui nell’ordinamento nazionale non era vigente alcuna imposta sulle donazioni. Diversamente, la donazione avvenuta nel 2011, pur essendo interessata dalle reintrodotte norme del D.Lgs. n. 346/1990, non fu sottoposta ad alcuna imposizione in quanto rientrante nei limiti della franchigia per la non applicazione dell’imposta.

Conseguentemente, i due beneficiari, nell’atto di donazione del 2011 dichiararono, ai fini fiscali, che l’atto in questione non era stato preceduto da alcuna altra donazione da parte del medesimo donatario e, in forza di ciò, non sottoposero il trasferimento di danaro ad imposizione.

Successivamente, con avviso di liquidazione dell’imposta e di irrogazione delle sanzioni, l’Agenzia delle entrate, riscontrando la presenza di tre diverse donazioni (anni 2004, 2005 e 2011) che, se complessivamente considerate, superavano l’importo della franchigia, contestava la mancata applicazione dell’imposta per l’atto del 2011 ritenendo che le donazioni fossero tutte oggetto di coacervo, ai sensi dell’art. 57, primo comma, del D.Lgs. n. 346/1990. A tal fine l’Ufficio finanziario argomentava, a supporto delle proprie ragioni, come la circolare 22 gennaio 2008, n. 3/E (4), del direttore dell’Agenzia delle entrate, avesse chiarito che ai fini della determinazione del “coacervo” rilevassero tutte le donazioni poste in essere dal donante nei confronti del donatario, comprese quelle compiute nel periodo in cui l’imposta sulle successioni e donazioni era stata abrogata. A supporto delle proprie pretese l’Agenzia delle entrate citava inoltre, tra le motivazioni dell’avviso, due sentenze: quella della Commissione tributaria provinciale di Bergamo e della Commissione tributaria provinciale di Udine (5).

L’Agenzia delle entrate, contestando la mancata indicazione nell’atto del 2011 della presenza di due precedenti donazioni, applicava anche la sanzione prevista dall’art. 57, secondo comma, del D.Lgs. n. 346/1990, per l’omessa indicazione in atto degli estremi delle donazioni anteriormente effettuate e dei relativi valori.

I beneficiari delle donazioni, nel loro ricorso introduttivo, negavano la rilevanza degli atti compiuti nel corso del 2004 e del 2005 ai fini del coacervo per la determinazione della franchigia, argomentando come l’istituto non fosse applicabile agli atti intervenuti nell’arco temporale intercorrente tra l’abrogazione dell’imposta sulle donazioni (avvenuta nel corso del 2001) e la nuova istituzione dell’imposta sulle donazioni (avvenuta con il D.L. n. 262/2006). A supporto della loro tesi, oltre ad alcuni approfondimenti dottrinali (6), i ricorrenti richiamavano due pronunce giurisprudenziali e, precisamente, la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano 10 novembre 2008, n. 197 (7), nonché la sentenza della Corte di Cassazione 14 marzo 2007, n. 5972 (8).

Nella propria costituzione in giudizio l’ufficio finanziario invocava la già citata circolare del direttore dell’Agenzia delle entrate n. 3/E/2008, che interpretando la disposizione contenuta nell’art. 57, primo comma, del T.U.S. (9), ha ritenuto determinanti ai fini della formazione delle franchigie sia gli atti stipulati nel periodo compreso tra l’abrogazione e la nuova istituzione dell’imposta sulle donazioni e successioni sia quelli precedenti all’abrogazione, ovvero antecedenti il 25 ottobre 2001.

I ricorrenti, peraltro, nella loro memoria illustrativa, evidenziavano come l’interpretazione dell’art. 57 del T.U.S. fornita dall’Agenzia delle entrate non fosse l’unica possibile e che, anzi, la mancata indicazione di un periodo temporale di riferimento per le donazioni potesse essere letta, non solamente in senso positivo, ma anche, e più correttamente, da un punto di vista negativo. In base alla diversa interpretazione dell’art. 57 del T.U.S., proposta dai ricorrenti, le donazioni intercorse nel periodo compreso tra l’abrogazione e la nuova istituzione dell’imposta sulle successioni e donazioni non potevano essere legittimamente considerate ai fini della determinazione della franchigia.

Tale ultima interpretazione, quella cioè che escludeva dalla determinazione della franchigia le donazioni poste in essere nel periodo di non vigenza della norma, a parere dei ricorrenti doveva essere preferita rispetto a quella formulata dall’Agenzia delle entrate, essendo l’unica interpretazione coerente e rispettosa dello Statuto dei diritti del contribuente. In caso contrario, infatti, sarebbe stata disattesa la norma contenuta nell’art. 3 del suddetto Statuto, in quanto sarebbe stato attribuito un effetto retroattivo all’imposta sulle successioni e donazioni con riferimento ad un periodo temporale in cui la norma era stata esplicitamente abrogata.

L’annotata pronuncia, concordando con l’interpretazione adeguatrice allo Statuto dei diritti del contribuente proposta dal contribuente, ha quindi affermato che «neppure al fine del solo coacervo, si possa e/o si debba tenere conto delle donazioni intercorse nel periodo di tempo tra il 25/10/2001 (data di entrata in vigore della L. 383/2011 di soppressione del T.U.S. del 1990) ed il 2/10/2006 (data di entrata in vigore della nuova normativa ora vigente)».

La sentenza di primo grado basa la propria decisione sugli artt. 1 e 3 del citato Statuto dei diritti del contribuente, facendo leva sulla funzione interpretativa nonché sulla superiorità assiologica che è stata attribuita alla legge n. 212/2000 (10).

La controversia tra Agenzia delle entrate e contribuente verteva su un unico aspetto: quale tra le due possibili interpretazioni del termine “anteriormente” contenuto nell’art. 57 del T.U.S. fosse corretta e applicabile alla fattispecie de qua.

La Commissioneterritoriale ha fatto propria l’interpretazione coerente alle norme dello Statuto dei diritti del contribuente e, specificamente, all’art. 3 che prevede la generale irretroattività delle norme tributarie.

L’applicazione delle norme dello Statuto dei diritti del contribuente quali canoni interpretativi delle norme tributarie, come ricordato nella sentenza della Commissione tributaria provinciale di Verona, trova conforto nell’ormai consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui «qualsiasi dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla L. n. 212 del 2000, deve perciò essere risolto dall’interprete nel senso più conforme ai principi dello statuto del contribuente, cui la legislazione tributaria, anche antecedente, deve essere adeguata … ogni qualvolta una normativa fiscale sia suscettibile di una duplice interpretazione, una che ne comporti la retroattività ed una che l’escluda, l’interprete dovrà dare preferenza a questa seconda interpretazione come conforme ai criteri generali introdotti con lo statuto del contribuente, e attraverso di essi ai valori costituzionali intesi in senso ampio e interpretati direttamente dallo stesso legislatore attraverso lo statuto» (11).

Rimane in conclusione una riflessione sull’importanza del ruolo giocato dall’art. 3 dello Statuto dei diritti del contribuente per la corretta interpretazione della norma di cui all’art. 57 del T.U.S.

Alcuni Autori, infatti, pur se in altri ambiti, hanno sostenuto che l’art. 3 dello Statuto dei diritti del contribuente non sia il vero fondamento giuridico (12) per l’interpretazione del principio di irretroattività in ambito tributario, affermando altresì che lo stesso debba essere rinvenuto nei principi della Costituzione. L’interpretazione di una norma, si osserva, è sempre quella conforme ai principi della carta costituzionale: l’art.53, in particolare, prevede che il concorso alla spesa pubblica avvenga in ragione di una capacità contributiva (13) caratterizzata dall’attualità (14), quale specificazione della nozione di effettività, escludendo pertanto qualsiasi norma o legge che vada a colpire una forma di ricchezza storica e non più attuale.

Nel caso in esame lo Statuto dei diritti del contribuente, forse, non rappresentava il principale e unico elemento a supporto della tesi delle parti private, tuttavia ha svolto una rilevantissima funzione ausiliaria (15) per l’attività dell’interprete, nel senso che ha avuto il merito di aver esplicitato compiutamente i principi di derivazione costituzionale (16), tra i quali il requisito di attualità ed effettività insiti nella nozione di capacità contributiva, confermando quindi la significatività della funzione ermeneutica attribuita alla citata legge n. 212/2000.

 

Dott. Rita Maggi

 

 

(1) Lo Statuto dei diritti del contribuente si fregia di un particolare rango rispetto ad altre fonti del diritto in materia tributaria tanto da affermare, all’art. 1 della legge n. 212/2000, che le «disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali». La citata disposizione incorpora due clausole di “auto-qualificazione”: la prima è quella di sancire norme di attuazione costituzionale, la seconda è quella di essere norma generale dell’ordinamento tributario. L’auto-qualificazione suddetta, tuttavia, non è considerata sufficiente ad attribuire allo Statuto dei diritti del contribuente il rango costituzionale, tenuto conto dell’iter di approvazione della legge, per nulla adeguato a far assumere allo Statuto un livello nelle fonti del diritto superiore a quello che gli è stato assegnato, ovvero di legge ordinaria dello Stato. «Ciò premesso, occorre, comunque, ricordare che lo Statuto prevede una clausola c.d. di autorafforzamento in forza della quale le sue disposizioni possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali. La dottrina costituzionalistica, che già da tempo si è confrontata sulla valenza di tali clausole, è pressoché concorde nel riconoscere ad esse un carattere prettamente ermeneutico»:  così a. fantozzi, Il diritto tributario, Torino, 2003, 200.

(2) In tal senso si è espressa anche la Corte Costituzionaleche con l’ordinanza 6 luglio 2004, n. 216, inBoll. Trib. On-line, ha affermato che «le disposizioni della legge n. 212 del 2000 proprio in ragione della loro qualificazione in termini di principi generali dell’ordinamento, rappresentano (non già norme interposte ma) criteri di interpretazione adeguatrice della legislazione tributaria, anche antecedente».

(3) Trattasi della cosiddetta interpretazione adeguatrice allo Statuto dei diritti del contribuente. «Pertanto, escludendo che le disposizioni statutarie possano costituire norme di attuazione in senso stretto di quelle costituzionali espressamente richiamate, si può ritenere che la clausola di “autoqualificazione” contenuta nell’art. 1, primo comma implica un rafforzamento non dell’efficacia giuridica dello Statuto, il quale formalmente resta una legge ordinaria (come tale derogabile da un’altra norma di pari rango), ma della sua valenza interpretativa»: cfr. l. perrone, Valenza ed efficacia dei principi contenuti nello Statuto del Contribuente, in l. perrone – c. berliri (a cura di), Diritto tributario e Corte costituzionale, Napoli, 2006, 436.

(4) In Boll. Trib., 2008, 242.

(5) Più precisamente Comm. trib. prov. di Bergamo, sez. VIII, 17 maggio 2010, n. 44, inBoll. Trib. On-line; e Comm. trib. prov. di Udine, sez. II, 3 giugno 2010, n. 77, ivi.

(6) Cfr. a. pagnucco, Donazioni poste in essere anteriormente all’entrata in vigore della l. n. 286 del 2006, in Dir. prat. trib., 2009, 1179, secondo cui «Per la previsione del 53° comma dell’art. 2, le nuove norme si applicano con decorrenza dalle successioni apertesi alla data del 3 ottobre 2006, termine ribadito dal 78° comma dell’art. 1 della L. n. 296 (Finanziaria 2007). Conseguentemente, non esistendo nel periodo precedente un’imposta sulle donazioni per effetto dell’abrogazione disposta dalla l. n. 383 del 2001, il cumulo non è applicabile, e … pertanto …, come si legge nella sentenza della C. t. P. di Milano … una donazione intervenuta in tale periodo è fiscalmente irrilevante … Un’applicazione della norma tributaria con effetto retroattivo, se non espressamente previsto dalla legge stessa, si porrebbe in violazione dell’articolo 3 dello Statuto del Contribuente». v. mastroiacovo, Il cumulo di «donatum» e «relictum» nella «nuova» imposta successoria, in Corr. trib., 2007, 1717-1718, ha affermato che «La seconda questione che viene in rilievo con riferimento al carattere innovativo del tributo istituito ex D.l. n. 262/2006 attiene all’interpretazione di quali siano le donazioni oggetto di coacervo. Il dubbio che sorge al riguardo è se tra le “donazioni anteriori”, cui fa espresso riferimento il legislatore ai fini dell’operatività dell’istituto del coacervo, debbano o meno essere cumulate anche le donazioni effettuate anteriormente all’entrata in vigore della nuova imposta. A tale interrogativo, proprio sulla base dell’argomento delle novità del tributo, si ritiene di dare risposta negativa. A ben vedere, a sostegno di questa conclusione militano anche ragioni sistematiche tra cui sicuramente la rilevanza del principio di irretroattività della norma tributaria, prevista dall’art. 3 dello statuto del contribuente, principio che, seppur “impropriamente”, verrebbe ad essere intaccato attribuendo oggi rilevanza a donazioni poste in essere nel periodo 25 ottobre 2001 – 2 ottobre 2006 durante il quale il legislatore ha stabilito di non attribuire rilevanza fiscale a tali assetti. Pertanto, in mancanza di una disposizione derogatoria, sembra fondato prediligere l’interpretazione conforme al principio e, dunque, per quanto qui interessa, deve ritenersi che le donazioni oggetto di coacervo sono solo quelle poste in essere successivamente all’entrata in vigore della legge di conversione. Si segnala infine che appaiono con sufficiente certezza escluse dalle donazioni destinate a confluire nel coacervo, dopo l’entrata in vigore del nuovo tributo sulle successioni e donazioni, le donazioni di crediti effettuati nel vigore della prima formulazione del D.l. n. 262/2006 in base alla quale risultavano testualmente non soggette ad imposta. Se, infatti, il legislatore ha predisposto per la sorte delle donazioni effettuate nel periodo di vigenza del decreto-legge non convertito uno specifico regime transitorio che fa salvi gli effetti prodotti, non consentendo il rimborso di quanto già corrisposto, deve coerentemente considerarsi ferma anche l’esclusione dall’imposizione per le donazioni di crediti formalizzati prima dell’entrata in vigore del nuovo tributo e cioè della disciplina riformata sulla base della legge di conversione». g. gaffuri, L’imposta sulle successioni e donazioni, Padova, 2008, 454-455, ha avuto modo di affermare che «è doveroso domandarsi, quindi, se il cumulo coinvolga anche le donazioni pregresse che, secondo il regime vigente dal 2001 fino al 2006, sfuggivano al tributo in assoluto. Ritengo che il regime di esclusione dal prelievo, di cui abbia goduto la donazione anteriore, la renda irrilevante per la sua aggregazione a quella successiva soggetta al trattamento fiscale vigente ed addirittura incompatibile con tale aggregazione. Infatti il cumulo è funzionale all’esigenza, propria della disciplina attuale, di evitare che il beneficiario goda ripetutamente della franchigia, che è istituto specifico di tale nuova disciplina».

(7) Cfr. Comm. trib. prov. di Milano, sez. XI, 10 novembre 2008, n. 197, inBoll. Trib. On-line, secondo cui «Premesso tale principio occorre esaminare se, al fine del calcolo del coacervo ereditario, debbano essere cumulate anche le donazioni effettuate anteriormente all’entrata in vigore della nuova imposta di successione e precisamente nel periodo compreso fra il 25 ottobre 2001 (data di entrata in vigore della L. n. 383 del 2001 che aveva abrogato l’imposta di successione) ed il 2 ottobre 2006. In tale lasso temporale si collocano infatti le donazioni ricevute da alcuni eredi del de cuius, tra i quali il ricorrente (donazioni del 26 giugno 2006) il cui cumulo è oggetto di impugnazione nel ricorso in esame. Il ricorso sul punto merita accoglimento posto che nel periodo temporale sopra citato non esisteva un’imposta sulle donazioni, pertanto una donazione intervenuta in tale periodo è fiscalmente irrilevante ai fini di cui al ricorso in esame. La diversa tesi, sostenuta nell’atto di costituzione dell’ufficio, non è meritevole di pregio e la sua applicazione violerebbe l’art. 3 della l. n. 212 del 2000 (statuto del contribuente)».

(8) Secondo Cass., sez. trib., 14 marzo 2007, n. 5972, inBoll. Trib. On-line, «che il cosiddetto «coacervo» (o cumulo) del donatum con il relictum, allo scopo di evitare che il de cuius possa eludere la progressività dell’imposta procedendo in vita ad una serie di donazioni ai futuri eredi o legatari, è previsto al solo fine di determinare le aliquote da applicare per calcolare l’imposta sui beni relitti, non potendosi attribuire un diverso significato al chiaro dettato della norma; che il riferimento esclusivo a tale finalità non consente dunque di ritenere che la maggiorazione si traduca in un cumulo finalizzato a ricomprendere nella base imponibile e nell’imposizione anche il donatum diversamente pervenendosi ad un risultato in contrasto col menzionato dettato normativo ancorché corretto con tecniche virtuali di detrazione che non trovano alcun appiglio legislativo».

(9) L’articolo in parola, infatti, al primo comma si limita ad affermare che «il valore globale netto dei beni e dei diritti oggetto della donazione è maggiorato di un importo pari al valore complessivo di tutte le donazioni, anteriormente fatte dal donante al donatario»; non viene tuttavia chiarito quale sia il periodo temporale cui il termine “anteriormente” si riferisca.

(10) «In particolare secondo la Suprema Corte le disposizioni contenute nello Statuto costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario, cui occorre fare riferimento per l’interpretazione sistematica delle norme tributarie; pertanto la corretta applicazione di una disposizione tributaria alla fattispecie oggetto di una controversia pendente o futura non può prescindere dalla valutazione della sua conformità ai principi generali sanciti nello Statuto dei diritti del contribuente, i quali possiedono una superiorità assiologica e quindi una funzione di orientamento ermeneutico vincolante per l’interprete»: così l. perrone, Valenza ed efficacia dei principi contenuti nello Statuto del Contribuente, cit., 441.

(11) In questi termini si veda Cass., sez. trib., 14 aprile 2004, n. 7080, inBoll. Trib., 2004, 1340; merita citare anche m.v. serranò, Sulla “sostanziale superiorità” della fonte statutaria nella sentenza della Cassazione n. 7080/2004, ibidem, 1293.

(12) Si veda altresì v. mastroiacovo, Ancora sull’efficacia dello Statuto dei diritti del contribuente, in Riv. dir. trib., 2004, II, 674, secondo cui, «in particolare con riferimento al tema della retroattività della legge la Corte precisa che ogni qual volta una disposizione fiscale sia suscettibile di una duplice interpretazione: una che ne comporti la retroattività e una che l’escluda, l’interprete dovrà dare preferenza a questa seconda interpretazione in quanto conforme a criteri generali introdotti con lo Statuto del contribuente e attraverso di esso “ai valori costituzionali intesi in senso ampio e interpretati direttamente dallo stesso legislatore attraverso lo Statuto”. Questi passaggi argomentativi – che tra gli studiosi del diritto tributario vengono salutati con entusiasmo – lasciano piuttosto indifferenti i costituzionalisti. In effetti, affermare che nel dubbio, ovverosia di fronte ad un’antinomia, la soluzione interpretativa debba tener conto dei principi generali e della conformità a Costituzione non solo non è indice di una “sostanziale superiorità” dello Statuto, ma, anzi, è implicita del rigorismo interpretativo e del particolarismo che nel corso degli anni hanno caratterizzato il diritto tributario». Deve peraltro essere ricordato come il principio di non retroattività delle norme è disciplinato, in generale, dall’art. 11 delle disp. prel. c.c.

(13) Cfr. Commentario breve alle leggi tributarie, a cura di g. falsitta, Tomo I, Diritto costituzionale tributario e statuto del contribuente, Padova, 2011, 273, ove si legge che «La Corte aggancia il divieto di irretroattività alla capacità contributiva, giacché quest’ultima non può che essere effettiva, attuale e concreta (C. Cost. 65/50)».

(14) «La retroattività delle norme tributarie trova il proprio limite costituzionale nell’attualità dell’indice di capacità contributiva che deve esistere nel momento in cui si verifica il presupposto (C. Cost. 66/44; 69/75; 82/143; 94/314; 95/14;99/7). L’attualità, quale parametro del giudizio di costituzionalità di una nuova disposizione di legge, opera sia con riferimento ai tributi retroattivi – ossia, collegati a fatti o effetti accaduti nel passato -, che nei confronti dei prelievi anticipati rispetto al verificarsi del presupposto: nell’un caso potrebbe essere colpita una capacità contributiva non più esistente, nell’altro, una capacità contributiva non ancora esistente»: in questi termini, ancora, cfr. Commentario breve alle leggi tributarie, cit., 272.

(15) Secondo v. mastroiacovo, I limiti alla retroattività nel diritto tributario, Milano, 2005, 142, «la norma desumibile dal primo periodo del primo comma dell’art. 3 può allora essere definita un principio di carattere ricognitivo: rafforzativo degli ordinari canoni ermeneutici sulla successione delle norme nel tempo, sotto il profilo della ragionevolezza, sia delle scelte legislative che della legittimità delle opzioni interpretative».

(16) Cfr. v. mastroiacovo, Ancora sull’efficacia dello Statuto dei diritti del contribuente, cit., 676-677, secondo cui «tentando dunque di non confondere i due piani dell’indagine, si deve riconoscere che lo Statuto del Contribuente, così come interpretato nella prevalente giurisprudenza della Corte di Cassazione, è un importante strumento che agevola il compito dell’interprete sancendo la riconoscibilità in caso di dubbio ermeneutico ai principi generali della materia, principi spesso già immanenti nell’ordinamento e tuttavia prima dell’entrata in vigore della legge n. 212/2000 considerati “recessivi” rispetto ad un metodo interpretativo spesso fondato su regole di settore. … Tuttavia la novità del ragionamento viene immediatamente meno se solo si pone mente al fatto che gli artt. 3 e 53 Cost. e l’art. 11 preleggi – in luogo del citato art. 3 dello Statuto – avrebbero condotto l’interprete al medesimo risultato già prima dell’entrata in vigore della legge n. 212/2000».



[1] Circ. 22 gennaio 2008, n. 3/E, in Boll. Trib., 2008, 242.

 

[2] Cass. 14 aprile 2004, n.7080, in Boll. Trib., 2004, 1340.

[3] Cass. 10 dicembre 2002, n.17576, in Boll. Trib., 2003, 778.