1 Agosto, 2019

Ris. 30 luglio 2019, n. 70/E, dell’Agenzia delle entrate

“Nei diversi gradi di giudizio pendono numerose controversie relative alla
tassazione, ai fini dell’imposta di registro, dei decreti ingiuntivi recanti condanna
al pagamento di somme a carico del debitore garantito a favore del fideiussore
precedentemente escusso dal creditore del rapporto obbligatorio principale
(quest’ultimo ricadente in ambito Iva).
In tale ipotesi, i ricorrenti sovente ritengono applicabile agli atti giudiziari
in commento l’imposta di registro in misura fissa, in applicazione del principio di
alternatività Iva/registro di cui all’art. 40 del Testo Unico dell’Imposta di
Registro approvato con d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, sostenendo la natura
accessoria della fideiussione, in luogo dell’applicazione dell’imposta
proporzionale ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera b), della Tariffa, Parte
prima, allegata al medesimo d.P.R.
La Corte di Cassazione – a partire dall’anno 2015 – ha ripetutamente
affermato l’applicabilità del predetto articolo 8, comma 1, lettera b), della Tariffa
alla fattispecie in esame confermando la legittimità dell’operato dell’Ufficio.
Con ordinanze del 20 dicembre 2018, n. 33009/10/11, la Sezione V della
Suprema Corte, richiamando il più risalente indirizzo giurisprudenziale ripreso in
una isolata pronuncia (n. 19365 del 20 luglio 2018 (1)), ha ritenuto di rimettere le
cause al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili,
stante la difformità delle tesi affermate.

(1) Nella sentenza n. 19365 del 2018, la Corte ha affermato che “rispetto alla sentenza di condanna
ottenuta dal fideiussore nei confronti del debitore inadempiente per il recupero di somme assoggettate ad
IVA, ai sensi dell’art. 8 della tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, trova applicazione l’imposta in
misura fissa, atteso che la surrogazione del fideiussore al creditore principale comporta una peculiare
forma di successione nel credito e la novazione dal lato soggettivo ma non incide sull’identità oggettiva
dell’obbligazione, che conserva la sua natura ai fini tributari”.

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ritenendo non condivisibile la
citata pronuncia n. 19365 del 2018, nelle sentenze nn. 18520/21/22 del 10 luglio
2019 ha espresso il seguente principio di diritto “In tema d’imposta di registro, il
decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti del debitore dal garante che abbia
stipulato una polizza fideiussoria e che sia stato escusso dal creditore è soggetto
all’imposta con aliquota proporzionale al valore della condanna, in quanto il
garante non fa valere corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore
aggiunto, ma esercita un’azione di rimborso di quanto versato”.
Premessi brevi cenni al quadro normativo di riferimento, si illustra
l’orientamento espresso dalla consolidata giurisprudenza di legittimità.
L’art. 1950 del codice civile prevede che “Il fideiussore che ha pagato ha
regresso contro il debitore principale, benché questi non fosse consapevole della
prestata fideiussione. Il regresso comprende il capitale, gli interessi e le spese
che il fideiussore ha fatte dopo che ha denunziato al debitore principale le
istanze proposte contro di lui …”.
Sovente, il fideiussore agisce in regresso attraverso la richiesta al giudice
di emettere un decreto ingiuntivo a carico del debitore garantito.
Ai fini dell’imposta di registro, l’art. 37 del d.P.R. n. 131 del 1986 dispone
che “… i decreti ingiuntivi esecutivi … sono soggetti all’imposta anche se al
momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili,
salvo conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in
giudicato …”.
L’art. 8, comma 1, lettera b), della Tariffa, Parte prima, allegata al d.P.R.
n. 131 del 1986, dispone che sono tassati con imposta proporzionale nella misura
del 3% gli atti dell’autorità giudiziaria ordinaria e speciale in materia di
controversie civili che definiscono, anche parzialmente, il giudizio, compresi i
decreti ingiuntivi esecutivi, “recanti condanna al pagamento di somme o valori,
ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura”.
Al riguardo, va richiamata altresì la Nota II) al citato art. 8 della Tariffa, la
quale dispone che “Gli atti di cui al comma 1, lettera b), e al comma 1 bis non
sono soggetti all’imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il
pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto
ai sensi dell’art. 40 del testo unico”.
L’art. 40 del d.P.R. n. 131 del 1986, che codifica il principio di
alternatività Iva/registro, dispone, infatti, che “Per gli atti relativi a cessioni di
beni e prestazioni di servizi soggetti all’imposta sul valore aggiunto, l’imposta si
applica in misura fissa”.
La Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con le richiamate sentenze nn.
18520/21/22 del 2019, ha ribadito che “… quando il garante chiede l’emissione
del decreto ingiuntivo per ottenere dal debitore principale quanto ha versato al
creditore, non fa affatto valere il credito da corrispettivo per la prestazione resa
al debitore …”, ma si limita “… a ristorarsi di quanto versato, mediante
l’esercizio di azione di rivalsa nei confronti del debitore. Sicché il titolo
giudiziario ottenuto dal garante, concernendo la somma già da lui versata, non
ha ad oggetto il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul
valore aggiunto: non dispone una prestazione soggetta a iva, ossia quella di
garanzia, già eseguita e verosimilmente remunerata col premio; …”.
Tale orientamento conferma le recenti pronunce della Corte di Cassazione
sulla specifica questione (ex multis, sentenze 19 gennaio 2018, n. 1339; 19
gennaio 2018, n. 1341; 2 febbraio 2018, n. 2551; 17 maggio 2017, n. 12240).
In particolare, secondo i giudici di legittimità, allorquando il fideiussore
chiede l’emissione del decreto ingiuntivo per ottenere dal debitore garantito
quanto ha versato al creditore, non fa valere il credito “da corrispettivo” per la
prestazione di servizi resa al debitore medesimo, bensì si limita a esercitare i
diritti già spettanti al creditore, a seguito del pagamento da lui eseguito.
La Suprema Corte, al riguardo, ha evidenziato che la natura accessoria del
contratto di fideiussione ha una valenza civilistica, mentre in ambito tributario e,
segnatamente nell’ambito dell’imposta di registro, in cui viene colpita la singola
manifestazione di ricchezza e la connessa capacità contributiva, viene in rilievo il
principio dell’autonomia dei singoli negozi, escludendosi espressamente
“l’unitarietà e inscindibilità dell’operazione complessiva”.
Del resto il diritto di regresso nasce come diritto nuovo ed autonomo in
capo al suo titolare per effetto dell’avvenuto pagamento nei confronti del
creditore, e ciò sia rispetto al rapporto intercorso tra il creditore e il debitore
principale ed alla natura della relativa obbligazione, sia rispetto a quello
derivante dal contratto di fideiussione. Con il regresso, infatti, il fideiussore che
ha pagato agisce nei confronti del debitore principale rimasto inadempiente per il
recupero delle somme tassativamente indicate nell’art. 1950 c.c. e ciò a
prescindere dai rapporti pregressi.
L’azione del garante, quindi, si configura come eventuale e autonoma
rispetto alla polizza pregressa e alla obbligazione ad essa sottesa: il solvens
esercita un diritto – quello alla restituzione degli esborsi sostenuti – che sorge in
via originaria, per effetto dell’avvenuto pagamento e solo successivamente allo
stesso.
Pertanto, pur rientrando “l’assunzione di fideiussioni” nel campo di
applicazione dell’Iva, seppure in regime di esenzione ai sensi dell’art. 10 del
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, l’azione di regresso, per il suo carattere autonomo
e meramente “restitutorio”, come sopra precisato, non risulta alla stessa
ricollegabile.
Analogamente, il carattere autonomo dell’azione in argomento ne esclude
la connessione con il debito che costituisce l’obbligazione principale garantita.
Ne consegue che la fattispecie in esame non coinvolge l’applicazione del
principio di alternatività IVA/registro, che emerge, in tema di tassazione degli
atti dell’autorità giudiziaria recanti “una condanna al pagamento di somme o
valori”, dal combinato disposto dell’art. 8, comma 1, lettera b), della Tariffa,
Parte I, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 e della Nota II) in calce al medesimo
articolo.
In tal senso, nella sentenza della Corte di Cassazione 19 gennaio 2018, n.
1341, quanto al rapporto tra garante e debitore, si legge, conformemente a
numerose precedenti pronunce, che “… l’affermata unitarietà ed inscindibilità
dell’operazione è esclusa dal fatto che il titolo da cui scaturisce il debito
principale è del tutto distinto dalla polizza fideiussoria, dalla quale è derivata la
prestazione di garanzia, stipulata tra debitore principale e garante in forza del
terzo creditore, considerato che il contratto di fideiussione stipulato tra
fideiussore e debitore ha ad oggetto l’impegno del primo di prestare la garanzia
nei confronti del creditore, a fronte, di norma, di una commissione, che ne
costituisce il corrispettivo, mentre il pagamento da parte del garante escusso
segna l’esecuzione della polizza fideiussoria e, quindi, l’esaurimento della
prestazione di garanzia”.
Né le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno ritenuto ricorrere nel caso
di specie l’istituto della surrogazione di cui agli articoli 1201 e seguenti del
codice civile.
In conclusione, in materia di imposta di registro, ai fini
dell’individuazione del corretto trattamento fiscale da applicare alla statuizione di
condanna contenuta in un decreto ingiuntivo ottenuto dal fideiussore nei
confronti del debitore principale nell’ambito dell’azione di regresso, assume
rilievo esclusivamente la circostanza che trattasi di provvedimento monitorio
recante una “condanna al pagamento di somme o valori”, con applicazione
dell’imposta proporzionale nella misura del 3 per cento ai sensi dell’art. 8 della
Tariffa, Parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986.
L’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, anche a
Sezioni Unite, è conforme alla posizione interpretativa espressa
dall’Amministrazione finanziaria (Risoluzione 22 febbraio 2017, n. 22/E )”.

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