22 Giugno, 2018

Rimanendo sempre in paziente attesa della riforma dei tributi locali c.d. “minori”, già prevista dalla normativa sul federalismo fiscale dall’art. 11 del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 (1), abrogato dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di Stabilità 2016), merita particolare attenzione questa pronuncia della Corte di Cassazione su un tema di vasto interesse riguardante la (ancora) vigente imposta comunale di pubblicità, disciplinata dal D.Lgs. 11 novembre 1993, n. 507.
Come si sa, con apposita legge (2), integrativa del testo dell’art. 17 del citato D.Lgs. n. 507/1993, sono state dichiarate esenti dal tributo comunale in rassegna – dopo decenni di controversie – le insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni e servizi che contraddistinguono la sede ove si svolge l’attività cui si riferiscono, di superficie complessiva fino a cinque metri quadrati; la definizione di insegna è poi codificata nell’art. 47, primo comma, del regolamento del codice stradale (D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495): «Si definisce insegna di esercizio», recita tale norma, «la scritta di caratteri alfanumerici, completata eventualmente da simboli e da marchi, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell’attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa. Può essere luminosa sia per luce propria che per luce indiretta».
Sulla nozione di “sede dell’attività” ai fini dell’applicazione dell’esenzione in esame si è soffermata la stessa Corte di Cassazione con la sentenza n. 7348 dell’11 maggio 2012 (in Boll. Trib. On-line), citata dall’annotata, escludendo da tale nozione i singoli distributori automatici di bevande e di cibi, installati in genere presso stazioni ferroviarie, uffici, ospedali, etc.
Nulla quaestio, per il caso in rassegna, sulla sussistenza di tali requisiti per la fattispecie in esame e, pertanto, sotto questo profilo, non esisteva alcun problema per il riconoscimento dell’esonero previsto dalla normativa richiamata in premessa; come mai – ci si chiede allora – la controversia è arrivata sin in Cassazione su ricorso del concessionario del servizio di riscossione del tributo in discussione, e la Suprema Corte ha concluso per il rigetto del gravame e della pretesa impositiva, disattendendo la richiesta del suo accoglimento, formulata dal Pubblico Ministero?
Una lettura attenta del testo dell’annotata pronuncia mette in evidenza un particolare importante: l’insegna in contestazione in realtà conteneva la riproduzione del marchio ufficiale dell’azienda integrata da quella di una tazzina di caffè contrassegnata dalla marca del prodotto e, probabilmente (ma la nella formulazione della pronuncia non lo si dice …) dalla scritta «il nostro vanto è il nostro espresso»; il solo appiglio alla nostra congettura sta nella frase del Collegio giudicante circa «l’inequivocabile vocazione pubblicitaria» dei cassonetti luminosi bifacciali ubicati presso le due sedi commerciali in questione.
Dunque, la presenza del marchio ufficiale dell’azienda produttrice, sì, ma anche l’esposizione di una qualità peculiare del prodotto, quale «unico caffè venduto a differenza di analoghi esercizi commerciali», accertata in punto di fatto dai giudici di merito.
La peculiarità del contenuto dell’insegna in causa non ha indotto la Corte di legittimità a mutare il giudizio dei due Collegi di merito, favorevole a riconoscere la presenza sostanziale di tutti i requisiti di legge per il riconoscimento del diritto all’esenzione ed è questa una deduzione rilevante, poiché testimonia uno sforzo interpretativo dei giudici nel cogliere lo spirito e la sostanza di una normativa mirata a detassare l’individuazione delle sedi delle attività commerciali con un mezzo (l’insegna) contenente i necessari elementi richiesti per tale individuazione; e l’aggiunta al marchio aziendale, nello stesso mezzo, di ulteriori elementi atti a dare certezza sui prodotti e sulla loro qualità non poteva condurre a negare il finale giudizio positivo sulla conformità a legge dell’insegna esposta e, quindi, sulla sua esentabilità dall’imposta di pubblicità.
Piena adesione, quindi, all’annotata sentenza.

Dott. Eugenio Righi

(1) Com’è ben noto, nell’originaria impostazione e formulazione del nuovo assetto dei tributi locali, delineate dalla normativa in materia di federalismo fiscale municipale (D.Lgs. n. 23/2011) si prevedeva, all’art. 11, di istituire, a fianco dell’imposta municipale propria, una imposta municipale secondaria, diretta a sostituire tutti i vari tributi comunali vigenti, quali la TOSAP (occupazione di suolo pubblico) e la COSAP, l’imposta di pubblicità ed i diritti sulle pubbliche affissioni ed il relativo canone sostitutivo, nonché l’addizionale per l’integrazione dei bilanci degli enti comunali.
(2) Ved. l’art. 10 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, e successive modificazioni: in materia cfr. E. RIGHI, Finanziaria 2002: fuori dall’imposta di pubblicità le insegne commerciali fino a cinque metri quadrati, in Boll. Trib., 2002, 110.

Imposta sulla pubblicità e pubbliche affissioni – Presupposto dell’imposta – Esenzione ex art. 17 del D.Lgs. n. 507/1993 – Insegna di superficie superiore a 5 mq. o ubicata in luogo diverso dalla sede di esercizio dell’attività commerciale o produttiva – Non spetta l’esenzione – Insegna di superficie fino a 5 mq. apposta presso la sede di attività dell’impresa – Spetta l’esenzione – Insegna contenente il marchio del prodotto – Irrilevanza.

In materia di imposta sulla pubblicità, le insegne sono soggette all’imposta ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, con le sole esenzioni di cui all’art. 17 del medesimo decreto, che riguardano, tra l’altro, le insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni o servizi che contraddistinguano la sede ove si svolge l’attività cui si riferiscono, di superficie fino a cinque metri quadrati, quand’anche l’insegna contenga il marchio del prodotto venduto, di talché ne deriva che le insegne ubicate in luoghi diversi dalla sede o di dimensioni superiori sono soggette all’imposta.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Merone, rel. Meloni), 13 febbraio 2015, sent. n. 2917, ric. Aipa s.p.a. c. Jolly Caffè s.p.a.]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – L’AIPA spa, nella sua qualità di azienda concessionaria del servizio di accertamento e riscossione dell’imposta comunale sulla pubblicità nel comune di Calenzano (Firenze), notificava alla ditta individuale Jolly Caffè spa un avviso di accertamento per omessa denuncia e mancato pagamento dell’imposta sulla pubblicità relativa ad un’insegna pubblicitaria di mq 2 apposta presso un esercizio commerciale sito in …
Avverso l’avviso di accertamento la società contribuente proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria provinciale di Firenze che lo accoglieva con sentenza confermata su appello dall’AIPA dalla Commissione Tributaria Regionale della Toscana.
I giudici di secondo grado respingevano l’appello dell’AIPA ritenendo che l’insegna Jolly Caffe non era un’insegna pubblicitaria bensì un’insegna di esercizio anche se conteneva il marchio del prodotto venduto e ciò in quanto individuava il tipo di esercizio con l’unico caffè venduto a differenza di analoghi esercizi commerciali.
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della Toscana ha proposto ricorso per cassazione AIPA spa con un motivo. La contribuente resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE – Con unico motivo di ricorso la ricorrente Aipa spa lamenta violazione di legge e falsa applicazione degli artt. 5 e 17 comma 1-bis D.L.gs 15/11/1993 nr. 507 in relazione all’art. 360 comma 1 nr. 5 cpc in quanto la CTR ha ritenuto applicabile l’esenzione prevista per le insegne di esercizio di cui all’art. 17 comma 1-bis D.L.vo 507/93 nonostante l’inequivocabile vocazione pubblicitaria dei due cassonetti luminosi bifacciali ubicati presso due esercizi commerciali.
Il ricorso proposto è infondato e deve essere respinto.
Infatti l’art. 12 prevede che le insegne sono soggette all’imposta sulla pubblicità, con le sole esenzioni di cui all’art. 17 DLgs 507 del 15 novembre 1933 il quale esenta (al comma 1-bis) solo “le insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni o servizi che contraddistinguono la sede ove si svolge l’attività cui si riferiscono, di superficie complessiva fino a 5 metri quadrati”. Poiché dalla ricostruzione del fatto operata nella stessa sentenza gravata emerge pacificamente che trattavasi, nella fattispecie, di due insegne apposte presso la sede in cui la società Jolly Caffè esercita la propria attività commerciale e di produzione, e che le dimensioni di dette insegne non erano superiori a quelle, di mq. 5, indicate nel D.P.R. n. 507 del 1993, art. 17, comma 1-bis) risulta palese la correttezza della decisione della Commissione Tributaria Regionale che ha ritenuto non tassabili le insegne de quibus che contraddistinguono la sede ove l’impresa svolge la propria attività commerciale.
Secondo questa Corte Sez. 5, Sentenza n. 7348 del 11/5/2012 (1), infatti, “In materia di imposta sulla pubblicità, le insegne sono soggette all’imposta ai sensi dell’art. 12 del d.P.R. 507 del 1993, con le sole esenzioni di cui all’art. 17 del medesimo decreto, che riguarda – tra l’altro – le insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni o servizi che contraddistinguano la sede ove si svolge l’attività cui si riferiscono, di superficie fino a cinque metri quadri; ne deriva che le insegne ubicate in luoghi diversi dalla sede o di dimensioni superiori sono soggetti all’imposta”.
Per quanto sopra il ricorso deve essere respinto e la ricorrente condannata al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M. – Respinge il ricorso e condanna la ricorrente AIPA spa al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi € 500,00.

(1) In Boll. Trib. On-line.

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