3 Maggio, 2016

 

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. La normativa di riferimento e le ragioni dell’istanza di interpello – 3. La risposta dell’Agenzia delle entrate.

 

 

1. Premessa

Con istanza ai sensi dell’art. 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), una società operante nel settore cartario ha presentato un interpello chiedendo di potersi avvalere, in quanto “esportatore abituale”, della facoltà di importare cellulosa senza pagamento dell’IVA in caso di forniture regolate da contratto di consignment stock.

In particolare, la società istante ha stipulato dei contratti in base ai quali le forniture di cellulosa, venduta da una società stabilita nell’Unione europea, ma prodotta in Brasile dalla controllante di questa e inviata direttamente in Italia in uno stabilimento appartenente alla società istante, sono regolate secondo lo schema negoziale conosciuto, con terminologia anglosassone, come consignment stock, per effetto del quale il trasferimento della proprietà dei beni è differito ad un momento successivo a quello della loro consegna o spedizione (1).

Nello specifico, la cellulosa proveniente dal Brasile viene inviata alla società istante e messa a disposizione, in deposito, nello stabilimento di questa in Italia. La stessa acquirente, avvalendosi di spedizionieri doganali, svolge la pratica di sdoganamento, l’espletamento delle formalità doganali nonché gli adempimenti IVA in dogana, compreso il versamento dell’IVA, e provvede alla conseguente registrazione della bolletta di importazione nel registro degli acquisti di cui all’art. 25 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Le movimentazioni della cellulosa in conto deposito sono annotate in apposito registro di carico e scarico, tenuto e conservato ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. n. 633/1972.

Al momento del prelievo della cellulosa o, al più tardi, entro la fine del mese successivo a quello della consegna, termine allo scadere del quale secondo gli accordi si produce comunque l’effetto traslativo a prescindere dal prelievo, la società applica l’inversione contabile ai sensi dell’art. 17, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972, indicando nel documento l’IVA relativa nonché gli estremi delle bollette doganali con cui la cellulosa è stata introdotta e quelli di registrazione nel registro degli acquisti; il documento viene annotato nei registri delle vendite e degli acquisti in maniera distinta appositamente contrassegnato, secondo le indicazioni della citata risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 346/E/2008, posto che l’IVA è già stata assolta e annotata all’atto dell’importazione.

Nell’istanza di interpello la società, possedendo lo status di esportatore abituale, ha chiesto conferma circa la possibilità di presentare preventivamente in dogana la dichiarazione di intento di cui all’art. 1, primo comma, lett. c), del D.L. 29 dicembre 1983, n. 746 (convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17), per importare la cellulosa oggetto della fornitura regolata da consignment stock senza pagamento dell’IVA (e fermi restando gli altri adempimenti menzionati) ai sensi dell’art. 8, primo comma, lett. c), e secondo comma, e dell’art. 68, primo comma, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972.

L’istante riteneva che la circostanza che l’operazione di importazione venisse posta in essere tramite un contratto di consignment stock, che differisce gli effetti traslativi ad un momento successivo a quello dell’importazione, non facesse venire meno la possibilità di importare beni senza pagamento dell’imposta. La società riteneva cioè di poter validamente presentare la dichiarazione di intento in dogana e importare così i beni senza pagamento dell’IVA, evidenziando che, secondo la disciplina dell’IVA all’importazione, occorre riferirsi a quanto previsto dalla normativa doganale, in base alla quale, affinché sorga l’obbligazione doganale, non è richiesto che l’importatore sia necessariamente anche proprietario della merce.

A seguito dell’istanza, l’Agenzia delle entrate ha fornito una risposta, che non è stata diffusa al pubblico, con la quale ha condiviso la soluzione interpretativa prospettata dal contribuente.

[-protetto-]

2. La normativa di riferimento e le ragioni dell’istanza di interpello

Come è noto, il consignment stock è un negozio atipico di derivazione anglosassone, ad effetti traslativi differiti. Ai fini della questione qui trattata, ciò che rileva maggiormente è che, in base a tale contratto, fino al momento del prelievo dal deposito dei beni da parte del depositario/acquirente, i beni restano di proprietà del venditore mentre il depositario/acquirente ne ha la mera disponibilità. Non era quindi del tutto pacifico, non risultando pronunce di prassi amministrativa, che nel caso di importazione in esecuzione di fornitura regolata con consignment stock, il soggetto importatore, non ancora proprietario dei beni all’atto dell’importazione, potesse avvalersi della facoltà di utilizzare il “plafond” per non assolvere l’IVA in dogana. La questione, invero, “compariva” nella citata risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 346/E/2008, ma era posta solo incidentalmente e sul punto l’Agenzia non si pronunciava (2).

Per quanto riguarda la disciplina degli esportatori abituali, va ricordato che l’art. 8, primo comma, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972, consente ai soggetti che effettuano cessioni all’esportazione e operazioni assimilate, in presenza di determinate condizioni, di potersi avvalere «della facoltà di acquistare, …, o importare beni e servizi senza pagamento dell’imposta».

A tale fine, occorre non solo che il soggetto sia in possesso dei requisiti richiesti per la qualifica di esportatore abituale ma anche che, anteriormente all’effettuazione dell’operazione, lo stesso trasmetta telematicamente all’Agenzia delle entrate, e poi consegni al fornitore o prestatore, ovvero in dogana, unitamente alla ricevuta di presentazione telematica, la dichiarazione d’intento di cui all’art. 1, comma 1, lett. c), del D.L. n. 746/1983 (3).

Quest’ultima disposizione, come noto, prescrive le condizioni alle quali il soggetto che possiede lo status di esportatore abituale può dichiarare «l’intento di avvalersi della facoltà di effettuare acquisti o importazioni senza applicazione della imposta». Analogamente, secondo l’art. 2, secondo comma, della legge 18 febbraio 1997, n. 28, i soggetti che si trovano nelle condizioni previste dal predetto art. 1 del D.L. n. 746/1983 «possono effettuare acquisti ed importazioni senza pagamento dell’imposta, in ciascun anno, nel limite ...» del cosiddetto «plafond».

Pertanto, assume rilievo ai fini delle disposizioni in esame il concetto di effettuazione delle importazioni.

L’art. 1 del D.P.R. n. 633/1972, nel recepire quanto disposto dall’art. 2 della Direttiva CE del 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE, circoscrive l’ambito applicativo del tributo, stabilendo che «L’imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate».

Le importazioni, quindi, ai fini IVA costituiscono un autonomo fatto generatore dell’imposta, per il quale non sono previsti ulteriori requisiti, che si distingue nettamente dalle cessioni di beni e dalle prestazioni di servizi, che trovano definizione rispettivamente negli artt. 2 e 3 del D.P.R. n. 633/1972.

L’art. 67 del D.P.R. n. 633/1972 definisce poi puntualmente le operazioni che costituiscono importazioni ai fini IVA; in particolare, secondo l’art. 67, primo comma, lett. a), costituiscono, tra l’altro, importazioni «le seguenti operazioni aventi per oggetto beni introdotti nel territorio dello Stato, che siano originari da Paesi o territori non compresi nel territorio della Comunità e che non siano stati già immessi in libera pratica in altro Paese membro della Comunità medesima ovvero che siano provenienti dai territori da considerarsi esclusi dalla Comunità a norma dell’articolo 7: a) le operazioni di immissione in libera pratica» (4).

Dunque, occorre considerare che l’IVA all’importazione, in virtù della sua particolare natura e delle caratteristiche che la differenziano rispetto all’imposta sulle cessioni interne, non gode di una disciplina autonoma, ma è imperniata sulla disciplina doganale, con la conseguenza che il soggetto di imposta per l’IVA all’importazione coincide con il soggetto debitore dell’obbligazione doganale.

È necessario pertanto fare riferimento alle norme relative, recate dal D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, Testo Unico delle Leggi Doganali, e dal Regolamento (UE) del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 ottobre 2013, n. 952, istitutivo del Codice doganale dell’Unione, rifusione del precedente Regolamento (CE) n. 450/2008 (5).

In particolare l’art. 77 del Regolamento (UE) n. 952/2013 prevede che l’obbligazione doganale all’importazione sorge nel momento «dell’accettazione della dichiarazione in dogana», presentata per il vincolo delle merci ad uno dei regimi doganali previsti, tra cui l’immissione in libera pratica, e che «il debitore è il dichiarante» (6).

Quanto alla figura del “dichiarante”, l’art. 170 dello stesso Regolamento dispone che «la dichiarazione in dogana può essere presentata da qualsiasi persona che sia in grado di fornire tutte le informazioni richieste per l’applicazione delle disposizioni che disciplinano il regime doganale per il quale sono dichiarate le merci. Tale persona deve inoltre essere in grado di presentare o far presentare le merci in questione in dogana».

Nell’ambito dell’ordinamento interno, il D.P.R. n. 43/1973, tramite l’art. 38, comma 1, e il successivo art. 56, rinvia, seppure riferendosi ancora al precedente Regolamento (CEE) n. 2913/1992, a quanto previsto dalle disposizioni comunitarie (7).

Considerato quanto disposto dagli artt. 77 e 170 del Regolamento (UE) n. 952/2013, al quale il D.P.R. n. 43/1973 rinvia, è pertanto evidente che, ai fini dell’obbligazione tributaria doganale, il concetto di proprietario della merce non ha autonomo rilievo, mentre assume un ruolo centrale la figura del dichiarante, intendendosi per tale colui che fa la dichiarazione in dogana in nome proprio ovvero la persona in nome della quale è fatta la dichiarazione in dogana. Ne deriva dunque che, affinché si realizzi un’operazione di importazione, la circostanza che, nello stesso momento, il soggetto importatore sia anche l’effettivo proprietario della merce importata non rileva (8).

In senso conforme è la sentenza della Corte di Cassazione n. 7016/2001 (9) in relazione al diritto di detrazione dell’IVA assolta in dogana da parte del soggetto che importa i beni senza esserne il proprietario effettivo. Nel caso sottoposto all’esame della Corte, l’Amministrazione finanziaria aveva negato il diritto dell’importatore, che non fosse anche effettivo proprietario della merce, di detrarre l’IVA assolta in dogana, fondando la propria contestazione sull’assunto che il diritto alla detrazione compete all’importatore soltanto se lo stesso consegue la proprietà dei beni importati. In merito, i Supremi Giudici hanno rilevato come «La tesi dell’Amministrazione si basa su un fondamentale errore di prospettiva, in quanto ricostruisce l’operazione imponibile dell’importazione attuando una “contaminatio” tra tale fattispecie e quella della cessione in ambito nazionale, la quale, secondo l’art. 2, comma 1, del decreto i.v.a., importa “il trasferimento della proprietà o trasferimento di diritti reali di godimento su beni di ogni genere”». Sicché la Corte, richiamando (10) l’allora vigente Direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977 (poi rifusa nella vigente Direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006), ha evidenziato come «Perché sussista tale operazione [ossia l’importazione] non è richiesto, come per le cessioni di beni (art. 5), “il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario”».

Sulla scorta dell’art. 21 della Direttiva n. 77/388/CEE (ora art. 201 della Direttiva n. 2006/112/CE), secondo cui «All’importazione l’IVA è dovuta dalla o dalle persone designate o riconosciute come debitrici dallo Stato membro d’importazione», la Corte ha inoltre precisato che occorre riferirsi alle disposizioni della normativa doganale che individuano quale debitore dell’obbligazione tributaria il soggetto dichiarante, il quale non necessariamente coincide con il soggetto in capo al quale si produce l’effetto traslativo della proprietà dei beni importati. Alla luce di tali considerazioni, i giudici hanno concluso che «per il combinato disposto della disciplina comunitaria uniforme con il diritto doganale interno, tutti i soggetti cui compete la qualità di debitori dell’i.v.a. in relazione a operazioni di importazione hanno, in astratto, il diritto di detrazione del tributo pagato, purché ricorrano le ulteriori condizioni per la nascita di tale diritto, e principalmente l’impiego del bene importato per l’esercizio dell’impresa e per il compimento di operazioni soggette ad i.v.a., ovvero, secondo l’espressione corrente nella prassi italiana, l’inerenza all’esercizio dell’impresa».

La Corte di Cassazione ha dunque stabilito l’importante principio secondo cui è riconosciuto il diritto alla detrazione dell’IVA assolta in dogana ad un soggetto importatore, in capo al quale si verificano tutte le condizioni richieste a tal fine dall’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972, ancorché non proprietario al momento dell’importazione. Con due risoluzioni emanate nel 2007 e nel 2008, l’Agenzia delle entrate ha confermato i medesimi principi.

In particolare, con la risoluzione 11 maggio 2007, n. 96/E (11), l’Agenzia delle entrate ha illustrato gli adempimenti IVA da assolvere nel caso di importazione di beni secondo lo schema contrattuale del prestito d’uso, in base al quale i beni rimangono di proprietà del soggetto che li concede in prestito, fino all’eventuale esercizio di opzione d’acquisto da parte del soggetto utilizzatore (momento in cui si realizzerà il passaggio di proprietà in capo a quest’ultimo). In tale pronuncia l’Agenzia, dopo aver ricordato che «le disposizioni in materia doganale consentono a soggetti diversi dal proprietario effettivo delle merci, di operare in dogana in nome proprio e per conto del proprietario, posto che le disposizioni medesime considerano come proprietario delle merci colui che le presenta in dogana o le detiene al momento dell’entrata nel territorio doganale o dell’uscita del territorio stesso», ha precisato che «la proprietà dei beni importati non è condizione necessaria per ottenere la detrazione dell’IVA pagata, bensì occorre che i beni o servizi acquisiti presentino un nesso immediato e diretto con l’oggetto dell’attività d’impresa, ossia siano ad essa inerenti».

Orientamento successivamente confermato con la più volte menzionata risoluzione n. 346/E/2008, in relazione ad un’importazione di beni effettuata proprio tramite lo schema negoziale del consignment stock. Anche in tale occasione l’Agenzia delle entrate, dopo aver richiamato la precedente risoluzione n. 96/E/2007, ha ribadito che «la circostanza che le disposizioni in materia doganale consentono a soggetti diversi dal proprietario effettivo delle merci di operare in dogana in nome proprio e per conto del proprietario, consente di affermare che la proprietà dei beni importati non è condizione necessaria per ottenere la detrazione dell’IVA pagata, bensì occorre che i beni e servizi acquisiti presentino un nesso immediato e diretto con l’oggetto dell’attività d’impresa, ossia siano ad essa inerenti»; conseguentemente, anche nel caso in cui la merce «sia importata in virtù di un contratto di consignment stock, in base al quale l’acquirente italiano acquisterà la proprietà dei beni solo al momento del loro prelievo dal deposito, e quindi in un momento successivo rispetto al transito delle merci in dogana, si ritiene che la società istante abbia, da un lato, l’obbligo di assolvere l’IVA in dogana e, dall’altro, il diritto di esercitare la detrazione dell’Iva medesima ai sensi dell’articolo 19 del dPR n. 633 del 1972, previa annotazione della bolletta doganale nel registro di cui all’art. 25 del medesimo decreto».

Pertanto, dal momento che ai fini del diritto ad esercitare la detrazione dell’IVA assolta in dogana, la proprietà dei beni importati non costituisce una condizione necessaria (essendo invece necessario unicamente che in capo all’importatore, ancorché non proprietario effettivo delle merci, sussistano i requisiti richiesti dall’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972), è da ritenere che non vi siano ostacoli, per un esportatore abituale, all’esercizio della facoltà di importare beni senza applicazione dell’IVA, presentando in dogana la dichiarazione di intento ancorché, per effetto del contratto di consignment stock, al momento dell’importazione non si siano ancora verificati gli effetti traslativi della proprietà, differiti al successivo momento del prelievo dei beni dal deposito o del decorso del termine contrattuale. L’importazione senza applicazione dell’IVA è infatti una modalità alternativa, concessa dalla legge all’esportatore abituale, rispetto al meccanismo del pagamento e della detrazione, per recuperare l’imposta che sarebbe dovuta sull’importazione stessa.

Una differente soluzione peraltro penalizzerebbe ingiustificatamente, sotto il profilo finanziario, gli operatori che dispongono di un “plafond”, ancor più se di ingente ammontare e che riescono ad utilizzare solo in parte. Del resto la disciplina IVA degli esportatori abituali ha lo scopo di bilanciare la situazione dei soggetti che, per il tipo di attività svolta, si trovano strutturalmente a credito di imposta, i quali, a causa dei possibili ritardi nell’esecuzione dei rimborsi, rischierebbero di essere iniquamente penalizzati rispetto agli altri operatori economici (la norma è stata introdotta anche al fine di tutelare un settore particolarmente strategico per il Paese come quello dell’esportazione).

La situazione di credito fisiologico è molto comune per quelle imprese, caratterizzate da un ciclo produttivo continuo, finalizzato a mantenere il magazzino costantemente rifornito, così da potere soddisfare tempestivamente le esigenze del mercato. Negare la possibilità di presentare in dogana la dichiarazione di intento e, quindi, di utilizzare il “plafond” disponibile, nel caso di fornitura regolata con un contratto di consignment stock, significherebbe disattendere la ratio stessa delle previsioni citate, penalizzando, senza valide ragioni, taluni esportatori abituali rispetto ad altri, nonché disincentivando il ricorso al negozio del consignment stock, il cui utilizzo risponde ad esigenze commerciali di tutto rilievo sul piano pratico e costituisce, infatti, prassi sempre più diffusa tra le imprese operanti su scala internazionale.

3. La risposta dell’Agenzia delle entrate

L’Agenzia delle entrate ha condiviso le conclusioni a cui era giunta la società istante e ha accolto la soluzione da questa prospettata.

Nella propria risposta in particolare l’Agenzia ha richiamato il principio secondo cui la disposizione normativa, sia interna che comunitaria, prevede che possano essere effettuati acquisti senza applicazione dell’imposta anche da parte del soggetto importatore, il quale non necessariamente coincide con il proprietario dei beni, citando in proposito la giurisprudenza e la prassi amministrativa richiamate dalla società istante (e sopra menzionate). L’Agenzia ha dunque evidenziato che la spendita del “plafond” costituisce sostanzialmente, in presenza di determinate condizioni, una modalità alternativa di recupero dell’imposta che sarebbe dovuta sugli acquisti e sulle importazioni, alternativa alla richiesta di rimborso e non un’agevolazione in senso tecnico. Pertanto, secondo l’Agenzia, si può ritenere che il soggetto importatore, tenuto ad assolvere l’IVA in dogana, possa avvalersi della spendita del “plafond” nei limiti in cui avrebbe avuto diritto a detrarre l’imposta se questa fosse stata ordinariamente assolta.

La risposta dell’Agenzia delle entrate è da accogliere con favore, in quanto coerente con il dettato normativo e i principi sopra richiamati, oltre ad eliminare, nel caso specifico oggetto dell’istanza di interpello, i dubbi sulla possibilità di operare all’importazione con forniture di beni regolate da consignment stock presentando la dichiarazione d’intento degli esportatori abituali.

Dott. Giuseppe Caldesi – Avv. Fabio Gallio

 

(1) Si ricordano le principali pronunce di prassi amministrativa in tema di consignment stock: ris. 18 ottobre 1996, n. 235/E, in Boll. Trib., 1996, 1689; ris. 10 aprile 2000, n. 44/E, ivi, 2000, 691; ris. 5 maggio 2005, n. 58/E, ivi, 2005, 1302; ris. 15 febbraio 2008, n. 49/E, in Boll. Trib. On-line; ris. 5 agosto 2008, n. 346/E, ivi; e ris. 13 dicembre 2013, n. 94/E, in Boll. Trib., 2014, 125.

(2) Con tale risoluzione infatti l’Agenzia delle entrate rendeva pubblica la risposta ad un interpello nel quale, proprio in relazione ad una fornitura di beni da importare regolata con lo schema negoziale del consignment stock, la società istante chiedeva se l’IVA corrisposta in dogana, essendo relativa a beni inerenti l’attività dell’impresa, potesse essere portata immediatamente in detrazione. L’Agenzia ha risposto positivamente sulla detrazione, mentre non si è espressa – dal momento che non era oggetto del quesito – riguardo alla possibilità di presentare la dichiarazione d’intento in dogana. Infatti, dalla premessa della risoluzione si intende che la stessa società istante, nel porre il proprio quesito, affermava di ritenere di non potere importare i beni utilizzando il “plafond”, pur essendo un esportatore abituale, poiché con tale contratto non si realizza immediatamente il trasferimento della proprietà della merce importata. Di conseguenza, circa quest’ultimo aspetto l’Agenzia nulla ha detto, lasciando in tal modo la questione irrisolta.

(3) Come noto, tale diposizione è stata modificata dall’art. 20, primo comma, lett. a), del D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175 (cosiddetto “Decreto Semplificazioni”). Ai sensi del terzo comma del medesimo art. 20, la disposizione si applica alle dichiarazioni d’intento relative ad operazioni senza applicazione dell’imposta da effettuare a decorrere dal 1° gennaio 2015. L’intervento del “Decreto Semplificazioni” ha avuto ad oggetto anche la disciplina sanzionatoria collegata ai nuovi adempimenti; è infatti stato riformulato il comma 4-bis dell’art. 7 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, in base al quale ora il cedente o prestatore che effettua cessioni o prestazioni, di cui all’art. 8, primo comma, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972, prima di effettuare la relativa operazione, deve riscontrare telematicamente l’avvenuta presentazione all’Agenzia delle entrate, pena l’applicazione della sanzione amministrativa dal cento al duecento percento dell’imposta. Inoltre, con provv. 12 dicembre 2014, n. 159674, in Boll. Trib., 2015, 56, poi modificato con provv. 11 febbraio 2015, n. 19388, ibidem, 269, è stato approvato il modello per la dichiarazione d’intento relativa all’acquisto o importazione di beni e servizi senza applicazione dell’IVA, delle relative istruzioni e delle specifiche tecniche per la trasmissione telematica dei dati. Sull’argomento si segnalano comunic. stampa dell’Agenzia delle entrate 22 dicembre 2014; circ. 30 dicembre 2014, n. 31/E, in Boll. Trib., 2015, 59; nota dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli 11 febbraio 2015, n. 17631/RU; comunic. stampa dell’Agenzia delle entrate 12 febbraio 2015; e circ. 19 febbraio 2015, n. 6/E, in Boll. Trib., 2015, 271.

(4) Del pari, a livello comunitario, la predetta Direttiva CE, nel definire le importazioni, all’art. 30 stabilisce che «Si considera «importazione di beni» l’ingresso nella Comunità di un bene che non è in libera pratica ai sensi dell’articolo 24 del trattato», prevedendo, poi, al successivo art. 70, che «Il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diventa esigibile nel momento in cui è effettuata l’importazione di beni». Inoltre, secondo l’art. 24 del Trattato istitutivo della Comunità, «Sono considerati in libera pratica in uno Stato membro i prodotti provenienti da paesi terzi per i quali siano state adempiute in tale Stato le formalità di importazione e riscossi i dazi doganali e le tasse di effetto equivalente esigibili e che non abbiano beneficiato di un ristorno totale o parziale di tali dazi e tasse». In particolare, con l’immissione in libera pratica viene attribuita alle merci non unionali la posizione doganale di merci unionali.

(5) Regolamento (CE) n. 450/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, istitutivo del Codice doganale comunitario (Codice doganale aggiornato), il quale a sua volta era destinato a sostituire il Regolamento (CEE) n. 2913/1992 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, istitutivo del Codice doganale comunitario.

(6) Per esteso, l’art. 77 del Regolamento CE del 9 ottobre 2013, n. 952, dispone che: «1. Un’obbligazione doganale all’importazione sorge in seguito al vincolo di merci non unionali soggette a dazi all’importazione a uno dei regimi doganali seguenti: a) immissione in libera pratica, compreso il regime dell’uso finale; b) ammissione temporanea con parziale esonero dai dazi all’importazione. 2. L’obbligazione doganale sorge al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana. 3. Il debitore è il dichiarante. In caso di rappresentanza indiretta, è debitrice anche la persona per conto della quale è fatta la dichiarazione in dogana. Quando una dichiarazione in dogana per uno dei regimi di cui al paragrafo 1 è redatta in base a dati che determinano la mancata riscossione totale o parziale dei dazi all’importazione, la persona che ha fornito i dati necessari per la stesura della dichiarazione ed era, o avrebbe dovuto ragionevolmente essere, a conoscenza della loro erroneità è anch’essa debitrice».

(7) In particolare, l’art. 38, comma 1, del D.P.R. n. 43/1973, stabilisce che «Al pagamento dell’imposta doganale sono obbligati il proprietario della merce, a norma dell’art. 56, e, solidalmente, tutti coloro per conto dei quali la merce è stata importata od esportata». A sua volta, l’art. 56 prevede che «Ogni operazione doganale deve essere preceduta da una dichiarazione in dogana da rendersi ai sensi dell’articolo 64 del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992». L’art. 56, dunque, rinvia all’art. 64 del precedente Regolamento (CEE) n. 2913/1992, sostituito dal vigente art. 170 del Regolamento (UE) n. 952/2013, ai sensi del quale la dichiarazione in dogana può essere presentata da qualsiasi soggetto sia in grado di fornire tutte le informazioni richieste per l’applicazione delle disposizioni che disciplinano il regime doganale per il quale le merci sono dichiarate.

(8) In proposito, con alcune risalenti pronunce di prassi amministrativa era stato precisato che, ai fini doganali, per effetto di quanto disposto dall’art. 56 del D.P.R. n. 43/1973, opera una sorta di “fictio iuris” per la quale si considera come proprietario della merce colui che la presenta in dogana ovvero che la detiene al momento dell’entrata o dell’uscita dal territorio doganale. Si vedano ad esempio ris. 10 agosto 1989, n. 529, in Boll. Trib., 1989, 1572; ris. 30 giugno 1990, n. 400393, ivi, 1990, 1469; e ris. 21 dicembre 1990, n. 431354, ivi, 1991, 374.

(9) Cfr. Cass., sez. trib., 23 maggio 2001, n. 7016, in

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Boll. Trib., 2001, 1115.

(10) In particolare le disposizioni dell’art. 2 che, tra le operazioni imponibili, distingueva le cessioni di beni e le prestazioni di servizi all’interno del Paese e le importazioni di beni, e dell’art. 7, che definiva le importazioni.

(11) In Boll. Trib. On-line.

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