26 Settembre, 2016

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SOMMARIO: Premessa e definizioni – 1. L’ambito oggettivo di applicazione (commi 1 e 10) – 2. L’estensione dell’ambito soggettivo (comma 1) – 3. Redazione dell’atto di reclamo (rectius: ricorso) (comma 1) – 4. La conferma della improcedibilità (comma 2) – 5. La costituzione in giudizio (comma 3) – 6. Le modalità di gestione degli atti di reclamo (commi 4 e 9) – 7. Il mancato accoglimento del reclamo/mediazione (comma 5) – 8. Il perfezionamento dell’accordo (comma 6) – 9. Sanzioni e riscossione (commi 7 e 8) – 10. Le spese di lite (art. 15, comma 2-septies) – 11. Conclusioni.

Premessa e definizioni

In attuazione di quanto stabilito dall’art. 10 della legge delega 11 marzo 2014, n. 23, la nuova versione del contenzioso tributario, contenuta nel D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, definita quale “revisione” del testo precedente, si estende a gran parte degli articoli del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, anche se – ma a confermarlo sarà solo la prassi operativa concreta – probabilmente non farà ancora assurgere quello tributario, fra le altre tipologie giurisdizionali, a rango di vero e proprio processo come, invece, gli competerebbe.
Ad ogni buon fine, in attesa di capire se davvero, prima o poi, verranno istituiti Tribunali e Corti di Appello tributarie, se si arriverà a giudici tributari togati, ad un’organizzazione delle Commissioni tributarie separata da quella dell’Amministrazione finanziaria che è pur sempre parte del giudizio, con il presente lavoro ci si prefigge lo scopo di (provare ad) approfondire una delle più rilevanti novità introdotte dalla riforma (quantomeno in considerazione dell’avvenuta sua generalizzazione) che mira a:
• ridurre – in qualche modo – le controversie tra gli enti impositori (Agenzia delle entrate, Agenzia delle dogane e dei Monopoli e agente della riscossione, ecc.) e i contribuenti che, nel solo 2014, hanno raggiunto un valore di circa 30 miliardi di euro, con larga prevalenza di quelle di valore inferiore a 20.000 euro (1);
• abbreviare – per quanto possibile – la durata dei processi, stimata in due anni e otto mesi per il primo grado e due anni per il secondo grado, oltre a quello di legittimità davanti alla Corte di Cassazione, la cui durata non è preventivabile.
In sostanza, sarà oggetto di esame, nel seguito del presente contributo, la rinnovata versione dell’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992, avente ad oggetto: “Il reclamo e la mediazione”, che entrerà in vigore dal prossimo 1° gennaio 2016: si tratta – come ben noto – non di istituto nuovo, per essere lo stesso già stato introdotto dallo scorso 1° aprile 2012, per effetto del comma 11 dell’art. 39 del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111) (2), ma che, come si dirà, andrà assumendo una nuova veste, tale da farne considerare – senza tema di smentita – una delle (se non la) novità più significativa della presente “riforma” (3).
Ma prima di procedere mi sia consentito fornire alcuni elementi in chiave terminologica, anche per meglio comprendere il significato e la portata del presente istituto.
Nel diritto processuale civile, il reclamo è il rimedio apprestato contro i provvedimenti del giudice (consistenti in ordinanze e decreti) emessi sia nel processo di cognizione che in quello di esecuzione, nonché nel procedimento di volontaria giurisdizione; di regola non è impugnabile in cassazione dato che non è suscettibile di acquisire l’efficacia di cosa giudicata e viene previsto in una disparata serie di ipotesi, tra le quali – senza dubbio – la più importante è quella di rimedio, ai sensi dell’art. 669-terdecies c.p.c., contro l’ordinanza con la quale è stato concesso o negato il provvedimento cautelare, e in tal caso è ammesso reclamo nel termine perentorio di 15 giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore.
La mediazione, invece, non è definita quale contratto tipico nel nostro codice civile che si limita solo a qualificare la figura del mediatore, quale soggetto terzo rispetto alle parti, la cui attività consiste proprio nel metterle in contatto al fine di farle concludere un affare, e di fare incontrare la domanda e l’offerta in ordine ad un determinato bene o servizio: da qui la prevalente dottrina e la giurisprudenza che ritengono la mediazione un contratto atipico (4).
Vista, poi, sotto la lente processuale, per mediazione si intende un procedimento di composizione di una controversia tra due o più parti in lite fra loro, il cui scopo è quello di cercare una soluzione condivisa tra istanze diverse e apparentemente inconciliabili per ridurre il già gravoso ammontare di cause pendenti sul “tavolo” dei giudici.
Attraverso la mediazione, infatti, si cerca di far raggiungere alle parti un accordo che chiude in maniera definitiva la lite prima che essa venga affrontata in Tribunale o presso un qualunque Organo di giustizia; peraltro, segnalo che, da ultimo, stante l’elevato numero di processi in corso nelle aule giudiziarie di tutto il Paese, per una serie di procedimenti civili, tassativamente indicati, prima di intentare una causa occorre “tentare” obbligatoriamente la mediazione (5).
Ma di tutto questo cosa residua o cosa, invece, si diversifica nell’istituto introdotto nel diritto tributario?
Volendo fornire una prima valutazione ben si potrebbe sostenere che con tale reclamo, in sostanza, si tende ad instaurare una fase preliminare, finalizzata all’esame, in sede amministrativa, della potenziale controversia, che potrà essere risolta nel dialogo tra il contribuente e l’Ufficio impositore, tenuto conto della situazione di fatto e di diritto sottesa alla singola fattispecie ed evitando, così, gli oneri e l’alea del giudizio.
Si tratta, dunque, di uno strumento deflattivo del contenzioso, nel cui contesto è facoltà del contribuente formulare anche una proposta di mediazione, ragion per cui l’istituto disciplinato dall’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992 viene convenzionalmente denominato “mediazione tributaria”, delle cui caratteristiche e novità andiamo ora ad occuparci, non prima di affermare che probabilmente l’uso del termine mediazione risulta inappropriato dal momento che, in quella tributaria, non vi è una figura di soggetto terzo, estraneo alle parti, che interviene per avvicinare le parti, al fine di evitare l’insorgere o la prosecuzione di una controversia (6).

1. L’ambito oggettivo di applicazione (commi 1 e 10)

Resta fermo, quanto al valore, l’ambito oggettivo di applicazione dell’istituto che continuerà a riguardare tutte le controversie – da instaurare dinanzi alle speciali Commissioni tributarie e, quindi, rientranti nella giurisdizione di queste ultime, alla luce di quanto disposto dall’art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992 – di valore non superiore a € 20.000,00 che, per come detto, rappresentano la maggior parte delle controversie pendenti dinanzi a tali giudici.
Viene, poi, confermato il criterio di quantificazione della somma suddetta, e ciò attraverso il rinvio a quanto disposto dall’art. 12, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, secondo cui il valore della lite è pari all’importo del tributo controverso, al netto di eventuali interessi e sanzioni applicate nell’atto impositivo oggetto di impugnazione; nel caso, invece, di atto di irrogazione di sole sanzioni, il valore della lite è determinato dalla somma di queste.
Pertanto, qualora un atto si riferisca a più tributi (per esempio, IRPEF e IRAP ovvero imposte di registro, ipotecaria e catastale) il valore deve essere calcolato con riferimento al totale delle imposte che hanno formato oggetto di contestazione da parte del contribuente; invece, in presenza di una impugnazione cumulativa (7) avverso una pluralità di atti, la necessità di uno specifico e concreto nesso tra l’atto impositivo oggetto dell’istanza di mediazione e le contestazioni formulate dal contribuente, richiesto dall’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, impone di individuare il valore della lite con riferimento a ciascun atto impugnato con il ricorso cumulativo (8).
Relativamente alle controversie aventi ad oggetto il rifiuto espresso o tacito alla restituzione di tributi, il valore della controversia va, invece, determinato tenendo conto dell’importo del tributo richiesto a rimborso, al netto degli accessori. Nel caso in cui l’istanza di rimborso riguardi più periodi d’imposta, occorre fare riferimento al singolo rapporto tributario sottostante al singolo periodo d’imposta: pertanto, in tali ipotesi, il valore della lite è dato dall’importo del tributo richiesto a rimborso per ogni singolo periodo di imposta (9).
Costituisce, invece, novità assoluta – pur assumendo le stesse natura di controversie di valore indeterminabile (10) – l’estensione dell’istituto de quo alle controversie di natura catastale, per come disciplinate dal primo periodo del secondo comma dell’art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992, secondo cui: «Appartengono altresì alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale».
Pertanto, a partire dagli atti notificati dal 1° gennaio 2016, saranno assoggettati all’obbligo del previo esperimento della fase di mediazione tributaria i ricorsi con cui si impugnano gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nel sopra richiamato art. 2, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, e previsti dall’art. 19, primo comma, lett. f), del suddetto decreto, emessi dagli Uffici dell’Agenzia delle entrate, subentrati agli ex Uffici provinciali dell’Agenzia del territorio (11).
Ovviamente, continueranno ad essere oggetto di applicazione della procedura di reclamo/mediazione le controversie catastali qualora oggetto di contestazione sia non solo la rendita attribuita, ma anche il tributo liquidato e/o i relativi accessori ovvero le sanzioni irrogate con il medesimo atto: si pensi, a titolo esemplificativo, al ricorso con il quale il contribuente impugna l’atto di attribuzione della rendita presunta di cui all’art. 19, decimo comma, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), al fine di contestare i correlati tributi speciali catastali, relativi accessori e sanzioni (12).
Sono, invece, escluse dall’applicazione del reclamo/mediazione:
• le altre (rispetto a quelle catastali) controversie di valore indeterminabile, tra le quali si possono annoverare quelle in materia di diniego di iscrizione all’Anagrafe unica delle ONLUS o, ancora, quelle concernenti la concessione o meno di un’agevolazione (13);
• nonché, ai sensi del successivo decimo comma dell’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992, le controversie di cui all’art. 47-bis del decreto citato, in materia di atti volti al recupero di aiuti di Stato (14).
Una ulteriore novità è, infine, rappresentata dalla eliminazione dell’inciso, presente nella precedente versione, che escludeva la possibilità di ricorso all’istituto della conciliazione giudiziale di cui all’art. 48 del D.Lgs. n. 546/1992, con ciò probabilmente il legislatore della revisione, prevedendo espressamente che anche le controversie proposte avverso atti reclamabili possono essere oggetto di conciliazione, evidenzia l’intento di ulteriore potenziamento degli istituti deflativi del contenzioso, sia prima che durante il processo, anche attraverso il ricorso alla conciliazione giudiziale.

2. L’estensione dell’ambito soggettivo (primo comma)

È con la “semplice” soppressione, dal testo della legge precedente (in vigore fino al 30 dicembre 2015), “relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate” che – a fare tempo dal 1° gennaio 2016 – l’istituto de quo sarà applicabile a tutte le controversie di competenza delle Commissioni tributarie, in relazione alla impugnazione di atti e provvedimenti emessi lato sensu da qualsivoglia “ente impositore”, sia esso:
• l’Agenzia delle entrate;
• l’Agenzia delle dogane e dei monopoli (15);
• gli Enti locali (Regioni, Province e Comuni) in relazione ai tributi locali propri o a quelli da essi amministrati (ad esempio, ICI, TARI, TASI, TOSAP, addizionali locali, imposta o canone sulla pubblicità, bollo auto, ecc.);
• le cancellerie o segreterie degli Uffici giudiziari, per il contenzioso in materia di contributo unificato;
• nonché Equitalia Spa e Società del gruppo, fino ai concessionari della riscossione degli enti locali, iscritti all’albo di cui all’art. 53 del D.Lgs. n. 546/1992, in relazione agli atti “propri” da questi emessi.
Si apre, così, davvero un nuovo e vastissimo “mondo”, in cui – di fatto – tutta la materia contenziosa tributaria si caratterizza dall’obbligo del previo esperimento del tentativo di mediazione, perpetrato attraverso il reclamo, il cui unico vero limite – fatte salve davvero poche eccezioni – è rappresentato dal valore della lite (fino a ventimila euro).
Ne deriva, così, che sono oggetto di reclamo/mediazione, le controversie relative a:
• l’avviso di accertamento;
• l’avviso di liquidazione;
• il provvedimento che irroga le sanzioni;
• il ruolo;
• il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie e interessi o altri accessori non dovuti;
• il diniego o revoca di agevolazioni o rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari;
• ogni altro atto emanato da un ente impositore, per il quale la legge preveda l’autonoma impugnabilità innanzi alle Commissioni tributarie, come il rifiuto tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie e interessi o altri accessori non dovuti.
Inoltre, per effetto della richiamata estensione, vi rientreranno, quanto alle attività proprie dei soggetti preposti alla riscossione, tra le molteplici possibili:
• la cartella di pagamento, quale atto, distinto dal ruolo ovvero, in caso di mancata previa notifica del suddetto, quale atto impugnabile congiuntamente alla cartella emessa dall’agente della riscossione, per “vizi propri”;
• l’avviso di mora di cui alla lett. e) dell’art. 19, primo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, oggi sostituito dall’avviso di intimazione di cui all’art. 50, secondo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602;
• l’iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’art. 77 del D.P.R. n. 602/1973, prevista dalla lett. e-bis) del medesimo art. 19, primo comma, del D.Lgs. n. 546/1992;
• il fermo di beni mobili registrati, di cui all’art. 86 del D.P.R. n. 602/1973, elencato sub lett. e-ter) dell’art. 19, primo comma;
• i già richiamati atti relativi alle operazioni catastali, di cui all’art. 2, terzo comma, del D.Lgs. n. 546/1992.
E ancora, quanto più propriamente riferibile alle attività tipiche dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli:
• gli avvisi di pagamento per la riscossione delle accise di cui all’art. 14 del TUA;
• l’avviso di accertamento doganale di cui agli artt. 65 e segg. del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43;
• l’avviso suppletivo e di rettifica doganale di cui agli artt. 11 e segg. del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374;
• le controversie in materia di applicazione del Codice Doganale Comunitario (CDC di cui al Reg. CEE n. 2913/92 e succ. mod.);
• l’avviso di rettifica della dichiarazione doganale (DAU, Documento Unico Amministrativo);
• la bolletta doganale annotata;
• gli atti relativi al controllo a posteriori ed a conclusione del procedimento di revisione ex art. 11 del D.Lgs. n. 374/1990;
• gli atti relativi al rimborso od allo sgravio dei diritti doganali indebitamente riscossi in dogana;
• la decisione del direttore regionale e, in tema di accise, la decisione adottata dal direttore regionale delle dogane sul ricorso amministrativo avverso l’avviso di pagamento emesso dall’Ufficio doganale trattandosi – indipendentemente dal nomen iuris – di un atto idoneo a portare a conoscenza del contribuente la pretesa dell’Amministrazione finanziaria, quale provvedimento conclusivo della fase di rimedio giustiziale amministrativo (cd. controversia doganale).
• il diniego di annullamento in autotutela di un atto impositivo in materia di accise o di natura doganale;
• la decisione adottata a seguito di istanza ITV (Informazione Tariffaria Vincolanti) presentata dall’operatore economico in relazione a determinate merci al fine di conoscere la pertinente voce doganale in cui rientra la merce da importare ai fini della correlata Informazione Tariffaria.
A ciò vanno, infine, aggiunti – sempre in via esemplificativa, ma non esaustiva – tutti gli atti tipici degli Enti locali in tema di accertamento, liquidazione e rifiuto di rimborsi dei tributi da questi amministrati; gli Organi degli Uffici giudiziari preposti alla gestione del cd. contributo unificato (avente natura tributaria), nonché tutti gli altri soggetti (ad esempio, consorzi di bonifica, ecc.) che gestiscono entrate di natura tributaria, le cui liti sono di competenza del giudice tributario.
Possono, dunque, formare oggetto di reclamo/mediazione tributaria, i ricorsi con cui con l’impugnazione dell’avviso di liquidazione o di accertamento emesso dal Comune si contesti anche la rendita catastale: per tale caso, quindi, si ritiene che il reclamo dovrà essere congiuntamente spiegato, tanto nei confronti dell’Ente locale, in relazione alle contestazioni in ordine ai tributi richiesti, quanto all’Agenzia delle entrate, in relazione all’atto impositivo di natura catastale (contestazioni in merito alla rendita).
O ancora, in caso di impugnazione tanto della cartella di pagamento (emessa dall’agente della riscossione) per vizi propri che del ruolo (atto impositivo, ad esempio, di accertamento) del quale si eccepisca la mancata previa notifica di questo quale atto presupposto, il contribuente sarà comunque obbligato a presentare preliminarmente l’istanza di reclamo/mediazione, tanto all’agente della riscossione che all’Ufficio impositore (ad esempio, Agenzia delle entrate).

3. Redazione dell’atto di reclamo (rectius: ricorso) (comma 1)

Completa la disposizione di cui al primo comma in esame il riferimento alla (necessaria) redazione di un (vero e proprio) ricorso, per cui occorrerà redigere un atto processuale contenente tutte le caratteristiche ed i requisiti di un ordinario ricorso, con applicazione di quanto disposto dagli artt. 18 e segg. del D.Lgs. n. 546/1992.
A dire il vero, il legislatore della presente “revisione” ha opportunamente soppresso il dettato del precedente sesto comma che richiamava espressamente alcune norme (artt. 12, 18, 19, 20, ecc.) per la regolamentazione del procedimento di formulazione del reclamo.
Ora, in modo certamente sintetico, ma indubbiamente efficace, il riferimento va direttamente alla ordinaria formulazione del vero e proprio ricorso che produce gli effetti di un reclamo e che, in quanto tale, può contenere anche una proposta di mediazione, tesa a definire in via stragiudiziale la controversia, con una diversa quantificazione dell’ammontare della pretesa erariale.
In quanto tale, questa proposta potrà (o anzi, dovrà) – per essere presa in seria considerazione – contenere anche degli elementi (fattuali e non) diversi o comunque non conosciuti dall’Ufficio, dal cui esame ed approfondimento l’Ufficio preposto ben potrà valutare la possibile definizione anticipata della questione, evitando la durata, l’alea e i costi del processo e di tutte le sue diverse fasi.
Da ciò, senza dubbio, si apre la vera e propria fase di procedimento amministrativo/tributario che coinvolgendo la parte pubblica e quella privata, rende palese l’importanza del momento del contraddittorio tra le stesse ben definibile quale «elemento essenziale ed imprescindibile (anche in assenza di una espressa previsione normativa) del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa» (16) e che – se correttamente e lealmente svolto tra le parti – certamente, come nello spirito della riforma, porterà a davvero soddisfacenti risultati in tema di definizione anticipata di liti potenziali.

4. La conferma della improcedibilità (comma 2)

Viene opportunamente confermato che il ricorso, dopo essere stato ritualmente notificato alla controparte, se depositato dal contribuente in Commissione tributaria prima del decorso del termine di 90 giorni dalla sua ricezione da parte dell’intimato, è improcedibile (17).
Ciò significa che solo dopo il compimento di 90 giorni dal ricevimento dell’istanza da parte dell’Ufficio finanziario (o di altro suo destinatario) decorrono i termini previsti per il compimento degli atti processuali (deposito del ricorso, delle controdeduzioni, di memorie e documenti, ecc.) e per l’adozione dei provvedimenti giudiziali, posto che, come si afferma al secondo comma dell’art. 17-bis in esame, «il ricorso non è procedibile fino alla scadenza del termine di novanta giorni dalla data di notifica».
A seguito di presentazione dell’atto di reclamo, si attiva dunque il procedimento di mediazione che deve essere concluso entro 90 giorni dalla ricezione dello stesso da parte dell’Ufficio, e ciò a prescindere dal fatto che l’atto (reclamo/ricorso) contenga o meno una proposta di mediazione.
Qualora poi non venga adottato un provvedimento di accoglimento totale o formalizzato un accordo di mediazione, decorso il predetto termine, l’istanza produce gli effetti del ricorso e il contribuente, se intende costituirsi, deve farlo nei successivi 30 giorni, mediante il deposito in cancelleria della Commissione adita del ricorso notificato e degli atti e documenti indicati dall’art. 22 del D.Lgs. n. 546/1992 (18).
Viene, infine, opportunamente confermato che il termine di 90 giorni deve essere computato applicando le disposizioni sulla sospensione dei termini processuali e quindi, tenendo conto anche della sospensione feriale dei termini processuali dal 1° al 31 agosto, di cui alla legge 7 ottobre 1969, n. 742 (19).

5. La costituzione in giudizio (comma 3)

Con una – a mio sommesso avviso – stesura più lineare della norma rispetto alla precedente versione (20) è previsto che il ricorrente può costituirsi in giudizio al decorso del predetto termine di 90 giorni dalla data di notifica del reclamo, seguendo le modalità e la procedura fissata dal codice del “processo” tributario. Laddove, invece, tale costituzione in giudizio dovesse avvenire in un momento anteriore, la trattazione della causa deve essere rinviata dal giudice tributario, in modo da consentire l’esame del reclamo (che, dunque, fino a che tale procedura non sarà effettuata, non assurgerà a dignità di ricorso vero e proprio) (21).

6. Le modalità di gestione degli atti di reclamo (commi 4 e 9)

Stante la generalizzazione dell’applicabilità dell’istituto a tutte le controversie rientranti nella speciale cognizione del giudice tributario, con i commi quarto e nono in esame vengono disciplinate le modalità, per così dire, di gestione del tributo da parte degli svariati Uffici fiscali.
In particolare, il quarto comma stabilisce per l’Agenzia delle entrate e per l’Agenzia delle dogane e dei monopoli quanto dovrebbe, prima o poi, essere generalizzato per tutte le ipotesi di controversie, ovverosia la previsione di una concreta (non solo in astratto, dunque) revisione del provvedimento impositivo emesso dall’ente impositore da parte di apposite strutture, ad hoc designate, diverse e autonome, rispetto a quelle che hanno curato l’istruttoria degli atti reclamabili.
In tal modo, se è vero che si rischierebbe di far rientrare in auge una sorta di ricorso gerarchico (proprio o improprio, a seconda del tipo di organismo sovraordinato chiamato a decidere della controversia), è anche vero che – come già anticipato – in tale momento ben potrebbero le parti venire in contatto e fattivamente scambiarsi le reciproche valutazioni ed elementi, al fine di giungere ad una consapevole determinazione circa la effettiva consistenza o finanche in ordine alla stessa (in)esistenza della materia imponibile, con possibilità di annullamento in autotutela dell’atto (rivelatori infondato) da parte della struttura deputata.
Per gli tutti altri enti impositori, la disposizione prevede che l’individuazione della struttura eventualmente deputata alla trattazione dei reclami è rimessa all’organizzazione interna di ciascuno di essi: tale scelta è certamente coerente con l’autonomia gestionale e organizzativa propria, ad esempio, di un ente locale e, comunque, evita di porre un obbligo verso soggetti che, a causa della loro ridotta dimensione, non potrebbero applicare in concreto tale norma.
Quanto, invece, agli agenti della riscossione e ai concessionari privati di cui all’art. 53 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, il successivo nono comma della disposizione in esame stabilisce che il reclamo risulta applicabile solo ove compatibile. Dal momento che tali soggetti non hanno la “disponibilità” del tributo, l’istituto non può che trovare applicazione nei soli casi di “vizi propri” delle cartelle di pagamento da questi emesse, ovvero di impugnazione di fermi di beni mobili registrati o di ipoteche (22).

7. Il mancato accoglimento del reclamo/mediazione (comma 5)

In caso di mancato accoglimento del reclamo o dell’eventuale proposta di mediazione formulata dal contribuente, l’organo destinatario dell’atto – sempre nel perdurare del termine di 90 giorni sopra richiamato – formula “d’ufficio” (è, quindi, in tal senso obbligato) una propria proposta, tenendo conto di alcuni requisiti prescritti dalla norma in esame e, in particolare, avuto riguardo all’eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell’azione amministrativa.
Pertanto, qualora si pervenga all’esame del merito del reclamo, la presentazione di una proposta di mediazione, concernente l’ammontare della pretesa (comprensiva del tributo, delle sanzioni e degli interessi) è di fatto obbligatoria, dovendo essere formulata facoltativamente dal contribuente o, in mancanza, obbligatoriamente dall’Amministrazione finanziaria (23).
La norma de qua indica anche taluni criteri di carattere generale per adempiere a tale prescrizione, per cui l’Ufficio fiscale deve pervenire alla formulazione della proposta tenendo conto del grado di sostenibilità della pretesa, e quindi della vis degli argomenti di fatto e di diritto che la suffragano; dell’eventuale incertezza delle questioni implicate dell’atto impositivo; del principio di economicità dell’azione amministrativa, con una previsione (quest’ultima) che introduce un rilevante elemento di discrezionalità, qual è l’apprezzamento in ordine agli obiettivi di efficienza, economicità e trasparenza dell’azione amministrativa.
Gli effetti della mediazione/reclamo si estendono anche ai contributi previdenziali/assistenziali, per cui – come già stabilito nella previgente versione della norma (24) – la mediazione produce effetti anche sui contributi previdenziali e assistenziali, in quanto la loro base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi. Si tratta, in particolare, dei casi in cui la mediazione riguarda avvisi di accertamento o iscrizioni a ruolo conseguenti a liquidazione o controllo formale delle dichiarazioni (25).
Viene, infine, pure confermato, al secondo periodo del successivo settimo comma dell’art. 17-bis, e similmente a quanto previsto per l’accertamento con adesione (26), che sulle somme dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali a seguito di mediazione non si applicano sanzioni e interessi.

8. Il perfezionamento dell’accordo (comma 6)

In caso di raggiungimento di un accordo e, quindi, di perfezionamento in positivo della procedura di reclamo, in ordine alle controversie aventi ad oggetto un atto impositivo o di riscossione, la mediazione si perfeziona con il versamento, entro il termine di venti giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo tra le parti, dell’intera somma dovuta ovvero della sola prima rata.
Per il versamento del dovuto si applicano le disposizioni, anche sanzionatorie, previste per l’accertamento con adesione dall’art. 8 del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218; per cui, in caso di mancato pagamento anche di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, il competente Ufficio impositore provvede all’iscrizione a ruolo delle residue somme dovute e della sanzione di cui all’art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, applicata in misura doppia, sul residuo importo dovuto a titolo di tributo.
Quanto, poi, alle controversie aventi per oggetto rimborsi di imposte, la mediazione si perfeziona con la sottoscrizione di un accordo nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. Come espressamente statuito dalla norma de qua, detto accordo costituisce titolo per il pagamento delle somme dovute al contribuente, per cui, in caso di inadempimento da parte dell’Ufficio finanziario, il contribuente ben potrà agire dinanzi al giudice ordinario (anche in via monitoria, ai sensi degli artt. 633 e segg. c.p.c.) per ottenere un provvedimento di condanna al pagamento emesso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria (27).

9. Sanzioni e riscossione (commi 7 e 8)

Ai sensi del successivo settimo comma, viene stabilito che le sanzioni amministrative si applicano nella misura del trentacinque per cento del minimo previsto dalla legge. Inoltre, come già evidenziato, sulle somme dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali non si applicano sanzioni e interessi.
Quanto, infine, al successivo ottavo comma, è stabilito che, nel perdurare del termine di 90 giorni utile a concludere la mediazione, la riscossione e il pagamento delle somme dovute in base all’atto oggetto di reclamo sono sospesi, fermo restando che in caso di mancato perfezionamento dell’accordo sono dovuti gli interessi previsti dalle singole leggi d’imposta.
Ciò equivale a dire che, a seguito della ricezione dell’istanza, l’Ufficio finanziario durante il procedimento di mediazione:
• non procede all’affidamento del carico, qualora l’atto impugnato sia un accertamento esecutivo o una successiva intimazione di pagamento di cui all’art. 29 del D.L. n. 78/2010 (in caso di accertamenti impo-esattivi emessi dall’Agenzia delle entrate) o sia un atto di accertamento esecutivo emesso per effetto del D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44), per la riscossione immediata dei diritti doganali (28);
• comunica all’agente della riscossione la sospensione della riscossione, se l’atto impugnato è un ruolo;
• non procede all’iscrizione a ruolo negli altri casi.
Tuttavia, al decorso del termine di 90 giorni dalla presentazione dell’istanza, senza che vi sia stato accoglimento della stessa o sia stato formalizzato un accordo di mediazione, la sospensione viene meno e sono dovuti gli interessi previsti dalle singole leggi d’imposta (29).

10. Le spese di lite (art. 15, comma 2-septies)

Ai sensi del nuovo comma 2-septies, introdotto all’art. 15 del D.Lgs. n. 546/1992, viene espressamente statuito che, nelle controversie di cui all’art. 17-bis in esame, le spese di giudizio che la parte soccombente viene condannata a rimborsare sono maggiorate in sentenza del 50 per cento, a titolo di rimborso delle maggiori spese del procedimento e ciò, evidentemente, allo scopo di rafforzare la più ampia utilizzazione del reclamo, ai fini del raggiungimento dell’accordo di mediazione tra le parti e al fine di evitare il ricorso alla lite e al processo.

11. Conclusioni

Siamo di fronte ad una significativa svolta che spinge il reclamo sempre più lontano dalla semplice istanza di autotutela con cui le parti private si limitano a contestare in toto la legittimità dell’atto, nella speranza di ottenere un annullamento totale o parziale del provvedimento emesso. Si tratta pur sempre, come per qualsiasi metodo alternativo di risoluzione delle controversie, di uno strumento che comporterà una qualche modificazione quantitativa o qualitativa della pretesa in senso favorevole al contribuente, per rendere lo stesso più appetibile. Ma è anche vero che l’Ufficio finanziario, durante la fase di mediazione, ben potrà correggere errori o valutare meglio dati ed elementi che, altrimenti, al momento del giudizio, potrebbero compromettere la sua intera pretesa impositiva. È, comunque, pur sempre vero che (pur se autonomo) l’Ufficio che si occupa dei reclami non certamente è organo terzo, ma anzi appartiene alla medesima Amministrazione che ha emesso l’atto reclamato, per cui l’esame del reclamo e l’eventuale istruttoria che si rendesse necessaria non possono ritenersi affidati ad un soggetto terzo, quale dovrebbe essere il mediatore, per cui più correttamente dovrebbe parlarsi di una sorta di conciliazione stragiudiziale, cioè di un mezzo di autocomposizione della controversia, non molto dissimile dalla conciliazione fuori udienza di cui all’art. 48, quinto comma, del D.Lgs. n. 546/1992.
Ma, a prescindere da ogni possibile ulteriore considerazione critica o riduttiva, non può sottacersi l’utilità e l’importanza di uno strumento (che magari andrà sempre più affinandosi con l’uso pratico) che mira a risolvere in una sede anticipata rispetto all’aula di giustizia, possibili controversie (potenzialmente le più numerose e di importo singolo non propriamente esorbitante), prevedendosi con ciò, da un lato, a migliorare e tutelare il procedimento e la partecipazione del contribuente in tale fase (con la proposta di mediazione) e, dall’altro, a liberare i tavoli del giudice tributario dal contenzioso più bagatellare o, comunque, di minor valore, consentendo, così, una maggiore speditezza e attenzione per le controversie più rilevanti.
Il tutto con l’auspicio che la giustizia tributaria, prima che più celere, possa essere più giusta.

Avv. Sergio La Rocca

(1) Fonte: Relazione annuale sullo stato del processo tributario del Ministero dell’economia e delle finanze, da cui si evince pure che il numero dei ricorsi pendenti nei due gradi di giudizio di merito si è progressivamente ridotto, passando da circa 2,4 milioni nel 1996 a circa 570 mila rilevati nell’anno 2014. Nell’anno 2014 il valore dei ricorsi presentati dinanzi le Commissioni tributarie ammonta a più di 30 miliardi di euro; di cui, in primo grado, per oltre 17 miliardi di euro, il 70% dei quali ha per oggetto controversie di valore fino a 20.000 euro (con valore complessivo 0,5 miliardi di euro). Rispetto al 2011 il numero dei ricorsi presentati nel 2014 ha subìto una contrazione di circa il 30% e tale riduzione certamente è dipesa anche dalla introduzione dell’istituto della mediazione di cui all’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992, che ha riguardato (fino al 31 dicembre 2015) i soli atti posti in essere dall’Agenzia delle entrate, con valore non superiore ai 20.000 euro.
(2) La mediazione tributaria obbligatoria è stata introdotta dall’art. 39, nono comma, del D.L. n. 98/2011, che ha inserito l’art. 17-bis nel D.Lgs. n. 546/1992 e, ai sensi del comma 11 dell’art. 39 del citato decreto, il nuovo istituto ha trovato applicazione con riferimento «agli atti suscettibili di reclamo notificati a decorrere dal 1° aprile 2012», intendendosi per essi gli atti ricevuti dal contribuente a decorrere da tale data; sul punto cfr. circ. 19 marzo 2012, n. 9/E, recante: “Mediazione tributaria – Chiarimenti e istruzioni operative”, in Boll. Trib., 2012, 430.
(3) Per una prima disamina delle modifiche apportate al “codice” del processo tributario dal D.Lgs. n. 156/2015, si veda U. PERRUCCI, Brevi annotazioni sulla nuova versione del processo tributario, in Boll. Trib., 2015, 1474.
(4) Cfr. Cass., sez. III, 7 aprile 2005, n. 7252, in Rep. foro it., 2005, Mediazione [4140], n. 38.
(5) A seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge 9 agosto 2013, n. 98, di conversione con modifiche del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, la mediazione civile e commerciale, dopo una prima parentesi dovuta alla declaratoria di parziale incostituzionalità per eccesso di delega del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, è ritornata ad essere obbligatoria, a far tempo dallo scorso 21 settembre 2013, per le controversie dinanzi al giudice civile, su specifiche materie, in cui il tentativo di mediazione risulta obbligatorio, tra cui: condominio, diritti reali, divisioni, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazioni, comodato, affitto di aziende, risarcimento di danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari.
(6) Per una disamina sull’istituto in esame, si vedano: C. CIPOLLINI, L’accoglimento parziale del reclamo, in Boll. Trib., 2013, 1701; U. PERRUCCI, Profili e dubbi di illegittimità della mediazione tributaria, ibidem, 1563; M. LOGOZZO, Profili critici del reclamo e della mediazione tributaria, ivi, 2012, 1505; V. FICARI, Reclamo e mediazione, ibidem, 1364; M.C. PARLATO, Profili di costituzionalità del reclamo e della mediazione tributaria, ibidem, 1174; L. DEL FEDERICO, La mediazione nelle controversie civili e commerciali, ibidem, 245; e C. MAIORANO, La mediazione fiscale tra intuizione e realtà, ibidem, 85.
(7) Sull’ammissibilità del ricorso cumulativo, cfr., tra le altre, Cass., sez. trib., 29 marzo 2011, ord. n. 7157; e Cass., sez. trib., 29 marzo 2011, ord. n. 7159; entrambe in Boll. Trib. On-line, secondo cui la «cumulabilità è prevista dall’art. 104 c.p.c., cfr. Cass. nn. 7359/02 e 19666/04, giurisprudenza che va confermata anche alla luce dei principi di cui all’art. 111 Cost., giovando alla speditezza della giurisdizione la riunione delle cause». Circa, poi, l’ammissibilità del ricorso cumulativo, anche avverso più sentenze, al verificarsi, tuttavia, di alcune precise condizioni, si veda Cass., sez. un., 16 giugno 2006, n. 13916, in Boll. Trib., 2006, 1224; Cass., sez. un., 16 febbraio 2009, n. 3692; Cass., sez. trib., 14 ottobre 2005, n. 19950; Cass., sez. trib., 24 gennaio 2007, n. 1542; e Cass., sez. trib., 30 giugno 2010, n. 15582; tutte in Boll. Trib. On-line.
(8) Così circ. n. 9/E/2012, cit., secondo cui, in relazione agli atti aventi un valore non superiore a ventimila euro, il contribuente è tenuto ad osservare in ogni caso la procedura prevista dall’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992.
(9) Ad esempio, se con una determinata istanza si richiede il rimborso di tributi afferenti a più periodi d’imposta e per uno solo di essi l’importo richiesto a rimborso non supera i ventimila euro, per quest’ultimo il contribuente deve presentare istanza di mediazione prima della eventuale instaurazione del giudizio (così, ancora circ. n. 9/E/2012, cit.).
(10) Le controversie inerenti le operazioni catastali, infatti, come pure chiarito dalla circ. 21 settembre 2011, n. 1/DF, in Boll. Trib., 2011, 1452, si configurano di valore indeterminabile e, pertanto, in mancanza di tale esplicita previsione normativa, sarebbero rimaste ancora escluse dal coacervo delle liti tributarie soggette all’applicazione della normativa in esame.
(11) Si evidenzia, infatti, che, per effetto delle disposizioni di cui all’art. 23-quater del D.L. 6 luglio 2012, n. 95 (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135), a decorrere dal 1° dicembre 2012 l’Agenzia del territorio è stata incorporata nell’Agenzia delle entrate, che dalla predetta data esercita le funzioni e i compiti facenti capo all’Ente incorporato, ivi compresi i relativi rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali.
(12) In tal senso, circ. 28 dicembre 2012, n. 49/E, recante “Mediazione tributaria – Atti emessi dagli Uffici Provinciali del Territorio dell’Agenzia”, in Boll. Trib., 2013, 109.
(13) Tuttavia, si ritiene che il contribuente debba comunque esperire la fase della mediazione qualora oggetto di contestazione sia non solo il diniego o la revoca dell’agevolazione, ma anche il tributo o il maggiore tributo accertato contestualmente con il provvedimento impugnato e/o le relative sanzioni irrogate con il medesimo atto: in tal caso, infatti, il valore della controversia è agevolmente individuabile nel tributo o maggior tributo accertato, al netto dei relativi interessi e sanzioni. In tal senso cfr. circ. n. 9/E/2012, cit.
(14) Il legislatore ha, quindi, escluso espressamente dalla mediazione le controversie concernenti il recupero di aiuti di Stato dichiarati incompatibili, in esecuzione di una decisione adottata dalla Commissione europea, ai sensi dell’art. 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999. Pertanto, sono escluse dalla mediazione tutte le controversie aventi ad oggetto il recupero degli aiuti di Stato illegittimi, indipendentemente dalla tipologia di atto inerente al caso di specie (ad esempio, atto di recupero, avviso di accertamento, cartella di pagamento), nonché i correlati interessi e sanzioni.
(15) L’Agenzia delle dogane, a decorrere dal 1° dicembre 2012, ha inglobato le funzioni in precedenza svolte dall’Agenzia dei monopoli per assumere la nuova denominazione di “Agenzia delle Dogane e dei Monopoli” (tanto, per effetto dell’art. 63, comma 1, del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, come modificato dall’art. 23-quater, decimo comma, lett. c), del D.L. n. 95/2012).
(16) In tal senso Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, nn. 26635, 26636, 26637 e 26638, in Boll. Trib., 2010, 303, con nota di M. PROIETTI, Presunzioni semplici quelle di parametri e studi di settore: la lettura costituzionalmente orientata delle Sezioni Unite.
(17) Come noto, già l’art. 1, comma 611, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, sostituendo il secondo comma dell’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992 aveva soppresso la pregressa sanzione della inammissibilità del ricorso, statuendo che: «La presentazione del reclamo è condizione di procedibilità del ricorso», per cui la presentazione dell’istanza non era più condizione di ammissibilità del ricorso, rilevando quale condizione di procedibilità dello stesso.
(18) Il ricorso è dunque procedibile alla scadenza del termine di 90 giorni dalla presentazione dell’istanza, ossia quando, in caso di esito negativo della mediazione, l’istanza produce gli effetti del ricorso: dal momento in cui il ricorso è procedibile decorrono i termini per la costituzione in giudizio delle parti.
(19) Stante la modifica in esame, non dovrebbero invece più trovare inoltre applicazione le diverse disposizioni relative alla sospensione o interruzione dei termini processuali, e tanto in considerazione della natura prettamente amministrativa dell’atto di reclamo, in tale fase preprocessuale e nonostante il rinvio, operato dal secondo comma dell’art. 1 del D.Lgs. n. 546/1992, alle norme, in quanto compatibili, del codice di procedura civile.
(20) E ciò nonostante la ripetizione della parola “termine” per due volte, nel corso del primo periodo del comma in esame.
(21) Resta, quindi, confermato quanto già evidenziato dalla stessa Agenzia delle entrate, secondo cui, in sostanza, l’improcedibilità può essere anche eccepita dall’Ufficio, in sede di rituale costituzione in giudizio, ossia mediante il deposito delle controdeduzioni di cui all’art. 23, terzo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, entro il termine di 150 giorni dalla presentazione dell’istanza ai sensi del combinato disposto degli artt. 17-bis e 23 del D.Lgs. n. 546/1992 (90 giorni per lo svolgimento del procedimento di mediazione + 60 giorni per la costituzione in giudizio del resistente); così circ. 12 febbraio 2014, n. 1/E, in Boll. Trib., 2014, 291.
(22) Tanto, ai sensi del già richiamato art. 19, primo comma, lett. e-bis) ed e-ter), del D.Lgs. n. 546/1992.
(23) È fin troppo ovvio, però, che la mancata formulazione di una proposta da parte dell’Ufficio finanziario non produrrà alcun effetto negativo in ordine alla pretesa erariale che rimarrà così consolidata dinanzi al giudice tributario, avanti al quale passa “la palla” della causa. Tuttavia, non va sottaciuto che questo momento è davvero importante anche per l’Ufficio impositore che – durante la fase di mediazione – ben potrà correggere errori o valutare meglio dati ed elementi che, altrimenti, al momento del giudizio, potrebbero compromettere l’intera pretesa impositiva.
(24) Sul punto, si evidenzia che l’art. 1, comma 611, della legge n. 147/2013, aveva inserito all’ottavo comma dell’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992 il seguente periodo: «L’esito del procedimento rileva anche per i contributi previdenziali e assistenziali la cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi. Sulle somme dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali non si applicano sanzioni e interessi».
(25) In tal senso ved. circ. n. 9/E/2012, punto 1.4, cit.
(26) L’art. 2, quinto comma, secondo periodo, del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, prevede che, a seguito di accertamento con adesione, «Sulle somme dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali … non si applicano sanzioni e interessi».
(27) Come ben noto, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario quando l’Amministrazione finanziaria abbia riconosciuto la definitiva spettanza del tributo e non residuino più incertezze in ordine all’an e al quantum dello stesso: sul punto cfr. Cass., sez. un., 15 ottobre 2009, ord. n. 21893, in Boll. Trib. On-line.
(28) Come noto, fermo restando l’ordinario termine di decadenza (60 gg. dalla notifica) per la sua impugnazione, l’avviso di accertamento rappresenta il titolo esecutivo che – in caso di mancato pagamento entro 60 gg. dalla sua notifica agli interessati per le imposte dirette (ovvero 10 previsti per i tributi doganali) – innesca la presa in carico della pretesa da parte dell’agente della riscossione (Equitalia Spa) che, a sua volta, una volta ricevuto l’atto deve darne comunicazione “della sua presa in carico” al contribuente esecutato con avviso che, nel permanere l’inadempimento, darà luogo alla esecuzione forzata.
(29) L’Agenzia delle entrate nella circ. n. 1/E/2014, cit., ha precisato che, in caso di deposito del ricorso prima del decorso del termine di 90 giorni dalla presentazione dell’istanza, la sospensione non opera, senza necessità di attendere la dichiarazione giudiziale di improcedibilità del ricorso. Mentre, resta ferma la possibilità per l’Ufficio finanziario di avvalersi delle disposizioni “speciali” in materia di riscossione straordinaria (in particolare, artt. 29, comma 1, lett. c), del D.L. n. 78/2010, e 15-bis del D.P.R. n. 602/1973).
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