25 Giugno, 2019

Decisione senz’altro corretta, apprezzabile la motivazione addotta, condivisibile il principio affermato. Nondimeno una lettura affrettata cela un’insidia, legata alla dinamica del processo, che è bene dissipare.
Se infatti sono obiettivamente inconfutabili, nella pronuncia, sia la premessa (la piena libertà dei litiganti di dirimere in qualunque tempo la controversia con un accordo – totale o parziale – di cui il giudice, se non coinvolto per la liquidazione delle spese, deve limitarsi a prendere atto, proseguendo se del caso la propria attività solo per la parte residuale sfuggita alla conciliazione) sia la logica a monte (cioè il canone dell’economia procedimentale che tende a evitare adempimenti inutili), resta da approfondire un profilo fattuale di cui, per definizione, la massima non può dare conto. Profilo importante, oscurato dalla preoccupazione per il tema principale e che pure ha incisivi riflessi sul regime delle spese.
In primis occorre dare atto che la regola enunciata è costante. Ancora nel recente passato la Suprema Corte ha statuito che «Poiché anche nel processo tributario le parti conservano la disponibilità dei diritti in contestazione, qualora l’Amministrazione finanziaria si avveda in corso di causa che è corretta e da accogliere una eccezione del contribuente relativa all’erroneo computo del credito di imposta indicato nell’avviso impugnato, non per questo deve rinnovare l’intero procedimento amministrativo di accertamento, avendo il potere-dovere di ridurre la domanda originaria: tale riduzione della domanda, non equivalendo a diverso e autonomo accertamento in via di rettifica da parte dell’Amministrazione, è ammissibile anche se operata per la prima volta in grado di appello, con conseguente dovere del giudice di valutare la pretesa fiscale residua» (1). Ciò perché «a fronte di una prospettazione originaria fondata sull’applicazione dell’aliquota piena, il successivo riconoscimento dell’aliquota ridotta non comporta di per sé una mutatio libelli tardiva e non consentita, non essendo mutati i presupposti di fatto sui quali si basavano le valutazioni, giacché si tratta di questioni attinenti all’idoneità del criterio applicato in concreto, che concernono il diverso piano della prova della pretesa tributaria e non modificano la causa petendi» (2).
È intuitivo che la questione si inquadra nel più ampio capitolo riguardante il divieto di introdurre in appello domande ed eccezioni nuove, divieto sancito per il giudizio tributario – in sintonia con il rito civile (ved. artt. 345 e 437 c.p.c.) – dall’art. 57 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, alla cui stregua «1. Nel giudizio d’appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d’ufficio. Possono tuttavia essere chiesti gli interessi maturati dopo la sentenza impugnata. 2. Non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio».
Prescrizione che, ponendo il veto all’ampliamento dei quesiti nel passaggio dal primo al secondo grado di giudizio, da un lato assicura che quest’ultimo materializzi una mera revisio prioris instantiae (in luogo di configurarsi come un iudicium novum, cioè indipendente e avulso dal primo, la filiazione dal quale è viceversa scandita dall’approccio integralmente devolutivo e insieme dagli effetti totalmente rescissori) e dall’altro salvaguarda il canone del doppio grado di giurisdizione, dovendo restare immutata la causa petendi che cementa il thema decidendum e delimita l’area di indagine del giudice.
Inoltre, in uno con la causa petendi, non deve subire variazioni il petitum. Nel caso che ne occupa, invece, nel tragitto la causa petendi resta intatta, il secondo no. Trattasi però di una riduzione del tributo richiesto, riduzione qualificata come lecita in base alla inveterata regola per cui nel più sta il meno. Proibito è semmai il contrario: se l’ammontare rivendicato fosse in aumento, l’unica strada percorribile sarebbe – e sempreché la pubblica Amministrazione non ne sia decaduta – una nuova contestazione, per il tramite di una nuova istruttoria prodromica ad una motivazione autosufficiente (3).
Per buona sorte degli operatori, qui il magistero del diritto vivente funge da saldo timone, esprimendo una casistica ormai consolidata. La regola-base è quella per cui «Nel contenzioso tributario, costituisce eccezione in senso stretto lo strumento processuale attraverso il quale si faccia valere un atto giuridico avente efficacia modificativa od estintiva della pretesa fiscale (Cass., 11 luglio 2002 n. 10112) (4), non potendo essere considerata tale – e non comportando, pertanto, la violazione del divieto di sollevare eccezioni nuove in appello, posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57 – la nuova deduzione, in grado di appello, di cosiddette eccezioni improprie, o mere difese, in quanto dirette a sollecitare il rilievo d’ufficio da parte del giudice, della inesistenza dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio (Cass., 12 agosto 2004 n. 15546, con riferimento alla posizione del contribuente), ovvero, specularmente, in quanto volte alla mera contestazione, da parte dell’Amministrazione, delle censure mosse dal contribuente all’atto impugnato con il ricorso, alle quali rimane circoscritta la indagine rimessa al giudice» (5).
Pacifico corollario di una siffatta impostazione è che non incappano nel divieto le obiezioni svolte per la prima volta in sede di appello dalla difesa dell’ente impositore in ordine alla insussistenza degli elementi costitutivi di un’istanza di rimborso, atteso che il relativo onere probatorio grava sul contribuente che l’ha presentata (6).
Ora, dato per certo che, in via generale, l’Amministrazione finanziaria ha, più che il potere, il dovere istituzionale di ridurre la pretesa impositiva dopo che abbia maturato consapevolezza dell’esosità dell’entità originaria, configurandosi il suo revirement un atto dovuto (da spendere, addirittura, in sede di autotutela, e pur a fronte del giudicato), la domanda che dobbiamo porci per decifrare in ogni loro risvolto vicende come quella che ha dato il là alla controversia è questa: come – cioè in quale momento, attraverso quali emergenze, in base a quali considerazioni e prassi – l’Ufficio è pervenuto a riconoscere (formalmente riconoscere, licenziando un apposito provvedimento di sgravio) l’erroneità della propria (più robusta) richiesta iniziale?
E qui – ribadito che, malgrado certe forzature e certi deprecabili tentativi di scippo messi in atto dalle difese erariali, l’adozione dello sgravio è un passaggio indispensabile, perché altrimenti la lite continuerebbe a riguardare l’intero ex art. 112 c.p.c. e dell’intero il giudice dovrebbe continuare ad occuparsi, senza dare retta a delle impalpabili promesse (7) – bisogna distinguere se, della scorrettezza del tributo richiesto, l’ente accertatore aveva o meno, stando a ragionevolezza e buon senso, l’opportunità di sapere prima dell’avvio dell’azione. Se sì, le spese di lite – almeno in parte qua – non potrebbero certo essere addossate alla parte privata, forzata a bussare alla porta del giudice; ben diversamente, andrebbero poste a carico della mano pubblica negligente. Ciò a sèguito – direi: per logica elaborazione – della puntualizzazione operata dalla Corte Costituzionale allorché, con una fondamentale sentenza interpretativa di accoglimento, ha spiegato come la regola del victus victori non possa prescindere dalla ricerca di chi ha dato àdito alla contesa (e/o non ha per tempo provveduto al suo ridimensionamento) (8).
E dunque se, in un’altra occasione, nel riaffermare il medesimo assunto sostanziale, il giudice della legittimità bene aveva fatto a condannare il contribuente poiché era stato lui a ricorrere contro la sentenza di secondo grado da cui l’andamento storico era già incontrovertibilmente emerso (9), qui occorre che il giudice del rinvio (la Commissione tributaria regionale della Sicilia: stessa Commissione, ma in altra composizione), chiamato a liquidare le spese anche dell’ultimo grado, proceda con i piedi di piombo. Infatti, da quanto emerge dalla ricostruzione dell’ordinanza in commento, la sentenza oggetto di gravame per cassazione è incorsa in un palmare errore laddove, «nel censurare l’operato dell’Ufficio su questo punto, non ha considerato che la rettifica, così come infine proposta dall’Ufficio in grado d’appello, applicava la percentuale di ricarico nel 61,76% corrispondente a quella indicata dalla società nel medesimo anno di imposta oggetto di accertamento» (10).
In altre parole, e sempre a quanto è dato arguire dalla lettura, il contribuente si è guardato dal contestare lo specifico profilo nel suo ricorso incidentale. Profilo che resta pertanto opera esclusiva del giudice a quo.
E di tale estraneità, appunto, la futura pronuncia non potrà che tenere conto nel riparto degli oneri giudiziari.

Avv. Valdo Azzoni

(1) Cfr. Cass., sez. VI, 21 giugno 2017, ord. n. 15413, in Boll. Trib. On-line. In tale circostanza la Suprema Corte aveva dato atto che «i giudici di appello avevano mostrato di avere accolto il gravame perché la stessa CTP [cioè già nel grado precedente] aveva riconosciuto la necessità di applicare l’imposta in misura [ridotta], il che risultava un dato processuale assodato anche per l’Ufficio»; la considerazione tornerà e avrà un rilievo non dappoco nella meditazione illustrata nel testo.
(2) E aggiungendo – assai opportunamente – che «il cosiddetto principio del consolidamento del criterio impositivo, in virtù del quale è precluso all’Amministrazione finanziaria, decorso il termine [di decadenza dell’azione; nella specie: ex art. 76 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131], procedere ad una diversa qualificazione dell’atto presentato per la registrazione ed esigere di conseguenza una diversa imposta, non opera quando, essendo pacifica l’applicabilità dell’imposta di registro, ne sia in discussione la misura e non quando il contribuente ne abbia contestato l’intera debenza».
(3) Ex multis cfr. Cass., sez. trib., 18 luglio 2003, n. 11265, in Boll. Trib., 2004, 154; e Cass., sez. trib., 2 aprile 2007, n. 8169, in Boll. Trib. On-line.
(4) In Boll. Trib. On-line.
(5) Così Cass., sez. trib., 28 giugno 2016, n. 13331, in Boll. Trib. On-line. Se ne è dedotto, nello specifico della contingenza, che «la norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, comporta esclusivamente la preclusione delle eccezioni “nuove” e cioè di quelle eccezioni che si risolvono in “mutamento, in secondo grado, degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa” con conseguente ampliamento del thema decidendum (Cass. 3 maggio 2002, n. 6347, che esclude dal divieto di ius novorum le domande ed eccezioni con le quali si prospetti una “diversa qualificazione giuridica del rapporto dedotto in giudizio in relazione agli elementi materiali della fattispecie già acquisiti al processo”), ne segue che, avuto riguardo all’oggetto del contendere come definito dal ricorso in primo grado del contribuente – individuato nella mancata notifica degli atti valutativi e di liquidazione presupposti, nonché nella incongruità del valore accertato rispetto a quello dichiarato – le contrarie allegazioni dell’Ufficio, volte ad affermare la avvenuta notifica degli atti presupposti, si limitano alla mera indicazione di un fatto già acquisito al giudizio, in quanto non introducono alcun elemento nuovo di indagine rispetto a quelli già introdotti nel giudizio con il ricorso introduttivo (cfr., in termini, Cass., 25 marzo 2011, n. 6921)».
(6) Cfr. Cass., sez. trib., 30 gennaio 2009, n. 2507, in Boll. Trib. On-line.
(7) Art. 112 c.p.c. (Corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato): «Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti».
(8) Cfr. Corte Cost. 12 luglio 2005, n. 274, in Boll. Trib., 2005, 1157, con nota di A. VOGLINO, Finalmente dovute le spese di giudizio anche in caso di tardivo ritiro dell’illegittima pretesa impositiva.
(9) Cfr. Cass. n. 15413/2017, cit.
(10) La Sezione Tributaria anzi apertis verbis dà atto che «la ricorrente [rectius: la contribuente] ha replicato che la relativa questione non poteva essere proposta nel ricorso, posto che “quanto esposto nell’avviso di accertamento è stato variato dall’Ufficio in sede di controdeduzioni; ed è solo in tale sede che l’Ufficio modifica la percentuale di ricarico, ridetermina i ricavi e chiede al giudice di calcolare la relativa imposta”. Pertanto, detta circostanza, che per ovvie ragioni non poteva essere eccepita in seno al ricorso introduttivo di primo grado, come lamentato da controparte, è stata tempestivamente rilevata dalla società ricorrente con memoria depositata il 26 marzo 2007 ed in seguito in seno alle controdeduzioni e appello incidentale del 26 agosto 2008». Insomma, su questo – almeno su questo – la parte privata non ha certo mancato.

Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Motivazione per relationem a un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza mediante il suo acritico recepimento – Legittimità.

Imposte e tasse – Accertamento – Avviso di accertamento – Motivazione per relationem a un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza mediante il suo acritico recepimento – Legittimità.

Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Autotutela – Potere-dovere di autotutela dell’Amministrazione finanziaria – Annullamento parziale dell’originaria pretesa impositiva in adesione ad una eccezione del contribuente in corso di causa – Legittimità – Riduzione operata per la prima volta in grado di appello – Ammissibilità.

Imposte e tasse – Autotutela – Potere-dovere di autotutela dell’Amministrazione finanziaria – Annullamento parziale dell’originaria pretesa impositiva in adesione ad una eccezione del contribuente in corso di causa – Legittimità – Riduzione operata per la prima volta in grado di appello – Ammissibilità.

Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Potere-dovere di autotutela dell’Amministrazione finanziaria in corso di causa – Annullamento parziale dell’originaria pretesa impositiva in adesione ad una eccezione del contribuente nel corso del giudizio di appello – Legittimità – Riduzione operata per la prima volta in grado di appello – Ammissibilità.

Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Accessi, ispezioni e verifiche – Documentazione extracontabile – Spostamento dell’onere della prova contraria a carico del contribuente – Consegue.

In tema di atto amministrativo finale di imposizione tributaria, quale l’avviso di accertamento, la motivazione per relationem, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio finanziario, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio.

Poiché anche nel processo tributario le parti conservano la disponibilità dei diritti in contestazione, qualora l’Amministrazione finanziaria si avveda in corso di causa che è corretta e da accogliere una eccezione del contribuente relativa all’erroneo computo del credito d’imposta indicato nell’avviso impugnato o all’erronea applicazione della corretta percentuale di ricarico, non per questo deve rinnovare l’intero procedimento amministrativo di accertamento, avendo il potere-dovere di ridurre la domanda originaria, e tale riduzione, non equivalendo a diverso e autonomo accertamento in via di rettifica da parte dell’Amministrazione stessa, è ammissibile anche se operata per la prima volta in grado d’appello, con conseguente dovere del giudice di valutare la pretesa fiscale residua.

In tema di accertamento tributario, la documentazione extracontabile rinvenuta in sede di verifica costituisce di per sé presunzione idonea a spostare sul contribuente l’onere della prova contraria.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Bruschetta, rel. Tedesco), 30 gennaio 2018, ord. n. 2262, ric. Agenzia delle entrate c. Industria Tecnica Colori s.r.l.]

RILEVATO CHE: – L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia (Ctr), di conferma della sentenza di primo grado, favorevole per la contribuente in relazione a un avviso di accertamento, con il quale furono rettificati per l’anno 1999 i ricavi dichiarati dall’impresa, con le conseguenti correzioni ai fini delle imposte sul reddito, Iva e Irap e applicazione delle relative sanzioni;
– precisamente l’avviso di accertamento determinava maggiori ricavi in applicazione della percentuale di ricarico sul costo del venduto del 141,17%, ridotta dapprima al 65,43% e poi in grado d’appello 61,76%, corrispondente alla percentuale dichiarata dalla società per l’anno 2009;
– il ricorso è proposto sulla base di cinque motivi, cui la contribuente ha reagito con controricorso.

CONSIDERATO CHE: – il primo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., insufficienza della motivazione, là dove la Ctr ha ritenuto che l’Ufficio, per quanto riguarda la determinazione della percentuale di ricarico, aveva perpetuato nel corso del giudizio l’originario difetto di motivazione rinvenibile nell’avviso di accertamento;
– il motivo è fondato;
– la Ctr, nel censurare l’operato dell’Ufficio su questo punto, non ha considerato che la rettifica, così come infine proposta dall’Ufficio in grado d’appello, applicava la percentuale di ricarico nel 61,76% corrispondente a quella indicata dalla società nel medesimo anno di imposta oggetto di accertamento;
– diversamente tale corrispondenza è stata invece del tutto trascurata dalla Ctr, la cui decisione incorre per questo nel vizio denunciato con il motivo;
– il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c., violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Ctr ravvisato ultra petita l’abusiva applicazione dell’accertamento induttivo ex art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973;
– la contribuente, nel replicare a tale ragione di censura, ha dedotto che la relativa eccezione fu invece proposta dalla società nell’iniziale ricorso, nel quale fu eccepita «la nullità dell’avvio di accertamento per violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. 600/73, per gli accertamenti ai fini delle imposte dirette, e dell’art. 54 del d.P.R. 633/72 per gli accertamenti ai fini Iva, per avere gli accertatori determinato i maggiori ricavi della società sulla base di presunzioni fondate su altre presunzioni e non supportate da violazioni gravi precise e concordanti»;
– il motivo è fondato mentre non coglie nel segno la replica della società;
– infatti, l’impugnativa originariamente proposta contro l’avviso (così come riportata dalla società) non negava in via di principio la legittimità del metodo utilizzato per la rettifica, ma negava piuttosto la valenza presuntiva degli elementi addotti dall’Ufficio a sostegno dell’accertamento;
– il terzo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c. motivazione contraddittoria là dove la Ctr ritiene applicata la percentuale di ricarico del 141,17%, senza dare atto della riduzione operata in corso di causa;
– il motivo è fondato, esattamente per la ragione indicata dalla ricorrente;
– il quarto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., violazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, ch’è ravvisata nel fatto che la Ctr ha annullato l’avviso di accertamento in quanto motivato per relationem al verbale della Guardia di Finanza, mentre tale tecnica di motivazione è invece pienamente legittima;
– il motivo è fondato;
– «In tema di atto amministrativo finale di imposizione tributaria, nella specie relativo ad avviso di rettifica di dichiarazione IVA da parte dell’Amministrazione finanziaria, la motivazione per relationem, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio» (Cass. n. 21119/2011 (1); conf. Cass. n. 8183/2011 (2));
– il quinto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c. violazione dell’art. 112 c.p.c., là dove la Ctr ha ritenuto che «non è dato conoscere, con riferimento alle successive variazioni dei maggiori ricavi proposti l’importo delle imposte da pagare, relative sanzioni ed interessi di modo che non appaiono soddisfatte le prescrizioni contenute nel secondo comma dell’art. 42 del d.P.R. n. 600/73 e quindi lo stesso avviso, anche a maggior ragione come successivamente modificato, non appare motivato»;
– la ricorrente sostiene che Ctr ha deciso oltre i limiti della domanda fissati dall’originario ricorso della contribuente;
– la ricorrente [rectius, la contribuente, n.d.r.] ha replicato che la relativa questione non poteva essere proposta nel ricorso, posto che «quanto esposto nell’avviso di accertamento è stato variato dall’Ufficio in sede di controdeduzioni; ed è solo in tale sede che l’Ufficio modifica la percentuale di ricarico, ridetermina i ricavi e chiede al giudice di calcolare la relativa imposta! Pertanto, detta circostanza, che per ovvie ragioni non poteva essere eccepita in seno al ricorso introduttivo di primo grado, come lamentato da controparte, è stata tempestivamente rilevata dalla società ricorrente con memoria depositata il 26 marzo 2007 ed in seguito in seno alle controdeduzioni e appello incidentale del 26 agosto 2008»;
– il motivo è fondato;
– la replica della contribuente rende ancora più manifesta la violazione dell’art. 112 c.p.c. da parte della Ctr;
– ne risulta infatti che l’avviso di accertamento è stato annullato non per un vizio originario del medesimo tempestivamente dedotto, ma a causa di un supposto difetto di attività dell’amministrazione incorso durante il giudizio tributario;
– secondo l’orientamento di questa Suprema corte «Poiché anche nel processo tributario le parti conservano la disponibilità dei diritti in contestazione, qualora l’Amministrazione finanziaria si avveda in corso di causa che è corretta e da accogliere una eccezione del contribuente relativa all’erroneo computo del credito d’imposta indicato nell’avviso impugnato, non per questo deve rinnovare l’intero procedimento amministrativo di accertamento, avendo il potere-dovere di ridurre la domanda originaria. Tale riduzione della domanda, non equivalendo a diverso e autonomo accertamento in via di rettifica da parte dell’Amministrazione, è ammissibile anche se operata per la prima volta in grado d’appello, con conseguente dovere del giudice di valutare la pretesa fiscale residua» (Cass. n. 15413/2017 (3); conf. n. 11265/2003 (4));
– mutatis mutandis il medesimo principio è applicabile qualora, come nel caso di specie, l’Amministrazione, nell’ambito di una rettifica, analitico-induttiva, abbia applicato, in corso di giudizio, una percentuale di ricarico inferiore rispetto a quella indicata nell’avviso di accertamento;
– il sesto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c. insufficienza della motivazione, là dove la Ctr ha censurato l’operato dell’amministrazione per avere posto a base della rettifica un valore di rimanenze iniziale per l’anno 1999 divergente da quello assunto per determinare le rimanenze finali del 1998;
– la Ctr non ha tenuto conto che ciò era stato fatto sulla base di documentazione extra contabile rinvenuta nei locali aziendali (riprodotta nel ricorso);
– il motivo è fondato esattamente per la ragione indicata dalla ricorrente, non essendovi nella sentenza alcun accenno alla documentazione extra contabile sulla quale il Fisco aveva basato la propria valutazione;
– non è superfluo ricordare che la documentazione extra contabile, secondo consolidata giurisprudenza, costituisce di per sé presunzione idonea a spostare sul contribuente l’onere della prova contraria (Cass. n. 25610/2006 (5); conf. Cass. n. 24051/2011 (6); Cass. n. 4080/2015 (7));
– in conclusione, fondati tutti i motivi, il ricorso va accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Sicilia in diversa composizione per nuovo esame e perché provveda sulle spese del presente giudizio di legittimità;

P.Q.M. – accoglie il ricorso; cassa la sentenza; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

(1) Cass. 13 ottobre 2011, n. 21119, in Boll. Trib. On-line.
(2) Cass. 11 aprile 2011, n. 8183, in Boll. Trib. On-line.
(3) Cass. 21 giugno 2017, n. 15413, in Boll. Trib. On-line.
(4) Cass. 18 luglio 2003, n. 11265, in Boll. Trib., 2004, 154.
(5) Cass. 1° dicembre 2006, n. 25610, in Boll. Trib. On-line.
(6) Cass. 16 novembre 2011, n. 24051, in Boll. Trib. On-line.
(7) Cass. 27 febbraio 2015, n. 4080, in Boll. Trib. On-line.

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