25 Gennaio, 2018

Nell’annotata sentenza i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso del legale rappresentante di una società a responsabilità limitata avente ad oggetto la riforma di una condanna a norma dell’art. 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, il quale sanziona l’omesso versamento dell’IVA.
In particolare il legale rappresentante aveva omesso il versamento dell’IVA adducendo a propria discolpa «lo stato di profonda crisi economica» nonché «il ritardo dei pagamenti rispetto all’emissione delle fatture»; nel contempo, aveva provveduto a concordare un piano di pagamento rateizzato al fine di regolarizzare la posizione, invocando l’applicazione dell’art. 62, n. 6), c.p., a norma del quale si prevede un’attenuante per «l’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni».
La Corte d’Appello di Milano aveva ritenuto irrilevante il primo ordine di motivazioni e non applicabile l’attenuante in quanto l’adempimento era solo parziale, pertanto «rilevante solo ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche» e non dell’attenuante specifica.
Il ricorrente, oltre a riproporre le questioni sopra esposte, ha invocato l’applicazione dell’art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000, recentemente modificato dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, e quindi ha inizialmente richiesto, a norma del terzo comma dello stesso articolo, il rinvio dell’udienza, posto che: «Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini dell’applicabilità dell’articolo 13-bis, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo. In tal caso la prescrizione è sospesa. Il Giudice ha facoltà di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario, ferma restando la sospensione della prescrizione».
Successivamente l’imputato ha allegato l’attestazione dell’agente della riscossione volta a certificare l’adempimento dell’intero debito fiscale e ha conseguentemente richiesto l’annullamento della sentenza impugnata: il ricorrente riteneva infatti applicabile la nuova normativa (introdotta appunto dal D.Lgs. n. 158/2015), la quale prevede, seppure entro determinati limiti e nel caso di totale estinzione del debito tributario, una causa di non punibilità e non più una circostanza attenuante.
Infatti la citata disposizione, la quale precedentemente prevedeva che «Le pene previste per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino ad un terzo e non si applicano le pene accessorie indicate nell’art. 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributari», ora dispone al primo comma che «I reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso».
Proprio il neo-introdotto art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000 ha fornito il motivo per la cassazione della sentenza da parte della Suprema Corte: infatti, nonostante la nuova norma preveda come limite temporale, al fine di invocare l’applicazione della causa di non punibilità, l’aver completamente saldato il debito tributario entro la dichiarazione di apertura del dibattimento, condizione questa che nel caso di specie si è avverata soltanto durante il giudizio di legittimità, la Corte ha tuttavia ritenuto di accogliere il ricorso.
È da evidenziare che lo stesso ricorrente non aveva ritenuto di invocare l’applicazione della circostanza attenuante prevista dalla precedente formulazione dell’art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000, il quale disponeva lo stesso limite temporale ovvero l’apertura del dibattimento, bensì aveva richiesto l’applicazione dell’art. 62, n. 6), c.p., e la Corte non aveva accolto detto motivo in quanto il suddetto articolo è stato considerato in concorso apparente proprio con la precedente formulazione dell’art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000, risolto secondo il principio di specialità in favore di quest’ultimo «non essendo possibile l’applicazione di due circostanze attenuanti con riferimento al medesimo fatto».
Invece la Suprema Corte con un’enunciazione di principio ha ritenuto opportuno estendere l’applicabilità del nuovo art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000, espressamente qualificato come «causa estintiva» del reato, a tutti i «procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. 158/2015 … anche nei casi in cui sia stata superata la preclusione “procedimentale”», ovvero l’apertura del dibattimento.
È interessante quindi comprendere quali siano i motivi che hanno spinto la Suprema Corte ad introdurre una disciplina transitoria mediante un’interpretazione estensiva della norma fortemente votata al principio del favor rei.
La Corte di Cassazione, per suffragare la propria tesi, richiama quattro motivi:
1) il venir meno del “bisogno di pena” in ragione della condotta di integrale pagamento del debito tributario; ovvero, per parlare in termini “costituzionali”, l’elisione della finalità rieducativa della pena a seguito della condotta restitutoria (art. 27, terzo comma, Cost.);
2) il principio di uguaglianza;
3) il principio del favor rei;
4) l’interesse a provvedere al pagamento necessariamente diverso, data la differente rilevanza e “appetibilità” di una causa di estinzione del reato rispetto a un’attenuante.
La prima considerazione che emerge dalla lettura di queste motivazioni è la volontà della Suprema Corte di operare una lettura costituzionalmente orientata della norma, la cui preclusione, seppure espressamente definita «non irragionevole», in assenza di una disciplina transitoria condurrebbe a parere dei giudici di legittimità a «una disparità di trattamento in relazione a situazioni uguali in ordine alla quale sarebbe prospettabile una questione di illegittimità costituzionale».
La necessità di interpretare secundum constitutionem è un’istanza sollevata da tempo dai giudici della Consulta (1) nonché da autorevole dottrina (2).
Infatti la Corte Costituzionale, in una prospettiva di dialogo con i giudici ordinari, da tempo cerca di limitare le pronunce demolitorie proponendo invece la possibilità di un’interpretazione che, per quanto non immediata, sia maggiormente adatta ai valori della Costituzione; tanto da affermare che sul giudice a quo gravi un vero e proprio onere che gli impone di cercare un’interpretazione conforme alla Carta costituzionale prima di rimettere il giudizio alla Consulta.
Tale posizione è stata accolta con pronunce altalenanti da parte della Corte di Cassazione la quale ha tentato di conciliare le istanze proposte dalla Consulta con la volontà di mantenere il monopolio dell’interpretazione della legge, per come assegnatole dalla Costituzione (art. 111). In tale caso la Suprema Corte sembra aver pienamente accolto il proprio ruolo di interprete “diretto” della Costituzione: in particolare basa la propria decisione su due principi costituzionali.
Il primo principio è quello di ragionevolezza, diretta esplicazione del principio di uguaglianza in senso sostanziale (art. 3 Cost.), e si coglie nell’affermazione che «la diversa natura assegnata al pagamento del debito tributario, quale “fatto” che non riguarda più soltanto il quantum della punibilità, ma l’an della punibilità», fa sì che «sotto il profilo sostanziale, il pagamento del debito tributario assuma la medesima efficacia estintiva, sia che avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sia, nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 158 del 2015, che avvenga dopo tale limite, purché prima del giudicato».
Il secondo principio è quello della finalità rieducativa della pena (art. 27, terzo comma, Cost.): a parere della Suprema Corte infatti la modifica non è meramente di carattere quantitativo ma, basandosi sulla differenza qualitativa tra una circostanza che incida sul quantum e una che incida sull’an della pena, è la motivazione di politica legislativa sottesa all’introduzione delle due disposizioni a essere essenzialmente differente.
Infatti mentre la ratio della precedente circostanza attenuante sottendeva una «minore gravità del reato o di indice della capacità a delinquere del soggetto», l’attuale riconoscimento di efficacia estintiva del reato implica il «diverso fenomeno della degradazione dell’illecito penale in ragione di condotte susseguenti al reato» incidendo sul bisogno della pena; la Suprema Corte ritiene pertanto che per una ragione egualitaria è doveroso permettere anche a chi sia già in pendenza di giudizio di accedere a questa nuova opportunità da considerarsi essenzialmente nuova.
È altresì da notare che questa estensione incontra, per quanto affermato dalla stessa Corte di Cassazione, un limite e cioè che il pagamento debba in ogni caso intervenire prima del giudicato.
Prima facie questa potrebbe essere intesa come una ingiustificata disuguaglianza tra soggetti la cui unica differenza rispetto alla situazione sostanziale in cui si trovano è data dal giudicato, privando di fondamento una sentenza che del principio di uguaglianza fa il proprio motivo ispiratore.
La distinzione è però dettata da motivi di ordine tecnico-giuridico e non da scelte arbitrarie; infatti il pagamento integrale del dovuto sebbene sia una condizione di estinzione del reato rientra tra le cause di non punibilità; ovvero situazioni che si collocano all’esterno della struttura del reato e non incidono sulla sua esistenza, limitandosi solamente a impedire che la pena venga applicata, in quanto, sebbene permangano antigiuridicità e colpevolezza, motivazioni di convenienza politico criminale conducono a escludere l’applicazione della sanzione penale, per l’esigenza di salvaguardare controinteressi considerati nello specifico preminenti e che sarebbero lesi dall’applicazione della pena nel caso concreto (come in questo caso la preminente finalità di salvaguardia del bilancio pubblico e di realizzo delle entrate fiscali). Pertanto la formulazione di una nuova causa di non punibilità non può incidere sul giudicato, dal momento che quest’ultimo si è formato sulla base di una fattispecie perfetta i cui elementi costitutivi non sono stati modificati dalla norma.
Conclusivamente si può quindi affermare che la Suprema Corte nell’annotata sentenza abbia correttamente applicato le istanze di adeguamento della normativa ai principi costituzionali.
La mancata previsione di una normativa transitoria da parte del legislatore è da considerare infatti un vulnus ai principi di uguaglianza e ragionevolezza che permeano il nostro sistema; la Corte ha quindi parificato situazioni sostanzialmente uguali statuendo che «nei soli procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 158/2015, deve ritenersi che l’imputato sia nella medesima situazione giuridica che fonda, allorquando non vi sia ancora stata l’apertura del dibattimento, l’efficacia estintiva prevista dalla nuova causa di non punibilità».
Non sfugge la pregnante rilevanza pratica di questa pronuncia per tutti coloro che siano imputati per il reato previsto all’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000; nonché presumibilmente, data l’uniformità del dettato normativo, anche coloro che siano imputati per i reati previsti agli artt. 10-bis e 10-quater, primo comma, del medesimo decreto potranno, previo integrale pagamento degli importi dovuti, usufruire della causa di estinzione del reato nonostante siano al di fuori dei limiti temporali previsti dalla citata disposizione.

Avv. Laura Rosa

(1) La Corte Costituzionale con la sentenza 14 ottobre 1996, n. 356 (in Boll. Trib. On-line), ha coniato un celebre principio per giustificare insieme il potere-dovere dei giudici di interpretare secundum constitutionem e l’inammissibilità dell’incidente costituzionale promosso senza esercitarlo: «in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime» [o «una disposizione non può essere ritenuta costituzionalmente illegittima»] «perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali». Tale canone è stato poi affermato in numerose altre sentenze quali, per tutte, Corte Cost. 10 febbraio 2006, n. 57, in Boll. Trib. On-line; e Corte Cost. 20 aprile 2000, n. 113, ivi.
(2) «Se è possibile una interpretazione adeguatrice della legge da parte del giudice a quo, non vi sarà allora una vera questione di costituzionalità ma piuttosto una questione di interpretazione, rientrante nei normali poteri dell’autorità giudiziaria»: così G. ZAGREBELSKY, Processo costituzionale, Milano, 1987, 593.

IVA – Sanzioni penali – Reati tributari – Delitto di omesso versamento dell’IVA – Art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 – Crisi di liquidità del debitore al momento della scadenza del termine per effettuare il versamento dell’imposta – Irrilevanza, in difetto della prova che siano state adottate tutte le misure per provvedere al pagamento.

IVA – Sanzioni penali – Reati tributari – Delitto di omesso versamento dell’IVA – Art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 – Attenuante generica di cui all’art. 62, n. 6), c.p. – Inapplicabilità – Integrale pagamento dei debiti tributari – Costituiva una attenuante speciale prima della riforma di cui al D.Lgs. n. 158/2015 – Inapplicabilità simultanea di entrambe le circostanze attenuanti – Consegue.

IVA – Sanzioni penali – Reati tributari – Delitto di omesso versamento dell’IVA – Art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 – Integrale pagamento dei debiti tributari successivo all’entrata in vigore dell’art. 11 del D.Lgs. n. 158/2015 – Costituisce una causa di non punibilità – Fruibilità fino al passaggio in giudicato della sentenza nei procedimenti in corso all’entrata in vigore della predetta norma – Sussiste.

Nel reato di omesso versamento dell’IVA previsto e punito dall’art. 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ai fini dell’esclusione della colpevolezza è irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo.

Premesso che ai reati tributari non è applicabile l’attenuante di cui all’art. 62, n. 6), c.p., consistente nell’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno mediante il suo risarcimento e, quando possibile, mediante le restituzioni, trattandosi di reati che non incidono se non indirettamente sul patrimonio dello Stato, ma ledono il suo diritto costituzionalmente sancito alla imposizione dei tributi, alla loro riscossione e alla loro successiva distribuzione per le esigenze della collettività, l’integrale pagamento dei debiti tributari rilevava, nella disciplina precedente al D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, quale circostanza attenuante speciale; in tal senso, dunque, la fattispecie attenuante prevista dal previgente art. 13 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, era speciale rispetto alla circostanza comune prevista dalla fattispecie generale di cui al citato art. 62, n. 6), c.p. e, ricorrendo un’ipotesi di concorso apparente di norme, da risolvere alla stregua del consueto criterio di specialità di cui all’art. 15 c.p., non era possibile l’applicazione di due circostanze attenuanti con riferimento al medesimo fatto.

Il disposto dell’art. 11 del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, nella parte in cui, sostituendo il previgente art. 13 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ha attribuito all’integrale pagamento dei debiti tributari, nel caso dei reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, primo comma, del medesimo D.Lgs. n. 74/2000, efficacia estintiva e non più solo attenuante, pur indicando nella dichiarazione di apertura del dibattimento il limite di rilevanza della causa estintiva, deve ritenersi applicabile anche ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore, poiché la diversa natura giuridica e la più ampia efficacia attribuite alla fattispecie implicano, nei procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore del citato D.Lgs. n. 158/2015, la necessità di una parificazione degli effetti della causa di non punibilità anche nei casi in cui sia stata superata la preclusione procedimentale, atteso che il principio di uguaglianza impone infatti di ritenere che sotto il profilo sostanziale il pagamento del debito tributario assuma la medesima efficacia estintiva, sia che avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sia, nei procedimenti in corso alla suddetta data, che avvenga dopo tale limite, purché prima del giudicato.

[Corte di Cassazione, sez III pen. (Pres. Grillo, rel. Riccardi), 28 settembre 2016, sent. n. 40314]

RITENUTO IN FATTO – 1. Con sentenza del 24 giugno 2014 la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza di condanna alla pena di mesi quattro di reclusione, sostituita con la multa di € 4.560,00, emessa dal Gip presso il Tribunale di Milano in data 28/5/2013, in ordine al reato di omesso versamento di IVA, di cui all’art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, per aver omesso, in qualità di legale rappresentante della Sofir Consortile s.r.l., di versare nel termine l’IVA dovuta per l’anno di imposta 2007, per un ammontare di € 394.956,00.
La sentenza di appello oggetto di impugnazione ha confermato l’affermazione di responsabilità dell’imputato, ritenendo irrilevante lo stato di illiquidità dell’imputato, ai fini dell’integrazione della dedotta scriminante, e dell’assenza di dolo; anche il piano di pagamento rateizzato non è stato ritenuto rilevante ai fini del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., bensì, trattandosi di adempimento ancora parziale, rilevante solo ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche.

2. Avverso tale provvedimento il difensore dell’imputato, Avv. G.B., ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due distinti motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Deduce, invero, il vizio di violazione di legge e di motivazione [art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen.]: lamenta che la sentenza impugnata non ha considerato l’assenza del dolo desumibile dalla circostanza che l’omesso versamento è stato determinato da una situazione di profonda crisi economica, e che, non appena rientrata un po’ di liquidità, ha richiesto l’ammissione ad un piano di pagamento rateizzato; del resto, l’omissione non sarebbe dovuta ad una errata utilizzazione delle somme versate, a titolo di IVA, dal cessionario o dal committente del servizio, bensì dal ritardo dei pagamenti rispetto all’emissione delle fatture.
Con un secondo ordine di motivi, deduce il vizio di violazione di legge, in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen.: illogico sarebbe il mancato riconoscimento, in quanto l’imputato ha richiesto ed ottenuto un piano di rateizzazione per il pagamento del debito tributario, che sta onorando, in tal modo integrando una riparazione del danno.
Con memoria pervenuta il 18/1/2016 il difensore ha richiesto un rinvio dell’udienza, allegando un’attestazione di Equitalia Nord s.p.a. dalla quale si evince che il ricorrente ha versato, in ottemperanza al piano di pagamento rateale, la somma di € 329.463,86, a fronte di un debito complessivo di € 394.956,00; l’attuale formulazione dell’art. 13 (come novellato dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158), infatti, oltre a delineare una causa di non punibilità, e non più una mera circostanza attenuante, prevede la concessione di un termine di tre mesi, prorogabile, per l’estinzione del debito tributario.
In seguito al rinvio all’odierna udienza, con memoria pervenuta il 12/3/2016 il difensore ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, allegando un’attestazione di Equitalia Nord s.p.a. dalla quale si evince che il ricorrente ha versato, in ottemperanza al piano di pagamento rateale, la somma di € 394.956,00, in tal modo saldando l’intero debito fiscale.

CONSIDERATO IN DIRITTO – 1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito illustrati.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
È pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che nel reato di omesso versamento di Iva (art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000) ai fini dell’esclusione della colpevolezza è irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo (Sez. 3, n. 2614 del 6/11/2013 (1), dep. 2014, Saibene, Rv. 258595; ex multis, Sez. 3, n. 8352 del 24/6/2014 (2), dep. 2015, Schirosi, Rv. 263128).

3. Il secondo motivo, in ordine all’omesso riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., è manifestamente infondato.
Premesso che ai reati tributari non è applicabile l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. (risarcimento del danno), trattandosi di reati che non incidono, se non indirettamente, sul patrimonio dello Stato, ma ledono il suo diritto costituzionalmente sancito alla imposizione dei tributi, alla loro riscossione e alla loro successiva distribuzione per le esigenze della collettività (Sez. 3, n. 3513 del 18/1/1994, Bignami, Rv. 197104), l’integrale pagamento dei debiti tributari rilevava, nella disciplina precedente al d.lgs. 158 del 2015, quale circostanza attenuante speciale (non ad effetto speciale); in tal senso, dunque, la fattispecie attenuante prevista dal previgente art. 13 d.lgs. n. 74 del 2000 era speciale rispetto alla circostanza comune prevista dalla fattispecie generale di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., e, ricorrendo un’ipotesi di concorso apparente di norme, da risolvere alla stregua del consueto criterio di specialità (art. 15 cod. pen.), non era possibile l’applicazione di due circostanze attenuanti con riferimento al medesimo fatto.
Nel caso in esame, peraltro, la sentenza impugnata non ha riconosciuto entrambe le attenuanti, in considerazione del fatto che non vi era ancora stato l’integrale pagamento del debito, valorizzato, tuttavia, ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche.

4. Il profilo in esame, tuttavia, risulta assorbito dalla questione proposta con i motivi aggiunti, in ragione del novum normativo.
Invero, l’art. 11 d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, sostituendo il previgente art. 13 d.lgs. 74 del 2000, ha attribuito all’integrale pagamento dei debiti tributari, nel caso dei reati di cui agli artt. 10-bis e 10-ter e art. 10-quater, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, efficacia estintiva, e non più soltanto attenuante.
Pur indicando nella dichiarazione di apertura del dibattimento il limite di rilevanza della causa estintiva, nel senso che, per aversi estinzione dei reati, l’integrale pagamento degli importi dovuti deve avvenire prima dell’inizio del giudizio penale, nondimeno va rilevato che la diversa natura giuridica e la più ampia efficacia attribuite alla fattispecie implica, nei procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. 158 del 2015, la necessità di una parificazione degli effetti della causa di non punibilità anche nei casi in cui sia stata superata la preclusione procedimentale.
Invero, la trasformazione della fattispecie attenuante in fattispecie estintiva implica che l’integrale pagamento del debito tributario non assuma più rilevanza normativa in termini di minore gravità del reato o di indice della capacità a delinquere del soggetto, secondo la ratio sottesa alla stessa morfologia delle circostanze del reato; il riconoscimento di una efficacia estintiva del reato, infatti, va inquadrata nel diverso fenomeno della degradazione dell’illecito penale in ragione di condotte susseguenti al reato, nel caso di specie di carattere restitutorio, che rispondono alla differente logica premiale; in tal senso, dunque, la causa estintiva integra un’ipotesi di asimmetria tra la c.d. “meritevolezza di pena” (Strafwürdigkeit, nella terminologia della dottrina d’oltralpe che ha elaborato il concetto), fondante la criminalizzazione del fatto, ed il c.d. “bisogno di pena” (Strafbedürfnis), che viene meno in ragione della condotta di integrale pagamento del debito tributario, così privando di ragione l’applicazione della pena; in una declinazione costituzionale, la condotta restitutoria, dunque, assume rilievo nell’elisione della finalità rieducativa (o risocializzante) assegnata, quanto meno sotto il profilo assiologico, alla sanzione penale dalla stessa Costituzione (art. 27, comma 3, Cost.); in altri termini, la pena astrattamente prevista non ha più ragione di essere applicata allorquando la condotta restitutoria susseguente implichi, sotto il profilo teleologico, il venir meno della funzione rieducativa ad essa assegnata.
Ebbene, la diversa natura assegnata al pagamento del debito tributario, quale fatto che non riguarda più soltanto il quantum della punibilità, ma l’an della punibilità, comporta che nei procedimenti in corso, anche se sia stato oltrepassato il limite temporale di rilevanza previsto dalla norma, l’imputato debba essere considerato nelle medesime condizioni fondanti l’efficacia della causa estintiva; il principio di uguaglianza, che vieta trattamenti differenti per situazioni uguali, impone, infatti, di ritenere che, sotto il profilo sostanziale, il pagamento del debito tributario assuma la medesima efficacia estintiva, sia che avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sia, nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 158 del 2015, che avvenga dopo tale limite, purché prima del giudicato.
La preclusione assegnata, in maniera non irragionevole, ad un momento della scansione processuale, non può operare allorquando, in applicazione del principio del favor rei, la più favorevole disciplina – introdotta in pendenza del procedimento, ed allorquando la scansione era stata già superata – debba essere applicata agli imputati che hanno provveduto al pagamento integrale del debito tributario.
Né potrebbe obiettarsi che la preclusione era prevista anche in relazione alla precedente fattispecie attenuante, in quanto l’efficacia estintiva ora attribuita al pagamento integrale del debito tributario è diversa e più ampia dell’efficacia attenuante, da essa dipendendo l’an, e non soltanto il quantum, della punibilità; a prescindere dall’irrilevanza della dimensione soggettiva della spontaneità, l’interesse a provvedere al pagamento dell’intero debito tributario è necessariamente diverso, e più intenso, ove sia collegato ad una efficacia estintiva del reato, anziché ad una efficacia soltanto attenuante; quindi, nei soli procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 158 del 2015, deve ritenersi che l’imputato sia nella medesima situazione giuridica che fonda, allorquando non vi sia ancora stata l’apertura del dibattimento, l’efficacia estintiva prevista dalla nuova causa di non punibilità; viceversa, si registrerebbe una disparità di trattamento in relazione a situazioni uguali in ordine alla quale sarebbe prospettabile una questione di illegittimità costituzionale.

5. Implicando una questione di fatto, la sentenza impugnata va dunque annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano, affinché valuti se l’integrale pagamento dei debiti tributari sia stato comprensivo altresì delle sanzioni amministrative e degli interessi.

P.Q.M. – (Omissis).

(1) In Boll. Trib. On-line.
(2) In Boll. Trib. On-line.

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