15 Settembre, 2015

 

 

1. Premessa

Le due annotate sentenze ci consentono di dedicare la nostra attenzione, ancora una volta, a tematiche ampiamente dibattute nel corso degli ultimi tempi.

Si tratta infatti di due pronunce di identico contenuto sostanziale che, pur soffermandosi su una questione concreta abbastanza specifica, fissano un principio fondamentale in tema di diritto al contraddittorio che trascende i singoli casi all’attenzione dei Supremi Giudici per diventare un canone immanente affermato lapidariamente, a favore del contribuente, ma anche nell’interesse dell’Amministrazione finanziaria. Lo scopo ultimo delle sentenze appare, infatti, quello di indirizzare quest’ultima verso un’interpretazione delle disposizioni di legge improntata al rispetto del confronto tra le parti.

L’argomento è di grande rilevanza in quanto è, per così dire, trasversale a buona parte delle tematiche più attuali in tema fiscale.

Con buona probabilità, le Sezioni Unite hanno voluto rimarcare la forza del principio i cui contenuti sono stati, a volte, messi in dubbio da una rigida interpretazione delle norme comunitarie e, anche – con riguardo alla dimensione da riconoscervi – dalle evidenti incertezze e perplessità esistenti all’interno della Corte stessa.

I Supremi Giudici giungono ad enunciare il principio di diritto attraverso un excursus abbastanza articolato e volto a ricomprendere alcune questioni squisitamente teoriche, come il corretto inquadramento della natura dell’iscrizione ipotecaria che va, peraltro, a toccare anche la dibattuta tematica degli atti impugnabili.

Per tale motivo, appare opportuno soffermarsi sui punti salienti della motivazione delle sentenze per rilevarne le tematiche più interessanti con vaglio critico, dopo avere brevemente riassunto la fattispecie concreta posta all’attenzione dei Supremi Giudici e il loro iter argomentativo.

2. La fattispecie all’attenzione delle Sezioni Unite

Per una maggiore speditezza delle presenti riflessioni faremo riferimento alla pronuncia n. 19667/2014 supra pubblicata per esteso, avvertendo che il fulcro dei due arresti (punti da 1 a 18) è assolutamente identico in quanto stilato dal medesimo relatore e pronunciato dallo stesso Collegio in relazione a fattispecie simili.

Un contribuente impugnava la comunicazione di iscrizione ipotecaria, emessa a seguito di un presunto mancato pagamento di alcune cartelle di pagamento delle quali chiedeva la sospensione e l’annullamento.

La Commissione provinciale adita, respinta l’istanza di sospensione, rigettava il ricorso e, allo stesso modo, si pronunciava pure la Commissione regionale.

[-protetto-]

Il contribuente, pertanto, avverso l’ultima sentenza ricorreva per cassazione con quattro motivi, deducendo: 1) nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione e per violazione o falsa applicazione dell’art. 36 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, degli artt. 132 e 276 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111, sesto comma, Cost.; 2) insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e violazione o falsa applicazione degli artt. 50 e 77 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602; 3) insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ed eccesso di potere per sperequazione tra il carico tributario e il valore dell’immobile; 4) insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia e violazione o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. e dell’art. 2 Cost.

La Sezione Tributaria, con ordinanza n. 18007/2013 (1), rimetteva al Primo Presidente della Suprema Corte la valutazione circa l’opportunità di devolvere alle Sezioni Unite la seguente questione: se l’agente della riscossione sia o meno tenuto, ove sia decorso un anno dalla notifica della cartella di pagamento, prima di procedere all’iscrizione di ipoteca, a notificare al debitore un avviso che contenga l’intimazione ad adempiere entro cinque giorni l’obbligo risultante dal ruolo ex art. 50, secondo comma, del D.P.R. n. 602/1973, e ciò a prescindere dall’entrata in vigore dell’art. 77, comma 2-bis, introdotto con il D.L. 13 maggio 2011, n. 70 (convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106), all’interno del D.P.R. n. 602/1973, a norma del quale «l’agente della riscossione è tenuto a notificare al proprietario dell’immobile una comunicazione preventiva contenente l’avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà iscritta l’ipoteca di cui al comma 1».

Le Sezioni Unite ritengono opportuno esaminare, in via pregiudiziale, il secondo motivo di ricorso, con il quale il contribuente ha censurato l’impugnata sentenza per insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e per violazione o falsa applicazione degli artt. 50 e 77 del D.P.R. n. 602/1973, per aver il giudice di merito affermato, senza peraltro alcun adeguato approfondimento, che la legittimità dell’iscrizione ipotecaria scaturisce dal mancato pagamento, entro i termini previsti, di cartelle di pagamento non più impugnabili, mentre la comunicazione di avvenuta iscrizione non è prevista da alcuna norma, trattandosi di una misura cautelare. Mentre invece, per il ricorrente, la necessaria e ineludibile lettura integrata degli artt. 50 e 77 del D.P.R. n. 602/1973 imporrebbe, ai fini della legittimità dell’iscrizione ipotecaria, la comunicazione di quest’ultima al contribuente prima che l’agente della riscossione possa procedere all’espropriazione forzata.

Secondo i Supremi Giudici, in primo luogo, bisogna superare l’empasse, all’interno anche della stessa Corte, relativa alla natura da riconoscere all’ipoteca prevista dall’art. 77 del D.P.R. n. 602/1973. Se cioè essa debba essere considerata un atto preordinato all’espropriazione immobiliare e, in tal caso, soggiaccia agli stessi limiti per quest’ultima stabiliti dal medesimo decreto, oppure se la soluzione vada cercata in un diverso iter logico-giuridico. Ed è in tale ultima direzione che si muovono i Supremi Giudici, rilevando la sostanziale equiparabilità della situazione normativa dell’iscrizione di ipoteca a quella del fermo amministrativo dei beni mobili registrati.

Con l’ordinanza n. 14831/2008 (2) le Sezioni Unite hanno ritenuto che la novella del 2006 (3) all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 superasse la precedente interpretazione delle medesime Sezioni Unite (4) relativa al fermo amministrativo dei beni mobili registrati inquadrato come atto preordinato all’espropriazione forzata e, quindi, riconducibile alla giurisdizione del giudice ordinario, e comportasse una modifica dell’art. 2 del medesimo decreto, lasciando alla giurisdizione ordinaria solo la sfera residuale dell’espropriazione forzata vera e propria (5). Il D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248), peraltro, in forza dell’art. 35, comma 25-quinquies, ha collocato all’interno dell’elenco degli atti impugnabili innanzi al giudice tributario, oltre al fermo amministrativo dei beni mobili registrati di cui all’art. 86 del D.P.R. n. 602/1973, anche l’iscrizione di ipoteca di cui all’art. 77 del medesimo decreto. Di conseguenza, nonostante la disciplina dell’iscrizione di ipoteca, a differenza di quella relativa al fermo amministrativo, trovi nel D.P.R. n. 602/1973 collocazione nel capo 2 (e non nel capo 3) del Titolo 2, situazione che potrebbe fare pensare maggiormente ad una relazione strettamente funzionale della stessa con l’espropriazione forzata, devono ritenersi valide le medesime conclusioni raggiunte dalle stesse Sezioni Unite rispetto al fermo amministrativo.

D’altra parte l’art. 77, secondo comma, del D.P.R. n. 602/1973, prevede che prima di procedere all’esecuzione il concessionario della riscossione deve iscrivere ipoteca, e, al primo comma, richiama esclusivamente l’art. 50, primo comma, del medesimo decreto (6).

Le Sezioni Unite, pertanto, enunciano il principio di diritto per il quale l’ipoteca, prevista dall’art. 77 del D.P.R. n. 602/1973, deve essere esclusa dall’ambito specifico dell’espropriazione, in quanto si tratta di un atto riferito a una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria. Di conseguenza non le si può ritenere applicabile la regola prescritta dall’art. 50, secondo comma, del D.P.R. n. 602/1973, con ciò significando che se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, la stessa deve essere preceduta dalla notifica, da effettuarsi con le modalità previste dall’art. 26 dello stesso D.P.R. n. 602, di un avviso che contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni (7). Ciò non significa che l’iscrizione ipotecaria possa essere eseguita senza che la stessa debba essere oggetto di alcuna comunicazione al contribuente. Proprio in quanto atto impugnabile innanzi al giudice tributario l’iscrizione ipotecaria presuppone una specifica comunicazione ai contribuenti: l’art. 21 del D.Lgs. n. 546/1992 prescrive, infatti, che gli atti elencati nell’art. 19 del medesimo decreto (tra i quali, come già visto, è enumerata anche l’iscrizione ipotecaria), debbano essere impugnati entro sessanta giorni dalla relativa notificazione.

Tale conclusione promana, in primo luogo, dall’art. 21 della legge 7 agosto 1990, n. 241, che prevede un obbligo generalizzato di comunicazione dei provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei destinatari in ragione del principio costituzionale di imparzialità e di buon andamento dell’Amministrazione (art. 97 Cost.), e ciò nonostante il fatto che l’art. 13, secondo comma, della legge n. 241/1990, escluda i procedimenti tributari dall’applicazione degli istituti partecipativi previsti dall’art. 7 della stessa legge, in quanto non si tratta di una esclusione tout court dei predetti istituti, bensì solo di un rinvio per la concreta regolamentazione dei medesimi alle norme speciali che disciplinano il procedimento tributario.

L’obbligo di comunicazione, inoltre, promana dalle norme contenute negli artt. 5, 6, 7, 10 e 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), interpretando le quali emerge chiaramente che la pretesa tributaria trova legittimità nella formazione procedimentalizzata di una “decisione partecipata” mediante la promozione del contraddittorio tra Amministrazione finanziaria e contribuente (anche) nella “fase precontenziosa” o “endoprocedimentale”. D’altra parte, in tale prospettiva si è mossa la giurisprudenza della Suprema Corte negli ultimi anni (8).

Soprattutto il rispetto dei diritti della difesa e del diritto che ne deriva, per ogni persona, di essere sentita prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi, costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione, affermato dalla Corte di Giustizia europea nella famosa sentenza Sopropè (9) e nella recentissima Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Wortdwide Logistics BV (10). Il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento, secondo la Corte di Giustizia europea, è attualmente sancito non solo negli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, che garantiscono il rispetto dei diritti della difesa nonché il diritto ad un processo equo in qualsiasi procedimento giurisdizionale, bensì anche nell’art. 41 di quest’ultima, che garantisce il diritto ad una buona amministrazione come diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale lesivo. pertanto ogni soggetto deve essere messo in condizione di manifestare utilmente il proprio punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione finanziaria intende fondare la sua decisione, mediante una previa comunicazione del provvedimento che sarà adottato, con la fissazione di un termine per presentare eventuali difese od osservazioni. Tale obbligo, ad avviso della Corte, incombe sulle Amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, quand’anche la normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalità.

Dal complesso delle considerazioni fin qui svolte si deve concludere che l’iscrizione ipotecaria prevista dall’art. 77 del D.P.R. n. 602/1973, in quanto atto destinato ad incidere in modo negativo sui diritti e interessi del contribuente, deve essere a quest’ultimo comunicata prima di essere eseguita, in ragione del dovuto rispetto del diritto di difesa, mediante l’attivazione del “contraddittorio endoprocedimentale”, che costituisce un principio generale fondamentale immanente nell’ordinamento al quale dare attuazione anche in difetto di una espressa e specifica previsione normativa. Quanto al consequenziale termine da fissare al destinatario per la presentazione di eventuali osservazioni (o, dato il caso specifico, per il pagamento del dovuto) anch’esso può trarsi, in difetto di espressa previsione scritta, dal sistema e determinarsi in trenta giorni sulla base delle prescrizioni che prevedono analogo termine con l’art. 6, quinto comma, della legge n. 212/2000, o con l’art. 36-ter, quarto comma, del D.P.R. n. 600/1973.

Nondimeno nel caso specifico, stante la natura reale dell’ipoteca, l’iscrizione effettuata senza che sia stato rispettato dall’Amministrazione finanziaria l’obbligo della preventiva comunicazione al contribuente conserva la propria efficacia fino a quando il giudice non ne abbia ordinato la cancellazione, accertandone l’illegittimità, salvo in ogni caso la responsabilità dell’Amministrazione medesima ai fini dell’eventuale risarcimento del danno.

Le Sezioni Unite ritengono che gli altri motivi di ricorso – che, relativamente alla sentenza n. 19667/2014 si risolvono tutti in una denuncia di vizio di motivazione della pronuncia d’appello sotto diversi profili – sono fondati e, quindi, il ricorso è accolto con rinvio della causa ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale della Campania.

Allo stesso modo l’arresto n. 19668/2014 cassa la sentenza di secondo grado e rinvia la causa ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio sia sulla base dei principi di diritto che andremo a scrutinare nel dettaglio in ordine alla doverosità della comunicazione al contribuente dell’imminente iscrizione ipotecaria, e sia su un difetto di motivazione della sentenza impugnata che non ha sviluppato «alcuna argomentazione che sappia evidenziare quali siano stati gli elementi che il giudice ha valutato e considerato per pervenire alla dichiarazione – in verità del tutto assertiva – che la notifica ex art. 140 cod. proc. civ. fosse stata eseguita nella specie regolarmente».

3. Aspetti comuni salienti delle pronunce

Le pronunce in esame si snodano attraverso un lungo excursus argomentativo, peraltro abbastanza articolato, mediante il quale i Supremi Giudici, in primo luogo, si soffermano specificamente sull’iscrizione ipotecaria e sulla natura che si deve ad essa riconoscere.

Il primo passaggio argomentativo è necessario in quanto è preordinato ad aprire la sequenza che conduce al punto cruciale della pronuncia.

Il metodo utilizzato dai Supremi Giudici è quello di equiparazione dell’istituto ad un altro estremamente simile ricondotto all’interno di un ben preciso istituto generale e la sussunzione, in forza della assimilazione, all’interno della categoria che li ricomprenderà entrambi.

L’istituto utilizzato per l’equiparazione è il fermo amministrativo dei beni mobili registrati.

In seguito alle modifiche che hanno interessato l’elenco di atti di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, il fermo amministrativo è stato incluso nel novero degli atti autonomamente impugnabili dal contribuente, per vizi propri, e ricondotto nella giurisdizione esclusiva delle Commissioni tributarie.

Successivamente le Sezioni Unite (11) hanno affermato che il preavviso di fermo, facendo parte di una sequenza procedimentale volta a garantire al contribuente idonea tutela, svolge un ruolo analogo a quello dell’avviso di mora nella procedura esecutiva esattoriale e, quindi, deve essere considerato un atto impugnabile, alla luce dell’interpretazione estensiva che deve essere riconosciuta all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 (12). Se la pretesa creditoria sottostante alla sequenza procedimentale è di natura tributaria, oltre ad essere indubbio l’interesse ad agire del contribuente, è altrettanto indubbia la giurisdizione delle Commissioni tributarie (13).

Ciò porta i Supremi Giudici ad affermare che ci sia stata una espunzione dell’istituto dall’ambito dell’espropriazione forzata vera e propria per ricondurlo all’interno di una sequenza procedimentale che differisce dall’esecuzione forzata ordinaria e che, per motivi chiariti da condivisibile dottrina (14), presenta delle peculiarità che opportunamente possono essere sindacate da un giudice che non sia quello ordinario.

La novella del 2006 ha posto sullo stesso piano – per quanto concerne tale ultimo aspetto – il fermo amministrativo e l’iscrizione ipotecaria, trattandosi, per così dire, di due diversi “risvolti della stessa medaglia”.

Si tratta, infatti, di due istituti i quali, se con riferimento al loro contenuto sostanziale, sono disciplinati – dal punto di vista sistematico – in due capi diversi, seppure nel medesimo titolo del D.P.R. n. 602/1973, attraverso l’inclusione nell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 acquisiscono entrambi la medesima natura di atti impugnabili.

In ragione di un’interpretazione sempre sistematica delle norme tributarie, è essenziale coordinare il predetto art. 19 con l’art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992 e, alla luce del combinato disposto tra i due articoli, si giunge ad una chiara conclusione: se i due istituti sono atti impugnabili ex art. 19, devono essere ricondotti nella giurisdizione del giudice tributario e sottratti a quella del giudice ordinario.

Ciò non fa che riaffermare quanto testé rilevato rispetto al fermo amministrativo e valevole anche per l’iscrizione ipotecaria, cioè che si tratta di istituti esclusi dall’ambito specifico dell’espropriazione forzata.

D’altra parte la Suprema Corte medesima ha già affermato (15) che, non essendo il fermo amministrativo (e, in via di interpretazione estensiva), l’iscrizione ipotecaria, atti della sequenza procedimentale dell’espropriazione forzata, non si deve provvedere alla preventiva notifica dell’avviso contenente l’intimazione ad adempiere l’obbligazione risultante dal ruolo sempre ex art. 50, secondo comma, del D.P.R. n. 602/1973. La predetta norma sarebbe, infatti, applicabile solo nel circoscritto ambito dell’esecuzione forzata.

Ecco dunque che i Supremi Giudici risolvono la prima questione.

Ora tuttavia si apre lo snodo centrale delle due pronunce in rassegna.

L’espunzione dell’iscrizione di ipoteca dagli atti dell’espropriazione forzata vera e propria e il suo inserimento all’interno degli atti autonomamente impugnabili per vizi propri ex art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 rimette in gioco l’elemento che – dalla precedente qualificazione in ordine alla natura giuridica – era stato accantonato.

L’art. 21 del predetto decreto dispone, infatti, che avverso gli atti appena individuati, in ragione della loro inclusione nella pletora degli atti impugnabili, si debba proporre ricorso, innanzi alla Commissione tributaria provinciale competente, entro sessanta giorni dalla relativa notificazione e, di conseguenza, tale ultimo adempimento appare imprescindibile.

I Supremi Giudici, peraltro, fondano la loro conclusione su diverse altre disposizioni che ne rafforzano il significato; essi richiamano la già citata legge n. 241/1990 e, segnatamente, l’art. 21 che prevede un obbligo generalizzato di comunicazione dei provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei destinatari che non viene meno nonostante la legge medesima escluda i procedimenti tributari dall’applicazione degli istituti partecipativi previsti dall’art. 7 della legge stessa.

E si spingono ancora più in alto rilevando che l’art. 21 predetto deve essere considerato espressione del principio costituzionale di imparzialità e di buon andamento dell’Amministrazione finanziaria fissato nell’art. 97 Cost.

Non paghi di tali riferimenti già così importanti e convincenti, fanno leva, ancora, su alcuni dei più pregnanti principi dello Statuto dei diritti del contribuente e, in particolare, sugli artt. 5, 6, 7, 10 e 12 della legge n. 212/2000 che chiariscono inequivocabilmente l’esigenza che la pretesa tributaria acquisisca legittimità attraverso il confronto tra Amministrazione finanziaria e contribuente anche nella fase endoprocedimentale. Anche alla luce di tali disposizioni il rispetto dell’obbligo di comunicazione degli atti imponibili appare incontrovertibile.

Il dato normativo viene, poi, rafforzato da quello giurisprudenziale.

La Suprema Corte, infatti, ritiene essenziale soffermarsi anche sul proprio operato che ha ulteriormente legittimato tale impostazione, in vari ambiti riguardanti le procedure di accertamento e riscossione. E vengono citate, tra le sentenze emesse dalle Sezioni Unite e dalla Sezione Tributaria, le più “illuminate” pronunce sul tema, cioè tutte quelle in cui si è riconosciuta la rilevanza del contraddittorio in termini estremamente ampi. Scelta evidentemente mirata ad introdurre il passo successivo. Si è infatti rilevato che non sempre gli esiti giurisprudenziali sono stati univoci sul punto.

Infine, con il precipuo scopo, ad avviso di chi scrive, di fissare un principio granitico, nel rispetto della gerarchia delle fonti rilevanti in materia tributaria, le Sezioni Unite ricordano come il diritto ad essere ascoltato dall’Amministrazione finanziaria prima dell’emissione di un atto potenzialmente lesivo della propria sfera giuridico-patrimoniale scaturisca dal diritto di difesa (art. 24 Cost.) e sia stato, negli ultimi tempi, riconosciuto e affermato anche a livello comunitario.

I Supremi Giudici richiamano la ben nota e già menzionata sentenza Sopropè, in relazione all’esigenza che tale diritto venga assicurato anche in quelle ipotesi in cui la normativa nazionale o comunitaria non lo preveda espressamente, e fanno cenno ad una ulteriore più recente sentenza della Corte di Giustizia europea del luglio 2014 (16), nella quale si è aggiunto un ulteriore tassello nella dimensione che, a livello comunitario, si ritiene di dovere riconoscere a tale diritto e, cioè, la sua operatività anche nella fase pre-contenziosa.

Si tratta di una pronuncia estremamente rilevante, in quanto ha precisato la necessità di assicurare la possibilità di far valere le proprie ragioni prima che venga emesso un qualsiasi provvedimento potenzialmente lesivo per il contribuente. Il rispetto del diritto attribuito al contribuente viene, peraltro, garantito dal più generale diritto di difesa e, quindi, deve essere assicurato anche nei casi in cui né la normativa nazionale né quella comunitaria applicabile lo prevedono espressamente.

Nella predetta sentenza si precisa, peraltro, che il diritto del contribuente deve essere riconosciuto se lo stesso possa far valere precise difese, e non semplicemente come eccezione da un punto di vista formale, in quanto la violazione del diritto al contraddittorio può determinare l’annullamento del provvedimento adottato, a condizione che «in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso».

Le pronunce sono entrambe fondate sugli artt. 41, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Alla luce di tutti i riferimenti normativi e giurisprudenziali, ad avviso della Corte di Giustizia dell’Unione europea, incombe sulle Amministrazioni degli Stati membri un obbligo di previa comunicazione dei provvedimenti potenzialmente lesivi rientranti nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, con la fissazione di un termine per presentare eventuali difese od osservazioni, anche se la normativa comunitaria applicabile non lo preveda in modo espresso.

Il mancato rispetto di tale obbligo, di conseguenza, fa sì che l’iscrizione di ipoteca sia nulla.

A questo punto entra in gioco l’aspetto squisitamente giuridico della questione. L’ipoteca è infatti definita come istituto che attribuisce al creditore una garanzia qualificata come reale (17). Ciò comporta che la sua cancellazione debba rispettare formalità analoghe all’iscrizione e, nel caso specifico, non essendo attribuita al creditore la capacità di liberare il debitore, può essere ordinata solo da una sentenza passata in giudicato o da un altro provvedimento definitivo emesso da un’Autorità competente, ex art. 2884 c.c.

Bisognerà dunque attendere che il giudice, accertatane l’illegittimità per i profili sopra esposti, ne ordini la cancellazione.

4. Riflessioni critiche

In forza di quanto appena concluso, le due annotate sentenze si distinguono, più che per il profilo del risultato – che, comunque, non consente di aggirare la fase contenziosa, considerato che sarà sempre necessaria una sentenza – per il principio in esse enunciato.

Ci sembra che le Sezioni Unite abbiano quasi voluto scrivere la parola definitiva sul principio del contraddittorio, favorendone un inequivocabile sdoganamento.

Negli ultimi tempi, infatti, spesso ci siamo occupati di vicende nelle quali la dimensione e i limiti riconosciuti al suddetto principio hanno fatto la differenza nel concreto esito delle liti tributarie.

Pensiamo, ad esempio, alla tematica relativa agli accertamenti basati su parametri e studi di settore (18), in relazione ai quali l’orientamento delle Sezioni Unite è stato quello di riconoscervi la natura di presunzioni semplici, per le quali è necessario riscontrare i requisiti della gravità, precisione e concordanza volta per volta, proprio attraverso il contraddittorio con il contribuente. Nondimeno, dalla Sezione Tributaria tale conclusione è stata riempita di diversi contenuti, a seconda che il contribuente accetti il contraddittorio o meno, e in quale misura ciò accada.

Infatti, in alcuni casi (19) è sembrato che il contraddittorio non dovesse rivestire l’importanza che, nelle annotate pronunce, gli è stata riconosciuta.

In altri (20), invece, rispetto al principio si è notata un’apertura notevole, considerato che è stata accolta l’impugnazione di una sentenza d’appello che ha ritenuto fondata la pretesa fiscale, basata sugli studi di settore, senza che l’accertamento risultasse modulato in relazione alle contestazioni e ai rilievi formulati dal contribuente in sede di contraddittorio, dei quali non si è tenuto conto, omettendo di esternare le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni da quest’ultimo sollevate.

Stesse considerazioni si possono fare con riguardo all’interpretazione che è stata, finalmente (21), attribuita all’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000, nel senso che dal rilascio al contribuente di copia del processo verbale di chiusura delle operazioni ispettive poste in essere dall’Amministrazione finanziaria, solo dopo il decorso di sessanta giorni può essere emesso l’avviso di accertamento, al fine di assicurare al contribuente la possibilità di attivare il contraddittorio con gli Uffici finanziari (22). In merito la Sezione Tributaria è andata persino oltre, ampliando la rilevanza del confronto tra Amministrazione finanziaria e contribuente fino all’estrema conseguenza di affermare che se il processo verbale di chiusura non risulti redatto, in caso di operazioni che hanno comportato solo ed esclusivamente la richiesta di documenti, l’atto non potrà essere emesso in quanto il contribuente non ha potuto presentare osservazioni e richieste e non ha potuto esercitare la facoltà prevista dal predetto art. 12, settimo comma, di interloquire con l’Amministrazione finanziaria e rendere effettivo il contraddittorio già nella fase procedimentale (23).

In tale ottica assolutamente condivisibile, appare particolarmente interessante il riferimento, da parte delle Sezioni Unite, nelle pronunce in esame, alla posizione manifestata dalla Corte di Giustizia europea, soprattutto con l’ultima già citata sentenza del 3 luglio 2014. Il richiamo sembra, infatti, lo strumento attraverso il quale le Sezioni Unite vogliono circostanziare e ridimensionare l’applicabilità del principio del contraddittorio.

Nonostante la sopra citata sentenza della Corte di Giustizia europea si occupi di contraddittorio in maniera doganale, essa fissa alcuni punti fondamentali sul tema generale, soprattutto riconoscendo come tale principio rientri nel più ampio diritto del contribuente a potersi difendere anche nella fase procedimentale, e ciò a prescindere dalla presenza di una specifica disposizione di legge. Si tratta di una conclusione importantissima, posto che, in molti casi, le norme interne non sono complete in tal senso.

Inoltre le conclusioni dei giudici comunitari sembrano legittimare l’orientamento più volte manifestato dalle stesse Sezioni Unite e dalla Sezione Tributaria secondo il quale non può essere accolta la difesa generica articolata dal contribuente che si limiti ad una mera critica e non contrasti, nel merito, le ragioni fatte valere dagli Uffici finanziari, nel senso che non necessariamente deve portare alla vittoria della causa, ma deve essere supportata da elementi meritevoli di essere presi in considerazione si fini della decisione. Il contraddittorio deve dunque essere effettivo per entrambe le parti e, quindi, il contribuente è tenuto, con la stessa impegnatività che compete agli Uffici, a formulare le proprie contestazioni e i propri argomenti difensivi.

Tale intervento ermeneutico della Corte non può che essere salutato favorevolmente, perché rappresenta l’indicazione di una strada che dovrebbe essere percorsa, da oggi in poi, prima che dai giudici tributari, dalla stessa Amministrazione finanziaria.

Non v’è dubbio, infatti, che una corretta applicazione del principio del contraddittorio costituirebbe il più rilevante strumento deflattivo della lite tributaria.

Ci soffermiamo, da ultimo, sull’excursus argomentativo articolato dalla Corte comune ad entrambi gli arresti: i Supremi Giudici prima di arrivare al principio del contraddittorio devono necessariamente affrontare la tematica giuridica specifica, vale a dire la natura da riconoscere all’iscrizione di ipoteca.

E ciò soprattutto in quanto la fattispecie in esame, da un punto di vista cronologico, precede l’introduzione dell’obbligo di comunicare al contribuente che si procederà all’iscrizione di ipoteca sui suoi beni immobili, inserito con il D.L. n. 70/2011, e quindi, tralasciando tale passaggio, non si sarebbe potuti pervenire alle conclusioni esaminate.

D’altra parte, il ragionamento articolato nelle due pronunce è di stringente logica sistematica.

La novella all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 comporta necessariamente un ampliamento dei confini dell’art. 2 del predetto decreto, in tema di giurisdizione, in riferimento a quell’ambito degli atti esecutivi che non può essere ricondotto all’espropriazione forzata in senso proprio, in quanto rientrante in una sequenza procedimentale tipica del diritto tributario e, quindi, inequivocabilmente non riconducibile alla giurisdizione del giudice ordinario.

Appare, pertanto, opportuno concludere ricordando che, proprio in ragione di tali concrete fattispecie, autorevole e condivisibile dottrina (24) ha correttamente invocato un intervento estensivo della giurisdizione tributaria, anche nella fase tipicamente esecutiva della riscossione coattiva. Ipotesi che appare, a nostro avviso e sempre da un punto di vista logico-sistematico, la più ragionevole.

Avv. Patrizia Accordino

Università degli Studi di Messina

(1) Cfr. Cass., sez. VI, 24 luglio 2013, ord. n. 18007, in Boll. Trib. On-line.

(2) Cass., sez. un., 5 giugno 2008, ord. n. 14831, in Boll. Trib., 2008, 1607, e anche in Riv. giur. trib., 2008, 1037, con nota di G. Tabet, La giurisdizione sulle controversie per i fermi amministrativi dipende dalla natura del credito.

(3) Ad opera dell’art. 35, comma 26-quinquies, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248).

(4) Cfr. Cass., sez. un., 31 gennaio 2006, ord. n. 2053, in Boll. Trib., 2006, 343; e Cass., sez. un., 23 giugno 2006, ord. n. 14701, in Boll. Trib. On-line.

(5) Per un esaustivo approfondimento sul tema si rinvia a A. Voglino, La giurisdizione sulle controversie sul fermo amministrativo e sull’iscrizione ipotecaria dopo lo scontato ma necessario verdetto della Suprema Corte, in Boll. Trib., 2008, 1559.

(6) Cfr. Cass., sez. VI, 20 giugno 2012, ord. n. 10234, in Boll. Trib. On-line.

(7) La Suprema Corte infatti, nella medesima prospettiva, ha ritenuto che il concessionario della riscossione, non essendo il fermo amministrativo inserito come tale nella sequenza procedimentale dell’espropriazione forzata, non deve provvedere alla preventiva notifica dell’avviso contenente l’intimazione ad adempiere l’obbligazione risultante dal ruolo sempre ex art. 50, secondo comma, del D.P.R. n. 602/1973, applicabile solo nel circoscritto ambito dell’esecuzione forzata (cfr. Cass., sez. VI, 5 dicembre 2011, ord. n. 26052, in Boll. Trib. On-line).

(8) Vengono ricordate una serie di rilevanti sentenze delle Sezioni Unite, ossia: Cass., sez. un., 25 luglio 2007, n. 16412, in Boll. Trib., 2007, 1555, con nota di L. Ferlazzo Natoli G. Ingrao, Nullità degli “atti successivi”, non preceduti dalla notifica degli “atti presupposto”, che ha rilevato che la mancata notificazione della cartella di pagamento prima di quella dell’avviso di mora comporta un vizio della sequenza procedimentale dettata dalla legge, che consente al contribuente di impugnare l’avviso, deducendone la nullità per omessa notifica dell’atto presupposto; Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635, ivi, 2010, 303, con nota di M. Proietti, Presunzioni semplici quelle di parametri e studi di settore: la lettura costituzionalmente orientata delle Sezioni Unite in materia di accertamento standardizzato, secondo cui il contraddittorio endoprocedimentale deve ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile di tale forma di accertamento, anche in assenza di una espressa previsione normativa; Cass., sez. un., 29 luglio 2013, n. 18184, ivi, 2013, 1428, con note di V. Azzoni, Sessanta e non più sessanta: la violazione del termine dilatorio dello Statuto dei diritti del contribuente costituisce un vizio invalidante dell’accertamento?; F. Del Torchio, Contraddittorio preventivo e ragioni di motivata urgenza; e U. Perrucci, La “sanzione” dell’invalidità dell’avviso di accertamento emesso anticipatamente rispetto al termine dilatorio di 60 giorni di cui all’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte, con la quale è stato affermato che l’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni dalla redazione del processo verbale di constatazione per l’emanazione dell’avviso di accertamento determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio endoprocedimentale; Cass., sez. trib., 4 luglio 2014, n. 15311, in Boll. Trib., 2014, 1489, con nota di L. Lovecchio, La nullità del controllo formale non preceduto dal contatto con il contribuente e la centralità del principio del contraddittorio preventivo, la quale ha statuito che l’omessa comunicazione dell’esito del controllo formale con l’indicazione dei motivi che hanno dato luogo alla rettifica comporta la nullità della consequenziale cartella di pagamento.

(9) Cfr. Corte Giust. CE, sez. II, 18 dicembre 2008, causa C-349/07, Sopropé, in Boll. Trib. On-line.

(10) Cfr. Corte Giust. UE, sez. V, 3 luglio 2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Worldwide Logistics BV, in Boll. Trib. On-line; sul punto ved. A. Marcheselli, Il contraddittorio va sempre applicato ma la sua omissione non può eccepirsi in modo pretestuoso, in Corr. trib., 2014, 2536.

(11) Cfr. Cass., sez. un., 11 maggio 2009, ord. n. 10672, in Boll. Trib. On-line.

(12) Contra C. Glendi, Il preavviso di fermo è autonomamente impugnabile davanti al giudice tributario, in Corr. trib., 2009, 2083, il quale ritiene «assai dubbio che il c.d. preavviso di fermo possa essere inquadrato in una rigorosa “sequela procedimentale”, come quella delineata nell’ordinanza, in quanto l’iscrizione del fermo non può ritenersi, de lege data, una conseguenza automatica del preavviso di fermo».

(13) Tanto avevano affermato le medesime Sezioni Unite, in precedenza, con la pronuncia resa da Cass. n. 14831/2008, cit.

(14) Cfr. A. Guidara, Questioni vecchie e nuove in tema di misure cautelari disposte dall’agente della riscossione, in Boll. Trib., 2009, 1080, il quale rileva che gli istituti in discussione rientrano nella procedura esattoriale che è una procedura amministrativa che esprime il potere di coazione della pubblica Amministrazione e, in quanto tali, giustificano pienamente gli interventi di giudici diversi da quello ordinario, che conoscono di poteri ed interessi alla cui effettività il potere di coazione è rivolto.

(15) Cfr. Cass. n. 26052/2011, cit.

(16) Cfr. Corte Giust. UE, cause riunte C-129/13 e C-130/13 del 2014, cit.

(17) Cfr. L. Bigliazzi Geri U. Breccia F.D. Busnelli U. Natoli, Diritto civile. Obbligazioni e contratti, Torino, 1992, 252 ss.

(18) Cfr. P. Accordino, Accertamenti basati su parametri e studi di settore ancora sotto esame, in Boll. Trib., 2014, 1112, in nota a Cass., sez. trib., 12 marzo 2014, n. 5675; Cass., sez. trib., 2 aprile 2014, n. 7621; e Cass., sez. VI, 6 maggio 2014, ord. n. 9712.

(19) Cfr. Cass., sez. VI, 29 ottobre 2013, ord. n. 24364, in Boll. Trib., 2014, 634, con nota di P. Accordino, Brevi riflessioni critiche intorno all’accertamento parametrico da studi di settore, con la quale, in tema di studi di settore, si è data rilevanza alla cosiddetta “grave incongruenza” in ragione di un disatteso contraddittorio.

(20) Cfr. Cass. n. 9712/2014, cit.

(21) Cfr. Cass. n. 18184/2013, cit.

(22) Cfr. A. Colli Vignarelli, Violazione dell’art. 12 dello Statuto del contribuente e illegittimità dell’accertamento alla luce del principio di collaborazione e buona fede, in Boll. Trib., 2010, 1589; ID., La violazione dell’art. 12 dello Statuto e la illegittimità dell’accertamento alla luce dei principi di collaborazione e di buona fede, in A. Bodrito – A. Contrino – A. Marcheselli (a cura di), Consenso, equità e imparzialità nello Statuto del contribuente. Studi in onore del Prof. Gianni Marongiu, Torino, 2012, 499 ss.; G. Marongiu, Lo Statuto dei diritti del contribuente, Torino, 2010, 182; G. Ragucci, Il contraddittorio nei procedimenti tributari, Torino, 2009, 226 ss.; e M. Basilavecchia, Quando le ragioni di urgenza possono giustificare l’anticipazione dell’accertamento?, in Corr. trib., 2010, 3969.

(23) Cfr. P. Accordino, I processi verbali conclusivi delle attività di indagine nel confronto con l’effettività della tutela del contribuente e con le norme statutarie, in Boll. Trib., 2013, 1592, in nota a Cass., sez. trib., 11 settembre 2013, n. 20770.

(24) Cfr. V. Azzoni, Ribaditala legittimità della tutela cautelare tributaria anche nei gradi successivi al primo, in Boll. Trib., 2014, 1487, in nota a Comm. trib. reg. della Sardegna, sez. I, 22 aprile 2013, ord. n. 18; M. Scuffi, La tutela cautelare nel doppio grado del processo tributario, ivi, 2013, 1460; M. Basilavecchia, La giurisdizione sulla sospensione della cartella di pagamento, in Dir. prat. trib., 2006, 1040; e S. La Rosa, La tutela del contribuente nella fase di riscossione dei tributi, in Rass. trib., 2001, 1193.

Imposte e tasse – Riscossione – Iscrizione di ipoteca – Preventiva notifica dell’intimazione ad adempiere di cui all’art. 50, secondo comma, del D.P.R. n. 602/1973 – Non necessita.

Imposte e tasse – Riscossione – Iscrizione di ipoteca – Non costituisce un atto del procedimento di espropriazione forzata – Inapplicabilità dell’art. 50, secondo comma, del D.P.R. n. 602/1973 – Consegue – Obbligo di preventiva notificazione dell’intimazione di pagamento prima dell’iscrizione ipotecaria – Esclusione.

Imposte e tasse – Riscossione – Iscrizione di ipoteca – Obbligo di preventiva comunicazione specifica al contribuente – Sussiste – Doverosità della comunicazione di tutti gli atti impugnabili lesivi della sfera giuridica del destinatario – Costituisce un principio generale di ogni ordinamento giuridico, desumibile per la materia tributaria dagli artt. 19 e 21 del D.Lgs. n. 546/1992, dagli artt. 7 e 21-bis della legge n. 241/1990 e dall’art. 6 della legge n. 212/2000.

Imposte e tasse – Riscossione – Iscrizione di ipoteca – Obbligo di preventiva comunicazione specifica al contribuente – Sussiste – Ratio – Individuazione.

Imposte e tasse – Accertamento – Necessità del contraddittorio tra Amministrazione finanziaria e contribuente anche nella fase precontenziosa o endoprocedimentale – Sussiste – Obbligo di comunicazione degli atti imponibili al soggetto interessato – Consegue.

Imposte e tasse – Accertamento – Diritto del contribuente al contraddittorio anche nella fase precontenziosa o endoprocedimentale – Sussiste – Costituisce un principio generale e fondamentale degli ordinamenti nazionale e comunitario.

Imposte e tasse – Riscossione – Iscrizione di ipoteca – Obbligo di preventiva comunicazione specifica al contribuente – Sussiste – Diritto del contribuente al contraddittorio anche nella fase precontenziosa o endoprocedimentale – Costituisce un principio fondamentale dell’ordinamento la cui violazione determina la nullità dell’atto adottato senza la preventiva comunicazione – Termine a favore del contribuente per osservazioni difensive o per il pagamento – Va fissato in 30 giorni.

Imposte e tasse – Accertamento – Diritto del contribuente al contraddittorio anche nella fase precontenziosa o endoprocedimentale – Sussiste – Costituisce un principio fondamentale dell’ordinamento la cui violazione determina la nullità dell’atto adottato senza la preventiva comunicazione – Termine a favore del contribuente per osservazioni difensive o per il pagamento – Va fissato in 30 giorni.

Imposte e tasse – Riscossione – Iscrizione di ipoteca – Obbligo di preventiva comunicazione specifica al contribuente – Sussiste – Termine a favore del contribuente per osservazioni difensive o per il pagamento – Va fissato in 30 giorni – Iscrizione di ipoteca non preceduta dalla comunicazione al contribuente con conseguente violazione dell’obbligo di attivare il contraddittorio precontenzioso o endoprocedimentale – Nullità dell’iscrizione ipotecaria – Consegue.

Imposte e tasse – Riscossione – Iscrizione di ipoteca – Nullità dell’iscrizione ipotecaria non preceduta dalla comunicazione preventiva al contribuente – Sussiste – Efficacia dell’iscrizione ipotecaria nulla – Perdura sino alla sua cancellazione disposta dal giudice che ne accerti l’illegittimità.

L’ipoteca prevista dall’art. 77 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, può essere iscritta senza la necessità di procedere alla notifica dell’intimazione ad adempiere di cui all’art. 50, secondo comma, del medesimo decreto, la quale è prescritta per il caso che l’espropriazione forzata non sia iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, poiché l’iscrizione ipotecaria non può essere considerata un atto dell’espropriazione forzata, bensì un atto riferito ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria.

In quanto atto impugnabile innanzi al giudice tributario, l’iscrizione ipotecaria ex art. 77 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, presuppone una specifica comunicazione al contribuente, considerato che l’art. 21 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, prescrive che gli atti impugnabili, elencati nell’art. 19 dello stesso decreto, devono essere impugnati entro sessanta giorni dalla relativa notificazione, che gli artt. 7 e 21-bis della legge 4 agosto 1990, n. 241, prevedono rispettivamente l’obbligo della comunicazione dell’avvio del procedimento ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, e un obbligo generalizzato di comunicazione dei provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei destinatari, fra i quali rientra indubbiamente anche l’iscrizione ipotecaria, e che l’art. 6 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), prevede a sua volta che deve essere garantita l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati; tali previsioni normative, pertanto, impongono che l’iscrizione di ipoteca debba essere comunicata al contribuente, sulla base di un principio generale, caratterizzante qualsiasi sistema di civiltà giuridica, che assume la doverosità della comunicazione di tutti gli atti lesivi della sfera giuridica del cittadino, comunicazione che costituisce il presupposto imprescindibile per la stessa impugnabilità dell’atto, in particolare nel processo tributario che è strutturato come processo di impugnazione di atti in tempi determinati rigidamente, e dove solo la notifica dell’atto impugnato può costituire rassicurante prova dell’effettivo rispetto del termine di impugnazione.

La concreta effettuazione dell’iscrizione ipotecaria di cui all’art. 77 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, deve essere necessariamente preceduta da una specifica comunicazione al contribuente perché tale comunicazione è strutturalmente funzionale a consentire ed a promuovere da un lato il reale ed effettivo esercizio del diritto di difesa del contribuente a tutela dei propri interessi e, dall’altro lato, l’interesse pubblico ad una corretta formazione procedimentale della pretesa tributaria e dei relativi mezzi di realizzazione.

Dal complesso di norme recate dagli artt. 5, 6, 7, 10, primo comma, e 12, secondo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), la cui precipua funzione è quella di improntare l’attività dell’Amministrazione finanziaria alle regole dell’efficienza e della trasparenza, nonché quella di assicurare l’effettività della tutela del contribuente nella fase del procedimento tributario, emerge chiaramente che la pretesa tributaria trova legittimità nella formazione procedimentalizzata di una “decisione partecipata” mediante la promozione del contraddittorio (che sostanzia il principio di leale collaborazione) tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente (anche) nella fase precontenziosa o endoprocedimentale, al cui ordinato ed efficace sviluppo è funzionale il rispetto dell’obbligo di comunicazione degli atti imponibili, atteso che il diritto al contraddittorio, ossia il diritto del destinatario del provvedimento ad essere sentito prima dell’emanazione di questo, realizza l’inalienabile diritto di difesa del cittadino, presidiato dall’art. 24 Cost., e il buon andamento della pubblica Amministrazione, presidiato dall’art. 97 Cost.

Il rispetto dei diritti della difesa e del diritto che ne deriva, per ogni persona, di essere sentita prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi, costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione europea, atteso che il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento è attualmente sancito non solo negli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che garantiscono il rispetto dei diritti della difesa nonché il diritto ad un processo equo in qualsiasi procedimento giurisdizionale, ma anche nell’art. 41 di quest’ultima, il quale garantisce il diritto ad una buona amministrazione, e al suo paragrafo 2 prevede che tale diritto a una buona amministrazione comporta, in particolare, il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale lesivo, di talché in forza di tale principio, che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione stessa intende fondare la sua decisione, mediante una previa comunicazione del provvedimento che sarà adottato, con la fissazione di un termine per presentare eventuali difese od osservazioni; tale obbligo incombe sulle Amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione europea, quand’anche la normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalità.

L’iscrizione ipotecaria prevista dall’art. 77 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in quanto atto destinato ad incidere in modo negativo sui diritti e gli interessi del contribuente, deve essere a quest’ultimo comunicata prima di essere eseguita, in ragione del dovuto rispetto del diritto di difesa mediante l’attivazione del contraddittorio precontenzioso o endoprocedimentale, che costituisce un principio fondamentale immanente nell’ordinamento cui dare attuazione anche in difetto di una espressa e specifica previsione normativa, principio il cui rispetto è dovuto da parte dell’Amministrazione indipendentemente da detta previsione e la cui violazione determina la nullità dell’atto lesivo che sia stato adottato senza la preventiva comunicazione al destinatario, mentre quanto al consequenziale termine da fissare al destinatario per la presentazione di eventuali osservazioni o per il pagamento di quanto dovuto, anch’esso può trarsi, in difetto di espressa previsione scritta, dal sistema normativo, ed essere determinato in trenta giorni sulla base delle prescrizioni che prevedono un analogo termine con l’art. 6, quinto comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), o con l’art. 36-ter, quarto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

Il comma 2-bis dell’art. 77 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che obbliga l’agente della riscossione a notificare al proprietario dell’immobile una comunicazione preventiva contenente l’avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà iscritta l’ipoteca di cui al comma 1 dello stesso art. 77, esplicita in una norma positiva il precetto imposto dal rispetto del principio fondamentale immanente nell’ordinamento tributario che prescrive la tutela del diritto di difesa del contribuente mediante l’obbligo di attivazione da parte dell’Amministrazione del contraddittorio precontenzioso o endoprocedimentale ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente medesimo, principio il cui rispetto è dovuto da parte dell’Amministrazione indipendentemente dal fatto che ciò sia previsto espressamente da una norma positiva e la cui violazione determina la nullità dell’atto lesivo che sia stato adottato senza la preventiva comunicazione al destinatario.

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Anche nel regime antecedente l’entrata in vigore del comma 2-bis dell’art. 77 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, introdotto col D.L. 13 maggio 2011, n. 70 (convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106), l’Amministrazione finanziaria prima di iscrivere ipoteca ai sensi del suddetto art. 77 del D.P.R. n. 602/1973 deve comunicare al contribuente che procederà alla predetta iscrizione sui suoi beni immobili, concedendo a quest’ultimo un termine che, per coerenza con altre analoghe previsioni normative presenti nel sistema, può essere fissato in trenta giorni, perché egli possa esercitare il proprio diritto di difesa, presentando opportune osservazioni, o provveda al pagamento del dovuto, di talché l’iscrizione di ipoteca non preceduta dalla comunicazione al contribuente è nulla, in ragione della violazione dell’obbligo che incombe all’Amministrazione di attivare il contraddittorio precontenzioso o endoprocedimentale, mediante la preventiva comunicazione al contribuente della prevista adozione di un atto o provvedimento che abbia la capacità di incidere negativamente, determinandone una lesione, sui diritti e sugli interessi del contribuente medesimo, anche se tuttavia, in ragione della natura reale dell’ipoteca, l’iscrizione ipotecaria eseguita in violazione del predetto obbligo conserva la propria efficacia fino a quando il giudice non ne abbia ordinato la cancellazione, accertandone l’illegittimità.

[Corte di Cassazione, sez. un. (Pres. Rovelli, rel. Botta), 18 settembre 2014, sent. n. 19667]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – La controversia origina dall’impugnazione da parte del contribuente della comunicazione di iscrizione ipotecaria, emessa a seguito di un presunto mancato pagamento del complessivo importo di euro 35.113,07, relativamente ad alcune cartelle di pagamento, iscrizione ipotecaria della quale il ricorrente chiedeva la sospensione e l’annullamento.

La Commissione adita, respinta l’istanza di sospensione, rigettava il ricorso.

La decisione era confermata con la sentenza in epigrafe, avverso la quale il contribuente ricorre per cassazione con quattro motivi:

a) nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione e per violazione e falsa applicazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992, e artt. 132 e 276 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111, comma 6 Cost.;

b) per insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e per violazione e falsa applicazione degli artt. 50 e 77 d.P.R. 602 del 1973;

c) per insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e per eccesso di potere per sperequazione tra il carico tributario ed il valore dell’immobile;

d) per insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia e per violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 ed art. 2059 cod. civ. e 2 Cost.

Equitalia ETR s.p.a. (ora incorporata in Equitalia Sud s.p.a.) non ha notificato un controricorso, bensì ha depositato un atto di costituzione con procura notarile ai fini della partecipazione all’udienza di discussione.

La causa era chiamata innanzi alla Sesta sezione civile, sezione tributaria, di questa Corte, la quale, con ordinanza n. 18007 del 24 luglio 2013 (1), rimetteva al Primo Presidente la valutazione circa l’opportunità di devolvere alle Sezioni Unite la seguente questione:

«se il concessionario alla riscossione non sia tenuto, ove sia decorso un anno dalla notifica della cartella di pagamento, prima di procedere all’iscrizione di ipoteca a notificare al debitore un avviso che contenga l’intimazione ad adempiere entro cinque giorni l’obbligo risultante dal ruolo (2° comma dell’art. 50 del d.P.R. 602 del 1973), e ciò a prescindere dalla entrata in vigore del disposto del d.l. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2, lett. u-bis), convertito con modificazioni nella l. n. 106 del 2011, a norma del quale “l’agente della riscossione è tenuto a notificare al proprietario dell’immobile una comunicazione preventiva contenente l’avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà iscritta l’ipoteca di cui al comma 1”».

Per questa ragione la causa è chiamata all’odierna udienza innanzi alle Sezioni Unite.

MOTIVAZIONE – 1. La questione sottoposta all’attenzione delle Sezioni Unite impone l’esame pregiudiziale del secondo motivo di ricorso, con il quale il contribuente ha censurato l’impugnata sentenza per insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e per violazione e falsa applicazione dell’art. 50 ed art. 77 d.P.R. 602 del 1973 per aver il giudice di merito affermato, senza peraltro alcun adeguato approfondimento, che «la legittimità dell’iscrizione ipotecaria scaturisce dal mancato pagamento entro i termini previsti di cartelle esattoriali non più impugnabili, mentre la comunicazione di avvenuta iscrizione non è prevista da alcuna norma, trattandosi di misura cautelare».

1.1. Sostiene, invece, il ricorrente che la necessaria ed ineludibile lettura integrata dell’art. 50 e dell’art. 77, d.P.R. n. 602 del 1973 porterebbe ad altre e differenti conclusioni, imponendo, ai fini della legittimità dell’iscrizione ipotecaria, la comunicazione di quest’ultima al contribuente, prima che l’esattore possa procedere all’espropriazione forzata.

2. La ragione fondante dell’ordinanza di rimessione sembra manifestamente consistere nel rilievo che nella giurisprudenza della Corte si sia affermata l’idea che l’ipoteca prevista dal d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 77, rappresenti un atto preordinato all’espropriazione immobiliare e, dunque, in qualche modo, un atto della procedura esecutiva: in questa prospettiva l’iscrizione ipotecaria necessariamente dovrebbe essere soggetta a tutte le condizioni ed i limiti posti per la procedura esecutiva, e quindi anche alla comunicazione dell’avviso di cui al d.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, comma 2.

2.1. «Invero», ragiona l’ordinanza di rimessione, «la sentenza delle Sezioni Unite n. 4077/2010 (2) ha tratto dalla qualificazione della iscrizione di ipoteca come atto “preordinato e strumentale” alla esecuzione, la conseguenza che ad essa fosse applicabile la disciplina propria degli atti di esecuzione esattoriale; in particolare l’impossibilità di procedere ad iscrizione se il debito del contribuente non superava gli ottomila Euro, e ciò prima che il limite quantitativo venisse previsto e stabilito in 20.000 euro dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 3, comma 5, lett. d), convertito dalla l. 26 aprile 2012, n. 44; e sembrerebbe coerente che questa assimilazione si estendesse al meno incisivo onere della comunicazione preventiva al proprietario dell’immobile. Tanto più se si considera che la sentenza n. 6594/2009 (3) delle medesime Sezioni Unite ha esplicitamente ricompreso la iscrizione di ipoteca fra “gli atti della esecuzione forzata tributaria”».

2.2. L’ordinanza rileva, inoltre, che «la sentenza della terza sezione civile n. 4777 del 26 febbraio 2013 (4) ha evidenziato come “le norme in tema di esecuzione esattoriale contemplino misure che, a garanzia e a tutela dei crediti tributari, possono gravemente compromettere i diritti individuali poiché – oltre che avere introdotto misure quali il c.d. fermo amministrativo di beni mobili registrati e l’iscrizione di ipoteca sugli immobili – introducono modalità estremamente rapide e semplificate di esproprio dei beni. È essenziale pertanto che, proprio in tema di esecuzione esattoriale, siano rigorosamente rispettati sia il principio di legalità, tramite la stretta osservanza delle procedure stabilite; sia gli adempimenti di carattere generale diretti allo scopo di permettere all’esecutato di far valere le sue ragioni: soprattutto ove si tratti di adempimenti di agevole esecuzione e poco costosi per l’amministrazione (quali nel caso preso in esame dalla sentenza n. 4777 quello di comunicare all’interessato – unitamente alla comunicazione dell’avvenuta iscrizione ipotecaria – i termini e le modalità con cui può proporre opposizione e far valere e sue ragioni)».

3. In realtà non può non rimarcarsi sul punto una contraddizione interna alla giurisprudenza della Corte.

3.1. Da un lato, infatti, è stato affermato, che «in tema di riscossione coattiva delle imposte, l’ipoteca prevista dall’art. 77 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, rappresentando un atto preordinato all’espropriazione immobiliare, soggiace agli stessi limiti per quest’ultima stabiliti dall’art. 76 del medesimo d.P.R., e non può, quindi, essere iscritta se il debito del contribuente non supera gli ottomila euro. Né a diversa conclusione può indurre l’art. 3, comma 2-ter, del d.l. 25 marzo 2010, n. 40, convertito nella legge 22 maggio 2010, n. 73, il quale, vietando all’agente della riscossione di iscrivere ipoteca per crediti inferiori ad ottomila euro a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, ha così indicato l’autonomo presupposto per le future iscrizioni di ipoteca in un importo coincidente con quello minimo previsto per l’espropriazione, senza per ciò solo poter essere apprezzato come indiretta dimostrazione dell’inesistenza per il periodo pregresso di limiti di valore per la stessa iscrizione» (Cass. S.U. n. 5771 del 2012 (5)).

3.2. Dall’altro, è stato affermato che «in tema di riscossione coattiva delle imposte, l’ipoteca prevista dall’art. 77 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, può essere iscritta senza necessità di procedere a notifica dell’intimazione ad adempiere di cui all’art. 50, secondo comma, del medesimo d.P.R., prescritta per il caso che l’espropriazione forzata non sia iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, poiché l’iscrizione ipotecaria non può essere considerata quale mezzo preordinato all’espropriazione forzata, atteso quanto si evince dalla lettera dell’art. 77 citato, il quale, al secondo comma, prevede che, “prima di procedere all’esecuzione, il concessionario deve iscrivere ipoteca”, e, al primo comma, richiama esclusivamente il primo e non anche il secondo comma dell’art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973” (Cass. n. 10234 del 2012 (6)).

4. Ancora la Corte ha affermato che: «Il d.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, comma 2, dispone che, se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l’espropriazione stessa deve essere preceduta dalla notifica di un avviso contenente l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni. Il richiamato disposto normativo stabilisce pertanto che il previo avviso contenente l’intimazione ad adempiere deve precedere soltanto l’inizio dell’espropriazione, ma non anche l’iscrizione ipotecaria di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, che non costituisce atto iniziale della espropriazione immobiliare, ma rappresenta un atto ad essa preordinato e strumentale» (Cass. n. 15746 del 2012 (7), in motivazione).

5. Ribadendo il principio, la Corte ha aggiunto – ma in verità senza darne compiute ragioni – che «ha carattere innovativo e non interpretativo, ed è quindi privo di efficacia retroattiva, il disposto del d.l. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2, lett. u-bis, convertito con modificazioni nella l. n. 106 del 2011, che ha stabilito che “l’agente della riscossione è tenuto a notificare al proprietario dell’immobile una comunicazione preventiva contenente l’avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà iscritta l’ipoteca di cui al comma 1”» (Cass. n. 15746 del 2012, in motivazione).

6. Una riflessione capace di dare al quesito proposto una soluzione appagante trova fondamento nel rilievo della sostanziale equiparabilità della situazione normativa dell’iscrizione di ipoteca (art. 77, del medesimo decreto), a quella del fermo amministrativo di beni mobili registrati (art. 86, d.P.R. n. 602 del 1973), che sembra costituire l’approdo conseguito dalla giurisprudenza di queste Sezioni Unite.

7. Quanto al fermo amministrativo, con l’ordinanza n. 14831 del 2008 (8) le Sezioni Unite hanno ritenuto «che, alla luce della modifica introdotta al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19, dal d.l. n. 223 del 2006, art. 35, comma 26-quinquies (convertito con modificazioni con l. n. 248 del 2006), non potesse essere mantenuta l’esegesi anteriormente proposta dalle medesime Sezioni Unite (ord. nn. 2053 (9) e 14701 (10) del 2006), secondo cui la giurisdizione sul fermo amministrativo spettava al giudice ordinario essendo tale atto “preordinato all’espropriazione forzata, atteso che il rimedio, regolato da norme collocate nel titolo 2° sulla riscossione coattiva delle imposte, si inserisce nel processo di espropriazione forzata esattoriale quale mezzo di realizzazione del credito”». Ciò perché, hanno precisato le Sezioni Unite nella ricordata ordinanza, ci si trova di fronte «alla chiara volontà del legislatore di escludere il fermo di beni mobili registrati dalla sfera tipica dell’espropriazione forzata, rafforzando l’idea, da alcuni sostenuta, che l’adozione dell’atto in questione si riferisca ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria, che, nel d.P.R. n. 602 del 1973, trova la propria tipizzante disciplina nel capo II del titolo II (mentre la disciplina del fermo di beni mobili registrati, non a caso, sarebbe dettata nel capo III, del medesimo titolo)».

7.1. Ad avviso della ricordata ordinanza è piuttosto evidente che «la modifica introdotta al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19, collocando il fermo tra gli atti impugnabili innanzi alla Commissioni tributarie, abbia di riflesso determinato una modifica dell’art. 2 del medesimo decreto, in particolare del secondo periodo del comma 1 di detta norma nella parte in cui esclude dalla giurisdizione tributaria le controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata successivi alla notifica della cartella di pagamento. Ciò indica ancora una volta di più che la individuazione dell’area della giurisdizione tributaria, e dei relativi limiti, può essere compiuta solo mediante una lettura integrata del d.lgs. n. 546 del 1992, artt. 2 e 19, e rende testimonianza di una chiara volontà legislativa di generalizzare la giurisdizione tributaria, lasciando alla giurisdizione ordinaria solo la sfera residuale dell’espropriazione forzata vera e propria la cui disciplina ha movenze simili a quella contenuta nel codice di rito e rispetto alla quale possono ben essere funzionali gli strumenti giurisdizionali di tutela del debitore garantiti dal medesimo codice».

8. Nella successiva ordinanza n. 10672 del 2009 (11), le Sezioni Unite – ragionando sulla «circostanza che nel caso di specie l’azione (era) stata introdotta anteriormente all’entrata in vigore della modifica apportata al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19, dal d.l. n. 223 del 2006, art. 35, comma 25-quinquies, che ha collocato tra gli atti impugnabili innanzi al giudice tributario anche il fermo ex art. 86, d.P.R. n. 602 del 1973» – hanno ritenuto che le conclusioni raggiunte nell’ordinanza n. 14831 del 2008 dessero «corpo ad una valenza non solo innovativa, ma anche (e prima ancora) interpretativa delle modifiche normative disposte con il d.l. n. 223 del 2006, art. 35, comma 25-quinquies».

8.1. Per le Sezioni Unite «se il fermo amministrativo non è, come sembra invero più giusto ritenere anche in relazione alla collocazione “topografica” di tale atto nel sistema normativo, un atto dell’espropriazione forzata, ma un atto riferito ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria, allora deve escludersi la giurisdizione del giudice ordinario che, in materia tributaria, ha giurisdizione relativamente alle sole controversie attinenti alla fase dell’esecuzione forzata».

8.2. Nella fattispecie si trattava, poi, della impugnazione del “preavviso di fermo”, istituito dall’Agenzia delle Entrate con nota n. 57413 del 9 aprile 2003. La nota prevedeva che i concessionari, una volta emesso il provvedimento di fermo amministrativo dell’auto, ma prima di procedere alla iscrizione del medesimo, comunicassero al contribuente moroso – che non avesse cioè provveduto a pagare il dovuto entro i sessanta giorni dalla notifica della cartella – un avviso ad adempiere al debito entro venti giorni, decorsi i quali si sarebbe provveduto a rendere operativo il fermo. Il preavviso avrebbe avuto valore come comunicazione di iscrizione del fermo a decorrere dal ventesimo giorno successivo.

8.3. Le Sezioni Unite ne concludevano che il “preavviso” fosse «sostanzialmente l’unico atto mediante il quale il contribuente viene a conoscenza della esistenza nei suoi confronti di una procedura di fermo amministrativo dell’autoveicolo» e che esso si collocasse «all’interno di una sequela procedimentale – emanazione del provvedimento di fermo, preavviso, iscrizione del provvedimento emanato – finalizzata ad assicurare, mediante una pronta conoscibilità dei provvedimento di fermo, una ampia tutela del contribuente che di quel provvedimento è il destinatario». In questa prospettiva, le Sezioni Unite non mancavano di evidenziare come il preavviso di fermo svolgesse «una funzione assolutamente analoga a quella dell’avviso di mora nel quadro della comune procedura esecutiva esattoriale, e, come tale avviso, esso non (poteva) non essere un atto impugnabile».

8.4. A siffatta conclusione – ossia la ineludibile impugnabilità del “preavviso” – le Sezioni Unite non ravvisavano potesse ostare il fatto che il preavviso di fermo amministrativo non comparisse esplicitamente nell’elenco degli atti impugnabili contenuto nell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992. Facendo riferimento ad altro principio affermato da questa Corte (Cass. nn. 21045 del 2007 (12), 27385 del 2008 (13)) che le Sezioni Unite dichiaravano di condividere, quest’ultime affermavano che «l’elencazione degli atti impugnabili, contenuta nel d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19 (andasse) interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.), che in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la l. n. 448 del 2001. Con la conseguenza che (doveva) ritenersi impugnabile ogni atto che port(asse), comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, in quanto sorge in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l’interesse, ex art. 100 cod. proc. civ., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico».

9. Orbene, visto che l’art. 35, comma 25-quinquies, del d.l. n. 223 del 2006, ha riformato l’elenco degli atti impugnabili innanzi al giudice tributario collocandovi, oltre al fermo amministrativo di beni mobili registrati di cui all’art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973, anche l’iscrizione di ipoteca di cui all’art. 77 del medesimo decreto, non diverse a proposito di quest’ultima possono essere le considerazioni dapprima sviluppate nella ricordata posizione assunta dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite in ordine al “fermo amministrativo”.

9.1. Nonostante la disciplina dell’iscrizione di ipoteca, a differenza di quella relativa al fermo amministrativo, trovi nel d.P.R. n. 602 del 1973 collocazione nel capo II (e non nel Capo III) del Titolo II, situazione che potrebbe far pensare maggiormente ad una relazione strettamente funzionale della stessa con l’espropriazione forzata, devono ritenersi valide in relazione all’iscrizione ipotecaria le medesime conclusioni raggiunte da queste Sezioni Unite rispetto al fermo amministrativo. Sicché anche rispetto all’iscrizione di ipoteca ex art. 77 d.P.R. n. 602 del 1973 deve ritenersi sussistere quella «valenza non solo innovativa, ma anche (e prima ancora) interpretativa delle modifiche normative disposte con il d.l. n. 223 del 2006, art. 35, comma 25-quinquies», ritenuta dall’ordinanza delle Sezioni Unite n. 10672 del 2009 con riferimento al fermo amministrativo, dalla quale discende l’ineludibile carattere di atto impugnabile tanto di quest’ultimo, quanto dell’iscrizione di ipoteca.

9.2. Anzi, a dispetto della “collocazione topografica” nel decreto di riferimento e dello stretto legame strumentale che lega iscrizione ipotecaria ex art. 77 d.P.R. n. 602 del 1973 ed espropriazione, sembra ancor più evidente che detta “iscrizione” non possa definirsi un “atto dell’esecuzione”: il fatto che secondo la disciplina positiva non necessariamente l’espropriazione deve seguire all’iscrizione ipotecaria, autorizza a ritenere che quest’ultima sia «un atto riferito ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria».

9.3. Ed è proprio la rilevata alternatività dell’iscrizione ipotecaria rispetto all’espropriazione, la ragione che ne giustifica, come accade per il fermo amministrativo, l’attribuzione alla giurisdizione del giudice tributario senza che sussista alcuna violazione del precetto costituzionale che vieta l’istituzione di giudici speciali (v. Corte cost. n. 37 del 2010 (14), con riferimento all’istituto del fermo amministrativo di beni mobili registrati).

10. Se l’iscrizione ipotecaria ex art. 77 d.P.R. n. 602 del 1973 deve essere esclusa, come effettivamente deve esserlo per le ragioni già esposte, dall’ambito specifico dell’espropriazione, non può ritenersi applicabile alla fattispecie la regola prescritta dall’art. 50, comma 2, d.P.R. n. 602 del 1973. Non lo consente la lettera della espressione normativa la quale chiaramente stabilisce che «se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l’espropriazione stessa deve essere preceduta dalla notifica, da effettuarsi con le modalità previste dall’art. 26, di un avviso che contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni». Non lo consente nemmeno la lettera della norma di cui all’art. 77, d.P.R. n. 602 del 1973, la quale, al secondo comma, prevede che, «prima di procedere all’esecuzione, il concessionario deve iscrivere ipoteca», e, al primo comma, richiama esclusivamente il primo e non anche il secondo comma dell’art. 50 del medesimo decreto (in questo senso v. anche Cass. ord. n. 10234 del 2012).

11. Sicché può affermarsi il seguente principio di diritto: «l’ipoteca prevista dall’art. 77 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, può essere iscritta senza necessità di procedere a notifica dell’intimazione ad adempiere di cui all’art. 50, secondo comma, del medesimo d.P.R., prescritta per il caso che l’espropriazione forzata non sia iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, poiché l’iscrizione ipotecaria non può essere considerata un atto dell’espropriazione forzata, bensì un atto riferito ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria».

12. Nella medesima prospettiva, e non a caso, questa Corte ha ritenuto che il concessionario, non essendo il “fermo amministrativo” inserito come tale nella sequenza procedimentale dell’espropriazione forzata, «non deve provvedere alla preventiva notifica dell’avviso contenente l’intimazione ad adempiere l’obbligazione risultante dal ruolo ex art. 50, comma secondo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, disposizione, questa, applicabile solo nel circoscritto ambito dell’esecuzione forzata» (Cass. ord. n. 26052 del 2011 (15)).

13. L’affermata inapplicabilità all’iscrizione ipotecaria ex art. 77, d.P.R. n. 602 del 1973 della previsione di cui all’art. 50, comma 2, del medesimo decreto non significa tuttavia che l’iscrizione ipotecaria possa essere eseguita per così dire insciente domino, senza che la stessa debba essere oggetto di alcuna comunicazione al contribuente.

13.1. Proprio in quanto atto impugnabile innanzi al giudice tributario l’iscrizione ipotecaria presuppone una specifica comunicazione ai contribuente: l’art. 21, d.lgs. n. 546 del 1992, prescrive, infatti, che gli atti impugnabili, elencati nell’art. 19 del medesimo decreto (e tra questi, come già visto, è enumerata anche l’iscrizione ipotecaria), debbano essere impugnati entro sessanta giorni dalla relativa notificazione.

13.2. Non solo. L’art. 21-bis della l. n. 241 del 1990 prevede un obbligo generalizzato di comunicazione dei provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei destinatari, e l’iscrizione ipotecaria costituisce fuor di dubbio un atto che limita fortemente la sfera giuridica del contribuente. L’art. 6 dello Statuto del contribuente, a sua volta, prevede che debba essere garantita «l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati».

13.3. Tali previsioni normative impongono che l’iscrizione di ipoteca debba essere comunicata al contribuente. Ciò sulla base di un principio generale, caratterizzante qualsiasi sistema di civiltà giuridica, che assume la doverosità della comunicazione di tutti gli atti lesivi della sfera giuridica del cittadino, comunicazione che costituisce il presupposto imprescindibile per la stessa impugnabilità dell’atto, in particolare nel processo tributario che è strutturato come processo di impugnazione di atti in tempi determinati rigidamente (e solo la “notifica” dell’atto impugnato può costituire rassicurante prova dell’effettivo rispetto del termine di impugnazione).

13.4. La comunicazione della quale si discute deve necessariamente precedere la concreta effettuazione dell’iscrizione ipotecaria, e ciò perché tale comunicazione è strutturalmente funzionale a consentire e a promuovere, da un lato, il reale ed effettivo esercizio del diritto di difesa del contribuente a tutela dei propri interessi e, dall’altro, l’interesse pubblico ad una corretta formazione procedimentale della pretesa tributaria e dei relativi mezzi di realizzazione.

13.5. Siffatto orientamento costituisce anche una specifica attuazione del principio generale emergente dall’art. 7 della legge n. 241 del 1990, il quale impone l’obbligo della comunicazione dell’avvio del procedimento ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti. La ricordata previsione normativa dell’obbligo di comunicazione (previa) di cui all’art. 7 della legge n. 241 del 1990, è espressione del principio costituzionale di imparzialità e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.) ed ha come ratio fondante: 1) la tutela dell’interesse – giuridicamente protetto – dei soggetti destinatari del procedimento: a) ad aver conoscenza di quest’ultimo; b) a poter controdedurre agli assunti su cui si basa l’iniziativa procedimentale dell’Amministrazione; c) ad inserire nel complesso delle valutazioni procedimentali anche quelle attinenti ai legittimi interessi del privato destinatario; 2) la tutela dell’interesse pubblico al buon procedimento, interesse pubblico garantito da quell’apporto alla piena valutazione giuridico-fattuale che solo l’intervento procedimentale dei “soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti” può fornire; 4) altresì, la tutela dell’affidamento (anche al fine di consentire tempestive misure difensive o riparatorie) di soggetti incolpevolmente estranei alla scaturigine del procedimento lesivo, ed ignari di essa; 5) la medesima comunicazione dell’inizio del procedimento (v. TAR Lazio, Sez. 1, 4 settembre 2009, n. 8373 (16)).

13.6. Non rende meno valida questa ricostruzione esegetica il fatto che la l’art. 13, comma 2, della legge n. 241 del 1990 escluda i procedimenti tributari dall’applicazione degli istituti partecipativi previsti dall’art. 7 della stessa legge, in quanto non si tratta di una esclusione tout court dei predetti istituti, bensì solo di un rinvio per la concreta regolamentazione dei medesimi alle norme speciali che disciplinano il procedimento tributario.

14. L’approdo della dottrina più moderna è l’opinione secondo la quale, essendo priva di qualsiasi ragionevolezza l’escludere dalla “partecipazione” il soggetto d’imposta (e destinatario della pretesa tributaria formatasi in esito al procedimento), si deve ritenere che in realtà la partecipazione e l’accesso sono compatibili con il procedimento tributario: essi tuttavia operano secondo gli schemi dello statuto del contribuente e non secondo i modelli dalla legge n. 241 del 1990, coerentemente con quanto quest’ultima dispone, nel non escludere i procedimenti tributari dagli istituti partecipativi, ma rinviando in materia alle norme speciali perdetti procedimenti previsti.

14.1. Orbene, laddove si rifletta sul fatto che lo statuto del contribuente è costituito da un complesso di norme la cui precipua funzione è quella di improntare l’attività dell’amministrazione finanziaria alle regole dell’efficienza e della trasparenza, nonché quella di assicurare l’effettività della tutela del contribuente nella fase del procedimento tributario, è agevole vedere che si tratta di norme che sostanzialmente riproducono, con riferimento ad uno speciale procedimento amministrativo, alcune delle fondamentali regole dettate dalla legge n. 241 del 1990 sul procedimento in generale. E così tra le norme dello Statuto:

l’art. 5, che obbliga l’amministrazione a promuovere la conoscenza da parte del contribuente delle disposizioni legislative in materia tributaria per l’evidente ragione del notevole numero di tali disposizioni e per la spesso imprevedibile mutevolezza delle medesime;

l’art. 6, che obbliga l’amministrazione ad assicurare l’effettiva conoscenza degli atti da parte del destinatario, mediante la comunicazione nel luogo di effettivo domicilio e a informare il contribuente «di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, seppure parziale, di un credito»; la norma obbliga altresì l’amministrazione a far sì che i modelli di dichiarazione siano messi tempestivamente a disposizione del contribuente e siano redatti in un linguaggio chiaro e comprensibile anche per chi è sfornito di conoscenze tecniche; inoltre è previsto che «prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta»;

l’art. 7, che sancisce l’obbligo della motivazione degli atti, secondo il principio codificato dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990;

l’art. 10, comma 1, che fissa il fondamentale principio secondo il quale i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede, che ribadisce in questa forma quella garanzia di decisione partecipata che costituisce la ratio della previsione normativa espressa dall’art. 7 della legge n. 241 del 1990;

l’art. 12, comma 2, a norma del quale «quando viene iniziata la verifica, il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l’abbiano giustificata e dell’oggetto che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, nonché dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche».

15. Da questo complesso di norme emerge chiaramente che la pretesa tributaria trova legittimità nella formazione procedimentalizzata di una “decisione partecipata” mediante la promozione del contraddittorio (che sostanzia il principio di leale collaborazione) tra amministrazione e contribuente (anche) nella “fase precontenziosa” o “endoprocedimentale”, al cui ordinato ed efficace sviluppo è funzionale il rispetto dell’obbligo di comunicazione degli atti imponibili. Il diritto al contraddittorio, ossia il diritto del destinatario del provvedimento ad essere sentito prima dell’emanazione di questo, realizza l’inalienabile diritto di difesa del cittadino, presidiato dall’art. 24 Cost., e il buon andamento dell’amministrazione, presidiato dall’art. 97 Cost.

15.1. In questa prospettiva si è mossa la giurisprudenza della Corte. Possono ricordarsi a titolo esemplificativo:

la sentenza n. 16412 del 2007 (17) delle Sezioni Unite, a proposito dell’avviso di mora non preceduto dalla notifica della cartella, la quale rileva che la mancata notificazione della cartella di pagamento comporta un vizio della sequenza procedimentale dettata dalla legge, che consente al contribuente di impugnare l’avviso, deducendone la nullità per omessa notifica dell’atto presupposto;

la sentenza n. 26635 del 2009 (18), sempre delle Sezioni Unite, in materia di accertamento mediante standard (o studi di settore), secondo la quale il contraddittorio (endoprocedimentale) deve ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile (anche in assenza di una espressa previsione normativa) del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa;

la sentenza n. 18184 del 2013 (19), ancora delle Sezioni Unite, con la quale è stato affermato che «l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio (endo)procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva»;

la sentenza n. 15311 del 2014 (20) della Sezione Tributaria, in ordine alla previsione di cui al comma 4 dell’art. 36-ter del D.P.R. n. 600 del 1973 – che obbliga l’amministrazione a comunicare al contribuente l’esito del controllo formale «con l’indicazione dei motivi che hanno dato luogo alla rettifica degli imponibili, delle imposte, delle ritenute alla fonte, dei contributi e dei premi dichiarate, per consentire anche la segnalazione di eventuali dati ed elementi non considerati o valutati erroneamente in sede di controllo formale entro i trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione» – la quale afferma che dall’omessa comunicazione deriva la nullità della consequenziale cartella. E ciò in attuazione di un principio immanente nell’ordinamento e relativo alla garanzia connessa alla previsione della comunicazione quale momento di instaurazione del contraddittorio anteriore all’iscrizione a ruolo: condividendo le conclusioni raggiunte dalle Sezioni Unite nella ricordata sentenza n. 18184 del 2013, la Sezione Tributaria afferma che «la “sanzione” della invalidità dell’atto conclusivo del procedimento, pur non espressamente prevista, deriva ineludibilmente dal sistema ordinamentale, comunitario e nazionale, nella quale la norma opera e, in particolare, dal rilievo che il vizio del procedimento si traduce, nella specie, in una divergenza dal modello normativo … di particolare gravità, in considerazione della rilevanza della funzione, di diretta derivazione da principi costituzionali, cui la norma stessa assolve … e della forza impediente, rispetto al pieno svolgimento di tale funzione, che assume il fatto viziante».

15.2. Ma v’è di più. Il rispetto dei diritti della difesa e del diritto che ne deriva, per ogni persona, di essere sentita prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi, costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione, come afferma – ricordando la propria precedente sentenza del 18 dicembre 2008, in causa C-349/07 (21), Sopropè – la Corte di Giustizia nella sua recentissima sentenza del 3 luglio 2014 in cause riunite C-129/13 e C-130/13 (22), Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Worldwide Logistics BV.

15.2.1. «Il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento» afferma la Corte di Giustizia, «è attualmente sancito non solo negli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che garantiscono il rispetto dei diritti della difesa nonché il diritto ad un processo equo in qualsiasi procedimento giurisdizionale, bensì anche nell’art. 41 di quest’ultima, il quale garantisce il diritto ad una buona amministrazione. Il paragrafo 2 del citato articolo 41 prevede che tale diritto a una buona amministrazione comporta, in particolare, il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale lesivo».

15.2.2. Conclude la Corte che «in forza di tale principio, che trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione», mediante una previa comunicazione del provvedimento che sarà adottato, con la fissazione di un termine per presentare eventuali difese od osservazioni. «Tale obbligo», ad avviso della Corte, «incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, quand’anche la normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalità».

16. Dal complesso delle considerazioni fin qui svolte si deve concludere che l’iscrizione ipotecaria prevista dall’art. 77, d.P.R. n. 602 del 1973, in quanto atto destinato ad incidere in modo negativo sui diritti e gli interessi del contribuente, deve essere a quest’ultimo comunicata prima di essere eseguita, in ragione del dovuto rispetto del diritto di difesa mediante l’attivazione del “contraddittorio endoprocedimentale”, che costituisce un principio fondamentale immanente nell’ordinamento cui dare attuazione anche in difetto di una espressa e specifica previsione normativa. Quanto al consequenziale termine da fissare al destinatario per la presentazione di eventuali osservazioni (o, dato il caso specifico, per il pagamento del dovuto) anch’esso può trarsi, in difetto di espressa previsione scritta, dal sistema e determinarlo in trenta giorni sulla base delle prescrizioni che prevedono analogo termine con l’art. 6, comma 5, dello Statuto del contribuente o l’art. 36-ter, comma 4, d.P.R. n. 600 del 1973.

17. Nel quadro delineato, il comma 2-bis dell’art. 77, d.P.R. n. 602 del 1973, introdotto con d.l. n. 70 del 2011, che obbliga l’agente della riscossione «a notificare al proprietario dell’immobile una comunicazione preventiva contenente l’avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà iscritta l’ipoteca di cui al comma 1», non “innova” (soltanto) – se non sul piano formale – la disciplina dell’iscrizione ipotecaria, ma ha (anche e prima ancora) una reale “valenza interpretativa”, in quanto esplicita in una norma positiva il precetto imposto dal rispetto del principio fondamentale immanente nell’ordinamento tributario che prescrive la tutela del diritto di difesa del contribuente mediante l’obbligo di attivazione da parte dell’amministrazione del “contraddittorio endoprocedimentale” ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente medesimo. Principio il cui rispetto è dovuto da parte dell’amministrazione indipendentemente dal fatto che ciò sia previsto espressamente da una norma positiva e la cui violazione determina la nullità dell’atto lesivo che sia stato adottato senza la preventiva comunicazione al destinatario. Tuttavia, nel caso specifico, stante la natura reale dell’ipoteca, l’iscrizione per avventura eseguita senza che sia stato rispettato dall’amministrazione l’obbligo della preventiva comunicazione al contribuente conserva la propria efficacia fino a quando il giudice non ne abbia ordinato la cancellazione, accertandone l’illegittimità, salvo in ogni caso la responsabilità dell’amministrazione ai fini dell’eventuale risarcimento del danno.

18. Sicché può affermarsi il seguente principio di diritto: «Anche nel regime antecedente l’entrata in vigore del comma 2-bis dell’art. 77, d.P.R. [n. 602 del 1973, n.d.r.], introdotto con d.l. n. 70 del 2011, l’amministrazione prima di iscrivere ipoteca ai sensi dell’art. 77, d.P.R. n. 602 del 1973, deve comunicare al contribuente che procederà alla predetta iscrizione sui suoi beni immobili, concedendo a quest’ultimo un termine – che, per coerenza con altre analoghe previsioni normative presenti nel sistema, può essere fissato in trenta giorni – perché egli possa esercitare il proprio diritto di difesa, presentando opportune osservazioni, o provveda al pagamento del dovuto. L’iscrizione di ipoteca non preceduta dalla comunicazione al contribuente è nulla, in ragione della violazione dell’obbligo che incombe all’amministrazione di attivare il “contraddittorio endoprocedimentale”, mediante la preventiva comunicazione al contribuente della prevista adozione di un atto o provvedimento che abbia la capacità di incidere negativamente, determinandone una lesione, sui diritti e sugli interessi del contribuente medesimo. Tuttavia in ragione della natura reale dell’ipoteca, l’iscrizione eseguita in violazione del predetto obbligo conserva la propria efficacia fino a quando il giudice non ne abbia ordinato la cancellazione, accertandone l’illegittimità».

19. È possibile, quindi, passare all’esame degli altri motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, tutti risolvendosi in una denuncia di vizio di motivazione sotto diversi profili.

19.1. Fondato è il primo motivo, con il quale la parte ricorrente censura la sentenza impugnata per aver «respinto l’appello, risolvendo la motivazione in un mero rinvio alla decisione del giudice di prime cure, senza riportarne, neanche in maniera sintetica, il contenuto motivazionale».

19.1.1. Invero la sentenza impugnata argomenta la propria decisione mediante un apodittico rinvio alla sentenza del primo giudice, limitandosi ad affermare: «i motivi di impugnazione della sentenza di primo grado, addotti dall’appellante, sono gli stessi che i giudici di prime cure hanno già esaminato e rigettato con analitiche motivazioni: sotto questo aspetto, pertanto, l’appello, essendo la riproposizione del ricorso di primo grado, risulterebbe improponibile».

19.1.2. Si tratta di una sentenza nulla alla luce del principio più volte affermato da questa Corte secondo cui: «In tema di processo tributario, è nulla, per violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare per relationem alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, atteso che, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame» (v. Cass. n. 28113 del 2013 (23)).

19.2. Fondato è il terzo motivo, con il quale la parte ricorrente censura l’impugnata sentenza per aver arbitrariamente richiamati i criteri di determinazione del valore ai sensi dell’art. 79, d.P.R. n. 602 del 1973, a proposito della denuncia sperequazione tra carico tributario e valore dell’immobile oggetto dell’iscrizione ipotecaria.

19.2.1. Invero la sentenza impugnata non offre alcuna motivazione sul punto, limitandosi ad un apodittico richiamo all’art. 79, d.P.R. n. 602 del 1973, senza renderne comprensibili le ragioni ed omettendo un qualsiasi riferimento alla specifica e concreta valutazione dei beni oggetto della contestata iscrizione ipotecaria e all’eventuale rapporto tra il valore di questi e il credito ipotecario.

19.3. Fondato è infine il quarto motivo, con il quale la parte ricorrente censura la sentenza impugnata per aver omesso qualsiasi motivazione in ordine al mancato accoglimento della richiesta di danno che era stata avanzata dal contribuente.

19.3.1. Invero la sentenza impugnata si limita ad affermare che «il danno denunciato è da provare in relazione all’esistenza, alla sua riferibilità al comportamento che si assume lesivo ed alla sua quantificazione». In buona sostanza una vera e propria petizione di principio, che esprime una regola giuridica senza dar conto delle ragioni per le quali la situazione di fatto esaminata dal giudicante non corrisponda alla fattispecie astratta disciplinata dalle norme sui caratteri cui deve rispondere la dimostrazione del danno preteso.

20. Pertanto il ricorso deve essere accolto nei sensi e nei limiti di cui alle sopra riportate considerazioni e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania che provvedere anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio.

P.Q.M.(Omissis).

 (1) In Boll. Trib. On-line.

(2) Cass. 22 febbraio 2010, n. 4077, in Boll. Trib., 2012, 298.

(3) Cass. 19 marzo 2009, n. 6594, in Boll. Trib. On-line.

(4) In Boll. Trib. On-line.

(5) Cass. 12 aprile 2012, n. 5771, in Boll. Trib. On-line.

(6) Cass. 20 giugno 2012, ord. n. 10234, in Boll. Trib. On-line.

(7) Cass. 19 settembre 2012, n. 15746, in Boll. Trib. On-line.

(8) Cass. 5 giugno 2008, ord. n. 14831, in Boll. Trib., 2008, 1607.

(9) Cass. 31 gennaio 2006, ord. n. 2053, in Boll. Trib., 2006, 343.

(10) Cass. 23 giugno 2006, ord. n. 14701, in Boll. Trib. On-line.

(11) Cass. 11 maggio 2009, ord. n. 10672, in Boll. Trib. On-line.

(12) Cass. 8 ottobre 2007, n. 21045, in Boll. Trib., 2008, 587.

(13) Cass. 18 novembre 2008, n. 27385, in Boll. Trib. On-line.

(14) Corte Cost. 5 febbraio 2010, ord. n. 37, in Boll. Trib. On-line.

(15) Cass. 5 dicembre 2011, ord. n. 26052, in Boll. Trib. On-line.

(16) In Boll. Trib. On-line.

(17) Cass. 25 luglio 2007, n. 16412, in Boll. Trib., 2007, 1555.

(18) Cass. 18 dicembre 2009, n. 26635, in Boll. Trib., 2010, 303.

(19) Cass. 29 luglio 2013, n. 18184, in Boll. Trib., 2013, 1428.

(20) Cass. 4 luglio 2014, n. 15311, in Boll. Trib., 2014, 1489.

(21) In Boll. Trib. On-line.

(22) In Boll. Trib. On-line.

(23) Cass. 16 dicembre 2013, n. 28113, in Boll. Trib. On-line.

 

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