19 Marzo, 2014

 

Imposte e tasse – Riscossione – Procedura esecutiva – Invio da parte dell’agente della riscossione ai debitori di un professionista di questionari, aventi valore di dichiarazioni stragiudiziali, concernenti la loro posizione debitoria – Legittimità – Violazione della normativa sulla tutela dei dati personali – Non si configura – Legittimità del pignoramento presso terzi eseguito dall’agente della riscossione – Consegue.

 

Imposte e tasse – Riscossione – Procedura esecutiva – Invio da parte dell’agente della riscossione ai debitori di un professionista di questionari, aventi valore di dichiarazioni stragiudiziali, concernenti la loro posizione debitoria – Legittimità – Previa autorizzazione del Garante della privacy – Non necessita – Violazione della normativa sulla tutela dei dati personali – Non si configura – Legittimità della procedura di riscossione – Consegue.

 

Imposte e tasse – Riscossione – Procedura esecutiva – Art. 75-bis del D.P.R. n. 602/1973 – Possibilità da parte dell’agente della riscossione di richiedere ai debitori di un soggetto iscritto a ruolo di indicare per iscritto le cose e le somme da loro dovute al creditore – Legittimità – Previa autorizzazione del Garante della privacy – Non necessita – Violazione della normativa sulla tutela dei dati personali – Non si configura – Legittimità della procedura di riscossione – Consegue.

 

 L’art. 24, lett. f), del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, nel quale sono state trasfuse le norme dettate dagli artt. 12 e 20 della legge 31 dicembre 1996, n. 675, dettato per i privati e per gli enti pubblici economici ma certamente applicabile anche agli enti pubblici non economici nella parte in cui deroga alla necessità del consenso, prevede che il consenso non sia richiesto, fatta esclusione per la diffusione dei dati, se il trattamento è necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 397, o, comunque, per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, nel rispetto della vigente normativa in materia di segreto aziendale e industriale, di talché, poiché il pignoramento presso terzi è una forma di esecuzione forzata prevista dall’ordinamento, l’agente della riscossione agisce sulla base di una posizione giuridica prevista dalla legge e di conseguenza deve escludersi che l’invio ai debitor debitoris da parte del citato agente della riscossione di questionari con valenza di dichiarazioni stragiudiziali, possa porre in essere una violazione delle citate disposizioni normative, a tutela del legittimo trattamento dei dati personali, come pure non è configurabile a carico del terzo che rende la dichiarazione una violazione del segreto professionale.

 Il codice della privacy, di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, disciplina in modo diversificato, in relazione al tipo di dato, il trattamento di dati personali necessario per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, e, ove si tratti di dati sensibili, ossia inerenti la salute e la vita sessuale, richiede, oltre al consenso dell’interessato, la previa autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali, il quale valuta comparativamente il rango del diritto azionato e di quello protetto dalla disciplina, ma non costituisce un dato sensibile, bensì un mero dato personale, la semplice appartenenza del soggetto chiamato a deporre alla clientela di un professionista, sicché non occorre la previa autorizzazione del Garante per il trattamento di tale dato necessario per la riscossione coattiva dei crediti tributari affidati all’agente della riscossione.

 L’art. 75-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, inserito dall’art. 1, comma 425, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, nella versione anteriore all’emanazione del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286), applicabile ratione temporis, nel disporre che il concessionario, prima di procedere ai sensi degli artt. 543 e segg. c.p.c., può chiedere a soggetti terzi, debitori del soggetto che è iscritto a ruolo o dei coobbligati, di indicare per iscritto, anche solo in modo generico, le cose e le somme da loro dovute al creditore, non ha fatto altro che ribadire la legittimità di un’attività prodromica all’esercizio del diritto di agire esecutivamente da parte dell’agente della riscossione, atteso che, peraltro, la semplice appartenenza del soggetto chiamato a deporre alla clientela di un professionista, non costituisce un dato sensibile, bensì un mero dato personale, sicché non occorre la previa autorizzazione del Garante per il trattamento di tale dato necessario per la riscossione coattiva dei crediti tributari affidati all’agente della riscossione.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Salmè, rel. Didone), 11 luglio 2013, sent. n. 17203]

 

 RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO – 1. Nel mese di gennaio 2003 la s.p.a. S. – Concessionario per la riscossione della Provincia di Lecce – richiese a tutti i clienti di P.A. – consulente del lavoro – la compilazione di un questionario con valore di dichiarazione stragiudiziale, dichiarandosi creditrice del predetto contribuente, senza essere previamente autorizzato dall’interessato ovvero dall’Autorità Garante della protezione dei dati personali.

 Allegando tale fatto e deducendo che a causa di quella indebita ingerenza molti clienti avevano preferito chiudere i rapporti rivolgendosi ad altro professionista, P.A. evocò in giudizio dinanzi al Tribunale di Lecce, ai sensi dell’art. 152 d.lgs. n. 196/2003, la predetta società e l’Autorità Garante chiedendo la condanna della s.p.a. S. al risarcimento dei danni (quantificati in euro 500.000,00) causati dal predetto comportamento.

 L’Autorità Garante comunicò di non volersi costituire formalmente mentre la società convenuta – previa autorizzazione del giudice – chiamò in garanzia il Ministero delle Finanze – che sì costituì eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva – nonché l’Agenzia delle Entrate.

 Con sentenza depositata il 10.10.2007 il Tribunale rigettò la domanda (accogliendo in motivazione l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Ministero) giustificando la decisione con un triplice ordine di ragioni: 1) l’articolo 75-bis del D.P.R. n. 602/1973, inserito dall’articolo 1, comma 425 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 e sostituito dall’articolo 2, comma 8, del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, che consente ora la richiesta, da parte del concessionario, di dichiarazioni stragiudiziali dei terzi debitori del contribuente, è norma interpretativa, come tale applicabile alle fattispecie sorte in epoca precedente all’intervento legislativo; 2) non si controverte in tema di dati sensibili e l’attività di riscossione dei tributi, anche tramite concessionari, è di rilevante interesse pubblico, sì che il legislatore ha riconosciuto legittimo il trattamento di dati personali utili allo svolgimento delle funzioni istituzionali dirette al predetto scopo; 3) infine, le dichiarazioni stragiudiziali erano disciplinate sin dal 1925 con norme regolamentari e l’attività del concessionario si era ad esse conformata, non essendo condivisibile il giudizio di non pertinenza e di eccedenza contenuto in precedente provvedimento del Garante, anche perché il diritto alla riservatezza (recessivo rispetto all’obbligo costituzionale di concorrere al pagamento dei tributi) non è leso da un’espropriazione presso terzi (Cass., 8239/2003), certamente più invasiva di una richiesta di dichiarazione stragiudiziale.

[-protetto-]

 

 2. Contro la sentenza il P. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati con memoria depositata nei termini di cui all’art. 378 c.p.c. Resiste con controricorso la s.p.a. Equitalia mentre non hanno svolto difese gli altri intimati (Garante, Ministero E.F., Agenzia delle Entrate).

 3.1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia «violazione dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 11, co. 1 preleggi – violazione dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 70-bis D.P.R. 602/73 introdotto dall’art. 1, co. 425 l. 311/04 e poi modificato dall’art. 8, co. 1, D.L. 262/06 conv. con l. 286/06 – falsa/errata applicazione di tali disposizioni di legge da parte del Tribunale di Lecce».

 Formula il seguente quesito ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c. (applicabile ratione temporis): «se l’art. 70-bis D.P.R. 602/73 (“dichiarazione stragiudiziale del terzo”), introdotto dall’art. 1, co. 425 l. 311/04 e poi modificato dall’art. 8, co. 1, D.L. 262/06, sia norma di interpretazione autentica e perciò avente efficacia retroattiva anche per i fatti verificatisi antecedentemente alla sua entrata in vigore 1/1/05».

 3.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia «violazione dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 4, co. 1, lettera B), all’art. 37 nonché all’art. 66, co. 1, d.lgs. 196/03 – falsa/errata applicazione delle stesse da parte del Tribunale di Lecce – violazione dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 3 e 4 D.M. 16/11/00 ed all’art. 18, co. 1 d.lgs. 112/99 – mancata applicazione delle stesse da parte del Tribunale di Lecce».

 Formula il seguente quesito ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c: «a) se i Concessionari per la Riscossione dei Tributi, esercitando pubbliche funzioni, possono trattare liberamente ed incondizionatamente i dati personali dei contribuenti oppure se essi debbono rispettare gli artt. 20 e 21 d.lgs. 196/03 in virtù della qualificazione, operata dall’art. 66, co. 1 d.lgs. 196/03, della loro attività come di rilevante interesse pubblico; b) se, stante il rilevante interesse pubblico riconosciuto dall’art. 66, co. 1 d.lgs. 196/03 all’attività dei soggetti pubblici diretta all’attuazione delle disposizioni in materia di tributi, anche tramite i Concessionari per la riscossione, si applicano le norme del “codice in materia di protezione dei dati personali” di cui al d.lgs. 196/03 oppure se, nel sistema normativo generale, il legislatore riconosce la legittimità del trattamento incondizionato di dati personali per lo svolgimento delle funzioni istituzionali nel settore dei tributi».

 3.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia: «violazione dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 4, co. 1, lettera B), all’art. 37 nonché all’art. 66, co. 1, d.lgs. 196/03 – falsa/errata applicazione delle predette norme da parte del tribunale di Lecce sotto diverso profilo».

 Formula i seguenti quesiti ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c.: «a) se i provvedimenti assunti dall’amministrazione finanziaria nell’anno 1925 disciplinassero rapporti e situazioni in via generale ed astratta mediante una regolazione destinata ad incidere funzioni giuridiche di tutti consociati e se pertanto fossero veri propri regolamenti secondo la definizione di cui all’art. 17 l. 400/88; b) se la cd. dichiarazione stragiudiziale del terzo, richiesta dal Concessionario per la Riscossione dei Tributi all’epoca dei fatti e quindi antecedentemente all’introduzione dell’art. 70-bis D.P.R. 602/73, costituiva uno strumento invasivo della sfera privata del contribuente e, per l’effetto, consisteva in un’attività del Concessionario stesso nient’affatto pertinente ed anzi eccedente i principi normativi (costituzionali e di rango legislativo dell’ordinamento giuridico); c) se la cd. dichiarazione stragiudiziale del terzo, richiesta dal Concessionario per la Riscossione dei Tributi all’epoca dei fatti, era legittima siccome conforme ad una serie di disposizioni risalenti all’anno 1925; d) se il diritto di ogni cittadino alla riservatezza, garantito dalla costituzione nonché dalla l. 675/96 prima e dal d.lgs. 196/03 poi, recede fino ad essere completamente vanificato di fronte al dovere di ogni cittadino di concorrere al pagamento delle tasse, anch’esso previsto dalla Costituzione».

 4. Va premesso – avendo il ricorrente denunciato la violazione di norme dettate dal d.lgs. n. 196/2003 – che la disciplina sostanziale applicabile ratione temporis alla concreta fattispecie è quella dettata dalla l. n. 675/1996, essendo stata la richiesta di dichiarazione stragiudiziale inoltrata nel gennaio 2003, mentre la disciplina processuale è quella di cui al d.lgs. n. 196/2003, essendo stato il ricorso depositato nel 2005 (cfr. art. 186 d.lgs. n. 196/2003: «Le disposizioni di cui al presente codice entrano in vigore il 1° gennaio 2004, ad eccezione delle disposizioni di cui agli articoli 156, 176, commi 3, 4, 5 e 6; e 182, che entrano in vigore il giorno successivo alla data di pubblicazione del presente codice. Dalla medesima data si osservano altresì i termini in materia di ricorsi di cui agli articoli 149, comma 8, e 150, comma 2». La pubblicazione sulla G.U. è avvenuta il 29 luglio 2003).

 Il Testo Unico di cui al detto d.lgs., peraltro, ha semplicemente riformulato le norme già dettate, nella materia che qui interessa, dalla l. n. 675/1996, posto che nell’art. 24 del primo sono state trasfuse le norme dettate dagli artt. 12 e 20 l. n. 675/1996.

 4.1. Le norme rilevanti ai fini dell’esame del ricorso sono le seguenti.

 L’art. 27 della l. n. 675/1996, avente ad oggetto il “trattamento da parte di soggetti pubblici”, dispone che il trattamento di dati personali da parte di soggetti pubblici, esclusi gli enti pubblici economici, è consentito soltanto per lo svolgimento delle funzioni istituzionali, nei limiti stabiliti dalla legge e dai regolamenti (comma 1) e, comunque, che «la comunicazione e la diffusione dei dati personali da parte di soggetti pubblici a privati o a enti pubblici economici sono ammesse solo se previste da norme di legge o di regolamento» (art. 27, comma 3. V., ora, art. 19 comma 3, d.lgs. n. 196/2003).

 Tale disciplina – in virtù dell’art. 10 d.lgs. n. 135/1999 e, ora, dell’art. 66 d.lgs. n. 196/2003 – è applicabile all’attività dei soggetti pubblici – definita di rilevante interesse pubblico – diretta all’applicazione, anche tramite i loro concessionari, delle disposizioni in materia di tributi, in relazione ai contribuenti.

 Gli artt. 20 e 21, richiamati dall’art. 66 d.lgs. n. 196/2003 e invocati dal ricorrente si riferiscono esclusivamente ai dati sensibili e giudiziari. Ipotesi che non ricorre nella concreta fattispecie.

 L’art. 24 lett. f) d.lgs. n. 196/2003, (nel quale sono state trasfuse le norme dettate dagli artt. 12 e 20 l. n. 675/1996) – dettato per i privati e per gli enti pubblici economici ma certamente applicabile anche agli enti pubblici non economici nella parte in cui deroga alla necessità del consenso – prevede che il consenso non è richiesto – fatta esclusione per la diffusione dei dati – se il trattamento «è necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 397, o, comunque, per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, nel rispetto della vigente normativa in materia di segreto aziendale e industriale».

 In applicazione di tale norma deve concludersi che, poiché il pignoramento presso terzi è una forma di esecuzione forzata prevista dall’ordinamento, il creditore procedente agisce sulla base di una posizione giuridica prevista dalla legge, e di conseguenza deve escludersi che possa porre in essere una violazione della legge n. 675 del 1996 a tutela del legittimo trattamento dei dati personali (per una fattispecie analoga cfr. Sez. 3, n. 8239/2003, richiamata dalla sentenza impugnata).

 Peraltro, neppure è configurabile a carico del terzo che rende la dichiarazione una violazione del segreto professionale (Sez. 3, n. 8239/2003).

 Questa Corte ha già precisato anche che «il codice della privacy (d.lgs. 196 del 2003) disciplina in modo diversificato in relazione al tipo di dato il trattamento di dati personali necessario per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, e, ove si tratti di dati sensibili, ossia inerenti la salute e la vita sessuale, richiede, oltre al consenso dell’interessato, la previa autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali, il quale valuta comparativamente il rango del diritto azionato e di quello protetto dalla disciplina. Non costituisce un dato sensibile, ma un mero dato personale, la semplice appartenenza del soggetto chiamato a deporre alla clientela di un medico specialista, sicché non occorre la previa autorizzazione del Garante per il trattamento di tale dato necessario per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria» (Sez. L. n. 18584/2008, in una fattispecie nella quale, in una controversia tra il dipendente di uno studio medico specialistico nel campo della andrologia e ginecologia ed il professionista, la sentenza di merito aveva ritenuto ammissibile la testimonianza dei clienti dello studio avente ad oggetto le prestazioni lavorative del dipendente, senza necessità di previa autorizzazione del Garante).

 L’art. 75-bis del D.P.R. n. 602/1973 – inserito dall’articolo 1, comma 425 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 – nel disporre che «il concessionario, prima di procedere ai sensi degli articoli 543 e seguenti del codice di procedura civile, può chiedere a soggetti terzi, debitori del soggetto che è iscritto a ruolo o dei coobbligati, di indicare per iscritto, anche solo in modo generico, le cose e le somme da loro dovute al creditore», non ha fatto altro che ribadire la legittimità – nei sensi sopra spiegati – di un’attività prodromica all’esercizio del diritto di agire esecutivamente da parte del concessionario.

Peraltro, l’Autorità Garante della protezione dei dati personali – che in passato aveva reputato illecita la prassi, propria di alcune società concessionarie del servizio per la riscossione dei tributi, consistente nel richiedere a terzi creditori informazioni personali sul contribuente, in quanto all’epoca nessuna previsione legislativa o regolamentare attribuiva il potere di effettuare questo tipo di trattamento – anche dopo l’introduzione del cit. art. 75-bis aveva sottolineato la necessità di verificare il rispetto del principio di pertinenza e non eccedenza nonché di assicurare che la competente amministrazione impartisse ai concessionari idonee istruzioni.

 A questo punto, con decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262 (convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2006, n. 286) l’articolo 75-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, è stato sostituito dal seguente:

 Art. 75-bis. – (Dichiarazione stragiudiziale del terzo).

 1. Decorso inutilmente il termine di cui all’articolo 50, comma 1, l’agente della riscossione, prima di procedere ai sensi degli articoli 72 e 72-bis del presente decreto e degli articoli 543 e seguenti del codice di procedura civile ed anche simultaneamente all’adozione delle azioni esecutive e cautelari previste nel presente decreto, può chiedere a soggetti terzi, debitori del soggetto che è iscritto a ruolo o dei coobbligati, di indicare per iscritto, ove possibile in modo dettagliato, le cose e le somme da loro dovute al creditore.

 2. Nelle richieste formulate ai sensi del comma 1 è fissato un termine per l’adempimento non inferiore a trenta giorni dalla ricezione. In caso di inadempimento, si applicano le disposizioni previste dall’articolo 10 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471. All’irrogazione della relativa sanzione provvede, su documentata segnalazione dell’agente della riscossione procedente e con le modalità previste dall’articolo 16, commi da 2 a 7, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, l’ufficio locale dell’Agenzia delle entrate competente in ragione del domicilio fiscale del soggetto cui è stata rivolta la richiesta.

 3. Gli agenti della riscossione possono procedere al trattamento dei dati acquisiti ai sensi del presente articolo senza rendere l’informativa prevista dall’articolo 13 del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 1966».

 Le norme introdotte dal secondo comma sono indubbiamente innovative (la disciplina dell’autocertificazione era, infatti, ritenuta applicabile dalla sola Amministrazione nelle proprie risoluzioni) mentre il terzo comma non fa che ribadire la legittimità del trattamento già desumibile dall’art. 24 lett. f) d.lgs. n. 196/2003, (nel quale sono state trasfuse le norme dettate dagli artt. 12 e 20 l. n. 675/1996).

 È da notare, peraltro, che la legge n. 52 del 2006 ha modificato la disciplina dell’espropriazione presso terzi introducendo la possibilità per il debitor debitoris – nelle ipotesi diverse dai crediti di lavoro – di rendere la dichiarazione con raccomandata da inviare al creditore procedente.

 Ulteriore conferma di ciò, che – come ha correttamente evidenziato il tribunale nel provvedimento impugnato – la richiesta di una dichiarazione stragiudiziale è certamente meno invasiva (dunque, non eccedente rispetto allo scopo, ai sensi della l. n. 675/1996) di una citazione ex art. 543 c.p.c.

 Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

 Le spese del giudizio di legittimità – nella misura determinata in dispositivo – vanno poste a carico del ricorrente.

 Copia della presente sentenza sarà trasmessa, a cura della cancelleria, al Garante ai sensi dell’art. 154, comma 6, d.lgs. n. 196/2003.

P.Q.M. – Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 8.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi oltre accessori come per legge.

 

 

 Il difficile equilibrio tra esigenze di reperimento del gettito

e tutela del contribuente

 

 1. Premessa

 

 La Corte di Cassazione si sofferma sulla tematica del rischio di violazione della sfera della privacy del contribuente in caso di attivazione di procedure di riscossione coattiva.

 Una società esercente il servizio di riscossione ha, infatti, invitato tutti i clienti di un professionista del quale era creditrice a compilare un questionario, con valenza di dichiarazione stragiudiziale, in assenza di autorizzazione da parte dell’interessato o dell’Autorità Garante competente.

 Tale iniziativa, ad avviso del predetto professionista, oltre ad essere illegittima, aveva spinto molti clienti a rivolgersi altrove e, quindi, il medesimo conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Lecce, la società e l’Autorità Garante chiedendo la condanna della prima al risarcimento del danno subìto.

 La Corte di Cassazione, investita della questione in forza del ricorso proposto avverso la sentenza di primo grado, conferma quanto argomentato dall’Autorità giudiziaria adita in primo grado affermando che la comunicazione e la diffusione dei dati personali da parte di soggetti pubblici a privati o a enti pubblici economici sono ammesse solo se previste da norme di legge o di regolamento e, anche con riguardo ai concessionari della riscossione, se si verte in tema di disposizioni in materia di tributi, in relazione ai contribuenti.

 Di conseguenza, poiché il pignoramento presso terzi è una forma di esecuzione forzata prevista dall’ordinamento e la dichiarazione stragiudiziale costituirebbe, anche prima dell’introduzione dell’art. 75-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, elemento di tale forma di espropriazione forzata, nell’ambito della riscossione, il creditore procedente agisce sulla base di una posizione giuridica prevista dalla legge e, di conseguenza, deve escludersi che possa porre in essere una violazione della legge 31 dicembre 1996, n. 675, a tutela del legittimo trattamento dei dati personali.

 La Corte aggiunge, inoltre, facendo riferimento ad un proprio precedente (1), che non è neppure configurabile, a carico del terzo che rende la dichiarazione, una violazione del segreto professionale data la limitata invasività della sfera personale del contribuente riconosciuta a questo tipo di dichiarazione, certamente meno invasiva di una citazione ex art. 543 c.p.c. Essa, pertanto, conclude per il rigetto del ricorso proposto dal professionista.

 La disposizione contenuta nell’art. 75-bis – inserito mediante una recente novella, all’interno del decreto sulla riscossione – che legittima la richiesta di dichiarazione stragiudiziale e la possibilità di procedere al trattamento dei dati acquisiti senza rendere l’informativa prevista dal codice della privacy, in materia di protezione dei dati personali, si limita a rafforzare concetti preesistenti.

 Ci sembra interessante soffermarci sulle motivazioni sottostanti alla pronuncia in esame, vista l’attualità dell’argomento.

2. L’annotata sentenza della Corte di Cassazione

 

 Come abbiamo testé accennato, una società concessionaria per la riscossione richiese a tutti i clienti di un consulente del lavoro la compilazione di un questionario con valore di dichiarazione stragiudiziale – nella sua qualità di creditrice del predetto contribuente – senza essere previamente autorizzata dall’interessato ovvero dall’Autorità Garante della protezione dei dati personali.

 Il contribuente convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Lecce, ai sensi dell’art. 152 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, la predetta società e l’Autorità Garante chiedendo la condanna della società al risarcimento dei danni per aver richiesto la compilazione del questionario senza previa autorizzazione e perché, a causa di quella indebita ingerenza, molti clienti avevano preferito chiudere i rapporti rivolgendosi ad altro professionista.

 L’Autorità Garante comunicò di non volersi costituire formalmente nel giudizio risarcitorio radicato dal professionista mentre la società convenuta – previa autorizzazione del giudice – chiamò in garanzia il Ministero delle finanze che sì costituì eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, nonché l’Agenzia delle entrate.

 Con sentenza depositata il 10 ottobre 2007, il Tribunale rigettò la domanda accogliendo l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Ministero e giustificando la decisione con un triplice ordine di ragioni.

 In primo luogo l’art. 75-bis del D.P.R. n. 602/1973 (2)– che consente la richiesta, da parte del concessionario, di dichiarazioni stragiudiziali dei terzi debitori del contribuente – è norma interpretativa, come tale applicabile alle fattispecie sorte in epoca precedente all’intervento legislativo.

 Secondariamente la controversia non riguarda dati sensibili e l’attività di riscossione dei tributi, anche tramite concessionari, è di rilevante interesse pubblico, sì che il legislatore ha riconosciuto legittimo il trattamento di dati personali utili allo svolgimento delle funzioni istituzionali dirette al predetto scopo.

 Infine le dichiarazioni stragiudiziali erano disciplinate sin dal 1925 con norme regolamentari e l’attività del concessionario si era ad esse conformata, non essendo condivisibile il giudizio di non pertinenza e di eccedenza contenuto in precedente provvedimento del Garante, anche perché il diritto alla riservatezza non è leso da un’espropriazione presso terzi (3), certamente più invasiva di una richiesta di dichiarazione stragiudiziale.

 Il consulente del lavoro interessato proponeva ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza.

 Resisteva, con controricorso, Equitalia mentre non svolgevano difese gli altri intimati (Garante, Ministero e Agenzia delle entrate).

 Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denunciava la falsa applicazione dell’art. 11 delle preleggi e dell’art. 75-bis del D.P.R. n. 602/1973, da parte del Tribunale di Lecce e formulava il quesito se l’art. 75-bis del D.P.R. n. 602/1973 «dichiarazione stragiudiziale del terzo» fosse norma di interpretazione autentica avente efficacia retroattiva anche per i fatti verificatisi antecedentemente alla sua entrata in vigore.

 Con il secondo motivo il ricorrente denunciava falsa applicazione dell’art. 4, primo comma, lett. b), degli artt. 37 e 66, primo comma, del D.Lgs. n. 196/2003, degli artt. 3 e 4 del D.M. 16 novembre 2000 e dell’art. 18, primo comma, del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, e formulava il quesito se i concessionari per la riscossione dei tributi, esercitando pubbliche funzioni, potessero trattare liberamente ed incondizionatamente i dati personali dei contribuenti oppure se, stante il rilevante interesse pubblico riconosciuto dall’art. 66, primo comma, del D.Lgs. n. 196/2003, alla loro attività, dovessero ritenersi applicabili le norme del codice in materia di protezione dei dati personali di cui al D.Lgs. n. 196/2003.

 Con il terzo motivo il ricorrente denunciava falsa applicazione dell’art. 4, primo comma, lett. b), degli artt. 37 e 66, primo comma, del D.Lgs. n. 196/2003, sotto diverso profilo e, cioè, formulava il quesito se i provvedimenti assunti dall’Amministrazione finanziaria nell’anno 1925 disciplinassero rapporti e situazioni in via generale e astratta mediante una regolazione destinata ad incidere funzioni giuridiche di tutti consociati e se, pertanto, fossero veri e propri regolamenti ex art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400; se la c.d. dichiarazione stragiudiziale del terzo, richiesta dal concessionario per la riscossione dei tributi all’epoca dei fatti e, quindi, antecedentemente all’introduzione dell’art. 75-bis del D.P.R. n. 602/1973, costituisse uno strumento invasivo della sfera privata del contribuente eccedente i principi normativi; se la cd. dichiarazione stragiudiziale del terzo fosse legittima siccome conforme ad una serie di disposizioni risalenti all’anno 1925; se il diritto costituzionalmente garantito di ogni cittadino alla riservatezza dovesse recedere fino ad essere completamente vanificato di fronte al dovere di ogni cittadino di concorrere al pagamento delle tasse, anch’esso previsto dalla Costituzione.

 I Supremi Giudici, esaminata la questione, così concludono.

 Va, in primo luogo, premesso che, avendo il ricorrente denunciato la violazione di norme dettate dal D.Lgs. n. 196/2003, la disciplina sostanziale applicabile ratione temporis alla concreta fattispecie è quella contenuta nella legge n. 675/1996. La richiesta di dichiarazione stragiudiziale è stata, infatti, inoltrata nel gennaio 2003. La disciplina processuale, invece, è quella di cui al D.Lgs. n. 196/2003, essendo stato il ricorso depositato nel 2005 (4).

 Le norme rilevanti ai fini dell’esame del ricorso sono le seguenti.

 L’art. 27 della legge n. 675/1996, avente ad oggetto il «trattamento da parte di soggetti pubblici», dispone che il trattamento di dati personali da parte di soggetti pubblici, esclusi gli enti pubblici economici, è consentito soltanto per lo svolgimento delle funzioni istituzionali, nei limiti stabiliti dalla legge e dai regolamenti e, comunque, che la comunicazione e la diffusione dei dati personali da parte di soggetti pubblici a privati o a enti pubblici economici sono ammesse solo se previste da norme di legge o di regolamento (5). Tale disciplina – in virtù dell’art. 10 del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 135, e, ora, dell’art. 66 del D.Lgs. n. 196/2003 – è applicabile all’attività dei soggetti pubblici diretta all’applicazione, anche tramite i loro concessionari, delle disposizioni in materia di tributi, in relazione ai contribuenti.

 Gli artt. 20 e 21, richiamati dall’art. 66 del D.Lgs. n. 196/2003 e invocati dal ricorrente, si riferiscono esclusivamente ai dati sensibili e giudiziari. Ipotesi che non ricorre nella concreta fattispecie.

 L’art. 24, lett. f), del D.Lgs. n. 196/2003 (6) – dettato per i privati e per gli enti pubblici economici ma certamente applicabile anche agli enti pubblici non economici nella parte in cui deroga alla necessità del consenso – prevede che il consenso non è richiesto – fatta esclusione per la diffusione dei dati – se il trattamento è necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 397, o comunque per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, nel rispetto della vigente normativa in materia di segreto aziendale e industriale.

 In applicazione di tale norma deve concludersi che, poiché il pignoramento presso terzi è una forma di esecuzione forzata prevista dall’ordinamento, il creditore procedente agisce sulla base di una posizione giuridica prevista dalla legge, e di conseguenza deve escludersi che possa porre in essere una violazione della legge n. 675/1996 a tutela del legittimo trattamento dei dati personali e, peraltro, neppure è configurabile a carico del terzo che rende la dichiarazione una violazione del segreto professionale (7).

 La Corte di Cassazione ha già precisato anche che il D.Lgs. n. 196/2003 disciplina in modo diversificato in relazione al tipo di dato il trattamento di dati personali necessario per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, e, ove si tratti di dati sensibili, ossia inerenti la salute e la vita sessuale, richiede, oltre al consenso dell’interessato, la previa autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali, il quale valuta comparativamente il rango del diritto azionato e di quello protetto dalla disciplina. A tal proposito i Supremi Giudici richiamano un proprio precedente per ricordare che non costituisce un dato sensibile, ma un mero dato personale, la semplice appartenenza del soggetto chiamato a deporre alla clientela di un medico specialista, sicché non occorre la previa autorizzazione del Garante per il trattamento di tale dato necessario per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria (8).

 La Suprema Corte si sofferma sull’evoluzione della disciplina in materia di riscossione per precisare che l’art. 75-bis del D.P.R. n. 602/1973 (9), nel disporre che il concessionario, prima di procedere ai sensi degli artt. 543 e segg. c.p.c., può chiedere a soggetti terzi, debitori del soggetto che è iscritto a ruolo o dei coobbligati, di indicare per iscritto, anche solo in modo generico, le cose e le somme da loro dovute al creditore, non ha fatto altro che ribadire la legittimità di un’attività prodromica all’esercizio del diritto di agire esecutivamente da parte del concessionario. Peraltro l’Autorità Garante della protezione dei dati personali, anche dopo l’introduzione del citato art. 75-bis aveva sottolineato la necessità di verificare il rispetto del principio di pertinenza e non eccedenza nonché di assicurare che la competente amministrazione impartisse ai concessionari idonee istruzioni.

 A questo punto con il D.L. n. 262/2006 viene sostituito l’art. 75-bis del D.P.R. n. 602/1973 e la disposizione, nella sua formulazione attuale, prevede che, decorso inutilmente il termine di cui all’art. 50, primo comma, l’agente della riscossione, prima di procedere ai sensi degli artt. 72 e 72-bis del medesimo decreto e degli artt. 543 e segg. c.p.c., e anche simultaneamente all’adozione delle azioni esecutive e cautelari previste nel presente decreto, può chiedere a soggetti terzi, debitori del soggetto che è iscritto a ruolo o dei coobbligati, di indicare per iscritto, ove possibile in modo dettagliato, le cose e le somme da loro dovute al creditore.

 Gli agenti della riscossione possono procedere al trattamento dei dati acquisiti ai sensi del citato articolo 75-bis senza rendere l’informativa prevista dall’art. 13 del D.Lgs. n. 196/2003.

 Le norme introdotte dal secondo comma sono indubbiamente innovative (la disciplina dell’autocertificazione era, infatti, ritenuta applicabile dalla sola Amministrazione nelle proprie risoluzioni) mentre il terzo comma non fa che ribadire la legittimità del trattamento già desumibile dall’art. 24, lett. f), del D.Lgs. n. 196/2003, nel quale sono state trasfuse le norme dettate dagli artt. 12 e 20 della legge n. 675/1996.

 Ulteriore conferma di ciò deriva dal fatto che, come ha correttamente evidenziato il tribunale nel provvedimento impugnato, la richiesta di una dichiarazione stragiudiziale è certamente meno invasiva (dunque, non eccedente rispetto allo scopo, ai sensi della legge n. 675/1996) di una citazione ex art. 543 c.p.c.

 Il ricorso pertanto viene rigettato dalla Suprema Corte.

3. Aspetti rilevanti dell’annotata sentenza

 

 Riteniamo opportuno, in primo luogo, soffermarci sulle questioni cardine poste dalla Corte di Cassazione alla base della pronuncia in esame per formulare, nel successivo paragrafo, alcune riflessioni.

 I Supremi Giudici esordiscono precisando che, avendo il ricorrente denunciato la violazione di norme dettate dal D.Lgs. n. 196/2003, la disciplina sostanziale applicabile ratione temporis alla concreta fattispecie è quella contenuta nella legge n. 675/1996, in quanto la richiesta di dichiarazione stragiudiziale è stata inoltrata nel gennaio 2003. La disciplina processuale, invece, è quella di cui al D.Lgs. n. 196/2003, essendo stato il ricorso depositato nel 2005.

 Questo significa che bisogna innanzitutto confrontarsi con l’art. 27 della legge n. 675/1996, in tema di trattamento di dati personali da parte di soggetti pubblici, che ne consente l’utilizzo, la comunicazione e la diffusione solo per lo svolgimento delle funzioni istituzionali, nei limiti stabiliti dalla legge e dai regolamenti. La disciplina è applicabile all’attività dei soggetti pubblici – definita di rilevante interesse pubblico – diretta all’applicazione, anche tramite i propri concessionari, delle disposizioni in materia di tributi, in relazione ai contribuenti.

 Le norme contenute nella vecchia legge n. 675/1996 sono state, oggi, trasposte all’interno del D.Lgs. n. 196/2003 (codice della privacy).

 Gli artt. 20 e 21, richiamati dall’art. 66 del D.Lgs. n. 196/2003 e invocati dal ricorrente si riferiscono esclusivamente ai dati sensibili e giudiziari. Ipotesi che, secondo la Corte, non ricorre nella concreta fattispecie. Secondo i Supremi Giudici, infatti, la non inclusione dei dati richiesti mediante la dichiarazione stragiudiziale tra i dati sensibili – che sono quelli inerenti alla salute ed alla vita sessuale – e per i quali, oltre al consenso dell’interessato, è richiesta la previa autorizzazione al Garante per la protezione dei dati personali è giustificata, anche, da un precedente citato, a completamento, della propria argomentazione (10). Nella sentenza richiamata, infatti, essi avevano concluso che la semplice circostanza di appartenere alla clientela di un professionista non costituisce un dato sensibile, bensì un mero dato personale disciplinato dall’art. 12 del D.Lgs. n. 196/2003, per il cui trattamento, pertanto, non è richiesto né il consenso espresso dell’interessato né la previa autorizzazione del Garante, soprattutto se il trattamento stesso è necessario per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria.

 Sia la vecchia che la nuova normativa sul trattamento dei dati personali, inoltre, prevedono che il consenso non sia richiesto – fatta esclusione per la diffusione dei dati – se il trattamento sia necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla legge n. 397/2000, o, comunque, per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, nel rispetto della vigente normativa in materia di segreto aziendale e industriale.

 La Corte, pertanto, ricorda che il legislatore tributario ha ritenuto di includere tra le ipotesi di esecuzione forzata mutuate dal codice di procedura civile – e disciplinate dalla normativa sulla riscossione in modo specifico – il pignoramento presso terzi. E, quindi, nella fattispecie in esame, ci si confronta con un istituto disciplinato da una disposizione di legge ben individuata. Tant’è che viene richiamata la già citata sentenza n. 8239/2003 nella quale si affermava che, poiché il pignoramento presso terzi costituisce una forma di esecuzione forzata prevista dall’ordinamento, il creditore procedente agisce sulla base di una posizione giuridica prevista dalla legge, e di conseguenza deve escludersi che possa porre in essere una violazione della legge n. 675/1996 a tutela del legittimo trattamento dei dati personali. Detta legge, peraltro, si applica generalizzatamente ad ogni situazione nell’ambito della quale possa aversi una divulgazione dei dati relativi alla persona, ma è volta a regolamentare l’accesso ai soli documenti relativi ai cosiddetti “dati sensibili” della persona – né è configurabile a carico del terzo che rende la dichiarazione una violazione del segreto professionale.

4. Osservazioni critiche

 

 Nelle conclusioni alle quali giunge la Corte di Cassazione riscontriamo alcuni aspetti critici che meritano attenzione particolare.

 In primo luogo appare strano che i Supremi Giudici, dopo aver precisato che la normativa sostanziale applicabile al caso in questione è quella riconducibile alla legge n. 675/1996, rafforzano il loro ragionamento attraverso il riferimento all’art. 75-bis del D.P.R. n. 602/1973 che è stato introdotto in una fase successiva.

 infatti a quell’epoca ottenere una dichiarazione stragiudiziale che attestasse l’esistenza di crediti del contribuente su cui rivalersi era una prassi instaurata da alcune società concessionarie del servizio per la riscossione dei tributi della quale il Garante per la privacy aveva, più volte, rilevato l’illegittimità: nessuna previsione legislativa o regolamentare conferiva il potere di effettuare questo tipo di trattamento, senza il consenso del contribuente.

 Tanto che l’Agenzia delle entrate aveva ritenuto opportuno provvedere con risoluzione del 12 marzo 2004, n. 35/E (11), intimando ai concessionari di astenersi dal richiedere le predette dichiarazioni stragiudiziali ai potenziali terzi debitori dei soggetti iscritti a ruolo.

 L’istituto della dichiarazione stragiudiziale è stato inserito a seguito della novella mediante legge 30 dicembre 2004, n. 311, all’interno del D.P.R. n. 602/1973 e, precisamente, con il già citato art. 75-bis, sostituito, successivamente, con D.L. n. 262/2006, tra le norme che regolano l’esecuzione esattoriale (12).

 Nella sua attuale formulazione la norma prevede che, prima di procedere al pignoramento presso terzi eseguito secondo la procedura speciale esattoriale, l’agente della riscossione possa chiedere a soggetti terzi, debitori del soggetto che è iscritto a ruolo o dei coobbligati, di indicare per iscritto, ove possibile in modo dettagliato, le cose e le somme da loro dovute al creditore, fissando un termine non inferiore a trenta giorni dalla data di ricezione della richiesta per l’adempimento. L’inadempimento ingiustificato dei soggetti terzi, entro i termini indicati, comporta peraltro una sanzione amministrativa.

 La normativa sulla riscossione coattiva consta di regole in deroga a quelle contenute nel codice di procedura civile, applicabili mediante il richiamo previsto dal secondo comma dell’art. 49 del più volte citato D.P.R. n. 602/1973. Tale disciplina, secondo l’orientamento prevalente (13), deve dunque essere considerata disciplina speciale, anche se non del tutto autonoma rispetto a quella contenuta nel codice di procedura civile.

 Alla luce di quanto appena delineato, solo a partire dall’introduzione dell’art. 75-bis si può affermare che non ci sia dubbio sul fatto che la dichiarazione stragiudiziale costituisca atto facente parte della più complessa espropriazione mobiliare presso terzi – avente regole proprie, in ambito tributario; e che, quindi, non si possa non riconoscere la titolarità di una situazione giuridica soggettiva ben precisa in capo al creditore, contenuta in disposizioni di legge di carattere speciale che rimandano a quelle generali del codice di rito, che lo legittima alla richiesta di informazioni.

 Non sembra peraltro che nella sentenza della Corte si faccia cenno a quanto era stato affermato dal Tribunale di primo grado per dirimere la controversia e, cioè, che l’art. 75-bis del D.P.R. n. 602/1973 era norma interpretativa, come tale applicabile alle fattispecie sorte in epoca precedente all’intervento legislativo. Né troviamo riscontro al quesito posto dal professionista ricorrente per cui esisteva una normativa del 1925 che si occupava della dichiarazione stragiudiziale.

 Essa si limita a sostenere che, con l’inserimento dell’art. 75-bis, il legislatore tributario non avrebbe fatto altro che ribadire la legittimità di un’attività prodromica all’esercizio del diritto di agire esecutivamente da parte del concessionario.

 Questa ricostruzione del punto di diritto ci appare, pertanto, non del tutto convincente.

 Le considerazioni estremamente positive sull’art. 75-bis che, secondo il Supremo consesso, configurano un istituto certamente meno invasivo e, quindi, non eccedente rispetto allo scopo, ai sensi della l. n. 675 del 1996 di una citazione ex art. 543 c.p.c. ci pongono ulteriori interrogativi.

 Ci chiediamo, cioè, se sia giusto che l’impianto delle procedure esecutive previste per la riscossione coattiva privilegi la tutela dell’interesse fiscale (14) a scapito di quella dell’interesse del contribuente esecutato e dei terzi, le cui sfere giuridico-patrimoniali vengono fortemente compresse.

 Nel caso che stiamo esaminando, ad esempio, basta osservare che il legislatore ha ritenuto di dover inserire, nel nuovo art. 75-bis, un comma in cui prevede espressamente che non sia necessario richiedere l’informativa sulla privacy, prima di procedere al trattamento dei dati raccolti mediante la dichiarazione stragiudiziale.

 Riteniamo di poter dissentire dalla scelta di attribuire all’Amministrazione finanziaria, anche per mezzo dei propri organi ausiliari – e quindi tra questi dell’agente della riscossione – questo ruolo di creditore privilegiato che, spesso, le consente di agire al limite della violazione di principi, anche di rango costituzionale, posti a tutela del contribuente.

 Rileviamo, infatti, che, in tema di riscossione coattiva, aggravano la situazione le limitate opzioni di tutela giurisdizionale – poste nell’interesse del debitore esecutato e dei terzi – che caratterizzano queste invasive procedure esecutive.

 In atto, essi possono usufruire solo della tutela differita delle opposizioni – entro gli angusti limiti previsti per il diritto tributario – per poter contestare eventuali illegittimità procedurali attuate dagli organi ausiliari dell’Amministrazione finanziaria.

 Tant’è che, in questo caso, il professionista, futuro destinatario della procedura esecutiva di pignoramento presso terzi, si è visto costretto a rivolgersi al giudice ordinario ma proponendo una azione riconducibile alla violazione del codice della privacy, in quanto non è proprio prevista una forma di tutela specifica per le esigenze particolari manifestate, pur trattandosi di questioni strettamente connesse all’obbligazione tributaria.

 Escamotage analogo era stato utilizzato da quel contribuente che voleva contestare l’invasività del redditometro (15). Circostanza, questa, che ci spinge, ancora una volta, a sottolineare come la giurisdizione tributaria presenti confini sempre meno adeguati alle esigenze dei soggetti che la adiscono.

 In più va rilevato che i rimedi avverso le procedure esecutive fiscali rappresentano l’ultimo gruppo di fattispecie ancora, per buona parte, attribuite al giudice ordinario. Può, quindi, comprendersi come ci sia il frequente rischio che la vicenda relativa all’obbligazione in contestazione subisca esiti del tutto opposti a quelli riguardanti la tutela giurisdizionale avverso le procedure esecutive promosse per ottenerne il soddisfacimento. Non è inusuale che davanti ad un giudice ordinario civile (considerate le lungaggini caratterizzanti questa giurisdizione) pendano gli strascichi di controversie relative a procedure esecutive mobiliari o immobiliari generate da obbligazioni tributarie non più in vita, a seguito del ricorso ad istituti deflativi della lite tributaria o a quant’altro porti alla loro estinzione.

 L’obiettivo che si voleva perseguire con l’introduzione di queste norme era quello apprezzabilissimo di rendere snelle ed efficienti le procedure: l’art. 75-bis è stato riformulato proprio per tacitare le contestazioni che erano sorte in relazione alla tutela dei dati personali ma, anche in casi in cui la procedura sia assolutamente legittima, non si può non rilevare il rischio di causare un danno concreto e non reversibile al soggetto destinatario degli atti esecutivi (16).

 Per questo motivo, a nostro avviso, le modifiche alla normativa concernente la riscossione delle imposte (D.P.R. n. 602/1973) succedutesi negli ultimi anni avrebbero richiesto una adeguata rivisitazione dell’impianto della tutela giurisdizionale dai soggetti interessati, soprattutto con riguardo alla posizione del contribuente e dei terzi coinvolti.

Avv. Patrizia Accordino

 Università degli Studi di Messina

 

 (1) Cfr. Cass., sez. III, 24 maggio 2003, n. 8239, in Rep. foro it., 2003, Esecuzione per obbligazioni pecuniarie [2720], n. 61.

 (2) Inserito dall’art. 1, comma 425, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e sostituito dall’art. 2, ottavo comma, del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286).

 (3) Cfr. Cass. n. 8239/2003, cit.

 (4) Cfr. l’art. 186 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196: le disposizioni di cui al presente codice entrano in vigore il 1° gennaio 2004, ad eccezione delle disposizioni di cui agli artt. 156, 176, commi 3, 4, 5 e 6; e 182, che entrano in vigore il giorno successivo alla data di pubblicazione del presente codice. Dalla medesima data si osservano altresì i termini in materia di ricorsi di cui agli artt. 149, ottavo comma, e 150, secondo comma.

 (5) Cfr. l’art. 27, terzo comma, ora art. 19, terzo comma, del D.Lgs. n. 196/2003.

 (6) Nel quale sono state trasfuse le norme dettate dagli artt. 12 e 20 della legge n. 675/1996.

 (7) Cfr. Cass. n. 8239/2003, cit.

 (8) Cfr. Cass., sez. lav., 7 luglio 2008, n. 18584, in Giust. civ., 2009, I, 2433, in una fattispecie nella quale, in una controversia tra il dipendente di uno studio medico specialistico nel campo della andrologia e ginecologia e il professionista, la sentenza di merito aveva ritenuto ammissibile la testimonianza dei clienti dello studio avente ad oggetto le prestazioni lavorative del dipendente, senza necessità di previa autorizzazione del Garante.

 (9) Inserito dall’art. 1, comma 425, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.

 (10) Cfr. Cass. n. 18584/2008, cit.

 (11) In Boll. Trib. On-line.

 (12) Cfr. G. Ingrao, La tutela della riscossione dei crediti tributari, Bari, 2012, 238, ss.

 (13) Cfr. M. Giorgetti, Profili dell’espropriazione forzata tributaria, in Dir. prat. trib., 2006, 777 ss.; e G. Tinelli, Statuto dei diritti del contribuente e riscossione coattiva, in Riv. dir. trib., 2012, 3 ss., il quale rileva che tale orientamento scaturisce dalla constatazione per la quale «la struttura dell’espropriazione forzata tributaria sia sostanzialmente analoga a quella disciplinata dal codice di rito, salve le deroghe espressamente previste, che sono da porsi in stretta connessione all’interesse pubblico sottostante alla realizzazione coattiva del tributo».

 (14) Cfr. E. De Mita, Interesse fiscale e tutela del contribuente, Milano, 2006, 198; e P. Boria, L’interesse fiscale, Torino, 2002.

 (15) Si veda Trib. di Napoli, sez. staccata di Pozzuoli, 20 febbraio 2013, ord. n. 250, in Boll. Trib., 2013, 536, con nota di P. Accordino, Il redditometro e la tutela dei dati personali del contribuente.

     (16) Cfr. G. Tinelli, Statuto dei diritti del contribuente e riscossione coattiva, cit., 3 ss.