12 Ottobre, 2012

SOMMARIO: 1.Premessa – 2. Note introduttive – 3. L’inarrestabile ascesa del diritto al contraddittorio quale elemento essenziale del giusto procedimento amministrativo-tributario – 4.Il modello di partecipazione attiva accolto nello Statuto dei diritti del contribuente – 5. Conclusioni.

 

1.Premessa

In seno all’applicazione dell’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), segnatamente al diritto del contribuente di comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che gli Uffici impositori devono valutare prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, pare profilarsi un contrasto tra la giurisprudenza di legittimità e quella di merito.

In un recente intervento, la Corte di Cassazione ha rilevato che dalla lettura dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, emerge che la norma non distingue riguardo al contenuto dei verbali, ben potendo il contribuente comunicare osservazioni e richieste anche in relazione a verbali che, pur non contenendo contestazioni, potrebbero comportare l’emissione di un atto impositivo nei suoi confronti [1]. Per contro, in numerosi interventi la giurisprudenza di merito giunge a conclusioni opposte, garantiste per i contribuenti. Con un’interpretazione rigorosa della norma, essa afferma l’obbligo della consegna al contribuente del processo verbale di chiusura delle operazioni eseguite con il riporto dei rilievi formulati circa la violazione delle norme consumate dal destinatario [2]. La ratio, ovviamente, è quella di consentire al contribuente di formulare osservazioni e richieste a tutela dei propri interessi.

Si ritiene che la questione possa ricondursi ad un argomento principale, ovverosia il ruolo che assume il contraddittorio tra l’ufficio impositore e il contribuente nel procedimento istruttorio che precede la fase dell’accertamento.

2.Note introduttive

 

Il diritto del contribuente a interloquire con l’Amministrazione finanziaria nella fase che precede la contestazione formale di una pretesa tributaria, volta alla tutela degli interessi del primo, risente di teorie passate che assegnavano all’accertamento un ruolo centrale nel procedimento amministrativo-tributario. Al suo interno, la fase dell’istruttoria assumeva una valenza solo strumentale a causa dei sistemi di tassazione, prima dominanti, in larga parte fondati su criteri estimativi della misurazione delle imposte dovute. In seguito, la riforma tributaria attribuiva al contribuente un ruolo di partecipazione attiva nel procedimento, onerandolo dell’obbligo dichiarativo della materia imponibile, anch’essa nelle more modificata con la previsione di sistemi di determinazione analitici. Per l’effetto, sul piano concettuale la fase istruttoria di controllo e verifica perdeva il suo carattere strumentale della fase dell’accertamento dell’imposta dovuta e assumeva una funzione propria, autonoma nel procedimento amministrativo-tributario. Nel sistema normativo regolatore del procedimento, per il legislatore ciò comportava la separazione del ruolo della fase istruttoria da quello dell’accertamento, in forza dei diversi scopi perseguiti: acquisizione autoritaria di conoscenze riguardo alla corrispondenza del contribuente rispetto ai propri obblighi tributari (la prima) e corretta misurazione dell’imposta dovuta in funzione di rettifica della dichiarazione o dell’accertamento (la seconda) [3].

 

3.L’inarrestabile ascesa del diritto al contraddittorio quale elemento essenziale del giusto procedimento amministrativo-tributario

 

Il contraddittorio endoprocedimentale nel diritto comunitario

 

In ambito europeo, sul principio del giusto procedimento si è pronunciata la Corte di Giustizia UE con la sentenza 18 dicembre 2008, causa C-349/07 [4] [5].

Per quanto qui rileva, i giudici europei, nella decisione assunta, hanno (ri)affermato che: i) i diritti fondamentali sono parte integrante dei principi generali dei quali la Corte di Giustizia garantisce l’osservanza, ispirandosi alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali sulla tutela dei diritti dell’uomo, cui i Paesi membri hanno cooperato o aderito [6]; ii) il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione finanziaria si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto a esso lesivo [7]; iii) i destinatari di decisioni che incidono sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione intende fondare la sua decisione [8]; iiii) la regola ha lo scopo di consentire all’autorità competente di considerare gli elementi del caso per assicurare un’effettiva tutela del soggetto coinvolto, al fine di consentirgli di correggere un errore o far valere elementi relativi alla sua situazione personale e far sì che la decisione sia adottata o non sia adottata, ovvero abbia un contenuto piuttosto che un altro [9].

Sul punto si osserva che, venuta meno la rigidità del principio della sovranità nazionale dei singoli Stati nelle materie di competenza dell’Unione europea, le norme comunitarie hanno acquisito il primato su quelle interne dei paesi membri [10] e che, in ambito nazionale, ciò trova il suo fondamento negli artt. 10 e 11 Cost. Mette altresì conto rilevare che le sentenze interpretative della Corte di Giustizia europea pronunciate su rinvio pregiudiziale hanno valenza processuale per il giudice remittente, perché vincolato all’applicazione del principio o della norma comunitaria secondo l’interpretazione data dalla Corte stessa, e valenza extraprocessuale per ogni altro giudice perché tenuto all’applicazione al fine di non incorrere in una violazione del diritto comunitario [11]. Sicché, per la dottrina, non è praticabile una soluzione che ignori la giurisprudenza comunitaria della Corte di Giustizia, dato il vincolo che essa impone ai giudici nazionali [12]. Infine, al vincolo soggiacciono le amministrazioni nazionali in virtù del principio di legalità.

Tornando a quanto qui preme, per la dottrina non rileva la circostanza che il caso esaminato dai Giudici europei nella citata sentenza causa C-349/07 del 2008, avesse a oggetto la disciplina del diritto doganale. I principi di diritto comunitario in essa affermati [13] prescindono dalla qualificazione di imposta armonizzata dei tributi assumendo, quindi, valenza generale [14].

Corollario dell’applicabilità in ambito domestico del principio di diritto di matrice comunitaria sono gli strumenti a disposizione del giudice nazionale per la risoluzione di eventuali antinomie con la legge nazionale. Essi consistono nel rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di Giustizia europea, nell’applicazione diretta del diritto comunitario, nell’interpretazione conforme al diritto comunitario della norma interna, nella non applicazione della norma interna confliggente con quella comunitaria.

 

(segue) Il contraddittorio nella giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione

 

Seppure con riferimento all’accertamento da studi di settore, il quale per espressa previsione di legge prevede il contraddittorio tra le parti, in un recente intervento la Corte di Cassazione, nella sua massima composizione, ha affermato che il contraddittorio è un mezzo efficace per adeguare la pretesa alla realtà reddituale oggetto dell’accertamento nei confronti di un contribuente e un elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedimento [15].

Sulla scorta dell’autorevole intervento, la migliore dottrina ha concluso per l’indefettibilità del contraddittorio nei casi di accertamento basati su dati standard [16].

Segnatamente agli accertamenti fondati su dati tratti dalla realtà del singolo, si osserva che nella motivazione della sentenza la precisazione, a cura dei Massimi Giudici, dell’essenzialità del contraddittorio nel giusto procedimento «anche in assenza di una espressa previsione normativa» non appare una disgressione incidentale priva di efficacia di precedente. Di contro, essa è parte significativa del percorso interpretativo della Suprema Corte, indissolubilmente connessa alla ratio-decidendi della causa. Nell’assumere la decisione con riferimento all’accertamento fondato sullo standard dello studio di settore, la Corte sembra poi voler assegnare una portata generale al proprio orientamento. L’asserzione relativa all’essenzialità del contraddittorio preventivo «(anche in assenza di una espressa previsione normativa)», seppure riportata tra parentesi, induce a ritenere acquisita nella Suprema Corte l’intima convinzione della necessità di conferire al contraddittorio tra le parti la giusta valenza nel procedimento tributario, in forza non tanto di un espresso richiamo di legge, quanto in forza di principi costituzionali [17] e comunitari [18] sempre più pregnanti e immanenti nell’ordinamento giuridico [19].

In ragione di ciò, il contraddittorio preventivo dovrebbe costituire un elemento essenziale del giusto procedimento non solo negli accertamenti radicati nell’applicazione di dati standard, ma tutte le volte in cui se ne ravvisi la necessità, a nulla rilevando a riguardo “una espressa previsione normativa” [20].

 

4.Il modello di partecipazione attiva accolto nello Statuto dei diritti del contribuente

 

Al termine delle operazioni di verifica, gli Uffici finanziari e la Guardia di finanza redigono il c.d. processo verbale di constatazione con il riporto delle operazione effettuate e dei rilievi formulati circa le violazioni commesse dal contribuente. La prassi affonda le radici nell’art. 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, ancora vigente, relativa alle norme generali per la repressione delle violazioni finanziarie [21]. Nessun’altra norma prevede l’obbligo di redazione di un verbale di chiusura delle operazioni di controllo. Le norme sulla verbalizzazione degli accessi eseguiti [22] e gli inviti a comparire rivolti al contribuente [23], infatti, non prevedono l’obbligo di formalizzare la chiusura delle operazioni eseguite.

Il nuovo modello di partecipazione del contribuente alla fase dell’istruttoria trova oggi il suo riferimento normativo nell’art. 12 della legge n. 212/2000, il quale prevede al comma 4 che delle osservazioni e dei rilievi del contribuente si dia atto nel processo verbale delle operazioni di verifica. Per poi disporre, al comma 7, per: i) il rilascio di una copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo; ii) il diritto a favore del contribuente di formulare osservazioni o di produrre istanze per il compimento di atti, o l’astensione dal compimento di essi, da parte dell’Amministrazione interessata, nel termine di sessanta giorni dal rilascio del verbale; iii) il divieto di emanazione dell’avviso di accertamento prima della scadenza del termine di cui sopra.

Dall’analisi (ri)emerge, da un lato, la volontà del legislatore, di cui si è fatto cenno nelle note introduttive, di distinguere e cadenzare le fasi dell’istruttoria e dell’accertamento. Dall’altro lato, considerato l’incipit del comma 7, emerge che il modello di partecipazione delineato dallo Statuto non è riconducibile a un’espressione del diritto di difesa, ma a quello del rispetto del principio di cooperazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente.

In conclusione, l’art. 12 della legge n. 212/2000 disciplina la partecipazione attiva del contribuente nella fase di controllo e verifica, cadenzandone i momenti: in itinere (comma 4) e all’atto conclusivo delle operazioni (comma 7). Così positivizzato, il diritto al contraddittorio partecipa alla formazione del giusto procedimento amministrativo, divenendone un elemento essenziale perché attuativo dell’art. 97 Cost.

Diversamente opinando, dovrebbe concludersi per l’esistenza di un vuoto normativo: nessuna norma prevederebbe l’obbligo di formulare le conclusioni cui giunge l’ente impositore al termine dell’istruttoria. Ne conseguirebbe l’incontrollabile discrezionalità (o, meglio, l’arbitrio) dell’Amministrazione finanziaria la quale potrebbe facilmente eludere la norma [24]. Una simile conclusione, inaccettabile sul piano umano prima ancora che giuridico, si presterebbe, peraltro, a censure sul piano costituzionale. Considerata la giurisprudenza della Corte Costituzionale secondo cui la violazione del principio di buon andamento dell’amministrazione può essere invocato quando si assuma l’arbitrarietà o la manifesta irragionevolezza della disciplina impugnata rispetto all’art. 97, comma 1, Cost. [25].

5.Conclusioni

 

La separazione, concettuale e normativa, delle fasi del procedimento amministrativo tributario e la previsione di norme specifiche di disciplina comportano diverse forme di tutela degli interessi del contribuente coinvolti nella fase dell’attività istruttoria.

Per la dottrina, l’attività istruttoria coinvolge valori ispirati ai principi di solidarietà, di cui all’art. 2, e di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., caratterizzata per essere discrezionale e per incidere su diritti e interessi del contribuente non (immediatamente) patrimoniali [26].

L’attività istruttoria deve ricondursi nel novero dei principi di cui all’art. 97 Cost., nonché degli artt. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 [27], e 1 della legge n. 212/2000, che di quei principi ne propongono l’attuazione [28]. Rilevano, allora, quegli interventi della Corte Costituzionale secondo cui l’art. 97 Cost. stabilisce sia la finalità da perseguire e da raggiungere e sia il criterio che deve caratterizzare l’azione amministrativa [29]. Con riferimento a quest’ultima, nelle attività e relazione dell’amministrazione con altri soggetti, i procedimenti devono sì perseguire la migliore realizzazione degli interessi pubblici, ma nel rispetto dei legittimi interessi dei soggetti coinvolti nel procedimento. E ciò postula il diritto del contribuente di partecipare attivamente all’istruttoria per assicurare la ricerca obiettiva, e non partigiana, dell’effettiva capacità contributiva da attrarre a tassazione.

La finalità di attuazione sancita dall’art. 1, comma 1, della legge n. 212/2000, di alcune norme costituzionali, tra cui l’art. 97 che qui interessa, induce a ritenere che quanto previsto dall’art. 12, commi 4 e 7, della suddetta legge, sia idoneo a delimitare l’ambito dell’attuazione del principio del contraddittorio, in funzione dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica Amministrazione; in forza di un’interpretazione adeguatrice ai principi costituzionali, di cui la legge n. 212/2000 costituisce la pratica attuazione in ambito tributario [30]. La previsione della redazione di un processo verbale conclusivo che riporti i rilievi in nuce che l’Amministrazione finanziaria intende muovere nei confronti del destinatario, deve quindi intendersi come garanzia del diritto del contribuente alla tutela del proprio interesse, nel quadro di un’istruttoria giusta ed esauriente. La disciplina è poi rafforzata dalla previsione degli altri obblighi, in capo all’Amministrazione, sempre in funzione strumentale alla realizzazione dell’art. 97 Cost., di valutazione degli apporti collaborativi del contribuente e del riporto delle ragioni dell’eventuale rigetto nell’ipotesi in cui non fossero ritenuti meritevoli di accoglimento. Al punto da predicarsi, in difetto, l’illegittimità dell’atto impositivo [31] [32].

Sotto un altro profilo, il collegamento tra l’art. 97 Cost. e la tutela del principio di partecipazione attiva del contribuente alla fase dell’istruttoria discende (anche) dalla normativa che attribuisce all’avviso di accertamento titolo per la riscossione provvisoria di una frazione del richiesto in caso di impugnazione e (ora), in materia di IVA, IRAP e imposte dirette, anche natura di precetto e di titolo esecutivo [33]. Verrebbe così a cadere l’opinione tradizionale della giurisprudenza che riteneva sufficiente per la tutela degli interessi privati l’impugnazione postuma dell’avviso di accertamento nella sede giurisdizionale [34].

Per altro verso, come osservato dalla migliore dottrina, “l’imparzialità” impone che la pubblica amministrazione, prima di provvedere, accerti diligentemente la situazione di fatto su cui interviene, con strumenti ragionevoli e non defaticatori. Il “buon andamento” impone, nel ponderato utilizzo delle risorse, che si eviti l’emissione di accertamenti “al buio” suscettibili di ragionevoli modifiche o di ritiro alla luce degli elementi giustificativi offerti dal contribuente. In tale contesto, sacrificare il contraddittorio con il contribuente, soprattutto negli accertamenti standard o presuntivi, significherebbe non solo sacrificarne gli interessi, ma anche rischiare di emettere provvedimenti infondati o erronei, con dispersione di risorse pubbliche [35].

Per altro verso ancora, la disciplina prevista dall’art. 12 della legge n. 212/2000 attua l’allineamento della normativa nazionale con gli standards europei così come delineati dalla Corte di Giustizia europea con la più volte citata sentenza causa C-349/07 del 2008. Sicché, il giudice tributario chiamato a interpretare l’art. 12 in questione agisce non solo come giudice nazionale, ma anche (e soprattutto) come giudice comunitario, in virtù del primato del diritto comunitario su quello nazionale sancito dagli artt. 10 e 11 Cost. e dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia europea. Ne consegue che l’interpretazione del disposto normativo non può prescindere dalla risoluzione di eventuali antinomie in senso favorevole al diritto comunitario, adeguando per via ermeneutica il contenuto precettivo della disposizione di legge nazionale agli obiettivi prescritti dall’ordinamento comunitario [36].

Per concludere, se l’obiettivo è quello di garantire al contribuente il contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria nella fase che precede la formazione e la notifica di un atto impositivo lesivo degli interessi privati, appare conforme ai principi comunitari l’interpretazione dell’art. 12 del senso di una puntuale e compiuta disciplina che impone all’ufficio impositore l’obbligo di consegna di un processo verbale conclusivo che dia contezza (anche) delle violazioni di leggi tributarie ipotizzate.

 

Dott. Mauro Tortorelli

 

 


[1] Cass., sez. trib., 15 marzo 2011, ord. n. 6088, in Boll. Trib., 2011, 878.

 

[2] Cfr., ex multis, Comm. trib. prov. di Avellino, sez. V, 22 ottobre 2007, n. 323; e Comm. trib. reg. della Lombardia, sez. XXXVIII, 23 febbraio 2011, n. 38, entrambe in Boll. Trib. On-line.

 

[3] s. stufano, La tutela del contribuente nelle indagini tributarie, Milano, 2011, cap. I.

 

[4] In Boll. Trib. On-line; per l’approfondimento, in dottrina si rinvia a a. marcheselli, Il diritto al contraddittorio nel procedimento amministrativo tributario è diritto fondamentale del diritto comunitario, in Riv. giur. trib., 2009, 211; e g. ragucci, Il contraddittorio come principio generale del diritto comunitario, in Rass. trib., 2009, 570 ss.

 

[5] Si osserva che in seno alla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, i principi del buon andamento e del contraddittorio devono intendersi immanenti l’ordinamento giuridico dell’Unione e applicabili in tutti procedimenti amministrativi (cfr. 24 ottobre 1996, causa C-32/95, Lisretal; e 21 settembre 2000, causa C-462/1998, Mediocurso, entrambe in Boll. Trib. On-line; nella citata sentenza causa C-349/07 del 2008, la Corte di Giustizia ne afferma l’applicazione anche nel procedimento tributario e qualifica il contraddittorio preventivo un “principio fondamentale del diritto comunitario”.

 

[6] Cfr. punto 33 della sentenza. I principi generali del diritto comune agli ordinamenti degli Stati membri vengono desunti non dal diritto comunitario, ma dall’esame parallelo dei vari ordinamenti nazionali. Essi assumono rilevanza nell’intero campo d’applicazione del Trattato e sono utilizzati soprattutto quando si tratta di verificare la legittimità del comportamento delle istituzioni o degli Stati membri in relazione alla posizione dei singoli. Si segnalano soprattutto alcuni principi inerenti all’idea stessa di Stato di diritto: il principio di legalità, il principio della certezza del diritto, il principio del legittimo affidamento, il principio del contraddittorio, il principio di proporzionalità (secondo cui gli interventi della pubblica autorità limitativi della libertà o dei diritti dei singoli devono essere idonei a raggiungere l’obiettivo di interesse pubblico perseguito, necessari a questo fine e non devono imporre ai privati sacrifici superflui).

 

[7] Cfr. punto 36 della sentenza.

 

[8] Cfr. punto 37 della sentenza.

 

[9] Cfr. punto 49 della sentenza.

 

[10] Il primato del diritto comunitario su quello dei Paesi membri è un pilastro portante dell’integrazione europea ed è il frutto della giurisprudenza formatasi nel tempo: cfr. Corte Giust. CEE 15 luglio 1964, causa C-6/64, Costa/Enel, e Corte Giust. CEE 9 marzo 1978, causa C-106/77, Simmenthal, entrambe in Boll. Trib. On-line.

 

[11] g. tesauro, Diritto comunitario, Padova, 2008, 340, con rinvio a Corte Cost. 13 luglio 2007, n. 284, in Giur. costit., 2007, 2780; e Corte Cost. 23 aprile 1985, n. 113, in Boll. Trib. On-line.

 

[12] m. basilavecchia, L’influenza delle interpretazioni della Corte di giustizia, in Riv. giur. trib., 2008, 46, con ulteriori rinvii a contributi della dottrina.

 

[13] «Il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo» (punto n. 36). E ancora «in forza di tale principio, i destinatari di decisioni che incidono sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione intende fondare la sua decisione» (punto n. 37).

 

[14] g. ragucci, Il contraddittorio come principio generale del diritto comunitario, cit., 581 e 597 ss.; m. basilavecchia, Si rafforza il contraddittorio in materia doganale, in Riv. giur. trib., n. 10/2010. Peraltro, la stessa Corte Giust. CEE 14 febbraio 1995, causa C-279/93, Schumacker, in Boll. Trib. On-line, ha affermato che «benché la materia delle imposte dirette non rientri, in quanto tale, nella competenza della comunità, l’esercizio da parte degli Stati membri di questa competenza loro attribuita non può prescindere dal rispetto del diritto comunitario».

 

[15] «Il contraddittorio deve ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile (anche in assenza di una espressa previsione normativa) del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa (in questo senso v. Cass., n. 2816 del 2008), sulla base di argomentazioni che il collegio condivide e conferma, dall’altro esso è il mezzo più efficace per consentire un necessario adeguamento della elaborazione parametrica … alla concreta realtà reddituale oggetto dell’accertamento nei confronti di un singolo contribuente»: così Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635, in Boll. Trib., 2010, 303; del pari, la stessa Agenzia delle entrate, seppure con riferimento all’accertamento da studi di settore, in un documento di prassi ha affermato che l’Ufficio deve invitare il contribuente «nel rispetto delle regole del giusto procedimento e del principio di cooperazione tra amministrazione finanziaria e contribuente, a fornire, in contraddittorio, i propri chiarimenti» e che «la mancata attivazione del contraddittorio comporta l’assenza di un elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa»: cfr. circ. 14 aprile 2010, n. 19/E, ibidem, 626.

 

[16] a. marcheselli, Accertamenti tributari e difesa del contribuente, Milano, 2010, in nota a pag. 24. L’Autore rileva come la posizione assunta dalla Corte di Cassazione sia “arretrata” rispetto a quella della Corte di Giustizia europea.

 

[17] Seppure la Corte Costituzionale aveva sempre escluso la previsione nella Costituzione del principio del giusto procedimento amministrativo, anche in via indiretta sulla base dell’interpretazione dell’art. 97 (cfr., ex multis, Corte Cost. 10 dicembre 1987, ord. n. 503, in Riv. dir. internaz., 1988, 918), tuttavia, nella sentenza 14 dicembre 1995, n. 505, in Giur. costit., 1995, n. 6, la Corte affermò che nel procedimento amministrativo «trovano diretta e necessaria applicazione i principi relativi al diritto dell’interessato di conoscere gli atti che lo riguardano, una sua, pur limitata, partecipazione alla formazione degli stessi, e soprattutto la possibilità dell’interessato medesimo di contestarne il fondamento e difendersi di fronte agli addebiti che gli vengono mossi».

 

[18] Ved. nota 13.

 

[19] Sul riconoscimento del diritto al contraddittorio preventivo, anche la giurisprudenza amministrativa ha mostrato importanti aperture: «L’avviso d’avvio del procedimento amministrativo ex art. 7, 1 comma, L. 7 agosto 1990, n. 241, costituisce principio generale dell’ordinamento ed è strettamente connesso con i canoni costituzionali dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa, onde non tollera interpretazioni che ne limitano arbitrariamente l’applicazione generalizzata a tutti i procedimenti, anche vincolati, perché la partecipazione al procedimento ha la sua ragion d’essere pure quando i presupposti dell’atto da adottare, pur se stabiliti in modo preciso e puntuale dalla legge, richiedono comunque un accertamento, nel cui ambito si deve garantire il contraddittorio con il privato»: Cons. Stato, sez. V, 22 maggio 2001, n. 2823, in Giust. amm., 2001, 717.

 

[20] Il riferimento è agli accertamenti di tipo induttivo che necessitino di un confronto con la realtà scrutinata.

 

[21] «La fase terminale dell’esecuzione della verifica è rappresentata dalla compilazione del processo verbale di constatazione, dalla sottoscrizione da parte dei verificatori e del contribuente, dal rilascio di copia al contribuente stesso e dal successivo inoltro agli Uffici dell’Agenzia delle entrate territorialmente competenti. I fondamenti che qualificano il processo verbale di constatazione quale atto conclusivo dell’attività ispettiva sono identificabili nelle disposizioni dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/72, richiamate dall’art. 33 del D.P.R. n. 600/73, che impongono la verbalizzazione di tutte le operazioni poste in essere nel corso dell’attività stessa, …, nonché nell’art. 24 della Legge 7 gennaio 1929, n. 4, ancora in vigore nonostante i successivi interventi abrogativi, secondo cui “le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono contestate mediante processo verbale”. La funzione del processo verbale di constatazione è sostanzialmente di triplice natura: documentare in maniera organica i controlli svolti e le metodologie adottate, ( …) porre formalmente a conoscenza del contribuente controllato di tutto quanto precede, anche al fine di porlo nelle condizioni di assumere le iniziative a difesa ritenute opportune, … porre in condizione il competente Ufficio dell’Agenzia delle entrate di avviare, ove necessario, le procedure per la rettifica della dichiarazione …»: cfr. circ. Comando Generale della Guardia di finanza 29 dicembre 2008, n. 1/G.d.F., in Boll. Trib., 2009, 378, istruzioni sull’attività di verifica – Parte III, Cap. 5 “La conclusione della verifica”, par. 1.

 

[22] Art. 52, comma 6, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

 

[23] Artt. 32, n. 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 51, n. 2, del D.P.R. n. 633/1972.

 

[24] Per la dottrina, circa «L’esigenza di assicurare il rispetto del principio di imparzialità dell’attività amministrativa di cui all’art. 97 Cost. … appare evidente che lo stesso verrebbe pregiudicato qualora si consentisse liberamente che alcuni contribuenti possano beneficiare dell’anzidetto termine di 60 giorni per far valere preventivamente le proprie deduzioni difensive ed altri no, a seconda del comportamento di un Ufficio, rispettoso del disposto normativo, o di, un altro, viceversa posto in essere in violazione di legge»: così a. colli vignarelli, La cassazione si pronuncia in modo discorde in tema di invalidità dell’accertamento per violazione del contraddittorio anticipato, in Rass. trib., 2012, 458.

 

[25] Corte Cost. 17 novembre 1982, n. 185, in Boll. Trib., 1983, 165; Corte Cost. 28 aprile 1994, n. 163, in Foro it., 1995, I, 80; Corte Cost. 29 maggio 1997, n. 153, in Giur. costit., 1997, 1628; Corte Cost. 19 febbraio 1999, n. 34, ivi, 1999, 257; e Corte Cost. 26 febbraio 2010, n. 80, in Foro amm., 2010, 4797.

 

[26] s. la rosa, L’Amministrazione Finanziaria, Torino, 1995, 77. L’attività di accertamento, invece, trova fondamento negli artt. 23 (riserva di legge in materia impositiva) e 53 (concorso alle spese pubbliche in ragione della capacità contribuiva) Cost., e poiché tesa a incidere su interessi patrimoniali del soggetto, perché di contenuto impositivo, resta regolata da atti vincolati. Sicché l’attività impositiva è vincolata dall’indisponibilità dell’obbligazione tributaria e l’Amministrazione finanziaria non può quindi determinare le imposte e le sanzioni dovute in misura diversa da quella prevista dalla legge, cfr. f. gallo, Discrezionalità nell’accertamento tributario e sindacabilità delle scelte dell’ufficio, in Riv. dir. fin., 1992, I, 655.

 

[27] Il richiamo alla legge n. 241/1990 è da intendere in senso generale. In ambito tributario, la dottrina osserva che occorre «tenere presente la posizione dello “Statuto” nella gerarchia delle fonti, e in particolare il fatto che le disposizioni che lo compongono sono l’attuazione diretta di regole costituzionali, non derogabili se non in maniera espressa, e soltanto attraverso disposizioni generali e di principio. Non è dunque ammissibile che i diritti fondamentali del contribuente garantiti da tale fonte subite subiscano riduzioni o attenuazioni, neppure in ossequio a disposizioni relative alla invalidità». g. ragucci, Il contraddittorio nei procedimenti tributari, Torino, 2009, 226. Inoltre, con riferimento ai rapporti esistenti tra lo Statuto e la legge n. 241/1990 «il legislatore ha ritenuto di dover individuare una griglia di norme e principi posti specificatamente a garanzia del contribuente, il quale evidentemente … meritava un apposito “statuto” rafforzativo ed ampliativo del normale quadro garantistico assicurato all’amministrato dalla legge 241/90. Le norme e i principi posti dallo Statuto si configurano quindi come parte qualificante delle garanzie proprie del contribuente. Tali garanzie non possono essere svuotate per via indiretta, mediante il depotenziamento della violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti ex art. 21-octies, 2 co., della novellata legge n. 241/90». La sua operatività, infatti, «può e deve essere preclusa a fronte della violazione delle specifiche norme statutarie, che in quanto norme fondamentali di garanzia non possono essere riduttivamente considerate mere norme sul procedimento o sulla forma degli atti, svilite nella logica delle irregolarità non invalidanti. Resta fermo che il depotenziamento delle violazioni ex art. 21-octies, potrà operare … a fronte delle semplici norme procedimentali o formali disseminate nella legislazione tributaria, laddove non risultano rafforzate dal baluardo statutario». l. del federico, I rapporti tra lo Statuto e la legge generale sull’azione amministrativa, in Rass. trib., 2011, 1409 ss. Nello stesso senso, cfr. m. basilavecchia, La nullità degli atti impositivi; considerazioni su principio di legalità e funzione amministrativa, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2006, I, 358.

 

[28] «… il comportamento della amministrazione viola direttamente non solo il comma 7 dell’art. 12 Legge 212/2000, che il legislatore ha qualificato come attuativo di principi costituzionali, attribuendo ad essi particolare autorevolezza specie con riferimento all’ampliamento dei diritti fondamentali di partecipazione del cittadino-contribuente, ma anche la stessa norma sul diritto al contraddittorio: il contraddittorio pregiurisdizionale post verifica discende direttamente dagli artt. 97 e 24 della Costituzione che, come ogni altra norma costituzionale non puramente programmatica, il giudice di merito è tenuto a fare rispettare»: così Comm. trib. reg. Friuli-Venezia Giulia, sez. XI, 26 marzo 2008, n. 9, in Boll. Trib. On-line.

 

[29] Corte Cost. 5 marzo 1998, n. 40, in Giur. costit., 1998, 495; e Corte Cost. 10 marzo 1966, n. 22.

 

[30] «Il dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla L. n. 212 del 2000 deve essere risolto dall’interprete nel senso più conforme ai principi statutari»: cfr. Cass., sez. trib., 10 dicembre 2002, n. 17576, in Boll. Trib., 2003, 778; e nello stesso senso Cass., sez. trib., 14 aprile 2004, n. 7080, ivi, 2004, 1340.

 

[31] Per la dottrina, proprio a causa del collegamento con l’art. 97 Cost., l’invalidità dell’atto sussisterebbe anche in relazione alle deduzioni difensive prodotte oltre il termine di sessanta giorni previsto dal comma 7 dell’art. 12. della legge n. 212/2000. r. dominici, Le osservazioni del contribuente dopo la chiusura della verifica, in Riv. giur. trib., 2006, 799 ss.

 

[32] Si annota che Corte Cost. 24 luglio 2009, ord. n. 244, in Boll. Trib., 2009, 1724, con un’interpretazione adeguatrice all’art. 24 Cost., ha affermato che in mancanza di adeguate ragioni giustificatrici della “particolare urgenza” l’avviso di accertamento notificato prima dei sessanta giorni è da ritenere illegittimo perché viziato in motivazione.

 

[33] Ex art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

 

[34] Cfr., in generale, Corte Cost. 31 maggio 1995, n. 210, in Giur. costit., 1995, 1586, e, in ambito tributario, segnatamente agli accertamenti bancari, Cass., sez. trib., 16 settembre 2005, n. 18429, in Boll. Trib. On-line; la (presunta) efficacia della tutela differita all’impugnazione dell’avviso di accertamento di recente è stata contrastata da una sentenza del Giudice di legittimità secondo cui per il contribuente non è indifferente contraddire a tutela dei propri interessi nella sede giudiziale anziché amministrativa, a causa dei danni che potrebbe produrre nella sfera giuridica del destinatario la notifica di un atto impositivo inutile perché, in seguito, rivelatosi effettivamente innocuo: Cass., sez. trib., 26 febbraio 2009, n. 4622, ivi.

[35] a. marcheselli, Accertamenti tributari e difesa del contribuente, cit., 22 e 23.

[36] Sotto tale profilo, è utile richiamare la giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo cui osta con il diritto dell’Unione europea la norma nazionale che limiti la responsabilità dei giudici ai soli casi di dolo o di colpa grave se l’errore interpretativo verte su questioni già risolte dalla Corte di Giustizia (cfr. Corte Giust. UE 13 giugno 2006, causa C-173/03, “Traghetti del mediterraneo”, in Dir. giust., 2006, 29, 105; e Corte Giust. UE 24 novembre 2011, causa C-379/10, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2011, 5, 1277).

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